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Autore: difficileignorarti    06/01/2015    2 recensioni
Si rigirava tra le mani quei due anelli, senza sapere cosa pensare.
Era tornato a casa e li aveva trovati abbandonati, sul tavolino d’ingresso e di Emmeline non c’era più traccia: sembrava sparita nel nulla, proprio come aveva fatto lui l’anno precedente.
Non c’erano più i suoi vestiti e nemmeno quelli della bambina: aveva portato via tutto e se n’era andata e davvero non sapeva cosa pensare e fare.
***
Los Angeles non sembrava più la stessa senza la donna che amava: stava pensando di andarsene anche lui, cambiare aria, cambiare città, cambiare addirittura Paese, magari sarebbe potuto andare in India.
La sua vita era cambiata dalla sparizione di Emmeline e il rapimento della piccola Arabella.
A proposito, che fine ha fatto la loro bambina?
Sequel de "Gli stessi di sempre")
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Tom Kaulitz, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Le braccia di Tom stavano continuando a stringerla, non aveva nessuna intenzione di lasciarla andare, non proprio quando l’aveva ritrovata: Emmeline stava ancora piangendo, aggrappata alle sue spalle.

Bill li stava osservando dalla sua posizione: non poteva ancora credere che la ragazza se ne fosse andata, non poteva credere che avesse messo in pericolo la sua vita, quella di Tom e quella della loro bambina, e non solo, perché anche lui e Georg stavano rischiando grosso.

Si alzò, avvicinandosi ai due, ricevendo un’occhiataccia da parte di Georg: lo voleva invitare a non avvicinarsi, a non interrompere il loro ritrovo, ma Bill se ne fregò altamente, prendendo Emmeline per un braccio, staccandola dalle braccia di Tom con violenza.

«Tu forse non ti rendi conto del casino che stai combinando!» le gridò in faccia, spaventandola a morte: in tutti quegli anni, non l’aveva mai visto così arrabbiato e furioso. «Tu e la tua pazzia state mettendo a rischio la vita di tutti noi, compresa quella di tua figlia!» continuò, guardandola negli occhi.

Emmeline si portò una mano alla bocca, riprendendo a singhiozzare violentemente: chiuse gli occhi e si fece piccola, in un angolo di quella stanza, anche se lo sapeva, faceva male sentirselo dire.

Tom si mise davanti a lei, volendola proteggere dalle accuse di Bill e dal suo tono di voce troppo alto per i suoi gusti.

«Non ti permettere di alzare la voce in questo modo» disse con calma, tanta calma, guardandolo malissimo.

Il moro chiuse gli occhi non appena sentì un altro singhiozzo scappare dalle labbra della donna che amava: non appena li riaprì, guardò Bill, e con uno sguardo lo intimò a uscire.

Georg vedendo lo sguardo del moro, prese Bill per le spalle, costringendolo ad allontanarsi e a uscire: quando entrambi furono fuori, Tom si voltò verso Emmeline e la vide rannicchiata sul pavimento, le braccia strette intorno alle ginocchia, la testa nascosta tra le braccia.

Il cuore gli si fermò vedendola così, gli faceva così male vederla così.

Si abbassò sulle ginocchia, preoccupato, non sapendo come e cosa fare: posò l’indice sotto il suo mento, obbligandola, nel modo più dolce possibile, a guardarlo.

«Non piangere, piccola» mormorò piano. «Non ascoltare quello che ha detto Bill, non è vero, non è colpa tua, tu non c’entri niente» le disse, ma lei allontanò il suo tocco, e si alzò dal pavimento, appoggiandosi al muro.

«No, Tom! Bill ha ragione!» si passò una mano tra i capelli, fissandolo. «Anche tu dovresti essere incazzato con me! Non dovresti nemmeno essere qui!» gli disse e Tom fece una smorfia, scuotendo poi la testa.

«Ero incazzato con te quando te ne sei andata, ho passato dei giorni d’inferno, ti ho detto cose di cui mi sono pentito, e sono contento di essere qui, con te, dobbiamo riportare a casa la nostra bambina, non te lo lascerò fare da sola!» abbaiò, spaventandola. «Hai capito?» abbassò poi la voce, pentendosi di averle urlato contro, non avrebbe dovuto. «Mi dispiace, piccola» aggiunse piano, allargando le braccia, invitandola ad avvicinarsi: voleva stringerla di nuovo.

Ma lei non ci pensò nemmeno, non voleva: le faceva male vederlo così ferito, con tutti quei lividi, quei tagli, si sentiva in colpa.

«Emmeline, piccola, vieni qui» mormorò con voce strozzata, ad occhi sgranati, ma lei negò con la testa, appiattendosi ancora di più contro il muro. «Amore mio, per favore» provò con più dolcezza.

Nemmeno Emmeline sapeva perché si stava comportando in quel modo: il ragazzo davanti a lei era l’uomo che amava e lei lo stava guardando come se avesse paura, o lo evitava totalmente.

Chiuse gli occhi, volendosi lasciare scivolare giù, di nuovo, sul pavimento, ma Tom la bloccò prima, prendendola in braccio: la sentì fremere e gemere tra le sue braccia, come a voler protestare.

La portò in bagno e la fece appoggiare sul bordo della vasca, prima di aprire l’acqua calda e rovesciare del bagnoschiuma: spostò lo sguardo sul viso della donna che amava.

Aveva smesso di singhiozzare, ma i suoi occhi non smettevano di lacrimare: lo fissava, da vicino, come non faceva da tempo, si perdeva nei suoi occhi. Era così bello.

Portò una mano sul suo viso, passandola sul livido che si stava formando sulla sua guancia, ma la ritrasse ad occhi sgranati non appena lo vide chiudere gli occhi e trattenere un gemito strozzato.

«No» mormorò lui, riprendendo la sua mano: ne baciò le nocche, mantenendo lo sguardo bloccato nel suo. «Non sai quanto mi è mancato il tuo tocco nelle ultime settimane» continuò. «I tuoi baci, la tua sola presenza» aggiunse piano. «Mi sei mancata da morire e non voglio vederti mai più andare via» le sorrise dolcemente, vedendola ricambiare con una smorfia.

Chiuse l’acqua, e iniziò a spogliarla lentamente, senza mai abbondare i suoi occhi e poi la invitò ad entrare nella vasca, prima di liberarsi dei jeans e raggiungerla, mettendosi dietro di lei, stringendola al suo petto, donandole dei baci sulla nuca, cercando di evitare le fitte di dolore che sentiva nei punti in cui Ben lo aveva colpito: quel momento non poteva essere interrotto.

Appoggiò il mento sulla testa della ragazza, chiudendo gli occhi, beandosi del tocco leggere delle mani di Emmeline sulle sue cosce magre.
«Mi sento in colpa» la sentì mormorare dopo un tempo infinito. «Mi fa male vederti  con tutti quei segni addosso, perché so per certo che la causa sono io e non volevo» aggiunse subito dopo, mordendosi il labbro inferiore.

«Tu lo sai che per te morire, amore» sussurrò al suo orecchio con voce roca. «Tutto questo non è niente, è doloroso, sì, ma non m’importa» le disse.
La ragazza sospirò, lasciando cadere la testa sulla spalla del ragazzo, mentre lui la strinse a sé, con possessione e amore.

«La nostra bambina è bellissima e ti assomiglia sempre di più, lo sai?» gli disse e poté sentire bene il cuore del ragazzo battere più forte.

«L’hai vista?» mormorò con tono strozzato.

Lei si limitò ad annuire, sistemandosi meglio contro di lui, stendendo le gambe.

«Oggi, dopo due mesi» ricordò con un sorriso il viso della sua piccola. «E sono sicura che non vede l’ora di rivederti» voltò il viso, trovando quello di Tom inondato dalle lacrime e un sorriso aleggiava sereno sulle sue labbra.

Si spostò leggermente, per poter arrivare alle sue labbra e sussurrargli un semplice “ti amo”.


 
***


Le accarezzava distrattamente la schiena nuda da sotto la maglietta che stava indossando: l’aveva costretta a rimanere con lui, perché stare in due camere, quando potevano dividerne una?

Emmeline dormiva placidamente a pancia in giù, con il viso rivolto verso di lui: probabilmente era la prima notte che dormiva così a lungo e lui se ne stava lì a guardarla e ad accarezzarla.

Più la guardava e più s’innamorava. Aveva tagliato i capelli, ma era sempre bellissima, il suo viso non era cambiato per niente, era lo stesso di quando l’aveva conosciuta, di quando, per sbaglio, le aveva tirato quello schiaffo. E nonostante quello, lei si era innamorata, gli aveva dato una speranza, gli aveva fatto capire cos’era l’amore, come ci si sentiva ad essere importante per qualcuno, gli aveva fatto capire chi era veramente, gli aveva dato una nuova vita, gli aveva dato una figlia.

Si morse il labbro inferiore, cercando di trattenere le lacrime: spostò le carezze sul suo viso, spostandole i capelli, liberandole il viso. Sorrise tristemente, baciandole una guancia.

«Ti amo, piccola mia» mormorò sulla sua fronte. «Ti prometto che sarete al sicuro, sarete felici, vedrai» continuò, pregando che non lo sentisse.

Aveva una dannata paura, ne aveva davvero tanta, come non aveva mai avuta in tutta la sua vita: ma non aveva paura di morire, quello lo sapeva, soprattutto se poi la sua famiglia sarebbe stata al sicuro. Ma aveva paura di lasciarle sole, aveva paura per come sarebbe andata a finire quella storia, aveva paura di non essere quello che avrebbe battuto Liam, aveva paura di non essere abbastanza forte per batterlo. Aveva paura.

Si alzò dal letto, staccandosi dal suo corpo caldo, cercando di non svegliarla, voleva lasciarla riposare, e andò in bagno, chiudendosi piano la porta alle spalle: si appoggiò al muro e si lasciò scivolare sul pavimento, prima di piangere silenziosamente, cerando di trattenere i singhiozzi, cercando di non svegliare Emmeline, non voleva farla preoccupare ulteriormente, perché aveva già troppi pensieri per la testa.

Aveva bisogno di sfogarsi, di esternare le sue emozioni, le sue paure, tutto quello che sentiva e sapeva di non poterlo fare davanti ad Emmeline: voleva mostrarsi forte, senza paure, ma anche se in cuor suo immaginava che la ragazza sapesse che lui non era fatto di ferro, sapeva quanto in realtà fosse fragile dentro.


 
***  


Emmeline stava accarezzando distrattamente i capelli di Tom, addormentato su di lei: era aggrappato a lei, come se fosse la sua àncora, o perché non voleva che scappasse di nuovo, ma la mora non aveva nessuna intenzione di abbandonarlo di nuovo, non voleva e non l’avrebbe fatto.

L’aveva sentito piangere quella notte, anche se si era chiuso in bagno, lei si era svegliata non appena l’aveva sentito allontanarsi: le si era stretto il cuore e  si era morsa talmente forte il labbro per non scoppiare a piangere di nuovo.

Posò le labbra sulla sua fronte, baciandolo più volte, continuando a bearsi della sua stretta protettiva e possessiva.

Sussultò quando sentì qualcuno provare ad aprire la porta e cominciò a tremare violentemente, svegliando Tom: gli occhi socchiusi, cercando di capire cosa stesse succedendo, le sopracciglia aggrottate, mentre intrappolava il corpo di Emmeline sotto al suo.

Riconobbe il profilo di Georg, non appena la porta fu aperta, quindi tornò a rilassarsi sul corpo della ragazza, chiudendo nuovamente gli occhi, sospirando pesantemente.

«È solo Georg, piccola, rilassati» mormorò sulla pelle del suo collo, provocandole milioni di brividi, mentre cercava di tranquillizzare il respiro.

Fulminò Georg non appena entrò, ma quando si accorse della presenza di Bill, si fece piccola e cercò di nascondersi contro Tom: quello che le aveva urlato in faccia àncora le bruciava, le faceva male, anche se lei pensava le stesse cose.

Il ragazzo riaprì gli occhi, cercando di capire perché Emmeline si stesse nascondendo contro di lui, osservandola preoccupato, ma poi capì: quando il suo sguardo trovò quello di Bill, sospirò pesantemente.

Quello era il suo migliore amico e lei ne era praticamente spaventata: capiva come si sentisse in quel momento, sapeva che faceva male sentirselo dire, ma era inutile comportarsi in quel modo. In quel momento, soprattutto.

«Piccola, per favore, non nasconderti» mormorò al suo orecchio, passando una mano sulla sua schiena. «Non succederà nulla, vedrai, ci sono io con te» sussurrò, mentre i due ragazzi si accomodavano sul piccolo divano presente in quella stanza. «Chi ti ha dato le chiavi?» si rivolse poi a Georg, squadrandolo da capo a piedi.

Il ramato alzò le spalle, appoggiando un sacchetto sul pavimento.

«Le chiavi sono tutte uguali, quindi» si giustificò, mentre Emmeline grugnì contro la sua spalla: che razza di motel aveva le chiavi delle stanze tutte uguali? Non si poteva nemmeno stare sicuri in un posto come quello, accidenti! «Ma abbiamo portato la colazione! Caffè e ciambelle ripiene di cioccolato!» aggiunse con un sorriso, che solo Tom vide.

Il moro si distaccò dal corpo della sua ragazza e si alzò dal letto, non curandosi di indossare solamente un paio di pantaloni vecchi e usurati: raccolse il sacchetto e ne tirò fuori un bicchiere di caffè e un latte macchiato con cioccolato, più due ciambelle.

Soddisfatto ne addentò una, tornando a letto, lasciando il latte nelle mani della ragazza, assieme alla ciambella: Emmeline accettò volentieri, sentendo il suo stomaco brontolare rumorosamente, provocando le risate generali.

Azzardò a lanciare uno sguardo a Bill, che le stava sorridendo dolcemente e con gli occhi le stava chiedendo scusa: glieli sapeva leggere bene, erano come un libro aperto per lei.

«Mi dispiace, Em» mormorò poco dopo, cogliendola di sorpresa. «Mi dispiace di averti urlato contro, ma sai quanto ci tengo a te, e saperti in questa situazione, bè, mi ha spaventato e fatto arrabbiare allo stesso tempo» spiegò, scusandosi nuovamente.

Emmeline rimase zitta qualche istante, poi abbandonò il cibo che aveva tra le mani e si alzò, sentendo l’aria fredda colpirle le gambe nude e, velocemente, si avvicinò a Bill, accoccolandosi su di lui, lasciandosi stringere da quello che era il suo migliore amico.

Tom sorrise dolcemente osservandoli, anche se sentiva la gelosia crescere di minuto in minuto: sì, Bill era il migliore amico di Emmeline, ma era pur sempre un ragazzo quello che la stava stringendo e toccando e lui non lo tollerava.

«Piccola, vieni qua» brontolò, qualche istante dopo, facendo piegare in due dalle risate Georg, che si stava trattenendo. Anche Emmeline sorrise, passò le mani tra i capelli di Bill, sussurrandogli un “non preoccuparti” e si alzò, per tornare sul letto, al caldo, vicino a Tom, che avvolse le sue lunghe braccia intorno al corpo della ragazza.

«Cosa vi ha spinti a venire qui?» mormorò curiosa: nessuno glielo aveva ancora spiegato, anche se immaginava che qualcuno sarebbe andato a cercarla.

«Portare a casa te e vostra figlia, Emmeline, più semplice e chiaro di così» spiegò il biondo, sorridendole appena. «Quello che ha fatto un po’ di storie è stato Georg» lo indicò col pollice. «"Ho una fidanzata da proteggere"» lo scimmiottò, imitandolo, facendo ridere la ragazza, che si bloccò dopo qualche istante, ripensando a quello che aveva appena detto Bill.

«Fidanzata?» mormorò, assottigliando lo sguardo, puntandolo su Georg che deglutì. «Hai, per caso, chiesto a Ellen di diventare tua moglie?» continuò e il ramato alzò entrambi i pollici, in segno di approvazione, non sapendo, esattamente, come interpretare le parole della ragazza: sembrava così minacciosa.

«Oh mio Dio!» urlò, divincolandosi, di nuovo, tra le braccia di Tom: voleva stringere Georg in un abbraccio e ci riuscì alla grande, stritolandolo. «Sappi che voglio essere la damigella!» lo minacciò, puntandogli un dito contro. «Devo parlare con Ellen!» continuò elettrizzata: era felice come una bambina il giorno di Natale.

«E poi devi sposarmi» la voce di Tom la riportò sul pianeta Terra.

Si costrinse a voltarsi e a guardarlo, trovandolo seduto al centro del letto, con un sorriso dolce sulle labbra, quel sorriso che lei amava da impazzire, e nei suoi occhi poteva leggere tutto l’amore che provava.

Non ci pensò due volte e tornò tra le sue braccia, facendo unire le loro labbra in un bacio passionale, bisognoso, ma pieno di amore.

Nel momento in cui si staccarono, Em posò la fronte su quella del ragazzo, respirando il suo profumo, inalando il suo respiro, si morse il labbro inferiore e aprì gli occhi, trovandosi davanti a quelli color cioccolato di Tom.

«Non vedo l’ora» mormorò piano, sorridendogli.


 
***


Quando Tom andò ad aprire la porta, aveva ancora i capelli umidi dalla doccia, e non indossava nemmeno una maglia: Emmeline dal suo posticino vicino al termosifone, stava rabbrividendo per lui e si strinse ancor di più nella sua felpa abnorme.

Gustav dall’altra parte della porta, alzò un sopracciglio alla vista del moro: Tom lo invitò a entrare, prima di mettersi anche lui una felpa pesante.

«Quelli erano un bel regalo di benvenuto?» chiese il poliziotto, alla vista dei tagli e dei lividi. «Ciao, Emmeline» mormorò poi, lanciando un sorriso alla ragazza.

Emmeline alzò una mano, non aprendo bocca, però gli sorrise: da una parte era felice di vederlo, ma dall’altra, stava morendo di paura; cosa sarebbe successo?

«Una bella festa di benvenuto, già, mi fa ancora male tutto» mormorò Tom, accendendosi una sigaretta, stravaccandosi sul divano, affianco ad Emmeline che, con molta gioia, si strinse forte a lui, cercando il suo calore. «Ma erano mal organizzati, mi sono fatto valere lo stesso, Ben è stupido» disse e un sorriso nacque sulle labbra della mora.

«Ben?» chiese Gustav, sedendosi su una poltrona. «Volete raccontarmi qualcosa? Così posso aiutarvi meglio» spiegò.

«Fa strano non vederti in uniforme» ridacchiò Tom, contagiandoli. «Ben lavorava con Emmeline, a Los Angeles, ci provava con lei, ma poi sono tornato io, mandando all’aria tutti i suoi piani» la mora strinse la mano libera del ragazzo, sentendo poi le sue labbra sulla tempia. «E l’ho allontanato da lei, prima con le buone e poi con le cattive maniere, perché continuava a girarle intorno come una cagnolino e questo mi infastidiva parecchio» brontolò, mentre Gustav alzò un sopracciglio, osservandoli.

«In che senso?» chiese, aggrottando poi le sopracciglia.

«L’ho minacciato di morte e gli ho tirato un pugno, visto che con le parole non l’ho convinto abbastanza» sbottò, aspirando un altro po’ di nicotina: riusciva sempre a calmarlo.

Gustav ridacchiò, scuotendo la testa.

«Sta facendo squadra con Liam» mormorò Emmeline, appoggiandosi alla spalla di Tom. «Mi ha portata in una casa, ho rivisto mia figlia dopo due mesi» continuò.

«Una casa? Dove?» mormorò, tornando serio. «Da quanto sei in contatto con lui, Emmeline?» chiese duramente, facendo alzare lo sguardo a Tom: nessuno poteva rivolgersi così alla sua donna, non in sua presenza.

«Da un po’, a dir la verità» mormorò in imbarazzo. «Quel porco ha mia figlia da due mesi e io voglio solo riportarla a casa» continuò, portando lo sguardo sul poliziotto. «Ha chiamato, una notte, dicendo che se avessi voluto rivedere Arabella, sarei dovuta tornare qui e fare tutto quello che voleva» spiegò, ricordando quella telefonata. «Ci siamo incontrati su una collina, la prima volta che sono tornata, mi ha minacciata con un coltello, ma non mi ha mai detto quello che voleva» aggiunse, sentendo Tom stringerla più forte. «Ci siamo visti un altro paio di volte, mi diceva che ero una stupida a stare con lui» indicò Tom con un dito. «Mi diceva che nostra figlia non aveva niente di me, ma che era disposto a crescerla ugualmente, con me» chiuse gli occhi, tremando. «Lui vuole uccidere Tom, terminare quello che aveva provato a fare lo scorso anno» mormorò trattenendo le lacrime.

«Non succederà, Emmeline, non lo permetterò» le disse Gustav. «Puoi dirmi com’era la casa? Dove ti hanno portata?» le chiese.

«Ben mi ha bendata, non so dove siamo andati» disse, giocando con le dita del ragazzo. «Mi ha tolto la benda una volta dentro la casa, scura, vecchia, abbandonata, c ‘era polvere ovunque, non ne ho mai vista così tanta, era tutto buio» disse piano. «Ma quando mi ha portato da mia figlia, sembrava di essere in tutt’altro posto, tutto nuovo, ben arredato, pulito, luminoso» continuò. «Con lui c’era una donna, mora, di mezza età, non l’ho mai vista, non le ho chiesto chi fosse, volevo solo stringere mia figlia tra le braccia» scosse la testa, riappoggiandosi sulla spalla del ragazzo che, nel frattempo, si era acceso un’altra sigaretta: ne era proprio dipendente, accidenti!

«Okay, sì, lo capisco, è normale per una madre» le sorrise, rassicurandola. «Nel caso vi contatti ancora, fatemelo sapere, non aspettate, non fate niente da soli, non riporterete mai a casa Arabella» spiegò. «Manderò degli agenti in borghese per controllarvi, perché sono sicuro che, postati qui fuori, ci siano gli uomini di Liam, ben nascosti» spiegò e la mora si sentì morire dentro. «Non è per spaventarvi, ma è la realtà, Liam non è stupido» aggiunse.

Gustav si alzò, più o meno soddisfatto di quello che gli avevano raccontato.

«Faremo di tutto per riportare la vostra bambina a casa, avrete una vita felice dopo» sorrise loro, uscendo da quella camera.

«Ti amo, piccola mia» mormorò Tom, posandole un bacio dolce sulla guancia.

La mora non disse niente, rimase con lo sguardo fisso nel vuoto: si stava pentendo di tutto, tutto quanto, tutto quello che aveva fatto negli anni precedenti, tranne incontrare Tom, innamorarsi di lui e avere una figlia. Quello lo rifarebbe di nuovo, senza pensarci. Ma tutto il resto, conoscere Liam, farlo entrare nella sua vita, conoscere Ben, permettergli di avvicinarsi troppo a lei, quello vorrebbe cancellarlo. Come voleva cancellare tutto quello che c’era stato nella sua vita, tutto il dolore inutile che aveva provato, anche se l’aveva resa più forte.

Un pensiero la colpì velocemente, investendola: era tutta colpa sua, solo sua e di nessun’altro.


 
***


Liam stava guardando Ben con diffidenza: l’aveva preso a lavorare con lui, ma non si fidava per niente.

Spostava lo sguardo dalle foto che il ragazzo gli aveva portato, a Ben: Emmeline davanti alla stanza di Tom, un poliziotto che entrava e che usciva da quella camera.

«C’erano altri due ragazzi con Tom» sbottò Ben, lanciandogli un’altra foto che, Liam prese al volo, senza troppa preoccupazione e poi ridacchiò.

«Guarda, guarda, questo stronzo è ancora in circolazione!» ridacchiò, picchiettando l’indice sul volto di Bill. «Questo idiota non è voluto entrare in società con me, quando eravamo marmocchi, e se n’è andato, è sparito, ma ora è tornato» spiegò a Ben, come se poi gli interessasse qualcosa. «Si chiama Bill, era più una femminuccia che un maschio, ma sembrava sveglio, intelligente, mentre questo è Georg Listing, migliore amico di Tom, fidanzato ufficialmente con la migliore amica di Emmeline» sorrise maleficamente, alzando lo sguardo su Ben.

«Cosa vuoi che faccia?» chiese automaticamente.

«Ci sono degli sbirri appostati a quel motel, vero?» chiese e il ragazzo annuì. «Bene» si stese meglio sulla sua sedia girevole, sorrise in modo malvagio, prima di alzarsi di scatto, facendo saltare sul posto Ben. «Portami qui quella puttana di Emmeline, del resto ce ne occuperemo dopo» ringhiò.


 
***


Emmeline sospirò, appoggiandosi meglio alla spalla di Tom: cercava di non pensare troppo, ma non ci riusciva, era sovrappensiero da quando Gustav era uscito da quella camera, e il moro se n’era accorto, anche se stava zitto, solo, non voleva peggiorare la situazione.

Le carezzava un fianco con distrazione, fissando il muro davanti a lui, un braccio sotto la testa: anche lui voleva riabbracciare la sua bambina, proteggerla da tutto, renderla felice. Emmeline diceva che si ricordava di lui, ma in quel momento, Tom, ne stava dubitando altamente: due mesi che non lo vedeva, come faceva a ricordarsi? Ea così piccola. La sua piccola.

Si sporse per posare un bacio sui capelli della mora: voleva dirle così tante cose, ma non aveva il coraggio di parlare. La guardava rimanere immobile affianco a lui, mentre la sentiva tracciare dei disegni astratti sul suo petto nudo, e la sentiva pensare. Riusciva a percepire il rumore dei suoi pensieri e di tutto quello che le stava passando per la testa.

Non voleva disturbarla, così si limitava a coccolarla, a farle capire che lui c’era e che sarebbe rimasto con lei, sempre.

Quello che successe dopo, non se lo sapeva spiegare nemmeno lui: quattro uomini entrarono in quella stanza, distruggendo la porta, strappandogli Emmeline dalle braccia, prendendola di peso, mentre altri due lo tenevano fermo, immobile, con una mano sulla bocca, impedendogli di gridare.

Li guardò portare via la donna che amava. Li guardò portare via la madre di sua figlia come se fosse un sacco di patate. E lui era lì, immobile, impotente, senza la capacità di fare qualcosa.

Sentì le lacrime inondargli gli occhi e tutte quelle paure che sentiva addosso, ora si erano unite, erano diventate una e Tom la stava vivendo.





 
********

 
Buon anno e buona befana! 
Come avete passato le feste? Spero vi siate ingozzate per bene, ma spero anche che vi siate divertite (parlo al femminile, sì, non sono molto sicura che dei maschietti leggano questa storia o.o)
Le mie sono state feste tranquille, forse anche troppo: okay, non interessa a nessuno.
Questo è il capitolo, che ne pensate? Il ritrovo della coppia tanto amata a inizio capitolo, la separazione dei due a fine capitolo.
Ovviamente mi aspetto le vostre recensioni, anche per sapere cosa ne pensate: la scorsa volta sono stata molto sorpresa di trovare 3 recensioni, non succedeva da secoli, wow.
Mi scuso in anticipo se ci sono errori grammaticali o fonetici!
Comunque, direi che posso anche andarmene ora, spero che il capitolo vi piaccia e ci vediamo al prossimo! (non so quando, cercherò di non farvi aspettare troppo, però).

ps. in bocca al lupo a tutte quelle ragazze che domani ricominciano la scuola (non so se invidiarvi o meno)!

un abbraccio e un bacio,
difficileignorarti.

Se volete conoscermi, fare domande, se avete curiosità (su di me o sulla storia o su quello che voglio postare in futuro perchè, sì, ho delle idee) potete trovarmi qui, mi farebbe davvero piacere conoscere le mie lettrici! 


 
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