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Autore: Dust Fingers    08/01/2015    1 recensioni
Si abbassò sul collo di Imeughe, appoggiandovi una guancia, ed aprì le braccia per volare assieme a lei.
Quella era la vera libertà.
Genere: Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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003. Peace of Mind
 
Sevannhle era una ridente città in continua espansione, costantemente baciata dal sole, era nata precisamente nel punto di convergenza di tutti i venti del mondo. La città era situata su di un’isola fluttuante che entrava in contatto con la costa del Regno una sola mezza giornata ogni stagione grazie all’avvicinamento di grossi scaglioni di pietra magnetica che venivano attratti, durante il loro percorso, dall’isola stessa creando quindi una strada percorribile a piedi.
Per ovviare all’isolamento geografico cui l’isola costringeva i suoi abitanti, dovuto quindi alla posizione di Sevannhle era nato un sistema di consegne e trasporto che prevedeva l’uso dei grifoni addestrati ad effettuare solitari i viaggi o anche cavalcati per consegne più importanti.
Con questo nuovo sistema Sevannhle si rialzò veloce in una potente posizione economica totalmente basata sul suo eccellente servizio postale che si espanse, creando anche succursali più facilmente accessibili da fuori la città, sfruttate spesso dalle altre capitali per efficienza e rapidità del servizio.
 
  Un bel giorno di piena estate, afoso e più soleggiato del solito in cui tutto risplendeva abbagliante di luce, dalle ricche guglie alte del palazzo reale ad ogni singola casetta in periferia, giunse la richiesta per una consegna urgente da effettuare nei pressi di Doa.
Si trattava di un luogo totalmente abbandonato alla furia delle tempeste di neve, sulle taglienti scogliere di Ghiaccio; si diceva che l’oscuro castello che le dominava fosse infestato dalla più alta concentrazione di spettri dell’intero Regno date le urla strazianti che si udivano sottili tra gli ululati del vento. Nemmeno i più coraggiosi cacciatori, o i più avidi, osavano avventurarsi là per raccogliere il prezioso ectoplasma.
  La consegna era da parte di un vecchio giunto alla stazione postale affaticato dal peso della cassa che si trascinava rumorosamente dietro sulla strada lastricata di lastre irregolari rosso acceso.
  «Ti costerà parecchio per dove devi spedirla, vecchio» lo avvertì l’uomo che sedeva dietro un massiccio bancone in legno quasi completamente ricoperto di pacchi e pacchetti, scatole, sacchi e sacchetti, fasci di lettere e carte arrotolate, tutti in attesa di spedizione.
  «Non ha importanza. Spediscila e basta» rispose brusco il vecchio da sotto il cappuccio.
  Dron, così si chiamava l’uomo addetto al ritiro delle consegne, non rispose per cortesia e, lisciandosi i grandi baffi biondi, si limitò a prendere il sacchetto straripante di monete che gli era stato sbattuto davanti alla faccia.  
  «D’accordo. Sarà consegnato in due giorni» capitolò.
  «Deve arrivare prima di domani» protestò il cliente.
  «Ma è già tardi! È una consegna impossibile da effettuare entro oggi!».
  «Ti pagherò il triplo» fece il vecchio, estraendo da sotto il mantello un secondo sacchetto traboccante quanto il primo. Quell’offerta insospettì Dron ma, siccome capitava di rado che un cliente pagasse più del dovuto – e di parecchio anche! – e così insistentemente, non si fece pregare oltre: prese i soldi e trascinò via la cassa mentre il vecchio se ne andava sparendo tra la folla fuori dalla porta.
  In quel momento uno schianto sul tetto fece tremare l’intero edificio e una sottile polvere cadde dalle travi che sorreggevano il soffitto. Dron e i clienti, in fila in attesa del proprio turno, sobbalzarono. «Calma, è solo rientrato uno dei nostri» e gli astanti subito si tranquillizzarono.
 
  Le unghie ricurve del possente grifone appena atterrato sul tetto della costruzione ruppero alcune tegole e ne fecero scivolare altre dalla loro collocazione, mentre si udivano, come al solito, malanni provenire dalla strada indirizzati al suo cavaliere.
«Jeff, ho bisogno di una consegna rapida!» urlò Dron da sotto. Il ragazzo smontò dalla propria cavalcatura, emettendo un sonoro sospirò si liberò dalla soffocante e lunga sciarpa che avvolgeva più volte attorno al capo ed al viso per proteggersi dal vento mentre era in volo e la lasciò cadere sui coppi sotto i suoi piedi scalzi.
«Sì, arrivo!» urlò di rimando poiché, in quel momento, un altro grifone si accingeva all’atterraggio a pochi metri da lì, nello spiazzo dietro l’edificio postale. Per poco non lo colpì alla testa con una zampa.
Jeff diede una pacca sul collo del suo grifone, che o guardava con occhi attenti, e scivolò giù dal tetto atterrando proprio davanti al buon vecchio Dron.
«Eccomi!» si annunciò mentre l’uomo lo squadrava, come ogni volta: era un ragazzo non troppo alto, ma robusto, nonostante l’apparenza. Aveva un incarnato decisamente più scuro del resto degli abitanti di Sevannhle che contrastava prepotente contro i capelli color delle fiamme e con gli occhi color ghiaccio, così chiari da render quasi invisibile l’iride stessa e rendendo, di conseguenza, il suo sguardo difficile da sostenere quanto da decifrare, nonché un po’ inquietante.
  «Questa è la consegna».
Jeff abbassò lo sguardo sulla cassa ai suoi piedi, mettendosi le mani sui fianchi.
  «Con urgenza. Prima di domani. Per Doa».
  «Cercati qualcun altro!».
  «Mi stai piantando, ragazzo?» fece Dron.
  «Precisamente».
  «Jeff…».
  «Non se ne parla. Siamo appena tornati! Imeughe è stanca e Doa è lontana!» protestò ancora il ragazzo, sbuffando e tirandosi via i capelli appiccicati alla fronte.
  «Non ti interessa questa ricompensa?» disse Dron, mostrandogli uno dei sacchetti del vecchio. Jeff si lasciò sfuggire un fischio di ammirazione, ma poi alzò lo sguardo, serio. «Solo se mi dai due terzi anticipati».
L’uomo accettò, anche se a malincuore; trattenne quindi l’ultimo terzo del sacchetto prima di vederselo sparire dalle mani assieme alla cassa.
  «Come al solito, ci ha fregati, Imeughe». Il grifone emise un suono strozzato, scosse un po’ le penne e prese il volo con la cassa fissata alla sella con robuste corde e la promessa di un sostanzioso pasto quando fossero tornati.
 
  Tralasciando il pensiero della consegna, Jeff poté nuovamente godersi la sensazione del vento pervaderlo mentre Imeughe sfrecciava a tutta velocità attraverso le basse nuvole.
Chiuse gli occhi, così che non lo distraessero dalle sensazioni percepite dal corpo: il vento gli si insinuava appena nelle pieghe della sciarpa e dentro la camicia mentre nelle orecchie gli parve di sentire rimbombare una musica di flauti e tamburi accompagnata da confuse parole.
Si abbassò sul collo di Imeughe, appoggiandovi una guancia, ed aprì le braccia per volare assieme a lei.
Quella era la vera libertà.
Serenità e vento.
Cielo e pace.

  Riaprì gli occhi e il settimo sole, così basso sull’orizzonte, gli ferì le retine che quasi gli parve di percepire le pupille farsi minuscole. Poi si rialzò, si assicurò che le corde che stringevano il carico non si fossero allentate per le capriole di Imeughe, per poi voltarsi nuovamente in avanti per scorgere la loro lontana meta, inutilmente.
Si liberò il viso e la testa dalla pesante sciarpa e la lasciò legata al collo che sventolasse.
Le sferzate del vento sulla pelle non gli parevano che le carezze di una brezza mattutina.
Pace.
  
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