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Autore: Lost In Donbass    06/01/2015    0 recensioni
California, 1987.
Questa è l'America della perdizione, della musica, delle libertà negate. E' il tempo di un'epoca giunta al limite, dove non c'è più niente da dire. E' l'America delle urla, delle speranze, dei cuori infranti.
Nella periferia di un'insulsa cittadina si muovono otto ragazzi, otto anime perdute e lasciate a loro stesse. Charlie se ne vuole andare ma gli manca il coraggio di voltare le spalle. Jimmie Sue spera, crede in qualcosa che la possa salvare ma a cui non sa dare un nome. Jake è al limite, soffoca tutto nel fumo, dimentica grazie all'alcol, non ne vuole più sapere. Jasper ha finito di sperare, di pregare, di credere; ha dimenticato cosa vuol dire piangere, cosa vuol dire vivere.
Tirano avanti come possono. Sono le creature di una periferia assassina e di una società fraudolenta e fallace. Sono dei bastardi senza gloria e senza onore.
E questa è la loro storia.
Genere: Generale, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO QUARTO : LEFT ME HERE ALONE
Quella mattina Charlie sentì un sordo tonfo sul vetro della cucina, dove era intento a fare colazione, mescolando lentamente il suo latte e miele. Si voltò con un sobbalzo e vide, davanti al basso davanzale, Jake e Frizzy che lo salutavano sorridendo. Sospirò rumorosamente e andò ad aprire la porta di casa. Ringraziò il Cielo che suo padre fosse andato a “lavorare” al distributore di benzina, non voleva che vedesse i suoi amici. Sarebbe stato imbarazzante, anche se Charlie si chiese se Jake e Frizzy avrebbero fatto piega di fronte a quell’uomo. Probabilmente non si sarebbero assolutamente sconvolti. Si, doveva abituarsi che lì, con molte probabilità, si doveva considerare quasi fortunato per la situazione.
-Buongiorno ragazzo!
Frizzy entrò in casa come un ciclone, dandogli una poderosa pacca sulla spalla. Jake lo seguì subito dopo infilandosi in cucina come un razzo. Charlie rimase immobile sulla porta di casa, ancora in pigiama a fissare a bocca spalancata la strada vuota. Si riscosse e chiuse la porta, correndo in cucina dove vide i due ragazzi che trafficavano con il suo tostapane.
-Ehm, scusate ma … cosa state cercando di fare?
-Scusa Charlie, ma stamane non sono riuscito a fare colazione, non ti dispiace se ne approfitto, vero?- Frizzy gli sorrise gioviale, e Charlie notò che aveva gli occhi azzurrissimi. Quasi verdi.
Scosse la testa e si limitò a prendere una fetta di pane e a inserirla nel tostapane
-Figurati, prego- indicò il tavolo, dove la tazza di cereali aspettava impaziente di essere mangiata.
I due si sedettero sulle vecchie sedie impagliate, lanciando occhiate curiose intorno.
Charlie servì loro in silenzio due fette di pane tostato, poi decise di ritirarsi in camera a cambiarsi. Si era reso conto solo in quel momento che aveva addosso il suo imbarazzante pigiama con i coniglietti.
-Fate pure come se foste a casa vostra. Io … arrivo subito!
Corse su per le scale, sentendo le risate soffocate dei due ragazzi in cucina.
Jake si guardò intorno con grande curiosità. Come era ordinata quella casetta! Così diversa dalla sua, dove non si vedeva altro che un gran caos di roba gettata ovunque. E poi che silenzio regnava. Il silenzio era una benedizione per le orecchie di Jake, abituato a vivere nel rumore più assoluto. Sua madre che urlava, sua sorella che urlava, i suoi fratelli minori che urlavano, suo padre che quando tornava a casa urlava. Jake sarebbe volentieri rimasto in quella silente cucina, a dormire, a chiudere gli occhi e bearsi del silenzio. Sospirò alzandosi, e si diresse in salotto. Era ordinato anche lì, la vecchia tv accuratamente spolverata, il divano nonostante le macchie di quello che pareva vino dava comunque un’impressione di pulizia, come una grande quantità di fotografie che riempivano ogni angolo. Jake si avvicinò con curiosità a una foto poggiata su un tavolino di fronte alla tv. Mostrava una donna bionda, sulla trentina, sorridente, con un bambino in braccio. Sorrideva, sì, ma aveva un sorriso triste. Il ragazzo voltò la foto e lesse sul retro “Mamma. 14/05/1973”. Quella era la madre di Charlie?! Perché non era in casa? Magari lavorava … ma no, le madri di solito non lavoravano. Posò la foto e ne prese un’altra. Anche lì c’era la mamma del suo amico seduta al tavolo della cucina. Ne prese un’altra. Anche lì la signora Bailey. Un’altra e ancora quella donna. Jake si guardò freneticamente in giro e si rese conto che le foto raffiguravano solo ed esclusivamente la madre di Charlie. In varie pose, ma solo la donna bionda gli sorrideva tristemente da tutti gli angoli del salotto.
E se fosse … un oscuro presentimento si fece largo nel cuore del ragazzo. E se la mamma di Charlie fosse mancata? Se quel silenzio che gravava in casa fosse a causa della morte prematura della donna? Jake sospirò forte. Non ne era sicuro, ma qualcosa gli diceva che in quella casa viveva un ricordo pesante e gravoso, che soffocava i suoi abitanti. “I ricordi sono il miglior modo per uccidere. Soffocano meglio che una corda stretta attorno al collo” gli aveva detto una volta Jasper. Non ricordava il perché glielo avesse detto, ma ricordava bene che erano seduti sulla poltrona scassata del Suicide Ghost Old Bridge e che la luna stava sorgendo.
-Ehi andiamo Jake?- la voce di Frizzy lo riscosse.
-Si, certo!- si stampò di nuovo il sorriso in faccia e li seguì fuori, nella calda aria californiana.
Charlie guardò Jake di sottecchi. Si era reso conto che dopo essere entrato nel suo salotto si era come rabbuiato. Che avesse visto le foto di sua mamma? Beh, quello era ovvio, il salotto ne era pieno! Un brivido gli percorse la schiena. Non avrebbe voluto che Jake cominciasse a fare domande sconvenienti sulle foto. Non era pronto. Nonostante fossero passati tantissimi anni non ce l’avrebbe fatta a raccontare la sua vicenda. Il dolore era troppo forte, i ricordi troppo pressanti.
Tossicchiò quando Jake gli soffiò una voluta di fumo in faccia, con il solito sorrisetto ghignante.
-Che si fa oggi?- intervenne Frizzy, saettandogli davanti a cavallo di una vecchia bicicletta blu.
-Ieri abbiamo fatto i graffiti, oggi … potremmo fare un giretto nella campagna circostante- propose Jake, giocherellando con le innumerevoli collane che gli adornavano il collo abbronzato.
-Scusate se sono importuno ma … perché stiamo andando dal supermercato? Mi avevate detto che il punto di incontro era il Suicide Ghost Old Bridge!- interruppe Charlie. Se già cominciavano a sconvolgergli gli orari e i luoghi degli appuntamenti era messo bene!
-Abbiamo cambiato, il supermercato è più vicino- rispose Frizzy con una scrollata di spalle.
Infatti, davanti al supermercato, buio a causa delle nuvole grigio piombo che oscuravano il cielo mai veramente azzurro, li aspettavano i restanti Gentiluomini.
-Alla buon’ora, ragazzi. Ve la siete presa con calma- commentò acido Ash, facendo scoppiare una bolla di chewingum.
-Andiamo a fare una sana passeggiata qui intorno?- Jake ignorò le occhiatacce di Ash. Tanto lo sapeva, il suo amico faceva sempre il bastian contrario, tutto acido e indisponente. Poi era una delle persone più buone che avesse mai conosciuto.
-Va bene, basta che non si metta a piovere. L’acqua rovinerebbe la mia pregiatissima giacca di pelle- sghignazzò Jeremy, saltando sullo skate.
Immediatamente gli altri lo imitarono a parte Charlie che rimase per un secondo interdetto. Lui non aveva ne bici ne skate. E per di più non ci sarebbe saputo andare. Stava per dire che lui era attualmente sprovvisto di mezzi di locomozione, quando sentì qualcosa di gelido prenderlo per la vita e piazzarlo su uno skateboard. Le mani lo tenevano sotto le braccia e lo skate partì scivolando silenziosamente sull’asfalto. Charlie si agitò immediatamente, perdendo l’equilibrio per la sorpresa. La presa sulla sua vita si fece più stretta, e lo skate si raddrizzò
-Se continui a muoverti in questo modo rischiamo di cadere entrambi, Charlie.
Quest’ultimo ebbe un tuffo al cuore quando sentì la voce di Jasper soffiargli quelle parole nell’orecchio. Notò solo in quel momento che le mani bianche dalle lunghe unghie nere che lo reggevano non potevano che essere quelle del capo.
-Oh, si scusa, io … non sono mai salito su uno di sti affari e … ma siamo sicuri che ci regga?- si stava rendendo molto ridicolo, ma essere letteralmente tra le braccia di Jasper faceva un certo effetto a tutti.
-Se stai fermo e non mi fai perdere l’equilibrio, sì, reggerà. Se no, no.
Charlie chiuse gli occhi, non prima di aver visto i Gentiluomini sfrecciargli davanti ridendo di gusto. E non capiva come mai Lui si era fatto carico del suo essere.
-Allora, Charlie, dimmi qualcosa di te.
-In che senso? Cioè, io … la mia vita non è molto interessante …
-Giudicherò io se è interessante, tu racconta. Mi piacciono le storie.
-Ok … allora, io sono nato qui il 23 ottobre del 1972, sono figlio unico, mio padre lavora al distributore di benzina e … studio sodo, imparo molte cose, sto cercando di racimolare una somma per poter andare all’università e … - tacque un attimo.
-Veramente lodevole Charlie, veramente lodevole. Piegati a sinistra.
Charlie ciondolò velocemente a sinistra, permettendo così a Jasper di girare.
Charlie osservò le mani del ragazzo che lo stringeva. Così pallide … le dita erano ricoperte di anelli di ogni genere, tutti pesanti, grotteschi, lucidi.
-Che belli i tuoi anelli … - sussurrò il ragazzino. Non seppe neanche il perché lo disse, siccome pensava assolutamente il contrario.
Jasper non rispose, ma a Charlie parve che ghignasse anche se non poteva vederlo in faccia; lo sentiva però sul collo il suo respiro freddo, che sapeva di fumo e di qualcosa di dolciastro che non sapeva ben definire. Inspirò forte il profumo che emanava Jasper, tentando di riconoscere qualche fragranza. Sapeva di sigaretta, di qualcosa di aspro e dolce contemporaneamente, sapeva di menta stantia e di qualcos’altro di indefinito. Di sicuro era qualcosa di gradevole per il naso del piccolo Charlie. Qualcosa di inebriante per le narici.
-Hai intenzione di rimanere tra le mie braccia ancora per molto?
Sussultò a sentire la sua voce suadente nell’orecchio, e si rese conto che erano arrivati ai piedi di grosse dune di sabbia ricoperte di arbusti. Arrossendo, sbarcò dallo skate, cosciente degli sguardi divertiti dei Gentiluomini.
Si guardò intorno. C’erano dune in ogni dove, basse e tappezzate di piante spinose. Le nuvole si inseguivano nel cielo e il vento secco della California sollevava tristi mulinelli di sabbia grigia. I Gentiluomini cominciarono a inseguirsi ridendo per questo paesaggio desolato, turbando la quiete cimiteriale di quel luogo. Tra le pietre, Charlie intravide una grossa vipera cornuta e si affrettò ad avvicinarsi al ragazzo più vicino. Lui aveva paura dei serpenti. Il ragazzo più vicino si rivelò essere Boleslawa. Charlie cercò di sorriderle e guardarla negli occhi. Rosso … che colore insopportabile.
Lei gli sorrise, passandogli una mano tra i capelli. A guardarla bene, al ragazzo venne in mente che non poteva non avere qualche malattia. Era uno scheletro.
-Aehm … - Charlie tentò i farsi venire in mente un argomento di discussione, anche se la sua fantasia si era prosciugata tutt’ a un tratto.
-Hai dei capelli bellissimi!- disse Boleslawa prendendolo a braccetto
-Cosa?! Ah, grazie … anche i tuoi sono belli … - nessuno gli aveva mai fatto un complimento simile. E poi che c’era di bello nei suoi capelli? Degli stupidi riccioletti marroni! Quelli di Boleslawa perlomeno anche se erano bianchi erano lunghi e lisci e setosi e …
-Beh, almeno tu hai i capelli colorati. Io neanche quello. Mi stufa il bianco.
Charlie la guardò con malinconia. In effetti non doveva essere bello non possedere un proprio colore, per quanto smorto fosse.
-Il bianco è inutile, non mi è mai piaciuto- la ragazza rise – Ma ci sono abituata oramai. Quanti anni hai, Charlie?
-Io ne ho 15 ma vado per i sedici, tu?
-Anche io. Li compio a dicembre. Siamo i più piccoli, sai?
-Ah, davvero? Perché gli altri quanti anni hanno?
-Tutti 16 tendenti ai 17. A parte Ash che ne ha quasi 18.
Charlie annuì, con un sorrisino
-Senti, non vorrei essere indiscreto ma … tu non sei americana. Cioè, intendo …
-Si, ho capito, tranquillo! No comunque, la mia famiglia viene dalla Polonia. Lo sai dov’è?
-Certo! È nella vecchia Europa, a est, vicino alla Russia.
-Ahaha, tu lo sai, ma quando lo avevo detto a loro, Jake pensava che fosse vicino alla Cina e Jeremy che fosse in Iran. Oh, e Frizzy diceva che confinava con il Canada!
Charlie fece tanto d’occhi. Ma che ignoranti!
-Beh, ti dicevo, io sono nata in Polonia, a Danzica, però quando ho compiuto otto anni i miei sono morti in un incidente e io e mia sorella siamo venute qui insieme a mia zia. Mi manca casa in realtà, ma ora ci ho fatto l’abitudine e mi sono affezionata a questo posto. Anche se vorrei tanto poter tornare a vedere come è mutato il mio Paese in questi anni.
-Ma quindi sai parlare il polacco!
-Certo che sì. In casa parliamo solo polacco. Vuoi prendere lezioni?- la ragazza rise di gusto.
Charlie scosse la testa sorridendo. Gli sembrava impossibile che una ragazza così potesse avere tanta gioia dentro.
Boleslawa guardò di furtivamente Charlie; era così strano quello lì, ma era tenero come un orsetto lavatore. Si accarezzò i capelli e sospirò. Lei odiava il bianco. Bianco era il suo gatto che aveva dovuto lasciare a casa, bianco era il mare nel porto di Danzica, bianche erano le pareti dell’ospedale dove erano morti i suoi genitori, bianco era il traghetto che l’aveva strappata alla Polonia e l’aveva lasciata nel Nuovo Continente. Bianchi erano i suoi orrendi capelli, la sua pelle. Bianco, senza colore, cancella tutto. Lei era bianca, lei che amava la vita le era toccato essere bianca come qualcosa di morto. Lei che amava il sole le erano toccati gli occhi rossi e l’albinismo che non le permetteva di stare alla luce. Lei che desiderava solo la libertà e la natura era relegata in un buco senza sole e senza niente. Dove vedeva bianco. I suoi incubi consistevano in tristi emanazioni di mostri bianchi dagli occhi rossi. Che pena di Tantalo quando il sole estivo spendeva bruciante lei doveva stare in casa dietro una tenda perché “il sole ti fa male tesoro mio, ricordalo, sei albina piccola stella non devi esporti troppo” le diceva sempre sua zia. Faceva male a Boleslawa  questo scherzo grottesco che la natura le aveva giocato; faceva così male che per combatterlo le si era presentata l’anoressia. Oh si, lo sapeva che il suo fisico già malaticcio veniva logorato ogni giorno di più dall’anoressia ma non le importava più di tanto. Una volta Jasper aveva detto “La vita è come una partita a scacchi. Vince chi, tra natura e uomo, è più scaltro  e veloce nel fregare l’altro.” Boleslawa aveva deciso di mettere in pratica questa frase. La vita le aveva giocato un brutto tiro, e lei gliene giocava uno ancora più brutto.
Scacciò questi tristi pensieri e si diresse di corsa verso i suoi amici,che si stavano arrampicando sulla collina.
-Ehi, Bolly, ti senti bene?- Jimmie Sue squadrò la sua migliore amica.
-Io? Benissimo Jim. Dai andiamo dagli altri!- Boleslawa acchiappò Jimmie e se la trascinò dietro. Sperò che i suoi occhi non la tradissero versando qualche lacrima inopportuna. Non voleva che gli altri si preoccupassero.
Jimmie Sue sapeva bene che ogni tanto i ricordi sopraffacevano Bolly e cercava da sempre di darle una mano. Anche per l’anoressia. Ci provava ancora, dopo due anni di lotte inutili. Ci provava per tutto, e le aveva anche promesso che un giorno l’avrebbe accompagnata in Polonia. Gliela aveva giurato una notte, quando Boleslawa piangeva per la terra perduta. Le aveva giurato che ci sarebbe tornata e Jimmie Sue si era ripromessa di prestar fede alla promessa. Un giorno l’avrebbe riportata a Danzica. Non importava quando, ma era sicura di farcela.
Mentre le due incominciavano la scalata, Charlie era impegnato a chiacchierare con Ash, persona che lui trovava di un certo livello di istruzione. Frizzy e Jeremy si limitavano a fare stupide gare in bicicletta ridendo di gusto. Jake e Jasper semplicemente osservavano dalla cima di una duna i loro amici.
-Allora, Jas, Charlie ti stava appiccicato come una patella?- Jake rise, accendendosi una sigaretta.
-E’ terrorizzato da tutto. Ti giuro Jacky, sembra spaventato dalla vita stessa!- Jasper si passò una mano nel cespuglio di capelli corvini sbuffando. Constatò che aveva troppi capelli, troppo sparati in aria, e troppo arruffati. Ah, e oramai gli cadevano completamente sugli occhi cosicché vedere la strada si rivelava più difficoltoso del previsto.
-E’ il prezzo da pagare per le novità. Comunque, volevo chiederti … ehi!
Jake si interrompe di scatto, tossendo per il fumo. Squadrò il suo amico che si stava facendo cadere in bocca delle piccole pastiglie bianche da una scatolina rossa e nera
-Cos’è?-  fissò Jasper con aria indagatrice
-Niente- il ragazzo si fece scomparire in tasca la scatolina.
-Jasper piantala con quella roba- Jake sospirò. Il suo viso assunse una smorfia stanca
-Senti da che pulpito viene la predica.
Gli occhi di Jasper cominciavano a diventare offuscati.
-Non è questo il punto Jas, lo so anch’io di non essere un santo ma …
-Stai zitto per favore Jake. Zitto. Non parlare.
Jasper lo fissò con aria triste. Jake soffiò un po’ di fumo nell’aria, si alzò e tese una mano all’amico
-Capito l’antifona. Andiamo?
Jasper gli prese la mano, si fece tirare in piedi mugolando e i due si avviarono ondeggiando giù per la duna, illuminati dal sole esangue, sollevando ad ogni passo una nuvoletta di sabbia marroncina.
  
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