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Autore: Emerlith    07/01/2015    3 recensioni
[Dorcas Meadowes/Rabastan Lestrange] con accenni a [Bellatrix Black/Rodolphus Lestrange]
Rabastan Lestrange ha quindici anni. È cresciuto all'ombra di suo fratello Rodolphus, cercando di racimolare, negli anni, almeno qualche briciola di quell'affetto che però lui sembra nutrire esclusivamente per Bellatrix.
Rabastan Lestrange ha probabilmente odiato Bellatrix Black con ogni suo atomo, durante l'arco della sua intera vita, e per diverse ragioni. Rabastan probabilmente non ha mai potuto tenersi stretto neppure un barlume di quell'amore che suo fratello viveva alla luce del sole. Rabastan ha conosciuto l'amore soltanto per sbaglio.
Genere: Angst, Introspettivo, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Dorcas Meadowes, Rabastan Lestrange, Rodolphus Lestrange, Sorelle Black | Coppie: Rodolphus/Bellatrix
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
Capitoli:
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Ai viaggiatori sui treni
Che guardano il mare dai finestrini
E sognano, sognano.

(24 Luglio 2014)
 
E adesso, dimmi.
Che cosa si prova a sparire?
 
 
La prima volta in cui la vide era seduto con le ginocchia al petto, nascosto fra le dune. I granelli di sabbia sospinti dal vento lo costringevano a sbattere ripetutamente le palpebre, le lacrime che gli rigavano il viso si confondevano con la distesa dell’oceano all’orizzonte, i suoi singhiozzi si mischiavano allo scrosciare ritmico delle onde contro le pareti delle bianche scogliere, la voce di suo fratello Rodolphus era solo un’eco indistinta, sospinta dal vento.
Sarebbe stato così facile perdersi in quella distesa di mare immenso e lasciarsi scivolare, abbandonarsi alla corrente e non fare ritorno a casa, mai più.
-Rabastan! Rabastan!-
Rabastan non rispose, si sdraiò e abbassò la testa desiderando di poterla sotterrare come uno struzzo.
Rimase ad ascoltare la voce di suo fratello allontanarsi, gli sghignazzi di Bellatrix e i richiami accorati di Andromeda.
Non si mosse. Ventre a terra, dita ancorate tra quegli effimeri granelli, labbra secche e gola riarsa per la sete e i singhiozzi trattenuti. Restò immobile in quella piccola fossa di fortuna, chiedendosi se avrebbe mai trovato il coraggio necessario per prendere a cazzotti suo fratello, e continuò a serrare i denti, a scrutare torvo i cespugli rinsecchiti e le canne ritte verso il cielo terso di Agosto.
 
Fu allora, mentre si chiedeva cosa avrebbe fatto del resto della sua inutile vita, che li scorse fra i ciuffi d’erbaccia incolta.
Sussultò.
I due occhi più blu che avesse mai visto. Non azzurri, blu.
Come se il mare che stava contemplando appena un secondo prima vi ci fosse improvvisamente riversato dentro e lo stesse osservando e chiamando, da chissà quanto tempo.
 
-Stanno cercando te?-
Rabastan si riscosse. Notò che i due occhi erano incorniciati da lunghi capelli biondi, incastonati in un viso dolce. Fin troppo dolce, pensò.
-Ehi. Dico a te, sai.-
-Ah. Ciao. Cioè, sì. Cioè…-
La ragazza rise ed uscì allo scoperto, sollevandosi sugli avambracci. Poi tornò improvvisamente seria.
-Perché piangevi?-
-Non stavo piangendo.- Ribatté immediatamente Rabastan, passandosi freneticamente le mani sugli occhi.
-È questa maledetta sabbia. Mi dà fastidio. Si infila dappertutto.-
La ragazza rimase imperturbabile, continuando a fissarlo, assorta.
Rabastan si infastidì. Non era un ragazzo molto paziente. O almeno, gli piaceva pensarlo.
-Ma che diavolo vuoi? Cosa facevi tu invece, mi stavi spiando?-
Il tono che assunse sembrò offenderla, o quantomeno sorprenderla.
-Ti faccio notare che sei tu quello nascosto in un canneto, non io.- Replicò gelidamente.
-Come sarebbe a dire? Ma se sei a due passi da me!- Bofonchiò Rabastan.
-Leggevo.- Rispose placidamente lei, mostrando uno di quei tomi che Rabastan scacciava con la sola forza del pensiero e che infatti gli fece storcere la bocca in una smorfia piuttosto eloquente.
-E perché leggevi proprio qui?-
-Posso leggere dove mi pare, per quanto ne so.-
Rabastan si rimise a sedere, sentendo però la necessità di dover distogliere l’attenzione da quelle iridi.
Troppo blu, così blu.
 
-Lo sai che non è educato non guardare in viso la persona con cui si sta parlando?-
La sentì picchiettare con le unghie sulla rigida copertina del libro.
Notò che la spiaggia si stava velocemente spopolando e che il sole era calato a picco sull’orizzonte, come a voler aprire uno squarcio sulla vellutata coltre dell’oceano.
-Non sembra che sanguini? – Le sentì sussurrare un attimo dopo, come se gli avesse letto nel pensiero.
Ma non appena si girò per risponderle, con la fronte aggrottata dallo stupore, la ragazza si era già alzata, sollevando un altro fastidioso mulinello di sabbia che lo costrinse a richiudere gli occhi.
-Devo andare. I miei genitori si staranno chiedendo dove sia andata a finire.-
Rabastan tossì sfregandosi nuovamente le palpebre.
-Aspetta!-
-Devo proprio andare, non mi ero accorta fosse così tardi.-
Rabastan si tirò in piedi, ma solo in tempo per vederla correre a perdifiato giù lungo le dune, verso il mare aperto. Si mise una mano sulla fronte, accecato dal riverbero dei raggi sulle increspature delle onde.
-Ehi!- Gridò ancora, ma la ragazza non si voltò neppure per fargli un cenno.
-Ehi.- Continuò, abbassando le braccia lungo i fianchi e sbuffando alla sabbia. -Hai dimenticato il libro.- Terminò, raccogliendolo e soffiandoci sopra delicatamente.
 
-Adesso parli da solo?-
Sobbalzò, di nuovo rosso per la vergogna.
Bellatrix sbirciò oltre le sue spalle, sogghignando perfidamente.
-Con chi parlavi, piccolo Rab?-
-Con nessuno.-
Bellatrix inarcò un sopracciglio, mandandolo di nuovo su tutte le furie.
La spintonò in maniera poco garbata per far sì che distogliesse l’attenzione dalla ragazza in lontananza.
-Dì un po’, Rab, il sole ti ha fritto il cervello? Io la lascerei andare, se fossi in te.-
Suo fratello Rodolphus afferrò la mano di Bellatrix, trascinandola a sé.
-Va’ al diavolo anche tu, Rod.-
Oltrepassò i due infilando velocemente il libro sotto alla maglietta.
Continuò a camminare verso riva imprecando a mezza voce, e quando Andromeda lo raggiunse aveva di nuovo gli occhi arrossati.
-Rab, non dovresti fare così.-
-Non abbiamo più dieci anni, Meda. Sto benone. Sei tu che dovresti smetterla di provare a farmi da balia.- Bofonchiò, scostandosi bruscamente, provando a troncare la conversazione sul nascere.
Andromeda incassò il colpo senza ulteriori repliche, e per un po’ continuarono a camminare verso casa in silenzio, provando a sincronizzare i reciproci passi senza rendersene conto.
-Sai com’è fatta mia sorella, Rab. Perché te la prendi tanto?-
Rabastan scattò in avanti, come se fosse stato uno di quei curiosi pupazzi a molla dentro ad una scatola.
-Lascia perdere, Andromeda.-
-No, invece. Mi dispiace vederti reagire in questo modo alle sue continue provocazioni, io…-
-Ti ho detto di lasciar stare.-
Andromeda gli sfiorò gentilmente il braccio, e Rabastan scosse la testa, rassegnato.
Si voltarono contemporaneamente, giusto in tempo per vedere Bellatrix salire sulle spalle di Rodolphus, che rideva e si voltava per provare a baciarla.
-Mi danno il voltastomaco.– Mormorò Rabastan, tornando a fissare l’orizzonte.
Andromeda sorrise mesta, ravviandosi i capelli e cingendogli le spalle.
-A volte lo danno anche a me.-
Rabastan rise nervosamente.
-Da quanti anni venite in vacanza qui da noi?- Chiese, ignorando le risate fastidiose alle proprie spalle.
-Mmh. Direi almeno cinque, sai. Da quando abbiamo iniziato la scuola tu ed io. Perché?-
-Niente, così. Facevo due calcoli.-
Non poté fare a meno di girarsi una seconda volta, anche se ormai la spiaggia era completamente deserta e della ragazza non vi era più nemmeno l’ombra.
-Cerchi qualcuno?-
-No, no. Pensavo e basta.-
-Direi che sei parecchio pensieroso oggi.-
Rabastan alzò le spalle, fermandosi alle scale d’ingresso e guardando la graziosa villetta dove trascorreva gran parte delle sue estati.
-Ho incontrato una persona, una ragazza. Prima, quando sono salito sulle dune.-
Andromeda non fece commenti, ma con un cenno gli indicò i gradini del portico.
Sedettero, aspettando Rodolphus e Bellatrix, che però sembravano non aver nessuna intenzione di affrettarsi per cena.
-Che c’è di tanto strano?- Continuò Andromeda.
-Niente.- Mormorò Rabastan, passandosi una mano fra i ricci. –Niente. Solo che non l’avevo mai vista qui, prima d’ora, e nemmeno…- Ma si interruppe, ricordandosi del libro che teneva ancora nascosto fra i pantaloncini e la maglia.
-Lasciamo stare.- Disse ancora, con un mezzo sospiro.
-Come vuoi.-
Aveva gli occhi blu come il mare. Esattamente dello stesso colore cangiante del mare. –Avrebbe voluto aggiungere.
Ma non lo fece. Non fece niente, se non restarsene seduto lì, ad ascoltare il frinire dei grilli e il mormorio sommesso dell’acqua.
-Non ti irrita mai?-
-Chi? Bellatrix? Certo che mi irrita.-
Rabastan rise di gusto, scuotendo la testa.
-No. Intendevo dire il mare. Il rumore del mare.-
Andromeda sembrò sorpresa, sorrise guardando le onde sul bagnasciuga.
-No, in realtà è un suono che mi piace molto. Mi concilia il sonno, persino. Adoro dormire qui.-
-Io no.-
Bellatrix urlò qualcosa che non capirono.
-Litigano un’altra volta.-
-Li conosci, Rab.-
Rabastan scosse di nuovo la testa, incrociando le braccia al petto.
-Un minuto prima sta lì a fargli le fusa come una gatta. Un attimo dopo lo guarda come se volesse ucciderlo a mani nude e se lo rivolta come un calzino. Non capirò mai mio fratello, non capirò mai…-
Andromeda gli accarezzò la mano. Non si era accorto neppure di averle chiuse a pugno.
-So quello che vuoi dire.-
-No. Non lo sai.-
Sulla riva, osservarono Rodolphus rincorrere Bellatrix, per poi tirarla nuovamente verso di sé e baciarla con foga.
Andromeda sospirò, continuando a guardare i due cadere sulla sabbia, incuranti del resto del mondo.
-Invece capisco esattamente ciò che vuoi dire.-
-Non sono geloso di Bellatrix, Meda, sono solo…-
-Esterrefatto? Arrabbiato? Risentito? Ti senti messo da parte?-
Rabastan boccheggiò, come un pesce fuor d’acqua.
-Non è che io voglia… non voglio che lui e Bella si mollino, non mi interessa, e poi ci sono abituato, dico solo che…-
-Che vorresti maggiore considerazione, ogni tanto. Che non ti piace che tuo fratello non prenda mai le tue parti. Che…-
Rabastan la zittì nuovamente.
-È che almeno per una volta, una sola dannatissima volta, vorrei essere ascoltato. Vorrei che … -
-Che ti guardasse come guarda Bella?-
Rabastan si accigliò.
-Di chi stiamo parlando adesso?-
Andromeda distolse lo sguardo dai due, con la bacchetta si annodò i capelli sulla nuca.
Rabastan aspettò una risposta che però non ottenne.
-Dio mio. Ti piace mio fratello? Da quando?- Mormorò poi, senza sapere se dovesse provare compassione o fastidio o peggio ancora, disgusto.
Andromeda ridacchiò, ma nel suo sguardo perso e spaurito Rabastan intravide ben altro.
-Promettimi solo, Rab, che al loro matrimonio mi farai ubriacare talmente tanto da non farmi ricordare neppure come mi chiamo. Soprattutto, come mi chiamo.-
Rabastan alzò le spalle.
-Come vuoi.- Sospirò. –Entriamo in casa. Se mi fai da palo, posso fregare un paio di bottiglie di vino.-
 
***
 
Dopo cena, senza neppure aspettare il dolce, Rabastan corse su per le scale ignorando i richiami di sua madre e i brontolii dell’elfo domestico.
Durante la villeggiatura estiva, era costretto a condividere la stanza con suo fratello, e nella peggiore delle ipotesi, se Bellatrix aveva deciso di dargli il tormento, anche con lei.
Finalmente solo, tirò fuori il libro che aveva nascosto nel cassetto del comodino. Se lo rigirò tra le mani, poi sedette sul letto e lo aprì con circospezione. Non fece neppure in tempo a capire di cosa trattasse, che sentì dei passi lungo il corridoio. Lo sfogliò in fretta, e appena prima che venisse aperta la porta, trovò un nome fra le prime pagine del romanzo.
Dorcas Meadowes.
Si graffiò il dorso delle mani dalla fretta con cui infilò il libro tra il materasso e la rete del letto. Trattenne un’imprecazione aspettandosi una serie di domande indiscrete sul perché se ne stesse inginocchiato sul pavimento, ma quando si voltò trovò soltanto Bellatrix, poggiata placidamente allo stipite della porta e con indosso soltanto la biancheria intima.
Rabastan sbuffò e si rialzò, distogliendo lo sguardo.
-Mi serve l’accappatoio.- Strascicò Bellatrix, mentre lui alzava gli occhi al cielo.
-E quindi?- Le rispose fra i denti.
-Uhm, non è in questa stanza? Oh, pazienza. Passami quello di Rod, allora.-
Rabastan serrò la mascella e si diresse a falcate verso il letto del fratello. Agguantò l’accappatoio lasciato in disordine e lo lanciò verso la porta con furia, colpendo Bellatrix in viso.
Lei finse di essersi fatta male, irritandolo talmente tanto che iniziò a gridarle contro in maniera decisamente poco garbata, come avrebbe detto sua madre.
-Allora sei diventato completamente pazzo!- Rodolphus entrò e lo spintonò, mandandolo a sedere sul letto. Gli tenne la testa contro la parete, pareva volesse strozzarlo. Rabastan annaspò, ma non disse nemmeno mezza parola, rimase a fissarlo, mentre Rodolphus continuava a ringhiare come un cane rabbioso.
Dopo quello che gli parve un tempo sufficiente lo lasciò andare, facendogli cozzare la nuca sul muro. –Copriti e vattene, Bellatrix. Adesso.-
Rabastan tossì, mentre Bellatrix richiudeva la porta dietro di sé, come se nulla fosse.
I due fratelli rimasero a scrutarsi torvi, ognuno provando a colmare il silenzio e il profondo astio celato negli occhi dell’altro.
-Giuro che se vi ritrovo ancora una volta in una situazione del genere, vi ammazzo, tutti e due.-
-Rodolphus.- Si voltarono entrambi verso Andromeda, che se n’era rimasta sulla soglia. Pallida e con una porzione di torta in mano.
-Ti… ti avevo portato il dolce, Rab.- Mormorò, mentre Rodolphus si risistemava i vestiti ed usciva gettando un cuscino contro l’armadio.
-Che è successo?-
Rabastan si alzò, malfermo, e andò alla finestra.
Era una notte decisamente buia. Non si scorgeva neppure una stella. Rabbrividì mentre Andromeda posava il piattino sulla scrivania e sedeva sul letto, in attesa di una spiegazione esaustiva.
Rabastan strinse di nuovo i pugni, serrando le palpebre ed evocando con prepotenza l’immagine della ragazza conosciuta sulla spiaggia.
-Ti sarei grato se facessi in modo di costringere tua sorella a restare nella vostra stanza, stanotte.-
Andromeda sospirò, lisciando il lenzuolo.
-È strano che Bella venga a dormire con voi due. Non le piace dormire di fianco a qualcuno, mi chiedo se…-
Rabastan se ne restò aggrappato alla tendina di raso bianco, annaspando come se stesse annegando.
-Non lo fa per il piacere di stare accanto al suo fidanzato, se è questo che pensi. Lo fa solo per dare il tormento a me. Lo fa solo per… per provocarmi. Per, per…- Ma non finì la frase. Sentì che Andromeda si era alzata ed era alle sue spalle, ma non osava toccarlo. Per paura di una sua reazione, forse.
-Che cosa è successo con Bella?-
Rabastan chiuse gli occhi e tornò indietro di diversi anni, rincorrendo una melodia dimenticata da tempo, la sensazione di quei tasti bianchi e neri levigati sotto le dita, due guanti di raso posati di fianco ad uno spartito.*
Aggrappato alla tenda, lo stomaco contratto in una spiacevole morsa gelida, sorrise e mentì, stando ben attento a tenere gli occhi chiusi.
-Non è successo niente che tu non abbia già visto, Meda. È mio fratello. È lui che finge sempre di non vedere.- Sussurrò poi, impercettibilmente, richiudendo la finestra.
 
***

Quando, diverse ore dopo, Rodolphus rientrò in camera, Rabastan fece finta di dormire. Andromeda mantenne la promessa. Bellatrix non fece la sua furtiva comparsa, e lui rimase assorto a fissare le ombre rincorrersi sul soffitto e poi scivolare lentamente nel suo subconscio, mentre prendeva finalmente sonno.
Fece sogni agitati, incubi sfocati nei quali la ragazza lo chiamava in suo soccorso, immersa nella nebbia, sulla riva dell’oceano in tempesta sotto ad un cielo plumbeo. Si svegliò sudato e con i brividi addosso e ancora attorcigliato nelle lenzuola si accorse che il rimbombo dei tuoni che lo aveva accompagnato durante la notte era estremamente reale. Si mise a sedere e scorse fuori dalla finestra un mare identico a quello spaventoso nel suo incubo.
Suo fratello era già sceso di sotto per colazione. Doveva essere abbastanza tardi.
Tese le orecchie all’acciottolio dei piatti in sala da pranzo e alle lamentele di sua madre riguardo al disordine e ai bagagli ancora tutti da preparare. Un altro brivido lo percosse, facendolo scattare in piedi. Era l’ultimo giorno di vacanza e lui doveva assolutamente trovare quella ragazza prima di sera. Si vestì in fretta, indossò le scarpe da ginnastica e avvolse il libro nella prima maglietta che gli capitò sotto tiro. Con il curioso fagotto in braccio discese le scale acquattato alla parete nella speranza di passare inosservato. Miracolosamente, riuscì nell’impresa.
Quando fu nel giardino sul retro si accorse però che pioveva a dirotto. Era impossibile che qualcuno si avventurasse in spiaggia, quella mattina. Calandosi un berretto sulla testa decise comunque di tentare il possibile. Avrebbe fatto una corsa lungo la riva, e se non l’avesse trovata avrebbe portato il libro ad Hogwarts con sé. Anche se non era certo che la ragazza frequentasse la scuola. Non l’aveva davvero mai vista. Se ne sarebbe di certo ricordato, altrimenti.
Il nome Meadowes, però, non gli era nuovo.
 
Doveva essere senza dubbio una strega, rifletté, corrucciato. Quella parte nascosta e abbastanza impervia della costa, essendo quasi impossibile da raggiungere senza l’ausilio della magia, era frequentata quasi esclusivamente dalle famiglie di maghi più altolocate. Gli stessi maghi avevano contribuito personalmente a raccontare frottole in giro dicendo quanto il luogo fosse infestato, e di come tutti i Babbani che vi avevano messo piede fossero poi morti nelle sabbie mobili oltre le dune.
Starnutì mentre si allontanava e scrutava il paesaggio cupo e desolato.
Sua madre avrebbe dato di matto non appena fosse rientrato in casa conciato a quella maniera. Stranamente, però, si accorse di temere di più la possibilità di non incontrare la ragazza rispetto ad una strigliata.
Appena due minuti, ed era già completamente zuppo, fino al midollo. Accelerò il passo cercando di ricordare il punto preciso del suo nascondiglio, ma con tutta quell’acqua e quella foschia sarebbe stato estremamente difficile riuscire a ritrovarlo.
Si diede dell’imbecille appena si rese conto dei suoi pensieri completamente sconnessi e privi di una qualsiasi logica.
Quale ragazza al mondo se ne sarebbe andata in giro sotto a un temporale, con la vana speranza di recuperare un libro su una spiaggia? Sbuffò, piegandosi sulle ginocchia, affranto e affannato.
Non ci stava con la testa, era evidente. Forse aveva ragione suo fratello, dopotutto.
Pensò alle risate di scherno che lo avrebbero accolto una volta rientrato, anche se ovviamente non avrebbe dato spiegazioni riguardo alla sua corsetta mattutina.
Arrivò alle grotte in fondo alla spiaggia, e anche se gli davano i brividi da tempo immemore, fu costretto ad entrarvi per ripararsi.
Se solo avesse potuto accendere un maledettissimo fuoco, o almeno asciugarsi con un incantesimo. Sconvolto e sfiduciato, si rigirò la bacchetta tra le mani, lasciandosi cadere a sedere e scrutando la volta della grotta buia. Rabbrividì agli stridii sinistri dei gabbiani e decise di aspettare almeno il tempo necessario affinché la pioggia diminuisse d’intensità.
 
Per diversi minuti non mosse un muscolo, intorpidito e sempre più sconvolto dalle sue stesse azioni. Dettate da cosa, poi? Dall’indifferenza di suo fratello nei suoi riguardi, ovviamente. Anche se non aveva il coraggio di ammetterlo neppure a se stesso, Rabastan soffriva immensamente. Non avrebbe neppure saputo rispondere in maniera chiara se qualcuno gli avesse chiesto realmente come si sentisse, ma in realtà percepiva –avvertiva, conosceva profondamente le ragioni del suo stato d’animo inquieto e del suo comportamento all’apparenza sempre più indecifrabile.
Le conosceva da anni. E a ben pensarci erano sotto il naso di tutti, ma proprio tutti.
 
Perso nelle proprie elucubrazioni mentali, non la sentì arrivare.
Quando gli toccò gentilmente una spalla, soffocò un grido balzando in aria, e facendo sobbalzare anche lei, che, come se fosse uscita per magia proprio dalle pagine di un libro, adesso gli stava di fronte.
-Scusami.- Si affrettò a dirgli, sorridendogli in una maniera che lui avrebbe ricordato per sempre meravigliosa, -Scusami. Ti ho chiamato… pensavo mi avessi sentito.-
Rabastan prese un lungo respiro, rilassandosi improvvisamente alla sola vista di quel colore azzurro rincorso in sogno tutta la notte.
-Scusami tu. Ero… ero troppo assorto nei miei pensieri e non ti ho sentita arrivare.- Riuscì a buttare fuori, con le orecchie pericolosamente scarlatte.
La ragazza continuò a sorridergli, gettando un’occhiata speranzosa al libro ancora infagottato sotto alla maglietta.
Rabastan ne intercettò lo sguardo e si affrettò a porgerglielo.
-Ero venuto a cercarti, in realtà, per riportarti questo. Lo hai dimenticato ieri sera, e non ho potuto correrti dietro. Io…- Si fermò, notando riverberare nelle iridi cobalto una scintilla di quella che interpretò come gratitudine.
–L’ho messo nella maglietta perché si sarebbe bagnato, altrimenti, e quindi rovinato. Ripensandoci forse avrei dovuto usare un asciugamano, ma se avessi potuto avrei fatto un incantesimo per…-
-Grazie.- Lo interruppe lei, prendendo il libro con la stessa delicatezza che avrebbe riservato ad un bambino. –Grazie davvero. Non ho parole per ringraziarti. Non pensavo che mi avresti cercata per farmelo riavere.- Poi lo guardò, sorridendo ancora –Sei completamente zuppo. Mi dispiace.-
Rabastan le guardò i capelli lunghi e altrettanto bagnati –desiderò sfiorarli all’istante, ma represse l’impulso. –Anche tu, a quanto vedo.- Si limitò ad aggiungere.
-Ma il libro era mio. Sono stata io a dimenticarlo, non avresti dovuto preoccupartene tu. Sei stato così gentile che non so come…-
-Che sciocchezza.- La interruppe, aprendosi in un sorriso.
-Cosa?-
Rabastan si passò nervosamente una mano fra i capelli, continuando a sorridere –Niente, pensavo stessi per dire che non avresti saputo come sdebitarti… e non è proprio il caso. Voglio dire, per così poco.- Arrossì violentemente e si fissò la punta delle scarpe, dondolandosi sul posto senza accorgersene. Dopo qualche secondo di crudele imbarazzo vide la mano di lei tesa proprio sotto al suo naso, e rialzò la testa.
-Sono Dorcas, comunque. Dorcas Meadowes.-
-Lo so. Cioè, voglio dire, Rabastan Lestrange- Gracchiò, come i gabbiani inquietanti di poco prima.
Vedendola incuriosita, si affrettò a spiegare. –Ho letto il tuo nome nel quaderno. Cioè, nel libro, insomma. Non ho letto il libro, ma ho letto il tuo nome.-
A questo punto la ragazza esplose in una sonora risata, che lo fecce vergognare ancora di più, se possibile.
-Tranquillo.-
-Beh, sì, tanto voglio dire, non è mica un diario. Se fosse stato un diario personale sarebbe stato diverso, ma non lo è, giusto?-
-Giusto.-
-Bene. Quindi anche se lo avessi letto tu non avresti potuto offenderti, e quindi…-
-Va bene così.-
-Certo.-
-Certo.-
-Pensi che mi restituirai anche la mano?-
-Oh. Scusami. Non mi ero accorto…- Rabastan sciolse la presa fin troppo salda e con la mano ora libera salì a grattarsi l’orecchio. Notò i braccialetti che la ragazza portava al polso, pietre dai colori molto simili a quelli dei lapislazzuli, si intonavano agli occhi perfettamente. Notò anche l’eccessiva trasparenza del vestito -troppo leggero per una pioggia torrenziale come quella che stava ancora  cadendo. Era pur sempre un galantuomo, dopotutto. Si chiese se non fosse il caso di prestarle la giacca, e fece anche per chiederglielo prima di ricordarsi di non avere indosso proprio nessuna giacca.
-Ehi. Ti senti bene?-
-Cosa? Sì, sto bene. Perché?-
Dorcas fece un passo indietro, le mani dietro la schiena.
-Ah. Non so, è che alle volte ti assenti e fissi il vuoto. Nel bel mezzo dei discorsi, intendo. Cioè…-
Rabastan sorrise, annuendo con aria colpevole e incrociando le braccia al petto.
-Hai ragione, scusa. Non sei la prima persona che me lo dice. È che…-
-Ma no, dai. Non intendevo offenderti, è una cosa simpatica.-
Rabastan rimase a sorridere come un ebete per qualche altro secondo. Il gran caldo alle orecchie non accennava minimamente a passare.
-Adesso però dovrei andare.-
Rabastan cercò di ritrovare un po’ di contegno –se ne era rimasto, da qualche parte, e annuì vigorosamente come a voler ribadire un concetto di estrema importanza.
-D’accordo. Allora noi… ci vedremo in giro, immagino.- Non trovò nemmeno qualcos’altro di più appropriato da dire per congedarsi.
-Già. Magari nei prossimi giorni, qui sulla spiaggia, se…-
-Temo di no. Siamo in partenza. Sono con la mia famiglia. Io e mio fratello trascorriamo qui un paio di settimane prima dell’inizio della scuola.-
-In realtà, ecco, sapevo…so chi sei. Intendo dire che già ti conosco, di vista. Te e tuo fratello Rodolphus. I fratelli Lestrange… non passate del tutto inosservati ad Hogwarts e … e invece tu non hai la minima idea di chi sia io.- Constatò alla fine.
Il sorriso le si smorzò. Rabastan osservò nuovamente quegli occhi mutare espressione e sfumature. L’accenno di delusione che vi lesse lo colpì in pieno petto, come una secchiata d’acqua gelata. Avvertì l’immediato bisogno di profondersi in scuse.
-Scusa, davvero… forse sei più piccola di me. Io non ti ho mai vista prima di ieri, lo giuro. Me ne ricorderei altrimenti.- Ammise, avvicinandosi di qualche passo, piantando gli occhi nocciola nei suoi.
Si accorse delle efelidi delicate sugli zigomi, sul naso. Forse era troppo vicino. Ma Dorcas non si scansò. Fissò invece il profilo delle sue labbra. Lui se ne accorse. Improvvisamente avvertì di nuovo un gran caldo.
-Sono in Grifondoro. E abbiamo la stessa età.-
-Sì?- Mormorò Rabastan in risposta, lasciando che le sue mani scivolassero attorno ai suoi fianchi morbidi. Troppo morbidi. Salì a scostarle una ciocca bagnata dietro l’orecchio.
-Non conosco nessuno dei Grifondoro. A parte Sirius Black. Quello spostato.-
-Sirius non è uno spostato. - La sentì replicare, ma badò maggiormente al profumo del suo respiro.
Deglutì.
-Perché, conosci Sirius?-
Per Salazar, stava davvero parlando di quel moccioso di Sirius?
Le dita della mano sinistra strinsero più forte le pieghe del vestito sottile.
Troppo sottile.
-Certo che lo conosco. È nel gruppetto dei ragazzi più piccoli. Quelli che fanno sempre casino.-
Rabastan tornò a cingerla con entrambe la mani, sfiorandole la punta del naso con il suo.
-C’è pure un tizio occhialuto che urla dichiarazioni d’amore ad una ragazzina rossa?-
Dorcas rise, le labbra a toccarsi per un secondo.
-Potter. Sì.-
-E a te nessuno urla dichiarazioni per i corridoi?-
Tornarono a fissarsi negli occhi. Il mondo esterno sembrava essersi volatilizzato nel più profondo del nulla. Anzi, sembrava non fosse mai esistito.
-No.- Rispose Dorcas, in un soffio.
-No.- Replicò Rabastan. -Me ne sarei accorto, altrimenti.-
Il tocco tremante delle sue dita sottili contro il suo torace gli fece trattenere il respiro.
-Ascolta. Io devo…-
-C’è…c’è un’altra grotta qui dietro, una specie di baia nascosta con una pozza di mare azzurro…-Tornò a guardarla negli occhi, -Con quelle cose… le stalattiti, stalagmiti o come diavolo si chiamano…-
-Lo so. La conosco. Ci… ci vado spesso. A leggere.-
-Ah.- Ora Rabastan aveva la gola completamente secca e le labbra in fiamme –Io invece non ci entro da un po’. Ci sono quasi annegato là dentro. Mio fratello e la sua ragazza pretendevano di insegnarmi a nuotare. Non ho più toccato il mare nemmeno per sbaglio, da allora.-
Dorcas lo fissò sgomenta per qualche secondo, poi gli sorrise allontanando però il viso dal suo, sfiorandogli una guancia con l’indice.
-Mi dispiace.-
Rabastan si strinse nelle spalle con noncuranza.
-L’ho superata.-
-Non direi, se non hai mai più fatto un bagno in mare.-
-Beh. Ho fatto un sacco di cose. E vorrei farne altre. Con il tuo permesso, si intende.-
Si rese conto che stava dondolando sul posto, tenendola stretta. Sembrava ballassero.
-Devo andare sul serio. Non posso restare.-
Rabastan abbassò la testa al libro infagottato che Dorcas teneva ancora stretto a sé.
-D’accordo. Se proprio devi.-
La sentì sciogliere delicatamente la presa in cui l’aveva serrata e nell’istante in cui perse il contatto con il suo corpo avvertì una dolorosa fitta al centro del petto.
-Io… vado da questa parte. C’è un breve passaggio che porta alla strada che è quassù, lungo la collina.- Indicò con l’indice l’entrata angusta verso le grotte minori.
 
Poi fu questione di un attimo. Un paio di secondi, o anche meno.
Rabastan sentì un rumore. Lieve, appena percettibile, ma ben distinto dallo scrosciare della pioggia e dal fragore dell’oceano. Un rumore che associò ad un lieve scalpiccio. Non riuscì ad elaborare un paragone più dettagliato perché non appena lo percepì ed ogni suo senso si acuì per identificarne la natura e la provenienza, era già cessato.
 
Chiuse gli occhi per un altro, lungo, interminabile secondo, ma non udì nulla al di fuori del respiro, ora più affannato e agitato, di Dorcas.
-Perché hai preso la bacchetta?-
Riaprì gli occhi e portò un dito alle labbra, facendole cenno di tacere.
Dorcas intercettò il suo sguardo e si ritrovarono a fissare il cunicolo buio.
-Non ho paura ad entrarci, se è questo che stai cercando di chiedermi.-
-Ho sentito un rumore.-
Dorcas ridacchiò, riavvicinandosi a lui.
-Se vuoi mettere alla prova il coraggio di noi Grifondoro, beh…-
Rabastan sbuffò, la scansò e andò a sbirciare lungo il tunnel.
-Ho sentito un rumore, ti ho detto.-
-Sta tuonando là fuori, e siamo su una spiaggia, e queste grotte saranno piene di pipistrelli.-
Rabastan puntò la bacchetta verso il fondo della galleria, incapace però di muoversi. Immobilizzato. Con una sensazione orrida che pareva risalire dal profondo delle sue viscere. Un terrore ancestrale. Un avvertimento che in qualche modo già conosceva.
 
-Non è stato un pipistrello.- Decretò infine, con assoluta certezza.
-Ascolta, io vado. È tardi per davvero. Mio padre vuole trovarmi a casa per pranzo.-
Dorcas arginò l’ostacolo costituito dal braccio di Rabastan -teso a toccare la roccia, passandovi sotto. Imboccò la galleria, voltandosi a guardarlo, ridacchiando.
-Non vedi quanta luce filtra?- Alzarono entrambi la testa. –Siamo sotto al pendio che collega la spiaggia alla strada ... –
-Ti accompagno.- La zittì, intascando la bacchetta e andandole vicino.
Ma lei lo fermò, premendogli entrambe le mani contro il torace. Il libro cadde in terra, i loro respiri affannati si fusero assieme per la prima volta.
-Non è necessario. È un tragitto molto breve. L’ho fatto un sacco di volte.-
-Posso almeno aspettarti all’uscita?- Biascicò Rabastan.
Dorcas sorrise. Un guizzo negli occhi prima di chiuderli e baciarlo. Delicatamente.
Fu la sensazione più delicata che Rabastan avesse mai provato –e che provò, nell’arco della sua intera vita.
Non forzò nemmeno un contatto più approfondito. Ne assaggiò solo i contorni del labbro inferiore, carezzandole lentamente la schiena.
-Perché non vuoi che ti accompagni a casa?-
Lei scosse lievemente la testa, passandogli le dita sulle guance, sulla fronte –come stesse ripassando i contorni di un disegno immaginato troppe volte e mai colorato.
-Non preoccuparti.-
Rabastan posò la fronte sulla sua, spingendola indietro, contro la parete dello stretto cunicolo.
-Posso chiederti almeno di mandarmi un gufo, questa sera?-
Dorcas annuì.
Rabastan si rilassò, godendosi la sensazione di quelle dita intrecciate fra i suoi ricci, dietro la nuca.
-Devo andare a casa. E tornare al mio libro che…-
-Che oramai penso sarà irrecuperabile. Questo lo sai, sì?-
-Non è un gran dramma… tanto lo avevo già letto.-
Rabastan si accigliò, giocherellando con uno dei suoi orecchini.
-Sì?-
-Sì, tre volte.-
Abbassarono lo sguardo al fagotto inzuppato che giaceva ai loro piedi.
-Mi dici che senso ha rileggere una storia di cui si conosce già la trama e il finale?-
 Lei alzò le spalle. Poi la sentì scivolare via, sciogliere senza fretta l’abbraccio e chinarsi per raccogliere il libro. La lasciò fare, anche se avrebbe dato qualsiasi cosa per frantumare il tempo e ritagliarne una scheggia solo per custodire quei preziosi momenti, e la frase che lei sussurrò dopo. Impacciata, arrossendo, indietreggiando con gli occhi bassi.
-Esistono cose che possono esistere e vivere in eterno soltanto in un libro.-
 
Il tragitto di ritorno verso casa gli sembrò infinitamente lungo. Il temporale era cessato e cumuli plumbei si stavano allontanando velocemente dalla costa, verso il mare aperto, ancora agitato. Rabastan era inquieto. Non riusciva a fare tre passi senza voltarsi indietro ad osservare le proprie orme che restavano impresse sulla sabbia bagnata per poi venir cancellate dalla ritmica danza macabra -non poté far a meno di pensare, delle onde.
Si affrettò più che poté, alternando la corsa a passi svelti e impauriti, senza una ragione apparente.
Quando arrivò al portico della villa, si accasciò sulle scale d’ingresso per riprendere fiato.
Varcò la soglia affannato e tremante, ma i suoi tentativi di passare inosservato si rivelarono del tutto vani non appena inciampò nell’elfo domestico che stava rannicchiato all’ingresso. Ruzzolò in terra con un gran fracasso e imprecò.
-Per Salazar, stupido essere!-
-Crab si scusa, padrone. Crab stava pulendo le scarpe della signorina Bellatrix, Signore…-
-E devi lucidarle proprio sullo zerbino d’ingresso? Idiota!-
Afferrò una delle scarpe di Bellatrix e la lanciò contro il muro.
-Rab!-
Andromeda gli mollò uno scappellotto e gli si inginocchiò accanto, porgendogli una tazza di tè fumante.
-Va’ di sopra e bevi questo. È bollente. Crab, sii gentile, pulisci questo casino.-
Lo aiutò a rimettersi in piedi, porgendogli un asciugamano pulito.
-Cerca di non sporcare ulteriormente, per favore… ci sono i miei genitori e i colleghi di tuo padre a pranzo, è il suo compleanno, ma come hai fatto a scordarlo!-
Rabastan biascicò qualcosa, provando ad inventare una scusa plausibile, ma Andromeda non sentì una parola, troppo occupata a dare istruzioni al vecchio elfo, che pareva piuttosto confuso.
-Ma Crab deve pulire prima le scarpe della signorina o deve lavare il pavimento?-
Rabastan fissò le orecchie dell’elfo abbassarsi e poi rialzarsi, come ipnotizzato.
-Oh, per amore del cielo!- Sbottò Andromeda a bassa voce. –Ma che diavolo ci ha fatto con gli stivali in agosto? È completamente fuori di testa…- Borbottò. –Lascia stare Crab, li pulisco io, questi… Rabastan, va’ di sopra!-
Lo afferrò per il gomito e lo trascinò su per le scale, poi lo lanciò letteralmente verso la porta del bagno, inarcando le sopracciglia e facendogli segno di tacere.
-Fatti una doccia. Renditi presentabile entro due minuti e scendi. Tua madre era troppo impegnata con il pranzo per dare peso alla tua escursione solitaria. Muoviti! Che fai ancora là? Stai gocciolando sul parquet! -
Rabastan sorrise –il sorriso più ampio di tutta l’estate, e sillabò un grazie muto.
Andromeda agitò la mano con noncuranza e lui entrò in bagno, accasciandosi contro la porta.
Bevve una lunga sorsata di tè caldo per calmare i brividi e tirò un sospiro di sollievo.
Ce l’aveva fatta.
 

  *La scena che Rabastan rievoca alla memoria, e che io ho inserito come piccolo flashback, è ripresa da una Shot di Katekat, Quel pianoforte. Per ulteriori dettagli a riguardo, vi rimando perciò alla sua storia :)
  
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