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Autore: walliejoy    05/01/2015    1 recensioni
Tratto dal prologo:
"Era una giornata di sole a Capitol City.
Il presidente Johnson era comodamente seduto sulla sua poltrona di vimini in terrazza, un bicchiere di champagne nella mano e un sorriso stampato sul volto.
-Presidente, siamo pronti.
Si voltò appena, senza dare troppa importanza al ragazzo che era appena uscito sulla terrazza e che al momento si trovava dietro di lui.
-Bene.- disse.
Il ragazzo se ne andò annuendo.
-E che i 42 Hunger Games abbiano inizio."
Genere: Avventura, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovi Tributi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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DISTRETTO 11
Tutto quello che successe dopo fu veloce e confuso. I due ragazzi vennero trasportati alla stazione da cui partì il treno per la capitale. Dalia si muoveva nelle cabine esperta, guidandoli alle loro stanze. Si scusò per quanto fossero piccole, senza forse essere a conoscenza delle dimensioni di una camera nel distretto. I tributi vennero poi invitati a unirsi a lei per mangiare qualcosa.
 Valérie era sconcertata dalla ricchezza che la donna ostentava. D’altra parte, cosa si aspettava? Era pur sempre una capitolina, e come tale doveva dare sfoggio dei propri abiti e gioielli.
-Piacere ragazzi.- disse una donna entrando nella carrozza dove i ragazzi e Dalia si erano seduti. –Mi chiamo Martah, sono la vostra mentore, ed ho il compito di preparavi al meglio per questa impresa.-
Tese loro la mano, e i ragazzi la strinsero, dopo essersi presentati a loro volta, titubanti. Non si erano ancora nemmeno parlati, tutta la confidenza che avevano sempre avuto fin da bambini sembrava essere sparita.
-So che siete molto amici, è vero?- chiese ancora, quasi come se potesse leggere nelle loro menti.
-Certo che lo sono Martah cara, non hai visto sul palco che si sono confortati a vicenda?- intervenne Dalia.
-Si, è vero.- mormorò Jacques.                                            
Valérie si ostinava a stare in silenzio, fissando tutti con astio.
-So anche che ora vorreste solamente ritirarvi nelle vostre camere e stare da soli, ma ci sono alcuni discorsi che dobbiamo assolutamente affrontare insieme. Non mi piace perdere tempo, e prima ne parleremo meglio sarà anche per voi. Ora siete dei tributi, entrate in quest’ottica. Non potete fare i sostenuti o i preziosi, là dentro sarete tutti uguali. E l’unica cosa che può salvarvi è la forza di volontà che ci metterete ora-
Parlò con voce così decisa e senza interruzioni che Vale pensò si fosse imparata a memoria il discorso e che ripetesse lo stesso ogni volta che aveva a che fare con nuovi tributi.
-Va bene, sentiamo queste domande.- rispose la ragazza, con tono di sufficienza. Era curiosa.
-Voglio sapere in cosa credete di essere bravi, qualcosa che possa aiutarvi durante i Giochi, sia che si tratti di forza fisica, sia di un’abilità particolare. Io ho vinto perché sapevo riconoscere erbe e piante commestibili da quelle non.-
-Non ho nessuna abilità particolare, lavoro nei frutteti dalla mattina alla sera.- disse Jacques stizzito guardando fuori dal finestrino.
-Non è vero, sei forte. Sai arrampicarti sugli alberi, sei agile. Io so usare l’arco.- rispose invece Valérie.
L’amico si girò a guardarla, sorridendo. Martah fece lo stesso.
-Bene, direi che è un buon punto da cui partire.-
Trascorsero il tempo guardando i filmati di precedenti edizioni e le registrazione delle mietiture avvenute negli altri distretti. La mattina dopo sarebbero arrivati a Capitol City, e Dalia li voleva pronti e preparati per affrontare una realtà completamente diversa dalla loro. Non sapeva ancora che genere di impressione le avrebbero fatto, ma era sicura che avevano molti doti che dovevano solo essere scoperte. Valérie era una ragazza difficile, ma questo suo carattere scontroso l’avrebbe aiutata, e sarebbe stata in grado di trascinare con sé anche l’amico.
Martah, per la prima volta da quando era diventata una mentore, credette fermamente nelle possibilità dei propri tributi. Quell’ anno, il distretto 11 aveva due ragazzi combattivi e affiatati.
Vale si svegliò riposata e pronta. Aveva riflettuto tanto dopo il pomeriggio passato con la mentore, e aveva capito una cosa: doveva essere determinata. E lei lo era. Le stavano chiedendo di diventare un’assassina? Bene, lo sarebbe diventata. Spirito di adattamento. Non sempre le cose vanno come uno vorrebbe, ma non per questo bisogna abbattersi e sentirsi sconfitti già in partenza. Valérie non era la persona che si faceva illusioni, sapeva che niente sarebbe stato facile, ma se ci era riuscita Martah, perché lei non avrebbe potuto provarci?
Guardò fuori dal finestrino della sua cabina, e vide ciò che fino a un momento prima le era stato mostrato solo in fotografia. Capitol City era lì, davanti a lei, diventava sempre più grande man mano che il treno si avvicinava e sempre più imponente. La ragazza appoggiò la mano destra sul vetro, quasi come se volesse toccare la città e accertarsi della sua presenza. Vide altri binari che si univano tra di loro, e altri treni sfrecciarle affianco, sentiva il vociare della folla che li aspettava alla stazione, sorrise inconsciamente.
Qualcuno bussò alla porta.
-Sono Jacques-
Vale aprì la porta e gli sorrise, le era mancato. Si abbracciarono.
-Martah ci vuole di là- disse l’amico, e per mano la condusse nella cabina dove il giorno prima avevano trascorso il pomeriggio.
La mentore era in piedi vicino al grande finestrino sul lato del treno e li stava aspettando. Voleva che salutassero la folla e si facessero conoscere.
Così fecero, e quando si mostrarono la gente iniziò ad acclamarli. Probabilmente non sapeva che erano i tributi del distretto 11.
Il treno si fermò poi su un binario sotterraneo, e i ragazzi vennero accompagnati, mediante degli ascensori, a conoscere gli stilisti e gli estetisti. Zoey e Courtney, questo il nome delle stiliste, presero con loro rispettivamente Jacques e Valérie.
-E’ un piacere aver a che fare con una bella ragazza come te. Sarà molto più facile impressionare gli sponsor.-
Il tempo passò in fretta, mentre i due tributi venivano lavati, profumati, spazzolati. Dalia li accompagnò poi all’undicesimo piano di un palazzo, dicendo loro che quell’appartamento li apparteneva. Fecero un veloce giro delle camere.
Vale rimase colpita dall’enorme terrazza alla quale si accedeva mediante la porta finestra della sala. Era enorme, e sporgendosi dalla ringhiera riusciva a vedere buona parte della città. In strada i capitolini sembravano tanti puntini colorati e indistinti, che gridavano i nomi dei tributi che li avevano maggiormente colpiti. La ragazza non riuscì a distinguere il proprio.
Poco più in là, oltre una fontana al centro di una piazza, si scorgeva lo schermo sul quale erano riportate le scommesse. Lo inquadravano spesso durante le riprese che mandavano in onda, per dare un’idea agli spettatori prima dell’inizio dei Giochi. Valérie era troppo in alto per vedere i numeri e le lettere, e si ripromise di chiedere a Dalia.
Venne richiamata dentro per il pranzo.
 
DISTRETTO 12
I due tributi del distretto 12 vennero condotti all'interno di un'enorme sala, da lì accompagnati da alcuni pacificatori in delle stanze piccolissime.
-Avete cinque minuti.
L'uomo vestito di bianco e ricoperto da alcune armi uscì dalla camera, poi la porta si spalancò e i genitori di Lizzy entrarono.
Lei sentì per un istante il cuore scaldarsi, sua madre la tenne tra le braccia per un'eternità, le sussurò parole tranquillizzanti nelle orecchie mentre le accarezzava la nuca.
Non ci fu bisogno di parlare troppo, sapevano cosa sarebbe successo, molto probabilmente quello sarebbe stato un addio.
-Devi combattere bambina mia, sei forte, sai cavartela, va bene?
Suo padre la guardò dritta negli occhi mentre le parlava. Sua mamma stava piangendo.
-Va bene.
Annuì. Avrebbe combattuto, si sarebbe messa in gioco, avrebbe dato spettacolo, come Capitol City voleva, ma non avrebbe vinto e di questo ne erano tutti coscienti.
-Ti vogliamo bene Liz, vinci!
I suoi genitori furono trascinati fuori dalla stanza quando il tempo fu scaduto. Fu a quel punto che la ragazza si sentì come mancare. Cosa avrebbe fatto? Come avrebbe fatto?
Poco dopo Lauren entrò nella stanza, corse ad abbracciarla, piangendo.
-Liz, tu devi vincere, ok? Devi tornare a casa, devi batterti per la tua famiglia. Sono un'egoista- disse tra i singhiozzi -ma non ce la farei a sopportare un'altra morte dovuta a tutto questo.
Lizzy si rese conto che la sua migliore amica le aveva appena chiesto di uccidere, ammazzare per sopravvivere. Era un pensiero macabro, morboso, ma essenziale. Se avesse fatto ritorno al distretto la sua vita non sarebbe mai più stata la stessa.
-Ci proverò.
Lauren scosse la testa, poi la strinse di nuovo. Piansero un po’ insieme, forse non si sarebbero mai più riviste.
-Ti voglio bene Lauren.
-Anche io te ne voglio Liz.
Detto quello l'uomo entrò nella stanza, portandole via tutto ciò che aveva e lasciandola, questa volta, completamente sola.
Eleanor accompagnò i due ragazzi al treno, diretto verso Capitol City. Lizzy non disse una parola, si limitò ad annuire o rispondere a monosillabi. La donna parlò della magnificenza della capitale di Panem, lodando più volte il presidente. 
Anche Charlie non disse molto, Lizzy avrebbe voluto sapere cosa stava pensando quel ragazzo biondo che le camminava a fianco. Non lo conosceva, ma era sicura di averlo già visto da qualche parte.
Raggiunsero il vagone dei tributi, Eleanor si sistemò il caschetto biondo e aspettò che qualcuno le aprisse la porta. 
Un pacificatore li accompagnò per il corridoio, guidandoli verso uno spazio più ampio. Lì, ad aspettarli, c'era un uomo. 
Johnny Gross, mentore del distretto da fin troppo tempo, uno dei ragazzi che aveva vinto i giochi molti anni prima e che doveva controllare ed istruire i nuovi tributi.
L'uomo si alzò e gli andò in contro. Charlie gli strinse la mano, mentre Lizzy gli sussurrò un flebile "Salve".
-Venite ragazzi, sedetevi.
Eleanor si ritirò, dicendo che doveva sbrigare alcune faccende e che voleva dare spazio a Jhonny.
Si sedettero ad un tavolo in legno, Johnny sospirò pesantemente prima di iniziare a parlare.
-So perfettamente come ci si sente.- disse -Si è confusi, disorientati, non si sa bene cosa fare, l'ho passato anche io molto tempo fa e né ho un ricordo spiacevole.
Lizzy si rilassò leggermente, almeno era un uomo con la testa sulle spalle. 
-Prima di tutto volevo dirvi che io odio i giochi tanto quanto voi, eppure sono qui, ad aiutarvi. Per questo pretendo due semplici cose, da ognuno di voi. Sincerità e correttezza. Senza questi due fattori non potremo costruire un solido rapporto che è fondamentale in questo caso.
Lizzy annuì, era cosciente del fatto di dover essere sincera, ma non si sarebbe mai fidata, di nessuno. Era troppo fragile per poter affrontare qualsiasi bugia o tradimento, quindi non avrebbe riposto la sua fiducia in nessuno.
Charlie parlò, per la prima volta da quando erano lì dentro.
-Come facciamo a esser sicuri di poter essere sinceri? Si tratta di ammazzare persone, non di giocare con le bambole.
Si tirò indietro il ciuffo di capelli biondo cenere e si sedette più comodamente. Lizzy aveva già capito che questo ragazzo era sfacciato, ma perché doveva comportarsi così? Per sembrare più forte? Più sicuro?
Johnny lo guardo dritto negli occhi.
-Io sono qui, per voi. Non è una di quelle situazioni in cui ci si può permettere di fare i superiori o i preziosi, per cui se non avete voglia di collaborare la voglia passerà anche a me e a quel punto dovrete cavarvela da soli.
Parlò con tono estremamente calmo, non era arrabbiato e neanche innervosito. -Ora, so che può essere difficile essere sinceri, ma almeno con me dovreste esserlo. Non pretendo che voi due diventiate migliori amici e che vi confidiate tutto, ma almeno essere corretti l'uno nei confronti dell'altra. Capito?
Charlie non disse niente, Lizzy si voltò a guardarlo, era decisamente bello. Lineamenti fini, capelli biondi, occhi azzurri, quell'espressione sfacciata e misteriosa sul volto. 
-In cosa siete bravi?- Johnny ruppe il silenzio.
-Dobbiamo per forza dirlo?- chiese Charlie, quasi infastidito dal dover rivelare le sue capacità alla sua avversaria.
Lizzy non ne poteva già più di quel posto, voleva solo che tutta questa storia finisse.
-Io so cacciare un po’ e sono agile. Corro velocemente.
Disse senza pensarci troppo. Charlie e Johnny si voltarono stupiti verso di lei. Il ragazzo si stampò un ghigno sul volto.
-E' vero, sa correre così velocemente che l'anno scorso ha vinto la gara della scuola. -commentò -peccato che qui non basti saper cacciare un po’, ma bisogna saper uccidere. 
Charlie diventò serio e la fissò, facendola sprofondare. Come si permetteva di dirle una cosa del genere? Avrebbe dovuto esporsi anche lui, almeno lei lo aveva fatto. Distolse lo sguardo, sentendosi talmente inferiore da poter essere già morta.
-Grazie Lizzy, è già qualcosa.- Johnny le sorrise dolcemente. -dobbiamo solo perfezionare la lotta e l'uso delle armi, quindi sappiamo in che ambito dobbiamo lavorare.
-Credo che non basti perfezionare qualcosa, qui si tratta di saperlo fare dalla nascita. Noi non siamo stati allenati come dei favoriti, né tanto meno abbiamo la loro morale di vita, ergo, partecipiamo ai giochi come volontari, ammazziamo, vinciamo e godiamoci la nostra gloria. 
Johnny scattò, era inutile continuare buttare legna da ardere, ma forse Charlie non se ne rendeva conto.
-Allora, proprio perché voi non siete i favoriti questo vi toglie almeno la metà delle possibilità di vittoria, inoltre siete più deboli degli altri, ma altrettanto forti. I vostri padri lavorano in miniera, sanno cosa vuol dire faticare e lo sapete anche voi. Per cui adesso dovremo lavorare sodo per mettervi alla pari e poi potremo riparlare dei favoriti.
Lizzy trattenne il respiro, Johnny aveva detto la verità, avevano pochissime possibilità di vittoria.
-Grazie.- disse Charlie.
Johnny aggrottò le sopracciglia.
-Si, grazie, perché finalmente sei stato sincero. E' inutile farci mille raccomandazioni e rassicurarci, qui bisogna dire le cose come stanno ed è probabile che la nostra morte arrivi entro il prossimo mese, per cui grazie. Ora so di poter essere sincero anche io.
Lizzy rimase scioccata. Lui voleva solo che Johnny dicesse la realtà e la verità, in maniera da essere pronto ad affrontarle. Si sentì tremendamente stupida, lei aveva detto tutto senza troppi problemi.
Johnny sorrise e gli diede una pacca sulla spalla. -Bene, allora aspetto di sapere qualcosa in più su di te.
Poi si alzò e si diresse verso la cucina, prese un coltello e glielo porse.
-Afferralo.
Charlie eseguì l'ordine.
-Bene, ora ruotalo a destra.
Fece l'azione.
-Ora a sinistra, ora ridammelo.
Quando ebbe di nuovo il coltello lo porse a Lizzy.
-Fai anche tu quello che ha fatto lui.
Lizzy afferrò il coltello, lo ruotò, prima da una parte e poi dall'altra, poi glielo porse.
-Bene, questo lo faccio sempre fare a tutti i tributi. Lo so che può sembrare stupido, ma da questi minuscoli gesti ho capito che sapete entrambi infilare un coltello nella carne di un animale e poi scuoiarlo. 
I due ragazzi annuirono, in effetti al distretto lo facevano spesso per procurarsi del cibo.
Johnny sorrise.
-Bene, vi lascio soli. Eleanor avrà bisogno di un resoconto.
Poi uscì dalla stanza.
-Scusa.- disse subito il ragazzo. -Non volevo metterti a disagio.
Lei lo guardò sorpresa. -Non importa, so di non essere la persona adatta per questo tipo di cose.- sussurrò.
Lui sorrise. -Nessuno lo è, adatto intendo. 
-Già...
Restarono un po’ in silenzio, fino a quando Eleanor entrò di nuovo nella sala.
-Ragazzi, vi riaccompagno nelle vostre stanza, domattina saremo a Capitol City. 
Li guidò verso la parte posteriore del treno. 
-Allora, le camere sono spaziose e solari, perfette a parer mio. - disse mielosamente. -Quella  destra è di Charlie, quella di fronte, a sinistra, di Lizzy. Buona notte.
Li fece passare e poi si voltò, ritornando sui loro passi. Era buio, anche un po’ freddo. Lizzy sbuffò e si strofinò le braccia con le mani.
-Ci vediamo domani allora. 
Disse lui, entrando nella propria stanza 
-Si, certo.
Stava per chiudere la porta, ma Lizzy lo bloccò.
-Le pensavi veramente quelle cose?
Lui scosse la testa. -Te l'ho detto, nessuno è pronto. Ho parlato anche a nome mio. Io so lottare, è vero, ma non posso dire di saper uccidere una persona. Volevo solo che il mentore la smettesse con tutte quelle stronzate e dicesse le cose come stanno.
-E come stanno le cose?- Lizzy conosceva la risposta, ma voleva sentirla da lui.
-Se in questo momento fossimo nell'arena moriremmo immediatamente, ma non lo siamo e quando lo saremo, saremo anche pronti a sopravvivere.
-Grazie per la tua sincerità Charlie. - disse lei imitandolo -Apprezzo il fatto che tu ti sia esposto, ora però devo dirti una cosa. Non prendermi in giro, perché ho capito chi sei appena hai accennato alla mia vittoria di corsa dell'anno scorso e siamo sulla stessa barca.
Lui annuì. -Mi stavo giusto chiedendo quanto ci avresti messo a capirlo.
-Beh, Josh manca anche a me. A me è morto un fidanzato, a te il cugino. Adoro Lauren e sono disposta a tentare di vincere, ma voglio la correttezza.
Lui si avvicinò a lei, la ragazza aveva preso un po’ di sicurezza, ma ora sapeva chi era Charlie. L'aveva conosciuto anni prima, quando Josh glielo aveva presentato. era un ragazzo a posto, carino, un po’ insolente e testardo, ma voleva troppo bene a suo cugino, erano come inseparabili. Il cognome era differente perché la parentela era da parte della madre.
 L'anno prima lo aveva intravisto alla gara di corsa con la scuola, ma non ci aveva parlato, per questo non lo aveva riconosciuto.
-Non ti preoccupare Liz, sarò correttissimo, a patto che lo sia anche tu con me.
 
 
   
 
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