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Autore: Polaroid    07/01/2015    2 recensioni
Cross-over Teen Wolf/Il diario del vampiro.
Isaac è sempre stato solo; perfino nei corridoi della scuola, tra migliaia di studenti frettolosi.
Non è difficile immaginare quanto per lui Derek Hale e la licantropia siano stati significativi, dandogli l'occasione di riscattarsi da tutto ciò che ha subito. Eppure, si sa, controllare la belva celata dai capelli biondi e gli innocenti occhi azzurri non è di certo semplice, sembra anzi una strada molto più piacevole quella di abbandonarsi all'oscurità del lupo quando la luna è alta nel cielo.
E c'è ancora qualcosa che può aiutarlo? Un'ancora? Una persona che tenga alla sua umanità più di quanto lui stesso abbia mai fatto?
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Isaac Lahey, Un po' tutti
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 1.
 
 
22 settembre 2009, Beacon Hills
 
Quando Isaac aveva compiuto quattordici anni, suo fratello era già partito da un paio di anni da bravo Marine ed era passato a miglior vita prima di potergli lasciare l'ennesima copia di un'edizione limitata di Spiderman sul tavolo della sala da pranzo, accanto alla tazza dei cereali, come faceva ogni anno. Suo padre l'aveva dimenticato e lui era andato a scuola come ogni giorno normale, per seguire le lezioni della nona classe. Nessuno gli aveva fatto gli auguri, né tanto meno rivolto la parola e lui aveva continuato a sedersi al suo banco in fondo all'aula, accanto al muro, tentando di dare il meno fastidio possibile.
Le superiori non erano diverse dagli anni precedenti, per lui. Cercava di prendere appunti e di non perdere tempo. Si era iscritto alla squadra di Lacrosse e Jackson Whittermore aveva riso.
Il primo giorno di scuola, un paio di settimane prima, aveva chiesto a Lydia Martin se le andasse di uscire e aveva avuto la stessa reazione, forse quei due avevano un futuro assieme. Lei era bella e aveva i capelli rossi; Isaac non poteva fare a meno di girarsi quando vedeva una ciocca di capelli di quel colore così particolare e Lydia gli ricordava qualcuno, anche se non capiva chi.
Si tirò giù le maniche della lunga felpa blu, per coprire i recenti lividi sulle braccia, fissando i problemi algebrici alla lavagna e aggrottando appena le sopracciglia, nel vano tentativo di capirci qualcosa. In realtà, preferiva concentrarsi sulla matematica che su qualsiasi altra cosa; prima di tutto desiderava tenere casa sua e tutto ciò che fosse legato alla sua famiglia il più lontano possibile dai propri pensieri. Dopotutto a nessuno sarebbe importato: al funerale di Camden c'erano un sacco di persone, sia perché era un Marine che aveva dato la sua vita per la patria sia perché in fin dei conti suo padre era un uomo rispettato, era stato anche l'allenatore della squadra di nuoto in quella stessa scuola qualche anno prima; ma nessuno aveva mai chiesto a lui come si sentisse per aver perso suo fratello.
«Signor Lahey, scommetto che stava per proporsi volontario per risolvere il quesito, non è vero?»
 "Fantastico."
«Io?» tentennò qualche istante, colto ala sprovvista, facendo passare gli occhi azzurri dalla lavagna all'insegnante. «Certo» disse alla fine, accorgendosi di avere gli occhi di tutti puntati addosso, cosa che, tra l’altro, odiava tremendamente. Raggiunse la cattedra a capo chino e prese il gesso
 
  «Isaac?»
 Il biondo alzò lo sguardo dal proprio piatto per incontrare quello del padre, che gli era già sembrato irrequieto quando era tornato da scuola, non che fosse una grande novità. Era piuttosto strano che non fosse andato a lavoro quella mattina, di certo non si aspettava di ritrovarselo in casa una volta aperta la porta, sperava di poter entrare, andare al piano si sopra, stendersi sul letto e chiudere gli occhi per immaginare di essere qualcun altro, con un'altra vita e rimanere. Anche solo per dieci minuti.
Era sicuro di farlo da quando era piccolo, probabilmente da quando aveva dieci anni o giù di lì, ma non ricordava come aveva iniziato, forse era stata semplicemente la necessità di allontanarsi dalla realtà e dal suo mondo, in un modo o nell’altro.
«Isaac, mi stai ascoltando?!»
«Sì, papà, scusami» mormorò abbassando nuovamente gli occhi per evitare quelli minacciosi di lui. La situazione non sembrava mettersi bene.
«Stamattina quando mi sono svegliato sono entrato in camera tua» cominciò tranquillamente, tagliando con estrema cura una fetta di pane e catturando tutta l'attenzione di suo figlio sul coltello affilato, a Isaac ricordava la calma prima della tempesta, «sapresti dirmi perché il letto è ancora sfatto?»
Al ragazzo servì qualche minuto di silenzio per realizzare ciò che aveva detto. Eccola, la tempesta. «Oh» le sue labbra si aprirono appena, cercando una scusa che potesse sembrare vagamente credibile per suo padre, «ero... davvero in ritardo questo mattina e... io... » incespicò. Non poteva dire che di solito si occupava di riordinare solo una volta tornato a casa, avrebbe solo peggiorato le cose, «pensavo di poterlo fare dopo scuola» sussurrò, evitando ancora una volta di guardarlo direttamente.
«Ah, tu pensavi di poterlo fare dopo scuola?» domandò retorico l'altro con un sopracciglio inarcato, marcando su ogni singola sillaba della frase, «quindi, secondo te, se non ne ho voglia io posso pensare di andare a lavoro dopo un pisolino? O dopo una partita di baseball?»
Dalla sua espressione sembrava aspettarsi seriamente una risposta, ma Isaac sapeva come sarebbero finite le cose a quel punto, qualsiasi cosa avrebbe detto. «No, signore» deglutì.
«Credo che dovremmo chiarire il concetto» il signor Lahey sembrava quasi soddisfatto di aver trovato anche quel giorno qualcosa che non andasse nel figlio. In realtà, pensò tristemente, era quasi troppo facile trovare un motivo per punire suo figlio. Lasciò perdere il proprio pranzo, alzandosi. «In cantina» ordinò al più giovane.
Isaac spalancò gli occhi chiari, alzandoli verso il padre, con la vana speranza che stesse solo scherzando. Già, ma aveva un'aria così seria che era davvero impossibile pensarlo.
 
Stava tremando convulsamente, graffiando la porta del freezer. Sentiva il sangue sulle unghie scorticate bagnargli i polpastrelli e l'ossigeno che si riduceva sempre di più, mozzandogli il respiro. Stava sudando. Era completamente infradiciato del suo stesso sudore, ma il cattivo odore era l'ultima cosa a cui pensava. Premeva contro la porta, la sentiva alzarsi di qualche millimetro prima che riproducesse un rumore sordo, incontrando le catene pesanti e tornando giù con violenza, provocandogli dolore ai polsi.
Isaac lo sapeva che non aveva possibilità di uscire, ma non riusciva semplicemente a starsene buono, aspettando che suo padre decidesse che era abbastanza, che poteva uscire e tornare in camera sua a fare i compiti. Non riusciva a smettere di farsi quasi violenza da solo, che andava ad aggiungersi a quella che l'uomo gli procurava. Probabilmente se l'avesse fatto, lui non si sarebbe più divertito e avrebbe cambiato punizione; ma Isaac era solo un bambino tremendamente spaventato che quel giorno avevo compiuto quattordici anni, non era un marine come suo fratello, non era coraggioso quanto era stato Camden: lui non sarebbe mai riuscito ad andarsene da lì.
 Aveva paura. Così tanta paura di quello spazio così buio. Cercò di tirarsi a sedere contro un angolo del frigo, ma l'altezza nonostante la sua giovane età lo costrinse a curvare la schiena mentre attirava le ginocchia al petto, quasi abbracciandole con entrambe le braccia.
Aveva il respiro veloce e gli occhi azzurri vuoti. Aveva paura del buio, aveva sempre avuto paura del buio. Cercò di prendere a pugni la parete laterale, affannando. Isaac non usava mai i bagni scolastici: era diventato tremendamente claustrofobico e ansimava solo al pensiero di una piccola stanza chiusa e senza finestre; ciò rendeva quella specie di tortura ancora più terribilmente sadica.
Anche le nocche presto iniziarono a dolergli troppo e a sanguinare e il biondo non poté che ricorrere all'ultimo strumento che aveva. «Ti prego» implorò con la voce rotta dal pianto, «ti giuro che non... che non...» tentò di dire, prima di appiattirsi ancora di più contro la parete. Sentiva le convulsioni che gli scuotevano il corpo e la vedeva, lì, di fronte a sé: la morte si stava avvicinando inesorabilmente e non poteva impedirlo. Era bloccato. Inchiodato lì, non riusciva nemmeno più a reagire.
Forse, se avesse scelto di seguire il corso di psicologia, si sarebbe reso conto di aver avuto un attacco di panico non appena fosse cessato, ma si limitò a perdere i sensi.
 
 
 
10 settembre 2009, Fell's Church
 
Quando Bonnie aveva compiuto quattordici anni, l'anno scolastico non era ancora iniziato e lei era piuttosto irrequieta al pensiero di iniziare la nona classe, ma sapeva che sarebbe stata assieme a Matt, Meredith ed Elena e la cosa la tranquillizzava molto.
Quando suo padre aveva deciso di trasferirsi lì con tutta la famiglia per motivi di lavoro, la rossa aveva messo il broncio e aveva cercato di convincerli che c'era tutto il lavoro del mondo a Beacon Hills. Ora non ne ricordava perfettamente il motivo, immaginava con imbarazzo che ci fosse un bambino che le piaceva o qualcosa del genere. Dopotutto erano passati cinque anni. Comunque ricordava che aveva avuto paura di non riuscire a farsi degli amici nella nuova cittadina, non che dove abitava prima ne avesse molti, comunque; invece Meredith l'aveva presa sotto la sua ala protettiva dal momento stesso in cui l'aveva vista e l'aveva introdotta agli altri due. C'era anche Caroline, ma a dire il vero lei non parlava troppo con Bonnie, non faceva mistero del fatto che la ritenesse ancora una bambina e alla rossa sembrava sciocco perché avevano sì e no due mesi di differenza.
 Comunque, Bonnie amava il suo compleanno. Era il giorno più bello dell'anno e indossò i vestiti che preferiva per la festa che le avevano organizzato i suoi genitori nel giardino di casa: aveva un'adorabile gonellina a pieghe bianca e una camicetta rosa intonata a delle ballerine dello stesso colore. Mary, sua sorella, le aveva intrecciato i capelli e la piccola non si era lamentata, nemmeno quando le aveva fatto un po' male per scioglierle dei nodi.
Il giardino era addobbato con mille palloncini di colori diversi e il signor McCullough si stava dando da fare con la brace, mentre sua madre e sua sorella preparavano dei piattini con patatine per i bambini.
Erano venuti tutti quelli che Bonnie aveva invitato e c'erano anche alcuni suoi parenti, accomodati a  chiacchierare nel gazebo con altri vecchi amici di famiglia che non avevano fatto altro che ripeterle che loro ricordavano come era piccola quando erano andati ad abitare lì e ora stava diventando una splendida signorina.
«Bonnie!» Elena era corsa verso di lei e l'aveva abbracciata, con i lunghi capelli biondi che svolazzavano grazie al vento. «Auguri!» gridò mentre venivano raggiunte da una Meredith molto più formale che teneva in modo composto ed elegante le braccia distese lungo i fianchi e le osservava con gli intelligenti occhi grigi.
«Cosa hai ricevuto, Bonnie?» domandò con un leggero sorriso che le incurvava le labbra. In qualche modo, Meredith non era fredda o fuori luogo nemmeno quando faceva delle domande simili, con quell'espressione seria, ma gentile al tempo stesso, la piccola dai capelli rossi aveva imparato a conoscerla e ad adorarla esattamente per quello che era. La sua eroina.
«Uhm, non lo so» rispose la rossa, mettendo loro il broncio e lanciando un'occhiata interrogativa ai suoi genitori, «vogliono farmi aprire i regali dopo la torta, non vi pare un'ingiustizia bella e buona?», sapeva che Elena avrebbe annuito in segno d'approvazione, almeno quanto sapeva che Meredith non avrebbe fatto alto che sorridere appena e scuotere il capo, divertita.
«Tra qualche giorno ricomincia la scuola» la più alta portò il tutto su un argomento di discussione in cui era decisamente più a suo agio, meno futile e più pragmatico. «vi sentite pronte?», si portò una ciocca di capelli scuri dietro l'orecchio, osservandole attentamente e aspettando una risposta. Non si era mai sentita a disagio con le sue amiche, nonostante avessero spesso dimostrato di avere atteggiamenti più infantili dei suoi.
«Sono su di giri» Bonnie aveva spalancato gli occhioni marroni, con un grande sorriso stampato sul viso a forma di cuore. «e magari ci sarà anche qualche nuovo e misterioso ragazzo carino». Era da poco che mostrava uno strano ed acuto interesse per i bei ragazzi -e se lo avesse fatto prima, sarebbe stato stano, considerando la giovane età-, mentre la sua inclinazione per il mistero e l'oscurità c'era da quando aveva iniziato a sfogliare le pagine di qualche urban fantasy in libreria.
«Quel tipo di ragazzo esiste solo nei li.. » Elena aveva bloccato la sua frase saccente e leggermente infastidita grazie all'occhiataccia di Meredith. Normalmente, nessuno riusciva a zittire la bionda, ma l'amica aveva questo potere e sembrava le stesse gridando addosso che non doveva riprendere Bonnie su un argomento in cui credeva così fermamente come l'amore -sebbene ne avesse ancora una visione parecchio distorta- il giorno del suo compleanno.
La mora considerava Bonnie ancora come una bambina a cui faceva bene avere dei sogni e delle illusioni, soprattutto dal momento che non le bastava guardare un ragazzo per farlo capitolare ai propri piedi come alla piccola Gilbert. Gli idioti della loro scuola, come soleva definirli lei, erano appena entrati nella difficile fase delle crisi ormonali e vedere una ragazza alta, con il fisico che iniziava a formarsi, i lunghi capelli biondi e gli splendenti occhi blu, che non sembrava avere nemmeno il minimo difetto, doveva essere alquanto provocatorio per loro.
La suddetta ragazza perfetta alzò appena gli occhi al cielo, decidendo di cambiare argomento. «Comunque Matt dice che non vede l'ora di entrare nella squadra di football... o quello che è» spiegò, stringendosi nelle spalle. «io davvero non capisco perché i maschi abbiano tutta questa voglia di partecipare a sport in cui ci si sporca come maiali».
Bonnie era scoppiata a ridere, muovendo la testa e facendo dondolare i boccoli rossi. «Tu e Matt sareste davvero una bella coppia!».
Meredith aveva alzato appena le palpebre, in un’espressione lievemente stupita. Non avevano relegato l’argomento “fidanzati” qualche istante prima?



Polaroid:
Buon giorno a tutti, vi anuncio che, ebbene sì, sono una schiappa a rispettare la scadenze pur avendo i capitoli già pronti. La verità è che non vado avanti con la storia da quando è iniziata la scuola e al momento ho per la testa un'Originale, ma spero comunque di riuscire a postare capitoli qui un po' più spesso. :)
Avrei voluto saltare questo capitolo, che in fin dei conti è solo una transizione dei nostri personaggi, ma... chiamatemi sadica, ma mi affascinava l'idea di descrivere l'adolescenza di Isaac. Un po' meno quella rosea e dolce della nostra BonBon.
A presto!
  
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