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Autore: Emilia Zep    05/01/2015    3 recensioni
Dalle aspre terre di Tessaglia all'Atene splendente del V secolo, le avventure e il destino di una giovane strega di anni e anni fa.
La storia vince il premio "miglior trama" al contest "A spasso nel tempo" indetto da Maylrohin sul forum di EFP
Genere: Avventura, Introspettivo, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shoujo-ai | Personaggi: Hermione Granger, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Altro contesto
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Ogni volta che entrava un nuovo gruppo di giovani, il Tiaso era guidato da una maestra diversa. Nei giorni che precedettero l’inizio delle lezioni io e Attoride non facemmo altro che fantasticare su come sarebbe stata quella che sarebbe toccata a noi. Conoscevamo di vista le maestre delle annate precedenti, Esandra, Laodice, Ippodamia. Maghe bellissime e misteriose. Oppure altere e inflessibili come Eurimedusa e Glauce.
Della nostra sapevamo solo che si chiamava Sofia e che mancava dal villaggio da molto tempo. Si diceva che avesse lasciato il tiaso a diciassette anni e che, invece di mettersi al seguito di una maga più anziana, avesse abbandonato le nostre zone per imparare le arti di terre lontane. Doveva aver viaggiato molto, fino in Colchide, secondo alcuni, fino in Persia, secondo altri, dove aveva studiato le tecniche dei Magi e dei Negromanti.
Io e Attoride non stavamo nella pelle. Ci avrebbe insegnato a tramutarci in gatti selvatici o in leonesse? O forse addirittura in Sfingi. Certamente conosceva incantesimi di cui nessuno in Ellade aveva ancora sentito parlare. E chissà se era bella come Esandra, di cui tutte le ragazze erano state innamorate, oppure elegante come Ippodamia. O chissà se sapeva mettere paura al solo guardarti come si diceva di Eurimedusa.
Quando finalmente la conoscemmo, Sofia mi sembrò diversa da qualsiasi altra maga avessi visto al villaggio. Non aveva la grazia di Esandra, né il fulgore prorompente di Laodice. Eppure, in altro modo, mi parve bella più di tutte loro messe insieme. I capelli non erano intrecciati nelle acconciature eleganti delle altre né portava vesti di stoffe raffinate. Le sue erano semplici, fatte di tele grezze per lo più, e i capelli scuri le ricadevano liberi sulle spalle. Quando ti guardava negli occhi sembrava comprendere a fondo ogni moto della tua anima, c’era qualcosa di limpido nel suo sguardo e d’autentico. Non sorrideva spesso ma quando lo faceva sembrava venirle dal cuore. A volte rideva, di gusto, con una risata scomposta e genuina. Normalmente parlava poco, con una voce profonda e un po’ roca e, anche nel parlare, non aveva nulla dei modi misteriosi e seducenti della altre maestre né della distante solennità delle anziane. Si esprimeva in modo calmo, riflessivo. Tutto appariva alla nostra portata ma non mentiva mai di fronte alla fatica o allo sforzo che ci aspettavano né offriva soluzioni facili. Prendeva estremamente sul serio ognuna di noi e sembrava non avere mai fretta. – Ci vuole tempo – Diceva spesso, quando ci impantanavamo in scogli che ci sembravano insormontabili – La magia è complessa e non bisogna forzarla. Per raggiungere risultati alti bisogna imparare ad attendere. -
Contrariamente a quanto si diceva nelle terre dei Koinous, e a quanto credevo anch’io quando ero bambina, erano pochissime le streghe in grado di trasformarsi a proprio piacere in un animale col solo aiuto della bacchetta magica. Si trattava di un’arte più diffusa tra i Colchi e in Oriente ma, anche lì, i maghi in grado di esercitarla si contavano sula punta delle dita. Da noi in Tessaglia ce n’erano solo quattro e si diceva che Sofia fosse una di loro.
Non mancò molto che cominciammo a sommergerla di domande. Di fronte alla nostra insistenza ammise che sì, poteva trasformarsi in un gatto selvatico ogni volta che lo desiderava, proprio così come si diceva facesse Medea. Ma non nascose che per il momento non ci avrebbe insegnato a farlo. Era una tecnica molto complessa, ci disse, richiedeva anni e anni di studio, allenamento, e una predisposizione per l’arte della trasfigurazione che forse solo qualcuna di noi avrebbe scoperto di avere o magari nessuna. Sorrise di fronte alla delusione sui nostri volti - Non c’è nulla di male in questo. – Disse seriamente – Se non si è portati verso qualcosa vuol dire che si è predisposti verso qualcosa altro. In fondo trasformarsi in animale può far fare una gran figura! – Aggiunse ridendo - Ma preparare un farmaco in grado di salvare una vita è ben altra cosa, non trovate? -.  Anni dopo scoprii che aveva mentito. Quella tecnica complessa metteva una maga in contatto con lati oscuri e remoti di se stessa ed era tra le esperienze più profonde che si potessero fare.
-In compenso – Proseguì Sofia – Tra non molto saprete preparare unguenti e filtri in grado di trasformare voi o chiunque altro in gufi, porci o altri animali per la durata di qualche giorno. E imparerete a conoscere i demoni, quell’insieme vario di creature che si trovano a metà fra gli uomini e gli dei. Piano piano sarete in grado di percepirli, riconoscerli, troverete il modo di comunicare con loro. – Esistevano anche dei demoni tutelari, ci disse Sofia. Ognuno di noi avrebbe scoperto il suo. Se evocati nel giusto modo si manifestavano sotto forma di fumo argenteo nella figura di un animale protettore, diverso per ognuna di noi, in grado di difenderci contro le forze oscure.
Ci sentimmo eccitate, non vedevamo l’ora di indagare quel mondo e allo stesso tempo ne avevamo timore.
Con mia grande sorpresa mi scoprii portata per moltissime discipline. Proprio io che non avevo mai dato segni di magia durante l’infanzia, avevo facilità nella trasfigurazione, amavo il mondo dei demoni e la percezione delle forze oscure, avevo pazienza e passione nella distillazione dei farmaci. Ciò di cui invece proprio non riuscivo a venire a capo era la mantica. La cosa mi soprese non poco, dopo quella notte nella foresta avevo pensato di avere un futuro come indovina e mi ero detta che se mi era stato dato un dono doveva essere proprio quello. E invece, la visione di quella notte era rimasta un’eccezione che non si era ripetuta mai più. Nei visceri delle pecore non riuscivo a trovare alcun senso e per quanto mi sforzassi, il volo degli uccelli non mi suggeriva nulla. Le mie compagne intuivano forme, coglievano segni, sviluppavano immagini. Io non vedevo niente.
- Tu sei molto intelligente, Ermione. – Mi disse un giorno Sofia – Sei acuta, ti poni domande, hai spirito critico. Ma forse per interpretare i segni devi contattare qualcosa di te che ha meno a che vedere con la tua mente. –
“Ma come?” mi chiedevo “Come?”. Provavo e riprovavo, passavo le ore a contemplare le interiora delle carcasse sacrificate. Ma nulla. Dopo un po’mi si storcevano gli occhi e avevo voglia di gridare per la stizza.
Sofia mi osservava pensosa, cercando la chiave per aiutarmi. – E’ strano – Mormorò un giorno, quasi parlando più a se stessa che a me – Hai una bacchetta di vite. Dev’essere forte quella parte di te, se quel legno ti ha scelta. –
Mi sentii lusingata. Non avrei mai immaginato che Sofia mi tenesse così in considerazione da aver notato addirittura il materiale della mia bacchetta.  Mi sentii avvampare le guance con una violenza che non avevo mai provato. Per un attimo mi scoprii turbata ma mi affrettai subito a scacciare quei pensieri.  Ormai avevamo quattordici anni e già altre ragazze avevano preso a guardarla con occhi rapiti, arrossendo ogni volta che le erano vicine. Ma Sofia non aveva mai mostrato interesse per nessuna di noi. Al di fuori delle lezioni era schiva e solitaria, sempre in ascolto con chi andava a cercarla ma di suo non sembrava ambire alla compagnia di nessuna. Una volta l’avevo sentita dire ad Ippodamia, scherzando, che con Eros non aveva da fare più nulla perché le aveva già dato e già tolto tutto.
Mi dissi che nemmeno io dovevo cedere al dio, non dovevo nemmeno farmi sfiorare da lui o sarei rimasta tremendamente delusa. Per di più Sofia avrebbe pensato che ero una sciocca.
Ricacciai quei pensieri e non me ne ricordai più.
Col tempo ognuna di noi scoprì in quale arte si sentiva più a suo agio. Io diventai la migliore nella preparazione dei filtri. Passavo ore ed ore sulle pendici del Pelio a studiare e riconoscere le erbe rare. Tante volte accompagnavo Sofia, che tra le maghe del villaggio era una delle più esperte nella distillazione del farmaci e aveva il compito di prepararne ogni giorno in gran quantità, sia per la nostra gente ma anche per i Koinous che chiedevano il nostro aiuto. La assistevo nella ricerca delle erbe e la sera, dopo le lezioni, lavoravo con lei alla preparazione dei rimedi più vari. Sofia aveva molto lavoro e restava sveglia fino a notte inoltrata. Quando la luna cominciava ad alzarsi mi diceva di andare a dormire ma io insistevo sempre per rimanere, non volevo perdere un minuto di quel che faceva. Allora lei sbuffava e mi permetteva di restare. I primi tempi mi spiegava con pazienza ogni passaggio del suo lavoro e, pur di farmi imparare, si arrischiava a delegarmi compiti via via più difficili, senza mai irritarsi se qualche volta era costretta a buttar via il preparato perché non ero stata abbastanza precisa. Adesso eravamo in grado di lavorare fianco a fianco, in silenzio.
Se qualche volta parlavamo era perché non resistevo alla tentazione di farle domande sui paesi lontani in cui era stata. In quasi tre anni che la conoscevamo non aveva fatto che qualche accenno a quella sua vita passata ma mi accorsi che se eravamo noi a chiedere rispondeva volentieri. Mi raccontò dei filtri con cui le maghe Colche sapevano fermare il corso dei fiumi, delle scoperte incredibili di certi astronomi chiamati Caldei e dei cerchi magici dei Sacerdoti Zoroastriani. Io l’ascoltavo rapita. Ogni tanto si soffermava su un particolare buffo o sulle abitudini bizzarre di qualche tribù dell’Asia Minore e allora scoppiavamo a ridere tutte e due.
Si accorgeva subito se qualcosa mi preoccupava, come aveva fatto sempre con tutte noi. Un giorno mi trovò con la faccia scura dei giorni infausti. Io non volevo lamentarmi ma lei capì immediatamente che mi sentivo avvilita perché tutte le mie compagne avevano interpretato il loro primo oracolo mentre io ero riuscita appena ad intravvedere qualche immagine flebile.
- Sei troppo dura con te stessa. – Mi rimproverò – In ogni cosa in cui ti cimenti riesci a sviluppare un’abilità superiore alla media. Perché non puoi accettare che esista qualcosa in cui fatichi di più?  –
Serrai le labbra in silenzio e scossi la testa. Sofia sospirò e venne a sedersi accanto a me –Vedi – continuò dolcemente -  La mantica è una tecnica ardua.-  Mi fissò negli occhi  per alcuni istanti come per essere certa che la stessi ascoltando – Per dominarla bisogna essere disposti, in qualche modo, a lasciarsi dominare.  E’ una sensazione difficile da spiegare. Ma è come se dovessi abbandonare la mente e addentrarti in una sorta di follia. –
- Ma io sono disposta a farlo, io provo, di continuo. –
- Tu hai molto dominio della tua mente, Ermione. E questo è un talento, è un dono degli dei. Ma forse in alcuni ambiti può essere un ostacolo. Questo però è normale, ognuno ha delle tendenze. E’ probabile che sia ancora presto per te. In fin dei conti sei migliorata molto, all’inizio non vedevi nulla… -
 – Ma no no! – Mi ribellai – Io lo so come dev’ essere, lo so! –Sbottai tutto d’un colpo – L’ho già provato, tre anni fa! - Sofia mi guardò stupita.
Restai qualche secondo in silenzio. Poi mi feci coraggio e le raccontai tutto della notte in cui costruii la mia bacchetta magica. Della visione che avevo avuto e di quanto mi fosse sembrata reale. Le descrissi ogni particolare di ciò che avevo visto e sentito.
Sofia mi ascoltava colpita.
- Credi che abbia sognato, stordita dal vino? – Le chiesi.
Sofia si alzò in piedi e prese a camminare lentamente –No- Rispose piano – Non credo che tu abbia sognato. –
- Allora pensi che sia una premunizione? Qualcosa che deve succedere? –
Lei scosse la testa. – Quello che hai visto è già successo, molti anni fa. E, per quel che ne so, accadde proprio così. –
- Ma chi erano quelle persone? Le conoscevi? –
Sofia indugiò qualche istante – Una maga del villaggio e un nemico che lei sconfisse. – Disse e per un attimo mi parve turbata – Storie passate.  – Concluse.
Di colpo mi sentii svuotata. Era la prima volta che parlavo a qualcuno di quella visione nel bosco e nel raccontarla m’era parso di riviverne ogni sensazione.
-Ma perché quella volta e basta? – Chiesi a Sofia.
Lei si soffermò su di me, come a scrutare un essere misterioso – Solo ai veggenti molto dotati capita ciò che hai descritto. – disse – Evidentemente, dentro di te, c’è una forza di enorme potenza. Ma mi chiedo quanto forte possa essere il suo opposto se tuttavia riesce ad ostacolarla. –
Mi guardò con dolcezza – Devi essere un’anima in guerra, piccola Ermione.- Disse accarezzandomi i capelli - Chissà che fatica, lì dentro… - Aggiunse. Avvertii la sua mano lievemente tremare mentre indugiava sui miei riccioli neri.
Io mi sentii avvampare le guance e le orecchie, così come m’era successo tempo prima, e provai l’impulso di buttarmi tra le sue braccia e stringerla forte.
Sofia si ritrasse di colpo –Perdonami – Mormorò voltandosi in fretta – Non avrei dovuto. –
Fu come se m’avessero rovesciato addosso un bacile d’acqua gelata. Perché no, perché? Cosa avevo di meno delle ragazze che al tempo del loro apprendistato avevano avuto le attenzioni di Laodice, di Ippodamia o della bella Esandra?
- Perché? – Chiesi con un filo di voce. Di colpo mi giudicai arrogante. Sofia mi pareva migliore di ogni altra donna. Cosa mi faceva credere allora che proprio io avrei potuto accendere il suo cuore se non l’avevano fatto i capelli d’oro di Attoride, né gli occhi azzurri di Leucippe.
-Scusami Sofia, non intendevo… -
Lei alzò gli occhi da terra e vidi che erano arrossati – Non è per te, Ermione. Devi credermi. – Sembrava commossa e che parlare le fosse molto difficile – E’ da tempo che non faccio che pensarti, in realtà. –
-E allora perché? – Mormorai
- Non riesco, davvero. – Disse. Poi prese un respiro - Anni fa amai un uomo con tutta me stessa – Mi confidò– Quando un giorno lo persi, davvero fu come morire. Non posso più permettere che mi capiti ancora. –
Annuii, trattenendo le lacrime, e feci per andarmene. Poi, in preda a non so quale impudenza, mi voltai e corsi a gettarmi tra le sue braccia, come avevo desiderato. La strinsi forte. Profumava di spezie e fiori d’arancio. Lei ricambiò l’abbraccio e mi avvolse. Poi prese il mio viso fra le mani e mi baciò con passione.
L’amore mi cambiò. Ero costantemente in subbuglio e piena di gioia e l’equilibrio trai miei opposti mi parve mutare. Mi sentivo eletta dagli dei e compiangevo il resto del mondo perché non aveva le carezze e la dolcezza di Sofia.
La sua vicinanza era una grazia continua. Parlavamo di tutto, della nostra infanzia, dei nostri desideri. Ci sentivamo attraversate da un’eterna primavera. Pian piano nel tempo Sofia mi disse tanto di sé, anche se c’erano zone misteriose in cui non si addentrava mai, quasi parlarne le facesse troppa fatica.
Una notte mi accorsi che non era accanto a me nel letto. Mi alzai per cercarla e la trovai nel bosco, con i piedi nudi e la veste slacciata, inginocchiata di fronte agli altari di Ecate.  Pregava la dea dalle tre teste e chiedeva protezione per una certa Urania. “La mia Urania” la chiamava. Non potei crederci. Corsi via in lacrime, il mondo mi crollava addosso. Chi era quella Urania? Perché la chiamava ‘mia’? Senza dubbio aveva incontrato un’altra ragazza e mi aveva dimenticata. Passai tre giorni pieni d’angoscia. Poi, in seguito alle domande di Sofia, che non aveva smesso di saper leggere nella mia anima, scoppiai a piangere e le raccontai tutto. Lei mi ascoltò con attenzione e poi sorrise delle mie congetture. Non avevo nulla da temere, mi disse, nessun’ altra ragazza aveva preso il mio posto nel suo cuore né mai nessuna lo avrebbe fatto. Mi spiegò che quella Urania le era molto cara – forse la persona più cara che avesse al mondo-   ma non aveva niente a che vedere con ciò che c’era tra me e lei. Mi chiese di perdonarla se non riusciva a parlarmene. Prima o poi l’avrebbe fatto, promise, tante volte ci aveva pensato.
Volli crederle. La franchezza del suo sguardo non mi aveva mai fatto dubitare della sua sincerità.  Mi dissi che seppure quella Urania fosse stato un amore passato, poco importava se ora eravamo insieme. Decisi di rispettare quella sua reticenza perché ne vedevo tutta la difficoltà, eppure non riuscivo a impedirmi di essere gelosa di quelle zone solo sue, in cui non mi faceva entrare. Anche dell’uomo che aveva amato parlava con fatica. Sapevo che l’aveva conosciuto in Oriente e che per lei era stato molto importante. Quando le chiesi perché l’avesse perso mi rispose che era tutta colpa sua e che se non fosse stata così ostinata forse tra loro sarebbe andata diversamente. Sembrava che ci fosse qualcosa che non riusciva a perdonarsi, quasi avesse un peso sul cuore.
A me però non riservava che sorrisi e tenerezza. Provò a insegnarmi tutto ciò che sapeva. Un giorno mi annunciò che avrebbe voluto iniziarmi al lungo percorso che porta alla trasformazione di un mago in un animale. Ne fui entusiasta. Scelsi la lontra, che era la forma del mio demone tutelare, e cominciai ad addentrarmi in quella complicata branca della trasfigurazione. Non fu semplice ma sotto la guida attenta di Sofia ogni giorno facevo qualche progresso. Le arti magiche mi diedero grandi soddisfazioni in quel tempo e anche se non recuperai il dono della Vista non me ne dispiacqui più. La tecnica dei farmaci non aveva più segreti per me. Ormai riconoscevo a colpo d’occhio i petali candidi del moly e trovavo le viole del pensiero anche di notte. Ero esperta nella distillazione d’ogni genere di succo ed ero ormai convinta che quella sarebbe stata la mia strada.
Finché un giorno non venne a trovarci Aglaia.
Ci salutò una per una, poi si appartò con Sofia in mezzo agli alberi. Tutte noi ragazze le osservammo, incuriosite, parlarsi fittamente e gettare di tanto in tanto uno sguardo verso di noi.
 Fu Sofia ad annunciarlo. Aglaia era venuta per comunicarci una decisione, finalmente aveva trovato chi avrebbe potuto succederle come custode dei canti. Quella persona ero io.
Ci fu un mormorio stupito
Sembrava che Aglaia avesse pensato a me fin da quando mi aveva conosciuta, da bambina. Era rimasta colpita dalla dolcezza della mia voce, dal mio senso della musica e del ritmo oltre che dalla velocità con cui memorizzavo.
Le altre ragazze mi guardavano ammirate, era un grande onore quello che mi aspettava. Io cercai, smarrita, gli occhi di Sofia. Lei mi sorrise con dolcezza, come intuendo i miei pensieri. Eppure mi parve che un’ombra  le stesse attraversando lo sguardo. Io mi sentivo stordita. Era dunque già arrivato il momento di lasciare il tiaso? Così presto dovevo separarmi da Sofia? Già finiti gli scherzi e i giochi con le mie compagne?
 Le altre ragazze mi fecero mille feste, eccitate.  Sarei stata la prima a lasciare il tiaso, dovevo per forza raccontare loro ogni cosa di quel mondo di adulti del quale tra non molto avrei preso a far parte. Avrei conosciuto i maghi, finalmente. Chissà com’erano i ragazzi della nostra età? Di certo avrei trovato presto uno sposo bellissimo!
Anch’io cominciai a fantasticare su tutte le avventure che sembravano aspettarmi. Mi chiedevo come sarebbe stato diventare la Custode dei Canti, se avrei imparato a comporre anch’io come i poeti che si accompagnavano con la lira. Mi figuravo l’aspetto del mio futuro sposo e inventavo sempre nuovi particolari.
Pure Sofia mi festeggiò, mi disse che sarei stata felice e che nulla avrebbe potuto renderla più grata di tutto il prestigio che mi aspettava.
La sera prima della mia partenza non feci che parlarle della mia trepidazione, le confidai i miei sogni e la mie aspettative. Non smisi per un attimo di animarmi per quello che avrei trovato, per come lo immaginavo.  Sofia condivise la mia gioia, ascoltò i miei timori e mi rassicurò su ogni cosa. Intrecciò ghirlande per i miei capelli.
Eppure quella notte, quando eravamo nel letto, la sentii singhiozzare con la faccia premuta contro il cuscino.

 
  
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