Qui
multum amat pauca dicit ~
Cari
fratelli,
alzarmi io vorrei da questo letto, ma il tormento –
terribilmente forte come
non era mai stato – mi sfinisce e ancorata mi tiene a questo
odiato giaciglio.
Non si tratta solo di un dolore del fisico, che mi strazia e mi spossa,
ma
anche di un dolore dell’anima e del cuore.
Il mio povero cuore ha sopportato così tante
avversità, forse troppe, che ora
non ce la fa più, si arrende all’ardua impresa di
affrontare anche questo terribile
dolore e, pian piano, diminuisce i suoi già fievoli battiti.
Rammento con dolore i momenti in cui il mio cuore volava, felice,
nell’immensità
del mio amore e mi sfinisco.
Tanto belli erano quei momenti! C’era il sapore del pericolo,
del rischio, e c’era
l’immensa felicità che mi invadeva il cuore quando
il mio amato Lorenzo mi
stringeva forte la mano.
Lorenzo.
Il suo era un nome così musicale e bello che ora,
pronunciato dalle mie labbra
straziate dal dolore, sembra un terribile scherzo.
Il suo ricordo mi tormenta spesso, in questi giorni in cui non posso
fare altro
che attendere che Dio venga a prendermi. E’ un ricordo
tormentato e piacevole
allo stesso tempo, perché il mio cuore sente la sua
mancanza, ma sa che fra
poco potrà rivederlo, giovane e bello come era quando mi
stringeva la mano.
Perché mi avete fatto questo, cari fratelli?
Perché, ciechi nell’insensibilità
del vostro animo, mi avete privato della mia ragione di vita? Paura di
uno
scandalo che avrebbe rovinato i vostri affare?
Cerco senza sosta una giustificazione al vostro comportamento, ma non
ne trovo,
perché non ce ne sono.
Rammento con dolore il giorno in cui vidi il mio adorato Lorenzo per
l’ultima
volta. Allora non potevo sapere che non sarebbe più tornato
e mi limitai a
salutarlo con una leggera carezza – rubata di nascosto voi,
fratelli miei – sul
suo bel volto.
Se ne andò con un sorriso radioso e non tornò mai
più, il mio amato Lorenzo.
E quando vi chiesi, cari fratelli, perché il mio Lorenzo non
tornasse, voi mi
faceste chiaramente capire che lui non sarebbe tornato.
Il mio cuore ricorda ancora il doloroso tormento di quei giorni e le
mie gote
sono ancora arrossate dalla lacrime, lacrime del mio amore disperato.
E poi Lorenzo mi apparve in sogno, con i vestiti fradici e il volto
sconvolto,
eppure tanto bello.
Mi disse, con dolore, che voi, i miei amatissimi fratelli, lo avevate
ucciso,
lontano dagli occhi della gente. Mi diede le indicazioni per trovarlo e
mi
pregò, con le lacrime agli occhi, di non invocare
più il suo nome.
La mattina seguente mi recai nel luogo indicatomi dal mio amato e
iniziai a
scavare, aiutata solo dalla forza della disperazione. E quando trovai
il suo
corpo sconvolto, le lacrime offuscarono i miei occhi, ma sapevo che non
potevo
piangere. Eppure, quelle lacrime inesistenti bruciavano sulle mie gote.
Avrei voluto stringere tra le braccia quel corpo che un tempo era stato
il mio
Lorenzo e potarlo con me, ma non potevo. Con un coltello mi decisi a
tagliare
la testa dal corpo e portai a casa, stringendola al petto come a voler
riportare il mio amato da me.
La infilai in un vaso, avvolta in un panno, e vi piantai sopra del
basilico,
che innaffiai con le lacrime che mi bruciavano il viso.
E quel basilico crebbe, bello e meraviglioso. Crebbe più
bello di ogni altra
pianta presente su questa Terra, crebbe sulle macerie del mio amore
disperato,
innaffiato dalle lacrime del mio cuore straziato.
E voi, i miei adorati fratelli, prendeste il mio vaso, me lo rubaste e
lo
teneste per voi. Inutile implorarvi, voi eravate insensibili alle mie
lacrime
disperate. Mi ammalai e non sono più guarita.
Ve ne siete andati da poco, fratelli, e mi avete abbandonata qui,
malata e
straziata da un tormento che non mi dà pace. Mentre il
rammentare questi
momenti mi provoca una fitta di dolore, mi chiedo se si possa morire
per amore
e mi rispondo di sì.
Amore e morte sono strettamente legati, in una macabra unione. Se
questo era il
mio destino, morire per un amore disperato, avrei preferito non esser
mai nata.
Ahimè, cari fratelli! Sento la vita scivolare velocemente
via da me e voglio
concludere questa lettera prima il nostro Dio mi chiami a
sé.
Addio, fratelli miei. Spero riusciate a pentirvi del vostro orribile
gesto e
che possiate ricordarvi di me come una fanciulla felice e spensierata e
non
straziata dal dolore.
Addio.
Vostra
Lisabetta.
Angolo
Autrice
Tema di
italiano. Sì, lo so. Questi temi mi ispirano.
Questo era l’ultima lettera di Lisabetta ai fratelli prima di
morire, basata –
ovviamente –sulla novella di Boccaccio.
La frase
del titolo “Qui multum amat parca dicit”
– letteralmente: Chi ama molto parla
poco – è di una mia compagna di classe che
l’ha trovata sul suo diario di
scuola in italiano e del professore di italiano, che l’ha
tradotta in latino.
Si riferisce, ovviamente, al mutismo doloroso della povera Lisabetta.
Non
l’ho
scritta in Italiano del Trecento perché non ci sono
riuscita. Se un giorno mi
verrà la voglia di cimentarmi in questa impresa, lo
farò. Ma non ora.
Spero
vi
piaccia.