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Autore: Alexandra e Mac    06/01/2015    3 recensioni
Il Passato e il Futuro si mescolano in questo racconto che conclude la trilogia iniziata con Giochi del Destino. Per tutti coloro che hanno amato i personaggi storici da noi inventati.
Genere: Romantico, Sentimentale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro Personaggio, Harmon 'Harm' Rabb, Sarah 'Mac' MacKenzie
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Scritto nel Destino'
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Capitolo XL

Confessioni



Ti sto dicendo che desidero sposarti, Nicole, e vivere con te per sempre.

Più tentava di non pensare alle parole di Andrew, più quella frase continuava a ronzarle nella testa.

Il giorno prima era arrivata alla sua casa di Parigi dopo un viaggio in cui aveva fatto il possibile per distrarsi. In genere quando percorreva la distanza che separava Parigi da Cluny le piaceva osservare il paesaggio e immergersi nei propri pensieri; talvolta aveva preso persino importanti decisioni riguardanti il lavoro o la sua attività col dottor Dumònt proprio durante quel tragitto. Non ricercava neppure la musica, che invece accompagnava ogni suo altro viaggio automobilistico, oppure, se accendeva lo stereo, sceglieva un brano molto soft e lo metteva come sottofondo ai propri pensieri.

Quel mattino la musica aveva rimbombato nell'abitacolo per tutta la durata del percorso, con l'obiettivo di impedirle di soffermarsi sulle ultime parole del suo amante.

Inutilmente.

Neppure l'accoglienza come sempre affettuosa di Marie-Antoinette era riuscita a fargliele scordare. E se non c'era riuscito neanche l'ottimo pranzo che la cuoca le aveva preparato, era sicura che nulla avrebbe potuto levarle dalla mente quella frase. Lei, però, non aveva alcuna intenzione di farsi rovinare il suo incontro con Alex Andrews da una proposta di matrimonio, pertanto si era rifugiata in camera oscura appena terminato di spiluccare il piatto servitole da Clementine, la quale aveva osservato inorridita gli avanzi del suo capolavoro culinario poiché mai, da quando era al suo servizio, aveva riportato in cucina un piatto non ripulito alla perfezione.

Nel luogo in cui si era sempre sentita a suo agio e in cui per anni si era rifugiata ogni volta che assisteva ai litigi dei suoi genitori, per un po’ la situazione era parsa migliorare. Quando era partita da Parigi all’improvviso, settimane prima, aveva lasciato del lavoro arretrato per la Maison, quindi per qualche ora era riuscita a concentrarsi su quello, sviluppando con estrema cura l'ultimo servizio fotografico per la casa di mode. Solo quando tra quei negativi aveva visto il corpo di Andrew mentre usciva dall'acqua, si era ricordata che aveva terminato gli ultimi scatti disponibili proprio con le inquadrature fatte accanto alla piscina dello Chateau, mentre lo aveva sorpreso a nuotare come mamma lo aveva fatto e senza ancora sapere che quel corpo nudo apparteneva all'uomo che, fin dalla prima volta, aveva tormentato i suoi sogni rendendoli squisitamente sensuali.

Quelle immagini avevano fiaccato il ferreo proposito di scordarsi di lui e delle sue parole; quindi, rassegnata all'inevitabile, aveva deciso di esorcizzare il ricordo di Andrew facendo l'esatto contrario: con un'attenzione maggiore del solito aveva sviluppato e ingrandito tutte le foto che gli aveva scattato negli ultimi giorni e poi le aveva appese ad una ad una, col risultato che ora il suo studio era tappezzato delle immagini in formato gigante di un solo uomo.

Un benvenuto non troppo cortese per Alex Andrews, che attendeva di lì ad un'ora proprio in quella stanza.

Era stata Marie-Antoinette a suggerirle di riceverlo nell'ampia veranda della casa che lei aveva deciso di trasformare nel proprio studio, non appena l'aveva vista il giorno in cui, tre anni prima, si era innamorata di quel grande appartamento su due piani che si affacciava sui tetti di Parigi da un lato e sul Bois de Boulogne dall'altro. Solo in quel momento si rendeva conto d'aver desiderato, fin da ragazza, di poter un giorno avere per sé una stanza simile, con ampie vetrate ad illuminarla tutta; e più ci pensava, più doveva ammettere che quel desiderio non nasceva solo dall'esigenza  di circondarsi di luce legato alla sua professione, ma dall'inconscio ricordo dello studio che c'era allo Chateau, visto quell'unica volta da bambina, quando sua madre l'aveva portata per la prima volta in Francia. Anche la posizione e di conseguenza la vista che si godeva dall'appartamento dal lato verso il famoso parco, ricordava quella dello Chateau di Cluny o, quantomeno desiderava richiamarla sempre alla mente.

Quando lo aveva acquistato non era ancora tornata alla casa del suo antenato, eppure l'immagine di quel luogo doveva esserle entrato sotto pelle perché anche l'arredamento che aveva scelto era molto simile: nessun imponente oggetto di antiquariato stile Luigi XV come il palazzo e la zona esclusiva avrebbero potuto suggerire, ma neanche il freddo minimalismo che aveva usato per l'appartamento di Londra. Per la sua casa aveva voluto oggetti di antiquariato più sobri e che al tempo stesso richiamassero l'idea di calore e di vita vissuta, senza però far scordare la raffinatezza, e li aveva miscelati con sapienza allo stile moderno necessario alla sua professione e alle comodità del ventunesimo secolo: il risultato era un appartamento di gran classe, nel quale si sentiva finalmente a casa. In nessun altro luogo, durante tutta la sua vita, si era mai sentita così, neppure nella maestosa residenza ducale in cui era nata e che per diciotto anni era stata l'abitazione della sua infanzia, alternata a quella londinese, ormai entrambe di proprietà di suo fratello Edmund. Solo negli ultimi giorni trascorsi a Cluny aveva provato lo stesso senso appartenenza.

Aveva riflettuto su tutte queste cose mentre sviluppava le foto di Andew e ricordava gli splendidi momenti trascorsi assieme.

Perché mai aveva tanta paura a lasciarsi andare?

Perché non riusciva a liberarsi dei fantasmi del suo passato e permettersi di amare -cosa che se doveva essere davvero sincera con se stessa, per altro già faceva- l'unico uomo che avrebbe potuto concedersi di sposare?

Con lui avrebbe potuto realizzare i suoi sogni di bambina, quelli che coltivava nel cuore prima che le continue liti dei suoi genitori e la delusione provata con Christopher li estirpassero brutalmente.

Forse poteva concedere ancora una speranza al suo cuore. In fondo lei lo sapeva. Aveva solo paura di riaprirlo all'amore.

Persa nei suoi pensieri aveva appena terminato di raccogliere tutte le foto appese, quando Marie-Antoinette bussò per ricordarle che a breve sarebbe arrivato lo scrittore.

"Grazie Marie-Antoinette... corro a darmi una sistemata..." e sparì come un fulmine, lasciando la sua assistente divertita come al solito nel vederla in preda all'agitazione.

"Mancano ancora dieci minuti all'ora dell'appuntamento..." si arrischiò a gridarle dietro la donna, ma milady era già scomparsa al piano di sopra, dimenticando sulla scrivania la cartella con le foto.

Ridiscese dodici minuti dopo, mentre Marie-Antoinette si chiudeva alle spalle la porta del suo studio.

"È già arrivato, milady. L'ho fatto accomodare e ho già portato il vassoio, come mi avete chiesto".

"Sei un angelo, Marie-Antoinette. Come sto?"

"Splendida e perfetta come sempre, milady".

"Bene, è il caso che entri ora..." disse Nicole, lasciando trasparire dal tono tutta l'ansia che stava trattenendo.

"Milady, monsieur Andrews mi ha pregato di consegnarvi questo" e le porse un biglietto da visita uguale a quello che l'agente dello scrittore, mr. Ross Harler, aveva fornito alla sua assistente quando si era presentato.

"Che significa, Marie-Antoinette?"

"Non lo so, lady Sinclair. All'inizio ho pensato che me lo stesse mostrando per farsi riconoscere, come se ce ne fosse bisogno. Voi sapete che mi basta sentire la voce di una persona una sola volta, per riconoscerla, anche se non è più al telefono" disse la donna con orgoglio.

"Certo, Marie-Antoinette, ma devi convenire che mr. Andrews non può essere a conoscenza di questa tua qualità" rispose Nicole.

"Avete ragione. Eppure, nonostante glielo abbia detto mentre lo accompagnavo nel vostro studio, quando stavo per uscire mi ha pregato di darlo a voi. E anche quando ho sottolineato che non era necessario poiché eravamo già in possesso di ogni recapito per raggiungerlo, mr. Andrews ha insistito".

"E va bene, ci sarà un valido motivo per cui desidera che io lo abbia. Glielo domanderò tra poco. Fammi gli auguri, Marie-Antoinette" e senza aspettare che l'assistente esaudisse la sua richiesta, aprì la porta ed entrò.

Alex Andrews era in piedi, davanti alla grande vetrata, ad osservare il parco. La luce del sole entrava con prepotenza da quella direzione e rendeva impossibile cogliere la sua figura nel dettaglio; tuttavia era evidente l'altezza e la corporatura notevole  dell'uomo. Indossava un completo maschile scuro dal taglio perfetto, con scarpe in pelle nera, certamente di marca italiana.

Quando, percependo la sua presenza, si voltò verso di lei, per un attimo la luce alle sue spalle le impedì di mettere a fuoco il suo volto e l'attenzione di Nicole fu catturata dall'ampiezza del torace e dalla mano, che l'uomo nel frattempo aveva allungato verso di lei, spostandosi in avanti di qualche passo.

Non ha affatto un aspetto banale si rese conto di pensare, mentre a sua volta gli si avvicinava per salutarlo.

"Bonjour, lady Sinclair".

Fu la sua voce, dal tono dolce e un po’ esitante, a farle sollevare lo sguardo sul volto, che finalmente riusciva a vedere bene ora che lui si trovava più distante dalla finestra.

Si bloccò con la mano ancora sollevata nell'atto di stringere la sua. Lo guardò negli occhi e nello stesso momento comprese il motivo della sua insistenza col biglietto da visita: senza quello temeva che lei non gli avrebbe creduto.

Poi si diede della stupida, per come aveva fantasticato sul suo aspetto ma, soprattutto, per avergli espresso a voce le proprie considerazioni. Chissà quanto si era divertito, in quell'occasione!

"Buongiorno, mr. Andrews" si decise a salutarlo, porgendogli la mano, ma risoluta ad allontanarla non appena percepì la sua esitazione nel volerla trattenere "prego, si accomodi. Ho idea che avremo molto di cui parlare..." aggiunse andando a sedersi alla propria scrivania ed evitando di proposito la poltrona accanto a quella in cui aveva invitato lui ad accomodarsi. 

L'uomo, però, non si diresse verso la poltrona, ma la seguì e, prima che lei potesse impedirgli di prenderla, si impadronì della cartella che aveva lasciato sul tavolo.

"Foto interessanti..."

Ne scorse qualcuna e si soffermò sulla prima in cui vi era anche lei, benché non si vedesse il suo volto. Era una delle immagini scattate prima di fare l'amore.

"Teme che possa sfruttarle per uno scoop?" lo provocò, continuando a dargli del lei come se stesse effettivamente parlando ad uno sconosciuto. Era nervosa e arrabbiata per come si sentiva presa in giro: più di una volta gli aveva espresso il dispiacere d'aver perso l'occasione di fare da consulente al noto scrittore, e senza saperlo stava già lavorando con lui.

Si alzò e allungò una mano per farsi restituire la cartella.

"Nicole..."disse Andrew, ma il suo tentativo di calmarla non sortì alcun effetto, lei era impassibile, con la mano protesa a mo’ di comando. In quel momento aveva più autorità su di lui di quanta ne avessero mai avuta sua madre o suo padre, pensò  sorridendo dentro di sé e scoprendosi sempre più innamorato. Arreso, le restituì le fotografie.

"A ben pensarci ho davvero tra le mani un fantastico scoop! Potrei vendere queste foto: Immagini inedite dello scrittore del mistero... I giornali andrebbero a ruba e io farei un sacco di quattrini. Per non parlare della pubblicità...".

"È questo che vuoi? Quattrini e pubblicità?"

"Quello che vorrei davvero è riuscire a schiaffeggiarti come si deve".

"Cosa te lo impedisce?" domandò lui con uno dei suoi sorrisi che erano sempre in grado di scioglierla. E lo sapeva bene.

"Non è nel mio stile" rispose con tutta l'arroganza che riuscì a recuperare dai secoli di nobiltà che aveva alle spalle. Di certo l'espressione divertita di Andrew non le facilitava il compito.

"Io, invece, voglio baciarti come si deve... e questo è proprio nel mio stile" replicò lui e, senza darle il tempo di reagire, mise subito in pratica il suo proposito.

Stretta tra le sue braccia Nicole non riuscì ad evitare di abbandonarsi al suo ardore. Aveva trascorso una sola notte senza di lui ed era stata interminabile. Prima o poi avrebbe dovuto arrendersi ai suoi sentimenti e alla sua proposta: più ci pensava, infatti, e più la trovava allettante. E le faceva sempre meno paura. Ma Andrew si era preso gioco di lei e si meritava di soffrire un po’.

"Lasciami" gli intimò quando riuscì a staccarsi da lui.

"Tesoro...".

Quell'appellativo tenero, che lui usava mentre faceva l'amore con lei, la rese più furibonda.

"Lasciami e vedi di propinarmi una bella storia per giustificare il tuo comportamento, altrimenti quelle foto faranno davvero il giro del mondo" lo minacciò, nonostante entrambi sapessero che non avrebbe mai messo in atto il suo proposito "del resto inventare storie è ciò che ti riesce meglio, non è vero?" aggiunse per provocarlo.

"Non devo inventare proprio nulla" rispose lui, calmo.

"D'accordo, allora. Dimmi com'è andata".

Andrew la fece sedere su una poltrona ma lui rimase in piedi e iniziò a raccontarle tutto quanto dall'inizio, da quando si erano scontrati sulla spiaggia sino a quando aveva scoperto che l'esperta che gli aveva scovato Ross e la donna di cui si era innamorato erano la stessa persona.

"Eri innamorato di me?"

"Sì".

"Ma sei andato a letto con Monique" osservò lei, pacata.

"Quando sono stato con Monique non me n'ero ancora reso conto. Anzi è proprio grazie alla mia avventura con lei che l'ho capito. E ne ho avuto la conferma quando ti ho scoperta a frugare nella tua stessa proprietà... È stato a quel punto che ho collegato tutto quanto e che ho compreso che quelle che all'inizio pensavo fossero ben quattro persone diverse -la sconosciuta della spiaggia, l'affascinante fotografa, la lady esperta dell'Ottocento e l'erede del Duca- erano in realtà un'unica persona: tu. In quel momento ho preso la decisione di tacerti l'identità con cui mi avresti riconosciuto".

"Perché?"

"Io volevo che mi conoscessi e ti innamorassi di me per l'uomo che sono, Andrew Alexander Rabb, e niente altro. Se ti avessi detto che sono lo scrittore Alex Andrews, i nostri rapporti sarebbero stati diversi" le disse, facendola alzare in piedi per abbracciarla. Lei non glielo impedì e Andrew lo considerò un ottimo segno.

"Mi reputi incapace di valutare una persona a prescindere dal ruolo che ricopre? Ti faccio presente che sono abituata a persone che hanno ruoli ben più importanti rispetto al tuo".

"Lo so bene. Ma faccio io presente a te che sei la prima a non presentarti col tuo titolo nobiliare... questo dovrebbe farti capire ciò che intendo. Inoltre tu stessa avevi ammesso come fotografa che non mescoli mai lavoro e piacere; ho temuto che la pensassi allo stesso modo anche per il nostro rapporto di collaborazione e io volevo rientrare nella categoria piacere e non lavoro".

"Cosa farai coi diari?" chiese lei. Non aveva commentato ciò che lui le aveva spiegato, ma il tono della sua domanda e il repentino cambio di argomento gli fecero capire che si stava ammorbidendo.

"Dipende da te. Ho diverse idee in proposito, ma la decisione è tua".

"Dimmi quali".

"Dopo" rispose lui "dopo che ti avrò presentato i miei genitori" aggiunse. Aveva colto la voce di suo padre al di là della porta chiusa.

"Mi hai detto che sarebbero arrivati stasera... Hai mentito anche su questo" osservò lei.

"Hai ragione. Sono partito da Cluny poche ore dopo di te. Ma la sorpresa che stanno per farti valeva questa piccola bugia, credimi".

"Quale sorpresa?" cercò di farsi dire, ma in quel momento Marie-Antoinette bussò ed entrò.

"Excuse moi, milady, il signore qui presente insiste per vedere suo figlio..." disse imbarazzata la sua assistente, la quale non riusciva a capire come mai la coppia anziana, che a quanto le avevano assicurato erano i genitori del famoso scrittore americano, a tutti i costi dovesse interrompere il colloquio che Sua Signoria attendeva da tempo.

Da quando aveva iniziato a lavorare per milady, mademoiselle Valens, contrariamente ai suoi principi, si era abituata a non attendere una risposta di Lady Sinclair dopo aver bussato, a meno che non espressamente richiesto dalla sua padrona: questa regola gliel'aveva imposta milady, perché spesso era immersa nel proprio lavoro e non avrebbe sentito neppure lo squillo di un campanello. Inoltre Sua Signoria mal sopportava certe rigidità dell'etichetta e voleva a tutti i costi non essere trattata come una persona di rango superiore. Ovviamente Marie-Antoinette non si sarebbe mai sognata di dare del tu alla sua padrona, come più volte lei stessa aveva richiesto, ma in piccole cose era dovuta scendere a qualche compromesso. Tuttavia era conscia che prima o poi se ne sarebbe pentita, e il momento era forse arrivato: infatti nell'aprire la porta senza attendere risposta, aveva visto anche l'abbraccio affettuoso nel quale monsieur Andrews accoglieva Lady Sinclair, fonte di ulteriore imbarazzo per la giovane assistente.

"Tranquilla, Marie-Antoinette, fallo passare" disse Nicole.

Mademoiselle Valens osservò che milady si era scolta dall'abbraccio nel risponderle, ma monsieur Andrews le aveva afferrato la mano e la teneva nella propria.

"C'è anche una signora..." aggiunse la donna, ancora più turbata dal fatto che Sua Signoria lasciava la mano in quella dello scrittore. Era convinta che non si conoscessero, ma a quanto pareva si era sbagliata.

"Beh, fa accomodare anche lei, ovviamente" la sollecitò Nicole; poi, accortasi dell'imbarazzo, nonché dello stupore della sua assistente, aggiunse:

"Più tardi ti spiegherò tutto" e accompagnò la frase con il sorriso dolce che sapeva sempre rassicurarla.

 

  
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