Capitolo XL
Confessioni
Ti sto
dicendo che desidero sposarti, Nicole, e vivere con te per
sempre.
Più tentava
di non pensare alle
parole di Andrew, più quella frase continuava a ronzarle nella testa.
Il giorno
prima era arrivata alla
sua casa di Parigi dopo un viaggio in cui aveva fatto il possibile per
distrarsi. In genere quando percorreva la distanza che separava Parigi
da Cluny
le piaceva osservare il paesaggio e immergersi nei propri pensieri;
talvolta
aveva preso persino importanti decisioni riguardanti il lavoro o la sua
attività
col dottor Dumònt proprio durante quel tragitto. Non ricercava neppure
la
musica, che invece accompagnava ogni suo altro viaggio automobilistico,
oppure,
se accendeva lo stereo, sceglieva un brano molto soft e lo metteva come
sottofondo ai propri pensieri.
Quel mattino
la musica aveva
rimbombato nell'abitacolo per tutta la durata del percorso, con
l'obiettivo di
impedirle di soffermarsi sulle ultime parole del suo amante.
Inutilmente.
Neppure
l'accoglienza come sempre
affettuosa di Marie-Antoinette era riuscita a fargliele scordare. E se
non
c'era riuscito neanche l'ottimo pranzo che la cuoca le aveva preparato,
era
sicura che nulla avrebbe potuto levarle dalla mente quella frase. Lei,
però,
non aveva alcuna intenzione di farsi rovinare il suo incontro con Alex
Andrews
da una proposta di matrimonio, pertanto si era rifugiata in camera
oscura
appena terminato di spiluccare il piatto servitole da Clementine, la
quale
aveva osservato inorridita gli avanzi del suo capolavoro culinario
poiché mai,
da quando era al suo servizio, aveva riportato in cucina un piatto non
ripulito
alla perfezione.
Nel luogo in
cui si era sempre
sentita a suo agio e in cui per anni si era rifugiata ogni volta che
assisteva
ai litigi dei suoi genitori, per un po’ la situazione era parsa
migliorare. Quando
era partita da Parigi all’improvviso, settimane prima, aveva lasciato
del
lavoro arretrato per
Quelle
immagini avevano fiaccato
il ferreo proposito di scordarsi di lui e delle sue parole; quindi,
rassegnata
all'inevitabile, aveva deciso di esorcizzare il ricordo di Andrew
facendo
l'esatto contrario: con un'attenzione maggiore del solito aveva
sviluppato e
ingrandito tutte le foto che gli aveva scattato negli ultimi giorni e
poi le
aveva appese ad una ad una, col risultato che ora il suo studio era
tappezzato
delle immagini in formato gigante di un solo uomo.
Un benvenuto
non troppo cortese
per Alex Andrews, che attendeva di lì ad un'ora proprio in quella
stanza.
Era stata
Marie-Antoinette a
suggerirle di riceverlo nell'ampia veranda della casa che lei aveva
deciso di
trasformare nel proprio studio, non appena l'aveva vista il giorno in
cui, tre
anni prima, si era innamorata di quel grande appartamento su due piani
che si
affacciava sui tetti di Parigi da un lato e sul Bois
de Boulogne dall'altro. Solo in quel momento si rendeva
conto
d'aver desiderato, fin da ragazza, di poter un giorno avere per sé una
stanza
simile, con ampie vetrate ad illuminarla tutta; e più ci pensava, più
doveva
ammettere che quel desiderio non nasceva solo dall'esigenza di circondarsi di luce
legato alla sua
professione, ma dall'inconscio ricordo dello studio che c'era allo Chateau, visto quell'unica volta da
bambina, quando sua madre l'aveva portata per la prima volta in
Francia. Anche
la posizione e di conseguenza la vista che si godeva dall'appartamento
dal lato
verso il famoso parco, ricordava quella dello Chateau
di Cluny o, quantomeno desiderava richiamarla sempre alla
mente.
Quando lo
aveva acquistato non era
ancora tornata alla casa del suo antenato, eppure l'immagine di quel
luogo
doveva esserle entrato sotto pelle perché anche l'arredamento che aveva
scelto
era molto simile: nessun imponente oggetto di antiquariato stile Luigi
XV come
il palazzo e la zona esclusiva avrebbero potuto suggerire, ma neanche
il freddo
minimalismo che aveva usato per l'appartamento di Londra. Per la sua casa
aveva voluto oggetti di antiquariato più sobri e che al tempo stesso
richiamassero l'idea di calore e di vita vissuta, senza però far
scordare la
raffinatezza, e li aveva miscelati con sapienza allo stile moderno
necessario
alla sua professione e alle comodità del ventunesimo secolo: il
risultato era
un appartamento di gran classe, nel quale si sentiva finalmente a casa.
In
nessun altro luogo, durante tutta la sua vita, si era mai sentita così,
neppure
nella maestosa residenza ducale in cui era nata e che per diciotto anni
era
stata l'abitazione della sua infanzia, alternata a quella londinese,
ormai
entrambe di proprietà di suo fratello Edmund. Solo negli ultimi giorni
trascorsi a Cluny aveva provato lo stesso senso appartenenza.
Aveva
riflettuto su tutte queste
cose mentre sviluppava le foto di Andew e ricordava gli splendidi
momenti
trascorsi assieme.
Perché mai
aveva tanta paura a
lasciarsi andare?
Perché non
riusciva a liberarsi
dei fantasmi del suo passato e permettersi di amare -cosa che se doveva
essere
davvero sincera con se stessa, per altro già faceva- l'unico uomo che
avrebbe
potuto concedersi di sposare?
Con lui
avrebbe potuto realizzare
i suoi sogni di bambina, quelli che coltivava nel cuore prima che le
continue
liti dei suoi genitori e la delusione provata con Christopher li
estirpassero
brutalmente.
Forse poteva
concedere ancora una
speranza al suo cuore. In fondo lei lo sapeva. Aveva solo paura di
riaprirlo
all'amore.
Persa nei
suoi pensieri aveva
appena terminato di raccogliere tutte le foto appese, quando
Marie-Antoinette
bussò per ricordarle che a breve sarebbe arrivato lo scrittore.
"Grazie
Marie-Antoinette...
corro a darmi una sistemata..." e sparì come un fulmine, lasciando la
sua
assistente divertita come al solito nel vederla in preda all'agitazione.
"Mancano
ancora dieci minuti
all'ora dell'appuntamento..." si arrischiò a gridarle dietro la donna,
ma
milady era già scomparsa al piano di sopra, dimenticando sulla
scrivania la
cartella con le foto.
Ridiscese
dodici minuti dopo,
mentre Marie-Antoinette si chiudeva alle spalle la porta del suo studio.
"È già
arrivato, milady. L'ho
fatto accomodare e ho già portato il vassoio, come mi avete chiesto".
"Sei un
angelo, Marie-Antoinette.
Come sto?"
"Splendida e
perfetta come
sempre, milady".
"Bene, è il
caso che entri
ora..." disse Nicole, lasciando trasparire dal tono tutta l'ansia che
stava trattenendo.
"Milady, monsieur Andrews mi ha pregato di
consegnarvi questo" e le
porse un biglietto da visita uguale a quello che l'agente dello
scrittore, mr.
Ross Harler, aveva fornito alla sua assistente quando si era presentato.
"Che
significa, Marie-Antoinette?"
"Non lo so,
lady Sinclair.
All'inizio ho pensato che me lo stesse mostrando per farsi riconoscere,
come se
ce ne fosse bisogno. Voi sapete che mi basta sentire la voce di una
persona una
sola volta, per riconoscerla, anche se non è più al telefono" disse la
donna con orgoglio.
"Certo,
Marie-Antoinette, ma
devi convenire che mr. Andrews non può essere a conoscenza di questa
tua qualità"
rispose Nicole.
"Avete
ragione. Eppure,
nonostante glielo abbia detto mentre lo accompagnavo nel vostro studio,
quando
stavo per uscire mi ha pregato di darlo a voi. E anche quando ho
sottolineato
che non era necessario poiché eravamo già in possesso di ogni recapito
per
raggiungerlo, mr. Andrews ha insistito".
"E va bene,
ci sarà un valido
motivo per cui desidera che io lo abbia. Glielo domanderò tra poco.
Fammi gli
auguri, Marie-Antoinette" e senza aspettare che l'assistente esaudisse
la
sua richiesta, aprì la porta ed entrò.
Alex Andrews
era in piedi, davanti
alla grande vetrata, ad osservare il parco. La luce del sole entrava
con
prepotenza da quella direzione e rendeva impossibile cogliere la sua
figura nel
dettaglio; tuttavia era evidente l'altezza e la corporatura notevole dell'uomo. Indossava un
completo maschile
scuro dal taglio perfetto, con scarpe in pelle nera, certamente di
marca
italiana.
Quando,
percependo la sua
presenza, si voltò verso di lei, per un attimo la luce alle sue spalle
le impedì
di mettere a fuoco il suo volto e l'attenzione di Nicole fu catturata
dall'ampiezza del torace e dalla mano, che l'uomo nel frattempo aveva
allungato
verso di lei, spostandosi in avanti di qualche passo.
Non ha
affatto un aspetto banale si rese conto
di pensare, mentre a sua volta gli si
avvicinava per salutarlo.
"Bonjour, lady
Sinclair".
Fu la sua
voce, dal tono dolce e
un po’ esitante, a farle sollevare lo sguardo sul volto, che finalmente
riusciva a vedere bene ora che lui si trovava più distante dalla
finestra.
Si bloccò con
la mano ancora
sollevata nell'atto di stringere la sua. Lo guardò negli occhi e nello
stesso
momento comprese il motivo della sua insistenza col biglietto da
visita: senza
quello temeva che lei non gli avrebbe creduto.
Poi si diede
della stupida, per
come aveva fantasticato sul suo aspetto ma, soprattutto, per avergli
espresso a
voce le proprie considerazioni. Chissà quanto si era divertito, in
quell'occasione!
"Buongiorno,
mr.
Andrews" si decise a salutarlo, porgendogli la mano, ma risoluta ad
allontanarla non appena percepì la sua esitazione nel volerla
trattenere
"prego, si accomodi. Ho idea che avremo molto di cui parlare..."
aggiunse andando a sedersi alla propria scrivania ed evitando di
proposito la
poltrona accanto a quella in cui aveva invitato lui ad accomodarsi.
L'uomo, però,
non si diresse verso
la poltrona, ma la seguì e, prima che lei potesse impedirgli di
prenderla, si
impadronì della cartella che aveva lasciato sul tavolo.
"Foto
interessanti..."
Ne scorse
qualcuna e si soffermò
sulla prima in cui vi era anche lei, benché non si vedesse il suo
volto. Era
una delle immagini scattate prima di fare l'amore.
"Teme che
possa sfruttarle
per uno scoop?" lo provocò,
continuando a dargli del lei come se stesse effettivamente parlando ad
uno
sconosciuto. Era nervosa e arrabbiata per come si sentiva presa in
giro: più di
una volta gli aveva espresso il dispiacere d'aver perso l'occasione di
fare da
consulente al noto scrittore, e senza saperlo stava già lavorando con
lui.
Si alzò e
allungò una mano per
farsi restituire la cartella.
"Nicole..."disse
Andrew,
ma il suo tentativo di calmarla non sortì alcun effetto, lei era
impassibile,
con la mano protesa a mo’ di comando. In quel momento aveva più
autorità su di
lui di quanta ne avessero mai avuta sua madre o suo padre, pensò sorridendo dentro di sé e
scoprendosi sempre
più innamorato. Arreso, le restituì le fotografie.
"A ben
pensarci ho davvero
tra le mani un fantastico scoop!
Potrei vendere queste foto: Immagini
inedite dello scrittore del mistero... I giornali andrebbero
a ruba e io
farei un sacco di quattrini. Per non parlare della pubblicità...".
"È questo che
vuoi? Quattrini
e pubblicità?"
"Quello che
vorrei davvero è
riuscire a schiaffeggiarti come si deve".
"Cosa te lo
impedisce?"
domandò lui con uno dei suoi sorrisi che erano sempre in grado di
scioglierla.
E lo sapeva bene.
"Non è nel
mio stile"
rispose con tutta l'arroganza che riuscì a recuperare dai secoli di
nobiltà che
aveva alle spalle. Di certo l'espressione divertita di Andrew non le
facilitava
il compito.
"Io, invece,
voglio baciarti
come si deve... e questo è proprio nel mio
stile" replicò lui e, senza darle il tempo di reagire, mise
subito in
pratica il suo proposito.
Stretta tra
le sue braccia Nicole
non riuscì ad evitare di abbandonarsi al suo ardore. Aveva trascorso
una sola
notte senza di lui ed era stata interminabile. Prima o poi avrebbe
dovuto
arrendersi ai suoi sentimenti e alla sua proposta: più ci pensava,
infatti, e
più la trovava allettante. E le faceva sempre meno paura. Ma Andrew si
era
preso gioco di lei e si meritava di soffrire un po’.
"Lasciami"
gli intimò
quando riuscì a staccarsi da lui.
"Tesoro...".
Quell'appellativo
tenero, che lui
usava mentre faceva l'amore con lei, la rese più furibonda.
"Lasciami e
vedi di
propinarmi una bella storia per giustificare il tuo comportamento,
altrimenti
quelle foto faranno davvero il giro del mondo" lo minacciò, nonostante
entrambi sapessero che non avrebbe mai messo in atto il suo proposito
"del
resto inventare storie è ciò che ti riesce meglio, non è vero?"
aggiunse
per provocarlo.
"Non devo
inventare proprio
nulla" rispose lui, calmo.
"D'accordo,
allora. Dimmi
com'è andata".
Andrew la
fece sedere su una
poltrona ma lui rimase in piedi e iniziò a raccontarle tutto quanto
dall'inizio, da quando si erano scontrati sulla spiaggia sino a quando
aveva
scoperto che l'esperta che gli aveva scovato Ross e la donna di cui si
era
innamorato erano la stessa persona.
"Eri
innamorato di me?"
"Sì".
"Ma sei
andato a letto con
Monique" osservò lei, pacata.
"Quando sono
stato con
Monique non me n'ero ancora reso conto. Anzi è proprio grazie alla mia
avventura con lei che l'ho capito. E ne ho avuto la conferma quando ti
ho
scoperta a frugare nella tua stessa proprietà... È stato a quel punto
che ho
collegato tutto quanto e che ho compreso che quelle che all'inizio
pensavo
fossero ben quattro persone diverse -la sconosciuta della spiaggia,
l'affascinante fotografa, la lady esperta dell'Ottocento e l'erede del
Duca-
erano in realtà un'unica persona: tu. In quel momento ho preso la
decisione di tacerti
l'identità con cui mi avresti riconosciuto".
"Perché?"
"Io volevo
che mi conoscessi
e ti innamorassi di me per l'uomo che sono, Andrew Alexander Rabb, e
niente
altro. Se ti avessi detto che sono lo scrittore Alex Andrews, i nostri
rapporti
sarebbero stati diversi" le disse, facendola alzare in piedi per
abbracciarla. Lei non glielo impedì e Andrew lo considerò un ottimo
segno.
"Mi reputi
incapace di
valutare una persona a prescindere dal ruolo che ricopre? Ti faccio
presente
che sono abituata a persone che hanno ruoli ben più importanti rispetto
al
tuo".
"Lo so bene.
Ma faccio io
presente a te che sei la prima a non presentarti col tuo titolo
nobiliare...
questo dovrebbe farti capire ciò che intendo. Inoltre tu stessa avevi
ammesso
come fotografa che non mescoli mai lavoro e piacere; ho temuto che la
pensassi
allo stesso modo anche per il nostro rapporto di collaborazione e io
volevo
rientrare nella categoria piacere e non lavoro".
"Cosa farai
coi diari?"
chiese lei. Non aveva commentato ciò che lui le aveva spiegato, ma il
tono
della sua domanda e il repentino cambio di argomento gli fecero capire
che si
stava ammorbidendo.
"Dipende da
te. Ho diverse
idee in proposito, ma la decisione è tua".
"Dimmi quali".
"Dopo"
rispose lui
"dopo che ti avrò presentato i miei genitori" aggiunse. Aveva colto
la voce di suo padre al di là della porta chiusa.
"Mi hai detto
che sarebbero
arrivati stasera... Hai mentito anche su questo" osservò lei.
"Hai ragione.
Sono partito da
Cluny poche ore dopo di te. Ma la sorpresa che stanno per farti valeva
questa
piccola bugia, credimi".
"Quale
sorpresa?" cercò
di farsi dire, ma in quel momento Marie-Antoinette bussò ed entrò.
"Excuse moi, milady, il
signore qui presente insiste per vedere suo
figlio..." disse imbarazzata la sua assistente, la quale non riusciva a
capire come mai la coppia anziana, che a quanto le avevano assicurato
erano i
genitori del famoso scrittore americano, a tutti i costi dovesse
interrompere
il colloquio che Sua Signoria attendeva da tempo.
Da quando
aveva iniziato a
lavorare per milady, mademoiselle
Valens, contrariamente ai suoi principi, si era abituata a non
attendere una
risposta di Lady Sinclair dopo aver bussato, a meno che non
espressamente
richiesto dalla sua padrona: questa regola gliel'aveva imposta milady,
perché
spesso era immersa nel proprio lavoro e non avrebbe sentito neppure lo
squillo
di un campanello. Inoltre Sua Signoria mal sopportava certe rigidità
dell'etichetta e voleva a tutti i costi non essere trattata come una
persona di
rango superiore. Ovviamente Marie-Antoinette non si sarebbe mai sognata
di dare
del tu alla sua padrona, come più volte lei stessa aveva richiesto, ma
in
piccole cose era dovuta scendere a qualche compromesso. Tuttavia era
conscia
che prima o poi se ne sarebbe pentita, e il momento era forse arrivato:
infatti
nell'aprire la porta senza attendere risposta, aveva visto anche
l'abbraccio
affettuoso nel quale monsieur
Andrews
accoglieva Lady Sinclair, fonte di ulteriore imbarazzo per la giovane
assistente.
"Tranquilla,
Marie-Antoinette,
fallo passare" disse Nicole.
Mademoiselle
Valens osservò che
milady si era scolta dall'abbraccio nel risponderle, ma monsieur
Andrews le aveva afferrato la mano e la teneva nella
propria.
"C'è anche
una
signora..." aggiunse la donna, ancora più turbata dal fatto che Sua
Signoria lasciava la mano in quella dello scrittore. Era convinta che
non si
conoscessero, ma a quanto pareva si era sbagliata.
"Beh, fa
accomodare anche
lei, ovviamente" la sollecitò Nicole; poi, accortasi dell'imbarazzo,
nonché
dello stupore della sua assistente, aggiunse:
"Più tardi ti
spiegherò
tutto" e accompagnò la frase con il sorriso dolce che sapeva sempre
rassicurarla.