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Autore: Dust Fingers    09/01/2015    1 recensioni
Causa effetto, maestro, pensò con una lieve soddisfazione che gli stirò appena un angolo della bocca. Quel grifone gli sarebbe tornato presto utile, lo sapeva.
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Nonostante questo turno della Challenge sia numerato 002, è una sorta di continuo dello 003 C':
Genere: Dark, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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002. Cause/Effect
 
Tutto a causa di quella stupida, inutile, cassa!
 
Imeughe solcava come una saetta nera il cielo terso, verso l’orizzonte che pareva prometter tempesta. Le remiganti primarie mosse appena dal vento che le sfiorava.
Forse avrebbe dovuto mettersi degli abiti più pesanti, pensò Jeff, stringendosi nella sciarpa di calda lana di Sevvant, un enorme bruco che dimorava nelle profondità dell’isola di Sevannhle. Uno scricchiolio alle sue spalle lo avvertì dell’imminente slegarsi della cassa che pesava sulla sella; si voltò per sistemarla al meglio, non era proprio il caso di perdere il carico. Sospettava che Dron si sarebbe tenuto il resto della ricompensa, ma a questo avrebbe pensato poi; la cosa che più lo preoccupava, al momento, era il freddo che gli stava penetrando fin dentro le ossa percorrendogli tutta la colonna vertebrale e ghiacciandogli i muscoli.
  Si strinse ad Imeughe, avvolgendosi stretto nella sciarpa, per godere di un po’ del suo calore.
Le punte della dita gli si stavano indolenzendo e probabilmente, se avesse avuto la pelle più chiara, avrebbe potuto notare un tenue colorito bluastro espandersi dalle unghie fino alle nocche, che gli dolevano insopportabilmente ormai, tanto che dovette infilarsi le dita in bocca per scaldarle di più.
  «Forse avremmo dovuto rifiutare, Ime» bisbigliò tra le piume sul collo del grifone. Che freddo, ebbe tempo di pensare un attimo prima di perdere i sensi, con le mani congelate strette ad Imeughe.
 
  Quella stupida, inutile, cassa! Si era slegata, era caduta ed era sparita tra le nuvole. Imeughe, accortasi che il suo padrone non rispondeva più ai versi che emetteva al suo indirizzo, si era lanciata in picchiata per recuperare la cassa e prenderla con gli artigli un attimo prima che si schiantasse al suolo, graffiando e forando il legno. Atterrò leggera, con un lieve spruzzo di neve, mentre Jeff le scivolava dalla schiena e finiva dritto nel candido mucchio tra le sue zampe.
Imeughe osservò il suo padrone, il ragazzo che giaceva nella neve, stava impallidendo nonostante la pelle così scura; si accovacciò su di lui per scaldarlo.
  Jeff riprese lentamente i sensi, come risvegliando le membra da un’immobilità ghiacciata, si sentì tutto scricchiolare. Le piume di Imeughe gli facevano il solletico ma, allo stesso tempo, erano piacevoli.
  «Quanto sono rimasto svenuto?» chiese al grifone che abbassò lo sguardo, come a rispondergli un “troppo”.
  «Troppo, vero? Aaah va bene, dobbiamo fare la consegna prima di morire assiderati o assaliti da qualche yeti» borbottò cercando di alzarsi, malgrado le gambe intorpidite, aggrappato a Imeughe.
Assicurata nuovamente la cassa alla sella ripresero il volo e alla fioca luce del quinto sole, alto nel cielo notturno, videro comparire lentamente all’orizzonte, tra le nubi tempestose, Doa.
  «Finalmente». Jeff non si sentiva più nemmeno la lingua. E mi tocca soffrire questo freddo infernale per una consegna urgente che avrebbero potuto spedire ieri, se volevano così tanto che arrivasse oggi!
  Atterrarono rovinosamente su uno dei tetti delle alte torri del castello svettanti contro la tempesta di neve, ma rivelò esserci troppo ghiaccio sulle tegole, gli artigli del grifone scivolarono su di esso e precipitarono rovinosamente nel cortile interno al castello.
 
* * * * * * *
 
  Vexe stava rannicchiato nel solito angolo della sua solita cella, grattando con un’unghia il pavimento sporco del suo sangue. Teneva la testa e le ginocchia appoggiate al muro dando il fianco alla porta massiccia.
  Qualche ora prima l’uomo dagli occhi verdi era passato a lasciargli un pasto, povero come al solito, costituito da un osso di bovino e una scodella di acqua putrida in cui spesso ci aveva trovato vermi e quanto di altro si potesse trovare nell’acqua stagnante. Tipo una rana morta che, nonostante tutto, era stata il pasto più ricco che avesse mai fatto.
Come le altre volte non aveva toccato niente, contrastando i morsi della fame che lo prendevano violentemente allo stomaco; si portò una mano all’addome e quasi sussultò quando, con i polpastrelli, si sfiorò là dove, una volta, avevano posto le costole più basse della cassa toracica e dove, invece, adesso poteva sprofondare le dita. Non voleva nemmeno lasciare che il pensiero si soffermasse troppo sulle cicatrici che gli ricoprivano ormai quasi tutto il corpo.
Non sarebbe riuscito a fermare l’infinito flusso di pensieri che ne sarebbe seguito.
Ed era troppo dover anche sopportare il dolore del ricordo di ogni singolo momento; gli bastava già quello fisico che lo aspettava ogni giorno.
  Finalmente vennero a prenderlo per il solito addestramento al freddo e al gelo nel cortile interno del castello. Solo dopo dodici anni passati lì dentro, aveva iniziato ad apprezzare quei brevi e asciutti momenti in cui poteva respirare dell’aria fresca che non fosse stantia o pregna dell’odore del suo sangue, che ormai dipingeva le pareti della sua cella e della stanza del dottore.
  Venne fatto uscire a strattoni come al solito, ma questa volta non si trattava dell’uomo dagli occhi verdi: erano le solite due guardie dall’aria idiota, e con loro il dottore che lo squadrava con aria compiaciuta.
  «Come va oggi?» chiese con finto interesse, perché mai egli avrebbe voluto sapere come effettivamente si sentiva il ragazzo, anzi, la sua cavia.
  Vexe non rispose.
Il dottore proseguì nel percorrerlo con i vecchi occhi, ma ancora lucidi, da testa a piedi, soffermandosi sulle cicatrici più recenti che gli segnavano le clavicole più di quanto già non sporgessero, e le spalle, che si stavano facendo più larghe e robuste. Da sotto la pelle diafana e tirata era possibile scorgere praticamente ogni osso, ogni vena e quasi le radici dei capelli che crescevano a vista d’occhio. Quella mattina gli erano stati rasati perché non intralciassero le solite operazioni, mentre ora, al calar del sole, gli sfioravano già quasi la vita.
  Ad un cenno del dottore, soddisfatto, gli uomini condussero Vexe per gli stretti cunicoli che sbucavano poi direttamente nell’ampio cortile. E lì venne lasciato, faccia a faccia con l’uomo dagli occhi verdi.
  Finalmente ti fai rivedere, pensò Vexe mentre si avvicinava al centro dello spiazzo, di fronte all’uomo.
Il freddo era insopportabile, ma a malapena Vexe lo percepiva sulla propria pelle: forse era già intirizzito o forse gli avevano fatto qualcosa di nuovo questa volta ma, non gli interessò più di tanto.
I contorni dell’ambiente erano sfocati, non definiti e i colori erano molto ingrigiti dalla fredda luce del quinto sole, ma non avrebbe mai potuto sfuggirgli la figura che gli stava ritta di fronte.
  In quell’istante un’enorme massa nera cadde di schianto tra loro, accasciandosi nella nuvola di neve che aveva sollevato con il nervoso dimenare delle immense ali.
  Dal cumulo di neve comparve poi una figura scura che però portava in testa qualcosa di un rosso molto acceso…era un giovane uomo, con folti capelli rossi, la pelle scura come il carbone e abiti non proprio adatti alla temperatura di quel luogo.
Emerse portandosi appresso una cassa grossa e – dallo sforzo che gli si leggeva in viso – pesante.
Jeff poggiò a terra la cassa, davanti al ragazzo con i lunghi capelli biondi e senza camicia, pensò rabbrividendo, che lo fissava ostile.
  «Ecco la vostra dannata consegna» fece il ragazzo con gli inquietanti occhi chiarissimi.
  «Zuccone, quella consegna è per me! Ragazzo!» strillò isterico il dottore dal fondo del cortile. Jeff non si lasciava apostrofare nemmeno da Dron, figurarsi da uno sconosciuto.
  «Non sono uno zuccone, e tu mi devi pagare l’extra per consegna urgente. Il mio grifone si è affaticato parecchio!» sbottò.
Il vecchio dottore si avvicinò, percorrendo a lunghi passi la piazza, affiancato dalle guardie e stretto del mantello pesante.
Passò accanto a Vexe che non muoveva un muscolo da quando Jeff gli aveva rivolto la parola, ma se ne stava ritto in piedi davanti a lui, con due pozzi cobalto scuri spaccati da una pupilla verticale che lo scrutavano. Mentre il vecchio col mantello e le guardie si avvicinavano, Jeff notò un lievissimo movimento degli occhi che il ragazzo biondo e pallido gli indirizzò. Aveva indicato Imeughe alle sue spalle forse? Sospettoso fece per voltarsi, ma il ragazzo biondo lo fulminò, vide le sue pupille stringersi fino a sparire.
  «Vi lamentate sempre, voi corrieri?» domandò acido il dottore. Poi allungò una mano per raggiungere la cassa, ma Jeff vi pose un piede sopra – era ancora scalzo.
  «Nonnino, l’extra non me lo scordo. O paghi o riporto indietro la tua preziosa cassa».
  «Non esagerare adesso» il vecchio dottore digrignò i denti in quello che voleva essere un ghigno minaccioso.
Le due guardie si avvicinarono paurosamente, estraendo pugnali e spade. La cosa non piacque per niente a Imeughe che in quel momento, vedendo il suo padrone minacciato, sbatté forte le ali emettendo un fischio acuto.
  «Il tuo pennuto ha qualche problema, ragazzo?» fece una delle guardia. Jeff deglutì e fece un cenno ad Imeughe per calmarla.
  «No…nessuno problema» disse, come intimorito. In realtà non lo era affatto, aveva spesso avuto a che fare con clienti che tentavano di fare i furbi. Indietreggiò. Questa volta non aveva la forza di mettersi a discutere, tanto meno a fare il lancio dei coltelli con quelle due guardie così simpatiche.
  «Va bene, tieniti la tua cassa, non voglio vederla mai più» e si voltò per tornare da Imeughe. Si aspettava un qualche attacco alle spalle, non sembrava un tipo paziente, quel vecchietto. Aguzzò tutti i sensi mentre dava loro le spalle. Si avvolse stretto di nuovo nella sciarpa e salì in groppa al grifone, infilando i piedi sotto le ascelle delle ali per scaldarli e tornare a casa avendoli ancora attaccati alle caviglie.
  «È stato un piacere. Signori» salutò con finta cortesia e si levò in volo, non senza però aver lanciato un ultimo sguardo al ragazzo biondo che ancora stava immobile in mezzo al cortile, e senza domandarsi, ancora una volta, come facesse a starsene senza nemmeno una camicia addosso.
 
  Il grifone nero volò via, rapido, dopo essersi dato lo slancio per una partenza verticale.
Vexe ne seguì il volo inclinando appena la testa. Causa effetto, maestro, pensò con una lieve soddisfazione che gli stirò appena un angolo della bocca. Quel grifone gli sarebbe tornato presto utile, lo sapeva.
  
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