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Autore: gingersnapped    06/01/2015    2 recensioni
“Respira. Quando non respiri, non pensi.”
Le sue parole l’avevano colpito. Quelle stesse parole, pronunciate dalla sua piccola bocca in un giorno assai lontano da quello, ma chiare come se le avesse pronunciate qualche istante prima, risuonavano nella testa di Hiccup. La ricordava ancora davanti a lui, i lunghi riccioli rossi che si muovevano con la lieve brezza del vento, l’arco (il suo arco) in mano, gli occhi acquamarina sorridenti. Sembrava così lontana in quel momento.
Genere: Avventura, Commedia, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hiccup Horrendous Haddock III, Jack Frost, Merida, Rapunzel, Un po' tutti
Note: Otherverse | Avvertimenti: nessuno
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Voglio lasciare il mio segno



“Madre, sto uscendo”, annunciò Rapunzel quella mattina, rivolgendo un’occhiata di riguardo alla madre che si trovava ancora a letto. Stava ancora male, e lei non avrebbe voluto lasciarla da sola ma dopo numerose raccomandazione da parte sua e del medico fidato, si era finalmente convinta a uscire. D’altronde, aveva solo un brutto raffreddore.
“Va bene, Rapunzel”, accordò la madre, dandole un bacio sulla fronte, solleticandole il viso con i suoi capelli neri e ricci.
“Madre, volete che vi porti qualcosa al mio ritorno? Magari una bella zuppa calda?”
La signora, per nulla anziana, annuì. “In pochi giorni starò bene, cara. Non ti preoccupare: va’ e fa’ compagnia alla principessa.”
“Siamo amiche; capirà se non verrò da lei per aiutare voi”, disse la bionda, titubante.  La madre alzò gli occhi al cielo, esageratamente drammatica.
“Va’ tranquilla, starò bene.”
“Va bene, madre. Al mio rientro però vi farò la zuppa, promesso!”
“Certo, certo.”

“Milady”, la salutò Jack, facendole un inchino. La bionda arrossì.
“Jack!”, esclamò sorpresa di vederlo appena fuori la porta di casa. “E comunque non sono una milady.”
“Ne hai l’aspetto, però, e anche la bellezza d’animo.”
“Mi lusinghi così. Cosa vuoi?”, domandò, facendo un sorriso furbo.
“Oh, milady, cosa le fa credere che io voglia qualcosa da lei?”
“Jack, riconosco quel tuo sguardo malandrino. Che ti serve?”
“Voglio delle notizie. Non riesco a trovare Hiccup da giorni ormai”, confessò Jack, accompagnando Rapunzel in direzione del palazzo.
“Sarà a palazzo. Ho sentito da Merida che ha vinto il concorso”, ipotizzò la ragazza, soffermandosi a dare un’occhiata al mercando e soppesando l’idea di comprare in quel momento gli ingredienti per una zuppa di nocciole da fare alla madre più tardi.
“Merida?”, domandò Jack.
“La principessa”, specificò Rapunzel.
“Sì, lo so.. Mi chiedevo solo come mai la chiamassi per nome.”
“Perché siamo amiche”, disse lei, come se fosse la cosa più normale del mondo, evidente come il colore dell’erba o del cielo. “Lei non è come le altre principesse, Jack”, aggiunse, analizzando il bancone della frutta e trovando quello che cercava.
“Comunque.. Hiccup è riuscito a vincere?”, chiese, guardando la biondina pagare e mettere ciò che aveva comprato nel cestino.
“Ovvio, sai quant’è bravo.”
“Sì, lo so, solo che credevo avessero preso chi avesse già una reputazione.”
“Come Gobber?”
“Come Gobber.”
“Dimentichi che Hiccup possiede uno straordinario dono.”
“Quale?”
“Riesce sempre a sorprendere le persone”, disse Rapunzel, sorridendo dolcemente.
 
(Rapporti con parenti..)
“Merida, potresti stare ferma?” chiese Elinor, rimproverando sua figlia. Da quando le era stato detto che doveva posare, non c’era stata più di una manciata di minuti che fosse rimasta ferma, e ciò costringeva Hiccup a modificare sempre lo schizzo.
“L’artista non mi ha detto nulla”, disse la rossa, guardando stavolta Hiccup che ormai non guardava più neanche il foglio, la mano guidava il carboncino mentre gli occhi verdi erano fissi su di lei.
“Il signor Haddock è troppo educato per dirti una cosa che è evidente”, controbatté la regina.
“È così?”, domandò Merida. E Hiccup in quel momento avrebbe voluto sprofondare.
“I-io, non direi, forse sì.. Insomma, se voi stesse ferma mi facilitereste il lavoro”, balbettò il moro. 
“Bene”, rispose lei (che tono era quello? Serba rancore?, si domandò Hiccup), “lo farò.”
“Visto?”, fece la madre, facendo sospirare il giovane. Avrebbe preferito fiondarsi negli occhi una matita ripetutamente, piuttosto di assistere ai numerosi litigi delle due. Aveva impiegato la metà del tempo per fare gli schizzi dei tre fratelli, che, avendo preso a simpatia l’artista, avevano deciso di collaborare, e ancor meno tempo per disegnare il re, che gli aveva pregato di essere il più veloce possibile perché non poteva perdere tempo. 
“Mamma!”, sospirò rabbiosa la figlia, implorandola con gli occhi di abbandonare la stanza. E, inaspettatamente per Hiccup, lo fece per davvero. 
“Hai finito?”, chiese dopo una ventina di minuti. Hiccup guardò lo schizzo: definirlo finito sarebbe stato un azzardo, ma se avesse risposto di no probabilmente non lo avrebbe finito mai perché lei avrebbe continuato a muoversi ininterrottamente e lui avrebbe continuato a modificare lo schizzo. Per questo annuì, e la vide alzarsi svogliata e andarsene chiudendo la porta dietro di lei.

“Puoi dirmi cos’avevi intenzione di fare?”, domandò Gobber, con gli occhi spalancati più che poteva.
“Avevo intenzione di vincere il concorso per il ritratto della famiglia reale e l’ho fatto. Che problema c’è?”, ribatté il ragazzo, ritirandosi per la prima volta dopo giorni nella sua stanzetta nella bottega di Gobber. Certo, doveva ammettere che il rientro non se l’era affatto aspettato così ma piuttosto qualcosa come un congratulazioni ragazzo, adesso va’ a lavorare perché era sicuro che il maestro non gli avrebbe mai detto di essere fiero di lui. Ma questo.. questo decisamente non se l’era aspettato.
“Che problema c’è?”, ripeté Gobber facendo una pessima imitazione di Hiccup. “Il problema è che non sei pronto ancora!”
“Come fai a dire che non sono pronto?”, domandò, arrabbiato. “Tu.. tu mi hai rubato dei progetti!”
Gobber s’arrestò per una frazione di secondo, poi riprese.
“Li ho migliorati!”
“Beh, guarda un po’, io voglio lasciare il mio segno!”
“Ne hai lasciati molti, ragazzo, tutti nei posti sbagliati.”
“Gobber, lascia che io provi. Lascia che io fallisca piuttosto di non iniziare affatto”, disse Hiccup, guardandolo implorante con i suoi occhi verde foresta. Lo sapeva che in fondo (ancora più in fondo), sotto quello spesso strato di grasso e muscoli, c’era un cuore tenero, che lo amava e lo proteggeva come se fosse veramente un figlio, visto che per lui era la figura più vicina che potesse somigliare ad un padre. Ma quello non era più il momento di proteggerlo, era quello di incoraggiarlo a prendere il volo, e poi a volare sempre più in alto.
Gobber sospirò, l’espressione del volto grave. Avrebbe preferito fare quel discorso quando il ragazzo avrebbe potuto capirlo per davvero, ma doveva farlo in quel momento. Si sedette poggiando i gomiti al tavolo, e invitò Hiccup a fare altrettanto. Come aveva presupposto, si era seduto nel posto opposto, all’altro estremo.
“Io.. tu.. Allora”, iniziò, incerto su come cominciare per davvero il suo discorso, “sei cresciuto qui con me, eppure l’hai fatto da solo. Tu hai sempre fatto tutto di testa tua, come se l’unica cosa che i tuoi genitori avessero fatto fosse stata il metterti al mondo, e questo è qualcosa di apprezzabile, certamente. Ma guardati come ti sei tirato su bene: non rubi nemmeno per sfamarti! Solo che spesso ti dimostri piuttosto cocciuto, come per la faccenda di tuo padre.”
“L’ha detto lui stesso che non sarei mai stato capace di essere come lui”, disse semplicemente Hiccup. “Insomma, guardami!”
“Non è tanto l’aspetto esteriore, è quello che hai dentro che lui non sopporta!”
“Grazie di questa sintesi illuminante”, commentò sarcasticamente il moro.
“Stiamo parlando di te, Hic: non è sempre un bene ciò che fai.”
“Solo perché sono diverso?”
“No, perché sei uguale a tutti noi. Cadrai, ragazzo mio, e non voglio che tu la prenda troppo male quando questo succederà. Lo ammetto: sei un abile fabbro, un geniale inventore e un bravissimo pittore. Tutte caratteristiche che ti rendono un eccellente artista ma.. non andare troppo oltre figliolo. Non sei ancora pronto.”
Hiccup rimase in silenzio, incerto su come interpretare le parole del maestro.
“È solo un ritratto della famiglia reale”, ribatté poi.
“Spero solo che non lascerai troppi segni, a palazzo. Potresti ferire qualcuno.”
“Ma io..”
“Potresti ferirti tu.”
(..e amici)
“Sono giorni che ti cerco. Ho dovuto pedinare Rapunzel per sapere dove eri”, disse Jack, avvicinandosi al moro. Era dentro la bottega a lavorare in disparte sulla combinazione dei colori, aggiungendo qualcosa che Jack riconobbe come solfato di calce. Aveva passato tanto di quel tempo dentro quella bottega che ormai qualche nozione base l’aveva imparata.
“Immagino che gran sacrificio sia stato per te”, commentò sarcasticamente Hiccup, facendo sorgere un sorriso furbesco sulle labbra di Jack e continuando a miscelare i colori.
“Che c’è che non va?”
“Non riesco a riprodurre il colore esatto dei capelli dei Dunbroch”, rispose Hiccup, concentrato.
“Sono pel di carota, non mi sembra tanto complicato come colore.”
“Non sono pel di carota”, lo contraddisse l’esperto, “sono come il bronzo, no anzi, il rame, e poi hanno quel tocco di rosso fuoco.. è un colore piuttosto complicato.”
“Sono certo che ce la farai.”
“Grazie, Rapunzel”, lo prese in giro e Jack diventò rosso. “Sei in giro con quella ragazza da qualche giorno e già ti ha reso una persona migliore?”
“Ah ah”, fece Jack, fingendo di ridere. “In realtà ero venuto per farmi pitturare queste monete d’argento.”
“E io che quasi ci speravo.”
“Sbrigati, la signora Brot ha fatto i fagottini al manzo e non ho intenzione di perdermeli.”
“Certo che per essere un senza tetto, mangi meglio di me.”
“Certo che per essere un geniale inventore, sono più intelligente io”, disse il brunetto, facendo sorridere l’altro.
“Prendi un pennello, e dipingi tu. Io ho da fare.”
“Sei un pessimo amico”, commentò Jack, iniziando a cercare tra le diverse ciotole di colore quella che conteneva l’argento.
“Il migliore tra i peggiori”, specificò il moro sorridendo stancamente. E dopo qualche minuto..
“Eccolo!”, urlò, facendo sobbalzare l’amico che fece cadere a terra la moneta che stava meticolosamente dipingendo. Questo lo guardò esterrefatto, domandandosi il motivo di tutto questo entusiasmo e la risposta gli arrivò piuttosto velocemente quando Hiccup, trionfante, gli mostrò la tavolozza dei colori. Quella era l’esatta sfumatura dei capelli dei Dunbroch.
“Lasciatelo dire: sei..”
“Maledettamente bravo?”, lo interruppe Hiccup. Jack scosse la testa.
“Maledettamente fortunato.”

“Credevo che stesse dalla mia parte e invece si è schierato da quella di mia madre”, si lamentò la rossa, brandendo una spada in mano e menando fendenti contro uno delle colonne del letto a baldacchino.
Schierarsi è una parola grossa”, commentò Rapunzel, dispiaciuta in viso, “forse semplicemente dovevi stare ferma e non te lo voleva dire.”
“Perché avrei dovuto saperlo?”, chiese lei, in anticipo.
“Di solito per chi posa è così”, rispose la bionda. Merida si fermò dal colpire nuovamente il baldacchino, tenendo la spada con la mano destra mentre l’altra era libera di gesticolare. Ormai non era neanche più sicura di come voler ribattere, certa di essere dalla parte del torto. Vedendo l’amica in difficoltà, Rapunzel voleva in qualche modo tirarla su di morale. Cercò di pensare a qualcosa, aspettava qualcosa, un’ispirazione, che le balenasse nella mente in modo da poter vedere il viso dell’amica sereno e la colonna del letto finalmente libera dai continui e incessanti fendenti della spada. Poi il suo sguardo cadde vicino alla finestra e le venne quell’idea.
“Merida, che ne dici di collaudare il tuo arco?”
La rossa si fermò, sorpresa da quell’iniziativa, ma questo accadde solo per un istante: infatti impiegò ancor meno tempo a prendere l’arco e le frecce e trascinare l’amica nelle stalle del palazzo, dove avrebbero preso Angus, il possente clydesdale con il mano nero come la notte, e sarebbero andate nel bosco poco distante a testare la bravura della giovane arciera, e quella del costruttore dell’arco.
 
Una figura si muoveva nel cuore profondo della notte: mancavano giusto un paio di ore al sorgere del sole, e di lì a poco la vita avrebbe ricominciato a scorrere normalmente, come il flusso di un fiume che era stato precedentemente interrotto da qualche diga. L’uomo decise di affrettarsi, aumentando il passo per arrivare al posto desiderato. Bussò giusto una volta, pianissimo, ma l’uomo dall’altra parte della porta aprì lo stesso.
“Non ti aspettavo a quest’ora”, bisbigliò sorpreso, parlando pianissimo. L’uomo entrò, abbassandosi leggermente per passare dalla porta, un po’ bassa e stretta per lui.
“Dovevo informarti, Gobber. Come sta Hiccup?”, chiese, la voce anche lui un sussurro.
“Sta dormendo, ha lavorato fino a tardi stasera. Di che devi informarmi?”
“Uhm.” L’uomo annuì, sovrappensiero. “Non siamo gli unici.”
“Chi mai..?”, cominciò il vecchio artista, ma l’altro uomo lo interruppe.
“Ti ricordi il mio parente che aveva la pancia da birra?”
“Baggybum, come dimenticarlo!” esclamò Gobber quasi contento, e quello gli pregò di fare silenzio.
“Ho trovato uno dei suoi nipoti a Palazzo. Stavano curiosando in giro.”
“Questo è un bene.”
“Credi?”
“Certamente! Adesso ho la certezza di non essere pazzo!”
“Gobber, non scherzare.”
“Riusciremo a salvarli tutti quanti, vedrai.”
“Lo spero proprio” disse l’uomo, accarezzando la lunga barba ramata. “E non dirgli niente, mi raccomando.”
“Stoick, me lo dici ogni volta. L’ho mai fatto?”, domandò Gobber, un sorriso sghembo stampato sulle labbra. Anche Stoick sorrise.
“Casomai lo dimenticassi.”
 
 
 
Eccomi nelle note a piè di pagina! Questo capitolo lo vorrei dedicare a MaJo_KiaChan_ e vorrei ringraziare enormemente tutti quelli che leggono la storia. So bene che la trama di deve ancora delineare, ma pian piano ci arriverò, tranquilli!
gingersnapped
   
 
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