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Autore: GiulsM_96    06/01/2015    0 recensioni
Vi è mai capitato di posare lo sguardo su qualcosa che vi ha riportato alla mentre ricordi passati?
Ebbene a me si...mi ha ricordato quella ragazza, quella che sul pullman si sedeva sempre accanto a me, quella che mi ha fatto compagnia in quattro anni di ritorno da scuola, colei che mi ha impedito di essere solo, il tutto rivolgendomi solo due parole, ogni giorno -è libero?-
Rivederla mi ha fatto capire che non è vero che il passato non ritorna, e che le cose più belle della vita sono racchiuse nei piccoli gesti della nostra noiosa routine.
Genere: Fluff, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Taciti compagni di bus

Ci sono volte in cui il tuo sguardo si posa su qualcosa, totalmente a caso, e nella tua mente comincia a farsi strada un intricato groviglio di ricorsi. A voi non è mai capitato?
Io ero seduto nel bar che gestisce la mia fidanzata, come tutte le mattine, e stavo bevendo il mio consueto caffè macchiato, quando dalla porta entrò una donna facendo tintinnare il campanello appeso di fianco all’insegna. Un bambino le teneva stretta una mano e nascondeva il nasino gocciolante e arrossato dal freddo nella manica del cappotto di lana.
Un sorriso solcò le mie labbra e ripresi a sorseggiare il caffè guardando fuori dalla vetrina.
-Che vi servo?- chiese la mia ragazza alla donna e al bambino.
-Per me un espresso, e porti un succo alla pera per lui.-
-Certo, volete accomodarvi?-
-Volentieri!-
La donna si sedette nel tavolino davanti al mio e il bambino la seguì salendo sulla sedia con le ginocchia. -Mamma, mi prendi un cioccolatino?-
-Vedremo, se fai il bravo!-
La mia ragazza arrivò portando il richiesto alla coppia. –A voi-
-La ringrazio. Matteo, cosa si dice?-
-Grazie signora!-
-Prego.-
Prima di cominciare a bere il caffè la donna si tolse il pesante cappotto nero e lo appoggiò sullo schienale ricurvo della sedia; e fu allora che lo vidi. Il suo ciondolo a forma di libellula, con al centro il diamantino blu e i brillanti azzurri sulle ali. I ricordi mi assalirono come un’onda anomala e mi riportarono indietro a quindici anni fa, ad un pullman delle ore 13.40  e ad un posto sempre vuoto di fianco a me.

 
Tutti i pomeriggi la stessa storia, sempre la stessa routine. Alle 13.35 arrivava il pullman e c’era la lotta per salire e prendere i posti, restare in piedi non era un’idea concepita. Io salivo sempre quasi per ultimo, non avevo voglia di immischiarmi in quella rumorosa ressa, ne di prendermi spintoni per un posto che tanto alla fine c’era per tutti.
Io andavo a scuola in una città piuttosto lontana da dove abitavo, quindi non eravamo in molti a prendere quel bus. Partiva dalla stazione e dopo essere passato per due paesi entrava nel mio, lasciandomi alla solita e grigia fermata in Via Volta, sotto un gabbiotto di metallo arrugginito che, in teoria, avrebbe dovuto proteggere dalla pioggia.
Alle ore 13.40 il pullman partiva dalla stazione e percorreva le affollate strade cittadine per fermarsi ad altre due fermate prima di iniziare il suo percorso verso i paesi; ed era proprio all’ultima fermata che saliva lei.
Una ragazza bassa e magrolina con una lucida chioma castana e due occhi da cerbiatto. La prima volta che la vidi salire era il…sesto giorno di scuola della prima liceo. Lei salì guardandosi attorno per cercare un posto vuoto, per poi sedersi rassegnata sui gradini del bus. L’autista accortosi del posto libero di fianco a me la invitò ad accomodarsi, lei mi si avvicinò e garbatamente mi porse la più semplice delle domande –è libero?- io annuii e tolsi il mio zaino nero dal sedile, poggiandolo tra le gambe per farla accomodare; lei sorrise e si sedette togliendosi lo zaino bianco e verde dalle spalle.
Accadde lo stesso il giorno dopo, e quello dopo ancora, e così via per tutti i giorni.
Una volta la vidi estrarre il libretto scolastico e scoprii che frequentava il secondo anno al Boccaccio, un liceo classico, quindi aveva un anno più di me.
Ricordo ancora la sua fermata, era la seconda nel paese prima del mio…esattamente in via Dante Alighieri, di fianco al negozio del ferramenta.
Ogni giorno lei saliva, si sedeva e scendeva, non parlavamo mai, le uniche parole erano – Posso?-
-certo!-
Poi io infilavo le cuffiette nelle orecchie e lei prendeva il suo libro dallo zaino e iniziava a leggere. Il primo che le vidi in mano fu il “De ira” di Seneca “Con traduzione e commento”, non potei non sorridere, una studentessa del classico che leggeva Seneca era come uno studente delle scienze umane che leggeva Freud o uno che studiava per diventare geometra che si metteva a leggere il “De architectura” di Vitruvio…troppo normale per essere preso sul serio.
Passarono i giorni e gli anni, ma le abitudini non cambiarono. Lei saliva, mi domandava se il posto era libero e si sedeva leggendo, ormai chiedeva per cortesia, ma sapeva che quel posto al mio fianco era sempre libero per lei. Eravamo tacici compagni di bus.
Quando lei era assente ricordo che mi sentivo solo, e so che anche per lei era così perché un giorno, l’indomani del mio periodo d’assenza per malattia, lei si sedette dicendomi –per fortuna sei tornato, iniziavo a pensare che avessi cambiato scuola- non lo diedi a vedere, ma in quel momento provai un’immensa gioia,  senza saperne neanche il motivo.
Una volta mi accorsi del ciondolo a forma di libellula che portava al collo, era piccolo ma donava particolarmente sul suo collo sottile; ovviamente non le lo dissi mai.
Averla accanto al ritorno da scuola era l’abitudine, un’abitudine che fui costretto a perdere il mio ultimo anno.
Lei aveva concluso la scuola, ma io dovevo ancora affrontare il mio anno più impegnativo.
Altre persone mi domandarono –è libero?- e la mia risposta fu sempre –Certo!- ma ogni volta era una persona diversa. Mai nessuno fu come lei, nessuno riuscì mai a prendere il suo posto e quello dei suoi libri troppo colti per me.
Non la rividi mai più e mai conobbi il suo nome.

 
Eppure ora avevo davanti quel ciondolo. Alzai lo sguardo verso il viso della sua proprietaria e sorrisi d’impulso. Gli stessi capelli scuri, gli stessi occhi profondi. Avrei voluto avvicinarmi e domandarle –è libero?- ma magari lei non si ricordava neanche di me, preferii non rischiare.
Gettai uno sguardo all’orologio che segnava le 8.35. Mi alzai e mi avviai al bancone del bar.
-Amore, io vado al lavoro, ci vediamo stasera.-
-Certo caro, buon lavoro!-
-Grazie-
Mi baciò e io mi allontanai, ma non prima di aver afferrato qualcosa dal contenitore sul bancone. Passai di fianco alla donna e al bambino, lasciando sul tavolino un piccolo cioccolatino dalla carta dorata. Richiusi la porta del bar alle mie spalle ricambiando il sorriso riconoscente del bambino e quello sorpreso della madre…forse non mi aveva dimenticato.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Note dell’autrice:
Ciao, volevo cimentarmi in una OS un po’ più tenera prima di iniziare la serie che avevo in mente.
Questa storia mi era venuta in mente mentre tornavo a casa sul pullman e pensavo che molti dei volti che sono abituata a vedere dall’anno prossimo non ci saranno più…o meglio io non ci sarò più (spero) e mi chiedevo se mai qualcuno di loro si ricorderà del mio volto.
So che non è un capolavoro di OS, ma spero comunque di avervi fatto piacere. :)
Se ci sono errori di battitura fatemi sapere!
Giuls

   
 
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