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Autore: HellWill    06/01/2015    0 recensioni
(Ho visto questa challenge (goo.gl/XBoRTK) e non potevo non farla.)
(Missing moments e Spoiler! Saga Soffitti Sconosciuti)
"«Andate. Correte, finché potete; non puoi combattere, amore mio… vai via, andate via. Lasciatemi qui. Ho solo.. un grande sonno».
«Aileen ha ragione» disse piano Nimar, e Aindir gli lanciò un’occhiata ostile.
«Io non la lascio da sola. Dovrete lasciare qui anche me».
«Oh, non sono sola» mormorò la donna, stringendo la mano del marito e portandosela alle labbra. La baciò, e guardò il cielo azzurro d’estate. «C’è il cielo con me. E la terra… e l’erba, il vento, gli uccelli e la musica. La musica del mondo.. c’è lei con me. Vai, Aindir.. salvati! Almeno tu…» mormorò, chiudendo gli occhi."
Genere: Angst, Drammatico, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
- Questa storia fa parte della serie '365 DAYS WRITING CHALLENGE'
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3 gennaio 2015
Peace of Mind

Aileen arrancò sulla china del colle: ansimava e il dolore era quasi attenuato dalla fatica, ma il sangue continuava a ruscellarle sulle cosce, per cui una debolezza terribile si stava impossessando di lei. Continuò a camminare, aggrappata ad Aindir, e l’unica cosa che riusciva a vedere erano i suoi lunghi capelli lilla, che ondeggiavano al ritmo delle sue lunghe falcate; lo seguiva sempre di meno, e si rese conto che lui la stava trascinando, disperatamente attaccato a lei, sua moglie, così mollò la presa.
Sentì un gemito strozzato, un «No» rantolato e sorpreso, e anche Nidàl, il giovane uomo che li aveva aiutati a fuggire da Shantella, si fermò e tornò indietro; gli steli delle graminacee secche crepitarono sotto le suole dei suoi stivali, e il suo viso sporco di polvere era cinereo mentre la guardava.
«Nimar» chiamò il giovane, voltandosi verso la testa della piccola compagnia, che non essendosi accorta di nulla continuava a camminare velocemente verso la salvezza.
«È troppo lontano» mormorò Aindir, carezzando il volto di Aileen, che cercò di metterlo a fuoco. «Non c’è tempo.. Aileen» mormorò, e lei sollevò una mano per carezzargli la guancia.
«Andate» sussurrò, solcandogli ogni ruga con il pollice e poi con l’indice, mentre una lacrima le scivolava sul viso. «Andate».
«No, non intendo lasciarti» mormorò Aindir, e le passò un braccio sotto le cosce, uno dietro la schiena, e la sollevò; ma era debole anche lui, il peso dell’età gravava sulle sue spalle anche senza il peso pur leggero di Aileen. Nidàl evitò che l’uomo cadesse e la prese in braccio lui, ma Aileen si divincolò debolmente.
«Ascoltatemi, per l’amor del cielo!» esclamò, con voce stridula, piangendo. Ora anche il resto della compagnia si era fermato, e un uomo dai lunghi capelli blu notte si stava avvicinando a loro. Nidàl posò delicatamente a terra la donna e Nimar le si avvicinò, scrutandole le gambe rigate di sangue; Aindir si chinò su di lei, si mise in ginocchio, e le strinse le mani.
«Non ho scampo.. mi hanno strappato via il mio bimbo troppo presto, troppo presto..» mormorò, e sentiva l’urgenza di chiudere gli occhi per riposare; ma sapeva che se l’avesse fatto, non si sarebbe più svegliata, non ne aveva le forze. «Non potete restare qui.. vi troveranno! Vi troveranno..» sussurrò, e vide avvicinarsi a lei la donna di colore con gli occhi che le ardevano: in braccio aveva un fagotto di cotone, che si agitava debolmente.
«Cosa succede?» chiese la donna, e Nimar le diede uno sguardo privo di luce con i suoi occhi neri.
«Sta morendo».
La donna di colore restò immobile per qualche istante mentre anche gli altri uomini si avvicinavano, ma una sola occhiata di Nidàl li spinse ad arretrare e a lasciare solo un quadretto: Aileen, stesa a terra e mortalmente pallida; alla sua sinistra, stava Aindir in ginocchio, le lacrime che gli scivolavano nei solchi che l’età aveva scavato sulla sua pelle; alla sua destra, Marika seduta con il fagotto in braccio; ai suoi piedi, accovacciato, Nimar con la solita espressione neutra, seria, mentre osservava l’ennesima vita spegnersi; in piedi a vigilare il tutto, Nidàl, e attorno a loro stavano gli altri cinque uomini, le armi pronte, in circolo per proteggerli dai soldati che li inseguivano e che, se non si muovevano, sarebbero arrivati presto.
«Aileen» mormorò la donna di colore, seria, e la giovane dai capelli blu scuro si voltò verso di lei senza vedere altro che un’ombra sfocata. «Sono Marika. Questa è tua figlia.. la tua prima figlia. La figlia che da un anno non vedi» mormorò, e Aileen sorrise dolcemente cercando di mettere a fuoco il fagotto che si agitava fra le braccia di Marika: un visetto di infante, confuso e sull’orlo delle lacrime, le diede un’occhiata veloce; gli occhi erano lilla, sfumati verso un viola rosato, e i capelli sembravano neri perché erano corti, ma avevano qualche sfumatura blu.. proprio come lei. Aveva gli occhi del padre, e i suoi stessi capelli. Aileen sentì un singhiozzo di commozione salirle dal petto e Marika le appoggiò la bambina sul petto; Aindir le lasciò le mani e lei strinse il visino della bambina, che la guardò senza capire; anche il padre le carezzò una guancia morbida e tenera, poi rivolse uno sguardo affranto alla moglie.
«Come la vuoi chiamare?» le chiese, con voce roca. «Non ha un nome, lo sai. La avevano chiamata con un numero, come tutti noi…» le parole gli morirono in gola, mentre singhiozzava e si stropicciava gli occhi. Lei sorrise.
«Arya? Nual? Elizabeth? Sai quanto me quanto a lungo ci avevamo pensato» mormorò la donna, stringendo una manina della piccola fra le sue. «Chiamatela nel modo che più le si addice, come abbiamo sempre fatto noi. Un nome breve, perché le porti una vita lunga. Un nome musicale, perché possa avere una vita armoniosa. Un nome amabile, perché possa amare ed essere amata. Io la amo. La mia bambina» mormorò, e la guardò negli occhi lilla, gli stessi di suo marito, forse più chiari perché era piccola; poi si voltò verso Aindir e gli sorrise. «Andate. Correte, finché potete; non puoi combattere, amore mio… vai via, andate via. Lasciatemi qui. Ho solo.. un grande sonno».
«Aileen ha ragione» disse piano Nimar, e Aindir gli lanciò un’occhiata ostile.
«Io non la lascio da sola. Dovrete lasciare qui anche me».
«Oh, non sono sola» mormorò la donna, stringendo la mano del marito e portandosela alle labbra. La baciò, e guardò il cielo azzurro d’estate. «C’è il cielo con me. E la terra… e l’erba, il vento, gli uccelli e la musica. La musica del mondo.. c’è lei con me. Vai, Aindir.. salvati! Almeno tu…» mormorò, chiudendo gli occhi.
Il mondo esterno sfumò attorno a lei: sentì poco di ciò che successe dopo. Nimar si era alzato, forse, e Aindir piangeva e discuteva concitatamente con lui; Marika aveva preso nuovamente la bambina in braccio, e la sentiva mormorarle una canzoncina per tenerla calma; attorno a loro, Nidàl e gli altri uomini stavano avvertendo di un pericolo imminente.
Poi tutto sfumò in suoni confusi, ridondanti, e presto si rese conto che non importava. Non importava più nulla: c’era solo una grande pace dentro di lei, un vuoto rassicurante e confortevole, senza dolore né pensiero; solo una grande pace della mente e dell’anima.
   
 
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