Capitolo 1.
22 settembre
2009, Beacon Hills
Quando
Isaac aveva compiuto quattordici anni, suo fratello era già
partito da un paio
di anni da bravo Marine ed era passato a miglior vita prima di potergli
lasciare l'ennesima copia di un'edizione limitata di Spiderman sul
tavolo della
sala da pranzo, accanto alla tazza dei cereali, come faceva ogni anno.
Suo
padre l'aveva dimenticato e lui era andato a scuola come ogni giorno
normale,
per seguire le lezioni della nona classe. Nessuno gli aveva fatto gli
auguri,
né tanto meno rivolto la parola e lui aveva continuato a
sedersi al suo banco
in fondo all'aula, accanto al muro, tentando di dare il meno fastidio
possibile.
Le
superiori non erano diverse dagli anni precedenti, per lui. Cercava di
prendere
appunti e di non perdere tempo. Si era iscritto alla squadra di
Lacrosse e
Jackson Whittermore aveva riso.
Il
primo giorno di scuola, un paio di settimane prima, aveva chiesto a
Lydia
Martin se le andasse di uscire e aveva avuto la stessa reazione, forse
quei due
avevano un futuro assieme. Lei era bella e aveva i capelli rossi; Isaac
non
poteva fare a meno di girarsi quando vedeva una ciocca di capelli di
quel colore
così particolare e Lydia gli ricordava qualcuno, anche se
non capiva chi.
Si
tirò giù le maniche della lunga felpa blu, per
coprire i recenti lividi sulle
braccia, fissando i problemi algebrici alla lavagna e aggrottando
appena le
sopracciglia, nel vano tentativo di capirci qualcosa. In
realtà, preferiva
concentrarsi sulla matematica che su qualsiasi altra cosa; prima di
tutto
desiderava tenere casa sua e tutto ciò che fosse legato alla
sua famiglia il
più lontano possibile dai propri pensieri. Dopotutto a
nessuno sarebbe
importato: al funerale di Camden c'erano un sacco di persone, sia
perché era un
Marine che aveva dato la sua vita per la patria sia perché
in fin dei conti suo
padre era un uomo rispettato, era stato anche l'allenatore della
squadra di
nuoto in quella stessa scuola qualche anno prima; ma nessuno aveva mai
chiesto
a lui come si sentisse per aver perso suo fratello.
«Signor
Lahey, scommetto che stava per proporsi volontario per risolvere il
quesito,
non è vero?»
"Fantastico."
«Io?»
tentennò qualche istante, colto ala sprovvista, facendo
passare gli occhi
azzurri dalla lavagna all'insegnante. «Certo» disse
alla fine, accorgendosi di
avere gli occhi di tutti puntati addosso, cosa che, tra
l’altro, odiava
tremendamente. Raggiunse la cattedra a capo chino e prese il gesso
«Isaac?»
Il
biondo alzò lo sguardo dal proprio piatto
per incontrare quello del padre, che gli era già sembrato
irrequieto quando era
tornato da scuola, non che fosse una grande novità. Era
piuttosto strano che
non fosse andato a lavoro quella mattina, di certo non si aspettava di
ritrovarselo in casa una volta aperta la porta, sperava di poter
entrare,
andare al piano si sopra, stendersi sul letto e chiudere gli occhi per
immaginare di essere qualcun altro, con un'altra vita e rimanere. Anche
solo
per dieci minuti.
Era
sicuro di farlo da quando era piccolo, probabilmente da quando aveva
dieci anni
o giù di lì, ma non ricordava come aveva
iniziato, forse era stata
semplicemente la necessità di allontanarsi dalla
realtà e dal suo mondo, in un
modo o nell’altro.
«Isaac,
mi stai ascoltando?!»
«Sì,
papà, scusami» mormorò abbassando
nuovamente gli occhi per evitare quelli
minacciosi di lui. La situazione non sembrava mettersi bene.
«Stamattina
quando mi sono svegliato sono entrato in camera tua»
cominciò tranquillamente,
tagliando con estrema cura una fetta di pane e catturando tutta
l'attenzione di
suo figlio sul coltello affilato, a Isaac ricordava la calma prima
della
tempesta, «sapresti dirmi perché il letto
è ancora sfatto?»
Al
ragazzo servì qualche minuto di silenzio per realizzare
ciò che aveva detto.
Eccola, la tempesta. «Oh» le sue labbra si aprirono
appena, cercando una scusa
che potesse sembrare vagamente credibile per suo padre,
«ero... davvero in ritardo
questo mattina e... io... »
incespicò. Non poteva dire che
di solito si occupava di riordinare solo una volta tornato a casa,
avrebbe solo
peggiorato le cose, «pensavo di poterlo fare dopo
scuola» sussurrò, evitando
ancora una volta di guardarlo direttamente.
«Ah,
tu pensavi di poterlo fare dopo scuola?» domandò
retorico l'altro con un
sopracciglio inarcato, marcando su ogni singola sillaba della frase,
«quindi,
secondo te, se non ne ho voglia io posso pensare di andare a lavoro
dopo un
pisolino? O dopo una partita di baseball?»
Dalla
sua espressione sembrava aspettarsi seriamente una risposta, ma Isaac
sapeva
come sarebbero finite le cose a quel punto, qualsiasi cosa avrebbe
detto. «No,
signore» deglutì.
«Credo
che dovremmo chiarire il concetto» il signor Lahey sembrava
quasi soddisfatto
di aver trovato anche quel giorno qualcosa che non andasse nel figlio.
In
realtà, pensò tristemente, era quasi troppo
facile trovare un motivo per punire
suo figlio. Lasciò perdere il proprio pranzo, alzandosi.
«In cantina» ordinò al
più giovane.
Isaac
spalancò gli occhi chiari, alzandoli verso il padre, con la
vana speranza che
stesse solo scherzando. Già, ma aveva un'aria
così seria che era davvero
impossibile pensarlo.
Stava
tremando convulsamente, graffiando la porta del freezer. Sentiva il
sangue
sulle unghie scorticate bagnargli i polpastrelli e l'ossigeno che si
riduceva
sempre di più, mozzandogli il respiro. Stava sudando. Era
completamente
infradiciato del suo stesso sudore, ma il cattivo odore era l'ultima
cosa a cui
pensava. Premeva contro la porta, la sentiva alzarsi di qualche
millimetro
prima che riproducesse un rumore sordo, incontrando le catene pesanti e
tornando
giù con violenza, provocandogli dolore ai polsi.
Isaac
lo sapeva che non aveva possibilità di uscire, ma non
riusciva semplicemente a
starsene buono, aspettando che suo padre decidesse che era abbastanza,
che
poteva uscire e tornare in camera sua a fare i compiti. Non riusciva a
smettere
di farsi quasi violenza da solo, che andava ad aggiungersi a quella che
l'uomo
gli procurava. Probabilmente se l'avesse fatto, lui non si sarebbe
più
divertito e avrebbe cambiato punizione; ma Isaac era solo un bambino
tremendamente spaventato che quel giorno avevo compiuto quattordici
anni, non
era un marine come suo fratello, non era coraggioso quanto era stato
Camden:
lui non sarebbe mai riuscito ad andarsene da lì.
Aveva
paura. Così tanta paura di quello spazio
così buio. Cercò di tirarsi a sedere contro un
angolo del frigo, ma l'altezza
nonostante la sua giovane età lo costrinse a curvare la
schiena mentre attirava
le ginocchia al petto, quasi abbracciandole con entrambe le braccia.
Aveva
il respiro veloce e gli occhi azzurri vuoti. Aveva paura del buio,
aveva sempre
avuto paura del buio. Cercò di prendere a pugni la parete
laterale, affannando.
Isaac non usava mai i bagni scolastici: era diventato tremendamente
claustrofobico e ansimava solo al pensiero di una piccola stanza chiusa
e senza
finestre; ciò rendeva quella specie di tortura ancora
più terribilmente sadica.
Anche
le nocche presto iniziarono a dolergli troppo e a sanguinare e il
biondo non
poté che ricorrere all'ultimo strumento che aveva.
«Ti prego» implorò con la
voce rotta dal pianto, «ti giuro che non... che
non...» tentò di dire, prima di
appiattirsi ancora di più contro la parete. Sentiva le
convulsioni che gli
scuotevano il corpo e la vedeva, lì, di fronte a
sé: la morte si stava
avvicinando inesorabilmente e non poteva impedirlo. Era bloccato.
Inchiodato
lì, non riusciva nemmeno più a reagire.
Forse,
se avesse scelto di seguire il corso di psicologia, si sarebbe reso
conto di aver
avuto un attacco di panico non appena fosse cessato, ma si
limitò a perdere i
sensi.
10 settembre
2009, Fell's Church
Quando
Bonnie aveva compiuto quattordici anni, l'anno scolastico non era
ancora
iniziato e lei era piuttosto irrequieta al pensiero di iniziare la nona
classe,
ma sapeva che sarebbe stata assieme a Matt, Meredith ed Elena e la cosa
la
tranquillizzava molto.
Quando
suo padre aveva deciso di trasferirsi lì con tutta la
famiglia per motivi di
lavoro, la rossa aveva messo il broncio e aveva cercato di convincerli
che
c'era tutto il lavoro del mondo a Beacon Hills. Ora non ne ricordava
perfettamente il motivo, immaginava con imbarazzo che ci fosse un
bambino che
le piaceva o qualcosa del genere. Dopotutto erano passati cinque anni.
Comunque
ricordava che aveva avuto paura di non riuscire a farsi degli amici
nella nuova
cittadina, non che dove abitava prima ne avesse molti, comunque; invece
Meredith
l'aveva presa sotto la sua ala protettiva dal momento stesso in cui
l'aveva
vista e l'aveva introdotta agli altri due. C'era anche Caroline, ma a
dire il
vero lei non parlava troppo con Bonnie, non faceva mistero del fatto
che la
ritenesse ancora una bambina e alla rossa sembrava sciocco
perché avevano sì e
no due mesi di differenza.
Comunque,
Bonnie amava il suo compleanno. Era
il giorno più bello dell'anno e indossò i vestiti
che preferiva per la festa
che le avevano organizzato i suoi genitori nel giardino di casa: aveva
un'adorabile
gonellina a pieghe bianca e una camicetta rosa intonata a delle
ballerine dello
stesso colore. Mary, sua sorella, le aveva intrecciato i capelli e la
piccola
non si era lamentata, nemmeno quando le aveva fatto un po' male per
scioglierle
dei nodi.
Il
giardino era addobbato con mille palloncini di colori diversi e il
signor
McCullough si stava dando da fare con la brace, mentre sua madre e sua
sorella
preparavano dei piattini con patatine per i bambini.
Erano
venuti tutti quelli che Bonnie aveva invitato e c'erano anche alcuni
suoi
parenti, accomodati a chiacchierare
nel
gazebo con altri vecchi amici di famiglia che non avevano fatto altro
che
ripeterle che loro ricordavano come era piccola quando erano andati ad
abitare
lì e ora stava diventando una splendida signorina.
«Bonnie!»
Elena era corsa verso di lei e l'aveva abbracciata, con i lunghi
capelli biondi
che svolazzavano grazie al vento. «Auguri!»
gridò mentre venivano raggiunte da
una Meredith molto più formale che teneva in modo composto
ed elegante le
braccia distese lungo i fianchi e le osservava con gli intelligenti
occhi
grigi.
«Cosa
hai ricevuto, Bonnie?» domandò con un leggero
sorriso che le incurvava le
labbra. In qualche modo, Meredith non era fredda o fuori luogo nemmeno
quando
faceva delle domande simili, con quell'espressione seria, ma gentile al
tempo
stesso, la piccola dai capelli rossi aveva imparato a conoscerla e ad
adorarla
esattamente per quello che era. La sua eroina.
«Uhm,
non lo so» rispose la rossa, mettendo loro il broncio e
lanciando un'occhiata interrogativa
ai suoi genitori, «vogliono farmi aprire i regali dopo la
torta, non vi pare
un'ingiustizia bella e buona?», sapeva che Elena avrebbe
annuito in segno d'approvazione,
almeno quanto sapeva che Meredith non avrebbe fatto alto che sorridere
appena e
scuotere il capo, divertita.
«Tra
qualche giorno ricomincia la scuola» la più alta
portò il tutto su un argomento
di discussione in cui era decisamente più a suo agio, meno
futile e più pragmatico.
«vi sentite pronte?», si portò una
ciocca di capelli scuri dietro l'orecchio,
osservandole attentamente e aspettando una risposta. Non si era mai
sentita a
disagio con le sue amiche, nonostante avessero spesso dimostrato di
avere
atteggiamenti più infantili dei suoi.
«Sono
su di giri» Bonnie aveva spalancato gli occhioni marroni, con
un grande sorriso
stampato sul viso a forma di cuore. «e magari ci
sarà anche qualche nuovo e
misterioso ragazzo carino». Era da poco che mostrava uno
strano ed acuto interesse
per i bei ragazzi -e se lo avesse fatto prima, sarebbe stato stano,
considerando la giovane età-, mentre la sua inclinazione per
il mistero e
l'oscurità c'era da quando aveva iniziato a sfogliare le
pagine di qualche
urban fantasy in libreria.
«Quel
tipo di ragazzo esiste solo nei li.. »
Elena aveva bloccato
la sua frase saccente e leggermente infastidita grazie all'occhiataccia
di
Meredith. Normalmente, nessuno riusciva a zittire la bionda, ma l'amica
aveva
questo potere e sembrava le stesse gridando addosso che non doveva
riprendere
Bonnie su un argomento in cui credeva così fermamente come
l'amore -sebbene ne
avesse ancora una visione parecchio distorta- il giorno del suo
compleanno.
La
mora considerava Bonnie ancora come una bambina a cui faceva bene avere
dei
sogni e delle illusioni, soprattutto dal momento che non le bastava
guardare un
ragazzo per farlo capitolare ai propri piedi come alla piccola Gilbert.
Gli
idioti della loro scuola, come soleva definirli lei, erano appena
entrati nella
difficile fase delle crisi ormonali e vedere una ragazza alta, con il
fisico
che iniziava a formarsi, i lunghi capelli biondi e gli splendenti occhi
blu,
che non sembrava avere nemmeno il minimo difetto, doveva essere
alquanto
provocatorio per loro.
La
suddetta ragazza perfetta alzò appena gli occhi al cielo,
decidendo di cambiare
argomento. «Comunque Matt dice che non vede l'ora di entrare
nella squadra di
football... o quello che è» spiegò,
stringendosi nelle spalle. «io davvero non
capisco perché i maschi abbiano tutta questa voglia di
partecipare a sport in
cui ci si sporca come maiali».
Bonnie
era scoppiata a ridere, muovendo la testa e facendo dondolare i boccoli
rossi.
«Tu e Matt sareste davvero una bella coppia!».
Meredith
aveva alzato appena le palpebre, in un’espressione lievemente
stupita. Non
avevano relegato l’argomento “fidanzati”
qualche istante prima?
Polaroid:
Buon giorno a tutti, vi anuncio che, ebbene sì, sono una schiappa a rispettare la scadenze pur avendo i capitoli già pronti. La verità è che non vado avanti con la storia da quando è iniziata la scuola e al momento ho per la testa un'Originale, ma spero comunque di riuscire a postare capitoli qui un po' più spesso. :)
Avrei voluto saltare questo capitolo, che in fin dei conti è solo una transizione dei nostri personaggi, ma... chiamatemi sadica, ma mi affascinava l'idea di descrivere l'adolescenza di Isaac. Un po' meno quella rosea e dolce della nostra BonBon.
A presto!
Buon giorno a tutti, vi anuncio che, ebbene sì, sono una schiappa a rispettare la scadenze pur avendo i capitoli già pronti. La verità è che non vado avanti con la storia da quando è iniziata la scuola e al momento ho per la testa un'Originale, ma spero comunque di riuscire a postare capitoli qui un po' più spesso. :)
Avrei voluto saltare questo capitolo, che in fin dei conti è solo una transizione dei nostri personaggi, ma... chiamatemi sadica, ma mi affascinava l'idea di descrivere l'adolescenza di Isaac. Un po' meno quella rosea e dolce della nostra BonBon.
A presto!