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Autore: vegeta4e    05/01/2015    4 recensioni
Haytham e Connor sono alla ricerca di B. Church, colpevole di aver tradito l'Ordine Templare e di aver sottratto a Washington i rifornimenti destinati all'Esercito Continentale. Il birrificio di New York è palesemente abbandonato e questo piccolo dettaglio obbligherà padre e figlio a collaborare, costringendo il Gran Maestro a lavorare separatamente sia con Charles sia con il figlio. Successivamente Haytham li convincerà a cooperare, tentando di metter da parte l'odio tra Assassini e Templari per raggiungere uno scopo più grande, desiderato da entrambe le fazioni: vincere la guerra contro gli Inglesi.
Ma non sarà questo l'unico intoppo. Torneranno vecchie conoscenze, vecchi problemi che H. Kenway credeva di essersi lasciato alle spalle. A cosa dare la precedenza? Ad una richiesta d'aiuto o a Washington che, battaglia dopo battaglia, sta perdendo sempre più terreno?
Questi eventi coinvolgeranno anche Connor e Charles Lee, nel bene e nel male.
Dal testo:
Charles e Connor entrarono nella sala, notandomi assente e pensieroso.
«Signore? Che succede?» Sospirai nuovamente, premendomi due dita alla base del naso.
«Temo di dovervi lasciare soli nelle prossime missioni. Devo tornare in Europa» annunciai tornando in posizione eretta per darmi un contegno.
Genere: Avventura, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Charles Lee, Connor Kenway, Haytham Kenway, Jenny Kenway
Note: Lemon, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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Capitolo 25

 

Il sapore della birra mi tornò in bocca dopo aver risalito l’esofago, costringendomi a serrare le labbra per bloccare un eventuale rigurgito di bile e alcool. Ero al quinto boccale di birra, forse il sesto, e avevo mangiato solo una misera minestra a base di cereali e legumi.

Un povero vecchio, ecco cos’ero. Un vecchio inutile che perdeva tempo in una taverna a tracannare birra invece che aiutare l’esercito. Mi correggo: a tracannare birra e a tentare di capire perché Connor –non l’avessi mai generato- andasse fuori di testa senza un motivo apparente. Insomma, non sarà stato di certo la ginocchiata ai gioielli, vero? Perché se il motivo era quello, diavolo, avrei avuto tutte le ragioni del mondo per chiamarlo checca isterica. Dah, tanto lo è comunque.

In quel momento avrei tanto voluto essere sopra il cadavere di Washington a deliziare le pupille con il suo collo lacerato da orecchio a orecchio, il sangue ancora caldo a imbrattarmi le mani e il cuore accelerato battere contro la cassa toracica. Oh, sì. Una seratina tranquilla, direi.

«Tutto bene?» Alzai una mano in direzione dell’oste, preoccupato forse per la mia brutta cera. Sì, amico, mi sto sbronzando, e a te non dovrebbe importare finché ho denaro sufficiente per pagarti da bere. Guardai il fondo di birra rimasto, portando poi il vetro alle labbra e bevendo fino all’ultima goccia come se dentro in realtà ci fosse acqua, e non alcool pronto a darmi alla testa. La gola bruciò e il nuovo liquido ingerito mi annebbiò i sensi. Decisi quindi di dare ascolto alla vocina che mi suggeriva di restarmene lì, sbracato sul bancone per smaltire la sbornia. Sbronzo con solo sei birre? Io? Non ditelo a mio padre, vi prego.

 

Quando rientrai a Fort George fui sollevato dal fatto di aver già cenato e poter ritirarmi subito nella mia stanza. Mi sentivo come se non dormissi da più di ventiquattr'ore, tra George e Connor mi stavo consumando più di quanto mi aspettassi.

Entrato nella mia stanza mi tolsi tricorno e redingote, poi slacciai le polsiere con le lame celate, appoggiandole sulla scrivania. Mi gettai sul letto vestito senza nemmeno togliermi gli stivali, quindi chiusi gli occhi sperando di assopirmi il prima possibile.

Le palpebre erano pesanti quasi come quando lavoravo per Braddock. Con quel tizio non si aveva tempo per riposare, talvolta neanche di notte, Lee poteva capirmi bene.

Stunk.

Aprii gli occhi e voltai lentamente il capo verso destra. Cosa diavolo era stato?

Stunk.

Scattai seduto. Chi osava interrompere il mio sonno? Che stessero attaccando il forte?

Allungai il collo in direzione della finestra. Tutto tranquillo. E poi c’erano guardie ovunque, no, era da escludere.

Stunk.

Guardai il soffitto. Proveniva dal piano superiore.

Un momento. Gli alloggi di Charles erano al secondo piano.

Stunk.

«Ma che cazzo…» mi tolsi uno stivale e lo lanciai contro il soffitto «Lee! Fa' un po' di silenzio, sant'Iddio!» Lo stivale cadde con un tonfo, che sperai fosse seguito da un lungo silenzio.

Stunk.

Bestemmiai a mezza voce, quindi mi alzai e afferrai lo stivale, infilandolo. Raggiunsi la porta con tre falcate e l'aprii, pronto ad andare da Charles a dirgliene quattro.

Imboccai il corridoio e salii le scale che portavano agli alloggi del mio pupillo, ma quando terminai gli scalini iniziai a sentire strani versi. Erano curiosamente acuti e cadenzati. A primo impatto parvero gemiti, o forse lo erano.

Sbuffai, venendo invaso da un orribile presentimento. «No, Charles, no!» Ringhiai avanzando. Non c'erano donne a Fort George, figuriamoci se Lee portasse qui una puttana per divertirsi la notte, quindi la risposta mi fu chiara.

Stunk.

Misi una mano sulla maniglia della porta di Lee, davanti agli occhi avevo la targhetta col suo nome e il grado militare. In quel momento avrei tanto voluto declassarlo a stalliere, ma sapevo che spalare merda per qualche mese non sarebbe servito, poiché era l’unico in grado di prendere il mio posto e sarei stato costretto a ritirare tutto. Grandissimo figlio di puttana.

«Oh, Dio, sì!» Oh, la prima frase di senso compiuto che sentii. Risi nervosamente sull'orlo di una crisi isterica e spalancai la porta con un calcio. Che effetto sorpresa, eh?

«Sì, Charles, sì!» Fu questa l’accoglienza che mi riservò quella cagna di mia sorella, che affondava le unghie nella schiena di Charles e urlava senza ritegno.

«Charles Lee!» Lo urlai, sperando di fargli afflosciare l’uccello in meno di mezzo secondo. La mia ombra si stagliò con prepotenza sul muro improvvisamente illuminato, e Charles si staccò dal corpo accaldato e nudo di Jenny come se avesse preso fuoco.

«Ma-Mastro Kenway» deglutì, rabbrividendo. Gli volevo bene come un figlio, ma provai una strana e macabra voglia di tagliargli le palle e appenderle in bella vista al portone di Fort George. State tranquilli, e scusate se ho interrotto la vostra scopata.

«Oh, cielo!» Jenny afferrò il lenzuolo per coprirsi il petto mentre, affannata, mi guardava furibonda. Lei. Lei osava essere incazzata con me.

«È inutile che ti agiti tanto per coprire quelle prugne secche.» Gesù, per quanto fossi incazzato con Charles, ammisi che per eccitarsi guardando quelle poppe cadenti e rugose ci volesse stomaco. Mi tornò in mente il seno sodo di Tiio e scossi la testa. No. Non era il momento giusto.

«Signor Ken-»

«Signor Kenway questo gran cazzo, Charles!» Sbottai «Che diavolo v'è saltato in mente?» Anche se, a dire la verità, mi era piuttosto evidente.

«Facciamo quello che ci pare, caro fratellino. Non ti dobbiamo spiegazioni» Lee si voltò verso Jenny, ammirato e sconvolto dal tono con cui osava rispondermi. Oh, lui non avrebbe mai avuto il coraggio di parlarmi in quel modo, diamine, sapeva bene che l’avrei rivoltato come un calzino.

«Tu, cane!» Lo indicai, mentre tremava senza le forze per alzarsi dal letto. Cristo, una scopata valeva così tanto? Era seriamente disposto a giocarsi l’uccello pur di fottere Jennifer almeno una volta? «Meriteresti di girare per New York nudo come un verme!» Dio, lo dissi per rabbia, ma a pensarci a mente lucida sarebbe stato divertente. Amici cittadini, vorrei presentarvi Charles Lee, mio successore come Gran Maestro Templare che ha commesso il gravissimo errore di scoparsi mia sorella. Un applauso, gentilmente.

«Calmatevi, Signore. Posso spiegare» alzò le mani sperando di calmarmi, ma non funzionò affatto.

«Cosa c'è da spiegare? Che fossi tra le sue gambe mi pare piuttosto evidente» raggiunsi il letto con due falcate e scostai il lenzuolo, scoprendolo e rendendolo totalmente indifeso.

«Signore, avanti, stavamo solo…» lo afferrai per un polso tirandolo giù con la forza, per poi girargli il braccio dietro la schiena. «Lo giuro sul mio onore, tengo veramente a Miss Jennifer, altrimenti sarei andato in un bordello, non credete anche voi? … Ahia!» Ignorai la dichiarazione d’amore di Lee e lo spinsi verso la porta, ancora aperta. Sapevo che sarebbero finiti a letto, avrei dovuto capirlo dalla prima volta che si videro, qui a Fort George.

«Onore?» Sogghignai «Charles, non parlare di onore con quella sottospecie di sigaro calpestato che hai tra le gambe»

«Haytham, lascialo stare!» Strillò Jenny in sua difesa, ahimè, inutilmente.

La ignorai bellamente e uscimmo in corridoio.

«Ah! Signore, questo è un colpo basso.» E chi se ne frega.

«Non costringermi a dartelo fisicamente, il colpo basso. Spero di essere stato chiaro»

Mi implorò con lo sguardo di non farlo. Almeno quello. Era già messo male di suo «Cristallino»

«E ora piantala di sventolare quella lumaca e cammina!»

«No!» Mi voltai, vedendo Jennifer avvolta nel lenzuolo che, per metà, strisciava per terra. Che schifo.

«Lascialo stare, Haytham. È partita da me. Gli ho detto io che volevo passare la notte insieme.» Quanto coraggio, davvero. Mi venne spontaneo domandarmi come mai tutta questa grinta non l’avesse tirata fuori la notte del tre Dicembre 1735, mentre nostro padre tirava le cuoia.

Soffocai una risata nervosa. «Perdona la mia crudeltà. Dimenticavo che certe abitudini non si abbandonano così facilmente, vero? Mi duole dirlo, ma qui non siamo al palazzo Topkapi.» Che razza di fratello, eh? Ero arrivato a portarla in salvo troppo tardi, proprio quando aveva compreso che aprire le gambe era l’unica cosa che sapesse fare.

La vidi sgranare gli occhi, indignata, mentre Charles, nudo e infreddolito, la fissava senza capire. «Come osi? Maledetto bastardo, come?» Si avvicinò, tenendo il lenzuolo con una mano e sollevando l’altra, nel tentativo di colpirmi. La spinsi via senza fatica, sabotando l’ultimo tentativo di Lee di liberare il polso.

«Muoviti» lo condussi giù per le scale fino a raggiungere il pianterreno, e solo in quell'istante capì.

«Oh, no. No, Signore. Ditemi che non farete ciò che penso!» Mi sentivo in colpa? No. Era Charles, gli volevo ancora bene come un figlio, e proprio per questo andava punito.

«Non sono ancora in grado di leggere nelle menti altrui, ma ritengo tu sia abbastanza sveglio da immaginare le mie intenzioni» contro ogni mia aspettativa, mi uscì una voce fredda e impassibile, nonostante fossi divertito, in fondo.

«Signore, vi prego, farò tutto ciò che volete, ma non potete farmi questo, morirò!» Aprii la porta che si affacciava sul piazzale del forte e lo spinsi fuori, sempre tenendogli il braccio dietro la schiena.

«Starai al fresco per un po', magari ti si calmano gli ormoni» lo mollai, spintonandolo in avanti.

Barcollò per qualche metro, poi si voltò verso di me sfregandosi le mani sulle braccia. «Mastro Kenway… È notte fonda, vi imploro, morirò assiderato» giunsi le mani dietro la schiena come ero solito fare e lo guardai sogghignando.

«Vedila come una prova, Charles. Se domattina non avrai le sembianze di un ghiacciolo, forse potrei lasciarti sfogare gli istinti su mia sorella» feci per girarmi e rientrare, ma mi fermò, indignato.

«Io e Miss Jennifer speriamo in qualcosa di più solido!» Abbassai lo sguardo, facendolo scivolare sul suo uccello.

«Più del tuo cazzo, sicuramente» roteò gli occhi, esasperato.

«Queste battute di infimo livel-»

Lo interruppi. «Buonanotte.»

Slam.

 

 

Sì, cari lettori, questa scena doveva esserci. Insomma, volevate negare a Charles il piacere di pucciare il biscotto?

Okay, okay, non è il caso di scendere nei dettagli, quindi concludo ringraziando chi legge e lascia un commento :).

Ps. E shippate la Scottee fino alla morte.

See you soon c:

 

   
 
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