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Autore: HellWill    06/01/2015    2 recensioni
(Ho visto questa challenge (goo.gl/XBoRTK) e non potevo non farla.)
"Un solo pensiero si affacciava alla sua mente, correndo: Shaula. Shaula. Shaula.
Il viso della ragazza gli entrò con prepotenza nell’anima, gli fece perdere la traccia, lo costrinse a fermarsi: gli faceva male il cuore. Non riusciva ad identificare quella sensazione, non riusciva a capire perché mai il petto gli dolesse anche se non era ferito, anche se non aveva fame né sete, non riusciva a capire e basta. Sollevò gli occhi nero pece al cielo nuvoloso ed inspirò l’odore della pioggia che sarebbe venuta; distinse l’aroma degli aghi di pino e delle ghiande, degli animali che se ne stavano acquattati nelle loro tane e anche degli esseri umani che bazzicavano in quei boschi. Ed infine eccola: la traccia più debole di tutte, vecchia di almeno un paio di giorni: Shaula. Rivide i suoi occhi azzurri, risentì il suo tocco delicato, gli sembrò di poter accarezzare di nuovo i suoi capelli viola; ma una folata di vento lo riscosse e gli rubò quell’odore (...)"
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Incest
- Questa storia fa parte della serie '365 DAYS WRITING CHALLENGE'
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5 gennaio 2015
Speed

Un solo pensiero si affacciava alla sua mente, correndo: Shaula. Shaula. Shaula.
Il viso della ragazza gli entrò con prepotenza nell’anima, gli fece perdere la traccia, lo costrinse a fermarsi: gli faceva male il cuore. Non riusciva ad identificare quella sensazione, non riusciva a capire perché mai il petto gli dolesse anche se non era ferito, anche se non aveva fame né sete, non riusciva a capire e basta. Sollevò gli occhi nero pece al cielo nuvoloso ed inspirò l’odore della pioggia che sarebbe venuta; distinse l’aroma degli aghi di pino e delle ghiande, degli animali che se ne stavano acquattati nelle loro tane e anche degli esseri umani che bazzicavano in quei boschi. Ed infine eccola: la traccia più debole di tutte, vecchia di almeno un paio di giorni: Shaula. Rivide i suoi occhi azzurri, risentì il suo tocco delicato, gli sembrò di poter accarezzare di nuovo i suoi capelli viola; ma una folata di vento lo riscosse e gli rubò quell’odore, così lui si scostò dal viso un ciuffo di capelli neri, lunghi ed ispidi, e riprese ad inseguire la possibilità di avere un futuro con la sua amata Shaula.
Corse per miglia e miglia, instancabile, inarrestabile, a quattro zampe come un animale perché così aveva la possibilità di essere più veloce, e il suo unico desidero era andare ancora più veloce per poter ritrovare Shaula.

«A quanto li vendi?».
«Uno solo trentamila, tutti e due cinquantamila. È un affare, amico».
«Mh. Mi interessa solo la femmina, la voglio far riprodurre».
«Come vuoi, amico. Sei tu che ci perdi».


Era come se gli avessero strappato un pezzo di anima, quando l’avevano strattonata via dalla gabbia. Lui aveva ringhiato, aveva lottato ed aveva ucciso, ma non gli importava nulla se non di lei; lei, che lo aveva risvegliato dal suo sonno animale; lei, che gli aveva insegnato a parlare; lei, che gli aveva dato un nome… Antares, come una stella, così come Shaula: due stelle, due anime destinate a stare insieme.. e gli esseri umani li avevano prima catturati – non che gliene potesse importare qualcosa, dopotutto – e poi gliel’avevano portata via. Di questo sì che gli importava. Era diventato una bestia, era ritornato alla sua condizione prima che lei lo trovasse, era ritornato un figlio dei lupi e non aveva intenzione di fermarsi fin quando non avesse ritrovato la sua Shaula.

Veloce, più veloce.
Erano sette giorni che correva, sette interminabili giorni, e non accennava a fermarsi. Aveva l’espressione concentrata, seria, e ogni tanto digrignava i denti perché aveva fame, ma non si fermava: continuava a correre, più veloce che poteva, e annusava l’aria ed il terreno in cerca della sua Shaula.

«Sai, non devi imparare a camminare eretto solo per farmi un piacere.. Se non vuoi farlo non fa nulla» gli aveva mormorato lei, dopo un po’ che andava a trovarlo sulla sua casa-albero.
Antares l’aveva guardata e le aveva porto una mano; lei gliel’aveva data con dolcezza, e lui la aveva accarezzata.
«Ma a te piace?» le chiese, serio, e Shaula sorrise.
«Sarebbe bello».
«Allora io lo fa» mormorò Antares, baciandole la mano. La ragazza aveva sorriso.
«”Faccio”, si dice “faccio”».
«Lo faccio» ripeté Antares, e le sue labbra si curvarono appena, in un qualcosa che era a stento definibile ‘sorriso’. Shaula gli si era avvicinata e lo aveva baciato; dopo, avevano fatto l’amore… e quella era una cosa che lui insegnava a lei, seguire gli istinti ed appagarli.


Quei ricordi gli facevano male.
Antares si fermò ed urlò, si tenne la testa e incrociò le braccia sul petto, e sentì gli occhi bruciare e guance bagnarsi; si spaventò e balzò via, in piedi, stropicciandosi gli occhi: cos’era che gli aveva punto gli occhi? Aveva sangue sulle guance? Esaminò attentamente le proprie mani: no, c’era solo acqua. La assaggiò, ed era salata; si chiese cosa gli stesse mai succedendo, e perché il mare continuasse a colare dai suoi occhi neri.

«Se provi dolore dovresti dirmelo» mormorò Shaula, rannicchiandosi vicino al fuoco della sua casa-albero.
«Dolore?».
«Sì, sai, se ti fa male qualcosa. L’altro giorno avevi due dita rotte e non me l’hai detto.. me ne sono accorta io mentre dormivi, e ti ho guarito con la magia».
«Dolore» mormorò Antares, guardandosi le dita delle mani e flettendole tutte e dieci. «E tu, dolore?».
Shaula lo guardò in silenzio, e distolse lo sguardo.
«Mia madre e mio padre sono stati uccisi.. di nuovo. Ci vorranno anni prima che rinascano, sai? E loro invece continuano a lasciarci soli, me e i miei fratelli. Io mi sento molto male, vorrei riabbracciare mio padre..» mormorò, e chiuse gli occhi. Antares inclinò il capo e si avvicinò a lei, abbracciandola.
«Io non tuo padre, però me sì» mormorò, e lei sorrise senza aprire gli occhi.
«Tu sì» sussurrò lei, e si rannicchiò in braccio a lui, il viso contro il suo petto nudo.


Veloce, più veloce: ora la traccia di Shaula era distante poche miglia, era debole, distava poco meno di un giorno, e lui non aveva più pazienza. A grandi falcate superò una radura e si ritrovò davanti un muro di spine: lo sfondò, si ferì e sanguinò, ma non rallentò. Gli faceva male il cuore.
«Ho dolore» mormorò a denti stretti, come se dicendolo potesse comunicarlo a Shaula, anche se era distante da lui. Restò con i denti digrignati, ignorando il dolore e la stanchezza, e fece qualche altra falcata prima di cadere.

«Cosa faresti se io non venissi più?».
Shaula si stava pettinando i capelli viola che, mossi, le ricadevano sulle spalle in morbide volute; Antares aveva inclinato il capo, senza capire la domanda.
«Cosa?».
«Se io non venissi più.. cosa faresti?» ripeté la ragazza, e lui si limitò a guardarla con la sua solita espressione seria, come se fosse continuamente concentrato su qualcosa di importante.
«Ti cerco» le disse, e lei sorrise appena.
«E poi?».
«E poi ti trovo» concluse lui, e Shaula sorrise un po’ di più.
«E se non mi trovassi?».
«Ti trovo» le assicurò lui, e lei chiuse gli occhi e dischiuse le labbra in un sorriso. Antares restò a guardarla e si sentì felice, senza alcun motivo.


Cadde, ma sapeva che doveva andare più veloce. La velocità era essenziale, Shaula era essenziale, raggiungerla era essenziale… la notte calò su di lui per la nona volta e lui era fermo, immobile, a terra.

«Io non conosco vita prima di te» le sussurrò lui, e Shaula rimase ad occhi chiusi. La ragazza sorrise nel sonno, e si rannicchiò sul suo petto. «Non conoscevo vita, prima di te» si corresse da solo, e le sfiorò il viso con un dito. «Non conoscevo parola, o pensiero, o bisogno, prima di te» sussurrò ancora alla sua Shaula dormiente. «Non conoscevo sensazione che spinge a cercare altro.. non conoscevo sensazione che spinge a cercare te» mormorò, e affondò il viso nei capelli viola della ragazza. «Non conoscevo nulla, prima di te» sussurrò, chiudendo gli occhi.

Immobile, a terra, piangeva. Il dolore era insopportabile, era come se gli stessero lacerando l’anima in mille pezzi, e tutto quello che riusciva a fare era urlare e piangere, nient’altro, come un bambino inerme e impotente. Lui, il grande e forte Antares, piangeva a terra, nel mezzo della foresta, e l’unica cosa che voleva era andare più veloce.
   
 
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