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Autore: gingersnapped    05/01/2015    1 recensioni
“Respira. Quando non respiri, non pensi.”
Le sue parole l’avevano colpito. Quelle stesse parole, pronunciate dalla sua piccola bocca in un giorno assai lontano da quello, ma chiare come se le avesse pronunciate qualche istante prima, risuonavano nella testa di Hiccup. La ricordava ancora davanti a lui, i lunghi riccioli rossi che si muovevano con la lieve brezza del vento, l’arco (il suo arco) in mano, gli occhi acquamarina sorridenti. Sembrava così lontana in quel momento.
Genere: Avventura, Commedia, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hiccup Horrendous Haddock III, Jack Frost, Merida, Rapunzel, Un po' tutti
Note: Otherverse | Avvertimenti: nessuno
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(Al palazzo)
Era assurdo pensare che al palazzo reale, una sorta di fortezza costituita da trappole, guardie e armi, pericolose e potenzialmente mortali quanto un corsetto stretto un po’ di più, ci fosse silenzio, ma in quei giorni ancor di meno. Merida sbuffò, scarabocchiando qualcosa sul suo foglio, facendo finta di ascoltare quella tediosissima lezione sulle rune. Come se a me importasse, si ritrovò a pensare, mentre la voce del professore (chissà quale importante esperto) le faceva appesantire sempre di più le palpebre. Non sapeva neanche da quanto tempo stavano facendo effettivamente lezione, perché per lei sembravano passate ore intere, se non quasi tutta la giornata. Stava giusto per assopirsi di tutto punto, quando la porta si aprì improvvisamente, e la figura della madre si erse in tutta la sua grandezza piuttosto intimidatoria. Dietro a lei c’erano i suoi fratellini, con un’aria colpevole schiaffata su quei loro visi.
“Mi scusi professore, ma ho bisogno di parlare con mia figlia”, disse quella, gli occhi marroni colmi di rimprovero.
“Certo”, fece quello, col suo strano accento.  Merida si alzò, comunque contenta di sottrarsi a quella tortura, e seguì la madre nel corridoio.
“Merida, cos’è questo?”, domandò lei, mostrandole un oggetto nella sua mano destra, mentre quella sinistra era messa sul fianco.
“Un arco.”
“E cosa ci facevano i tuoi fratelli con un arco?”
“Magari volevano imparare a tirare con l’arco?”, provò ad indovinare la rossa, e a Harris spuntò un sorriso.
“Non è un arco qualunque. Questo, e cito testuali parole, sputa fuoco”, disse sua madre, glaciandola con lo sguardo.
“Io non vedo nessun fuoco.”
“Merida”, la rimproverò la madre.
“Cosa c’è? Io non ho nessun arco che sputi fuoco, non è mio”, ribatté la figlia.
“Maudie dice che te lo sei fatto commissionare, e che queste tre pesti” e guardò i suoi figli, “ti hanno coperta.”
La ragazza spostò lo sguardo, colpevole. Maudie chiacchierona!, pensava. Si preoccupa più di spifferare ogni cosa che faccio che fare i suoi compiti effettivi!
“Ma come ti è venuto in mente di spendere così tanti soldi per un arco?”
“Ho speso i miei soldi!”
“Soldi che avresti potuto spendere in un modo più utile, come fasce per capelli, vestiti, gioielli..”
“In modi più utili per te. Mamma, è inutile questa discussione.”
“Già, perché ti farai restituire i soldi.”
“Cosa?”, domandò Merida. “Non ci penso nemmeno.”
Ad interromperle fu la sopracitata Maudie che arrivò agitata in corridoio.
“Mia regina, il re ha interrotto gli accordi diplomatici”, soffiò velocemente, e Elinor le diede l’arco in mano e si affrettò a dirigersi nella stanza dov’era il marito. Merida guardò Maudie, che si era appoggiata alla parete.
“Spia spiona”, commentò, guardandola con i suoi occhi acquamarina, di un colore così freddo ma che erano capaci di prender fuoco come i suoi capelli. Le prese l’arco dalle mani e se ne andò nella sua stanza.

“E quindi ti sei ripresa l’arco?”, domandò la ragazza che si trovava di fronte a lei, guardandola con stupore e sorridendo serenamente.
“Certo! È mio di diritto”, rispose la rossa. “Punzie, tirare con l’arco è forse l’unica cosa in cui sono brava veramente. È la mia essenza. Dovresti vedermi una volta tanto.”
“Ma”, provò a ribattere la bionda, “la regina poi..”
“Non preoccuparti di mia madre”, commentò scocciata Merida, “e poi ho ancora un arco da collaudare.”
“Ti prometto che uno di questi giorni ti accompagnerò.”
“Fantastico!”, esclamò entusiasta la rossa, buttandosi sul suo letto a baldacchino, immenso.
“Sai, mia madre voleva che lo restituissi e che mi facessi ridare i soldi”, esordì qualche minuti dopo, mesta.
“Non puoi”, disse Rapunzel di getto, tappandosi immediatamente la bocca.
“È quello che ho detto a mia madre. Non posso! Questa” e prese l’arco in mano, “è la mia vita. Sarebbe come rinnegarla. E poi mi sembra brutto chiedere a Gobber i soldi, nonostante sia di casa.”
“Non l’ha fatto Gobber, quell’arco”, disse Punzie, sedendosi composta nel letto e allisciandosi una ciocca di capelli. Merida rizzò a sedere, accanto all’ufficiale dama di compagnia, che era diventata una sincera amica.
“E chi l’avrebbe fatto allora?”
“Hiccup. È un mio amico”, cercò di spiegare la bionda, “ed è un artista bravissimo. Sai, è pure un inventore!”
“Hiccup? Che strano nome!”, commentò la principessa, sdraiandosi nuovamente, stavolta con un ampio sorriso. “Un artista, dici? Perché non fai venire il tuo amico a palazzo? Così avrò il piacere di ringraziarlo di persona, dopo aver collaudato l’arco.”
“Certamente, sarà un vero piacere.”
(Amico, dove ce l’hai il cervello?)
“Dov’è Hiccup?”, chiese Jack piuttosto affannato quel giorno entrando in bottega. Dentro, Gobber stava giustappunto tenendo una lezione su come costruire un orologio, o qualcosa di molto simile. Il maestro (e Jack in quel momento si domandò come mai Hiccup, il suo geniale amico Hiccup, si ostinasse a chiamarlo così dal momento che in bottega veniva a lavorare e a dormire e non ad imparare) gli rispose bruscamente che Hiccup non c’era, come sempre, e che se Jack l’avesse trovato, avrebbe fatto bene a spedirlo subito lì, a seguire la lezione. Ma entrambi sapevano perfettamente che Hiccup non l’avrebbe fatto, e si ritrovarono per l’ennesima volta a chiedersi dove fosse andato. Meno male che, comunque, Jack aveva i suoi metodi.
“Ehi, Jen, hai visto Hiccup per caso?”, domandò ad una bambina, dopo che girovagava sulle vie della città da almeno cinque minuti. Questa scosse la testa, e Jack andò avanti. Dopo tutto quello che faceva per lui, non si degnava neanche di dirgli dove andasse e perché non si facesse trovare così facilmente. Non gli avrebbe più comprato baps, questo era sicuro.
“Fran, hai visto Hiccup?”, chiese nuovamente ad un altro bambino, più piccolo, in un’altra strada.
“Hiccup..chi?”
“Oh, andiamo! È un ragazzo più o meno come me, forse un poco più basso.. capelli castani, occhi verdi, ha sempre una matita dietro l’orecchio sinistro e ha un’aria piuttosto stramba”, descrisse Jack.
“Descrizione piuttosto accurata, solo che io non ho un’aria stramba”, disse l’interpellato alle spalle del brunetto. Questo si mise a ridere.
“Sappiamo entrambi che ce l’hai. Dov’eri?”
“In giro.”
“A fare?”
“Ancora niente.”
“Che significa ancora niente? Che hai intenzione di fare?”
“Devo solo entrare al palazzo alle dieci spaccate.”
“Per..?”
“Per il concorso degli artisti, Jack. Per poter avere l’occasione di fare un ritratto della famiglia reale”, spiegò Hiccup, camminando in direzione del palazzo. “Amico, dove ce l’hai il cervello?”
“Amico, dove ce l’hai tu il cervello? Non vincerai mai quel concorso, e non perché tu non sia bravo, ma perché sceglieranno chi è molto noto. E mi dispiace dirtelo, ma non sei noto.”
“I principini mi conoscono, e mi hanno detto loro di partecipare.”
“Assolutamente insignificante.”
“Potrei cercare di convincere il re.”
“Forse ci riusciresti ma” qui Jack si fermò, rendendosi  conto di essere arrivato davanti alle porte, spesse e imponenti, del palazzo, “non c’entri il punto. Quella che devi convincere, è la regina.”
“Oh, dei”, commentò Hiccup. Sul serio, dove ce l’ho io il cervello?, pensò.

Hiccup entrò da solo. Forse Jack percepiva un’aria di grande disagio, o semplicemente era troppo codardo per entrare insieme a lui. Quel posto irradiava veramente potere: la maggior parte del materiale era formata da pietra, o legno, ma le intagliature e i particolari in oro facevano risaltare la semplicità di quei materiali. Era semplicemente fantastico.
“Ehi, ragazzino, che ci fai qui?”, chiese una guardia, piuttosto gentilmente. Hiccup pregò semplicemente che non attirasse l’attenzione del padre.
“Sono qui per il concorso degli artisti”, rispose semplicemente, e la guardia scoppiò a ridere attirando ovviamente l’attenzione del comandante che li raggiunse in men che non si dica. Hiccup osservò la faccia di suo padre passare dal bianco, al rosso e al viola in pochi secondi, spostando gli occhi a terra. Improvvisamente anche le mattonelle del pavimento erano diventate estremamente interessanti, almeno quanto le sue scarpe.
“Che succede qui?”,  tuonò suo padre, facendo finta di non aver riconosciuto il figlio.
“Questo bambino vuole partecipare al concorso degli artisti”, spiegò tra le risate la guardia. Stoik invece rimase impassibile. Hiccup era convinto che sarebbero rimasti così per sempre, la guardia a ridere, suo padre impietrito, e lui obbligato a fissare un punto imprecisato tra le mattonelle perfettamente allineate tra di loro, fin quando le voci di tre bambini non destarono la sua attenzione.
“Signor artista!”, urlarono, andandogli incontro. Hiccup sorrise, profondamente grato ai tre.
“Miei signori”, salutò lui, inchinandosi esageratamente a terra e facendo ridere le tre pesti dai capelli rossi.
“Oh, finitela di importunare le persone.”
Una voce, chiara e limpida ma di sfuggita, rimproverò i bambini, senza curarsene però troppo. Hiccup si girò in direzione della voce e vide una giovane ragazza dai lunghi capelli ricci e rossi, camminare con al fianco la sua amica Rapunzel: quest’ultima lo salutò con la mano. Evidentemente erano indaffarate a fare qualcosa.
I tre bambini smisero di giocare con Hiccup.
“Non mi state importunando”, bisbigliò lui, e questi iniziarono nuovamente a rincorrerlo e a fargli mille feste.

“Numero trentadue”, chiamò la regina Elinor, facendo entrare nella stanza l’ennesimo artista. Questo era alto, corpulento, e con due mani decisamente non adatte a dipingere.
“Nome?”
“Snotlout Jorgenson”, rispose quello, rimanendo alzato ma guardando comunque la sedia posta davanti il tavolo dove si trovavano tutti i membri della famiglia Dunbroch, dal re ai figli, tutti annoiati.
“Salve, signor Jorgenson. Perché dovremmo scegliere lei per il ritratto familiare?”, chiese la regina, fingendo di essere interessata ma, dopo già trentadue artisti, si sentiva piuttosto stanca e certa di aver sprecato il suo tempo. Avrebbe fatto meglio a rivolgersi direttamente al pittore di corte, Gobber.
“Perché io” aveva una voce cavernosa, decisamente non ispirava fiducia “sono il migliore. Io e la mia famiglia siamo tra le più antiche di questo regno, e sono dell’opinione che il futuro è di chi ha un grande passato.”
“Oh, ehm, sì”, persino la regina si sentiva spiazzata. Si girò verso il marito, che aveva gli occhi chiusi e il respiro lento e regolare. Ancora una volta si era addormentato. “Ci sono domande?”
“Ma sai disegnare almeno?”, chiese Merida, generando le risa dei fratellini e il rimprovero della madre. 
“Numero trentatré”, continuò la regina, mentre Snotlout usciva dalla stanza. Finalmente era il turno di Hiccup, che entrò scontrandosi con quell’uomo.
“Haddock”, lo chiamò sorpreso, mentre stringeva una mano al moro.
“Cugino, che ci fai qui?”, chiese Hiccup. “Non sapevo sapessi dipingere.”
Questo alzò le spalle. “Ci ho provato”, rispose, uscendo dalla stanza. 
Hiccup fece ancora qualche passo in avanti: eccola, l’intera famiglia reale davanti a lui che lo guardava (più o meno). Per timore che le ginocchia cedessero per l’emozione, Hiccup si sedette sulla sedia e a quell’azione, tutti lo guardarono sorpresi.
“Nome?”, chiese la regina, guardandolo con una sorta di impazienza. Brutto segno, pensò il ragazzo.
“Hiccup. Hiccup Horrendous Haddock III”, rispose il moro, abbassando lo sguardo.
“Il figlio di Haddock, il comandante delle guardie?”, domandò il re, curioso. Non si era accorto, però, che anche un’altra persona lo guardava con interesse adesso.
“Esattamente.”
“Ah, tuo padre è uno spasso!”, esclamò il sovrano, sorridendo.
“Signor Haddock, allora”, disse la regina, stavolta più calma e rilassata, “il futuro è di chi ha un grande passato. Perché dovremmo scegliere lei per il ritratto della famiglia?”
“Mi scusi, mia regina, ma non sono d’accordo con lei. Il futuro è di chi ha le capacità e la forza di cambiarlo, e di ricostruirlo ex novo”, rispose Hiccup, lasciando che la famiglia lo guardassero di nuovo sorpresi.
“Mamma, scegliamo il signor Artista”, disse uno dei bambini, mentre gli altri due gli facevano l’occhiolino.
“Le faremo sapere di più a fine giornata, rimanga nella stanza accanto nell’attesa”, gli comunicò la regina. Pochi minuti dopo lo raggiunse la principessa dai folti capelli rossi.
“Tu sei l’amico di Rapunzel, vero Hiccup Horrendous Haddock III?”, gli chiese, avvicinandosi a lui.
“S-sì, sono io. Si è ricordata il mio nome, milady.”
“Non è certo facile dimenticare un nome come il tuo”, scherzò lei, spostandosi i capelli dietro l’orecchio sinistro.
“Gran bel nome, lo so. Ma non è il peggiore. La mia famiglia è convinta che i nomi orribili spaventino i mostri. È molto superstiziosa”, spiegò lui, facendola ridere ancor di più.
“Volevo ringraziarti per l’arco.”
“L’hai provato?”
Scosse la testa, facendo rimbalzare i suoi ricci.
“Ancora no. Comunque io sono Merida”, disse lei, sorridendo e offrendogli la sua mano. Lui la prese.
“Hiccup Horrendous Haddock III.”
“È un piacere conoscerti, o almeno, spero che lo sia davvero. Cioè, è sempre un piacere conoscere persone, ed è più che un piacere conoscere chi ha costruito il mio arco e..”
 “È un piacere anche per me, milady”, la interruppe Hiccup, interrompendo quel fiume di parole. E si sorrisero. Entrambi avevano la consapevolezza che sarebbe stato più di un semplice piacere cordiale.   

“Signor Haddock, congratulazioni. Abbiamo deciso di prendere lei come pittore”, gli annunciò la regina stessa a fine giornata. Hiccup si inchinò.
“Grazie, mia signora. Non la deluderò.”
“Ne sono certa”, fu tutto quello che disse, e se ne andò, lasciando il giovane ancora inchinato. 

Ri-salve. Scusatemi, ma ero troppo impaziente di postare il capitolo successivo. Ringrazion tutti coloro che leggono 
gingersnapped
   
 
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