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Autore: shadow_sea    09/01/2015    3 recensioni
Si ritrovò improvvisamente sola, immersa nella semioscurità di quella stanza circolare in cui era solita andarlo a cercare per ascoltare le sue strane avventure nell'Oblio. Si guardò attentamente attorno cercando di capire se quegli affreschi celassero un messaggio nascosto il cui significato potesse essere svelato alla luce degli ultimi avvenimenti. Ma non c'era nulla alla portata della sua comprensione: le pareti istoriate la fissavano con freddezza e superiorità, quasi sapessero che non era in grado di accettare la sfida che forse le offrivano. E sapeva anche che quel poco che Solas le aveva raccontato della sua vita prima di unirsi all'Inquisizione non le sarebbe bastato a rintracciarlo.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Inquisitore, Solas
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
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E' PIU' COMPLICATO DI COME APPARE


Il mio inquisitore è un'elfa di nome Mahvir. La storia è successiva alla conclusione del videogioco (Dragon Age Inquisition) ed è ricca di spoiler.

Into the Light - DAI



Corypheus era morto. O così poteva ragionevolmente sperare, anche se la certezza della cessazione definitiva di ogni pericolo non riusciva ad annullare i suoi dubbi inquieti.
Mahvir si era allontanata dalle macerie fra le quali si era consumata la battaglia finale pervasa da un senso di soddisfazione, ma anche di irrealtà e incredulità perché la vittoria era risultata quasi troppo semplice. E aveva imparato che quando gli avvenimenti sembravano piegarsi senza ribellione ai desideri più pressanti e irrealistici, il successo conseguito era effimero o addirittura una semplice illusione.
Si sentiva stordita e incredula, incerta come se si trovasse immersa in un sogno che non aveva la capacità di spezzare per tornare alla realtà. E i passi che aveva compiuto da quando era entrata nella sua stanza fino ad arrivare alla porta finestra aperta che dava sull'ampio balcone li aveva percorsi come camminasse su uno strato di vapori impalpabili, piuttosto che su un pavimento solido.
“Ammesso ci sia una vera demarcazione fra sogno e realtà” fu la considerazione che le attraversò la mente. Ormai ne dubitava, da qualche tempo.
“Da quando Solas mi ha portato nei suoi strani mondi” pensò un istante dopo, mentre la visione di quell'Haven deserta in cui aveva provato per la prima volta l'istinto di baciarlo le tornava nitida alla mente, subito sfumata da quella del quieto lago con le statue di due possenti cervi che avevano assistito muti e indifferenti ai loro ultimi scambi frasi dense di dolore e di confessioni solo parzialmente svelate.
Il gesto istintivo di scacciare un insetto invisibile davanti ai suoi occhi rivelò il suo desiderio di liberarsi dal malessere che la travolse ancora una volta a quel ricordo, intenso come quello che aveva provato nel momento in cui aveva appreso la notizia che Solas era scomparso, senza lasciare alcuna traccia di sé.
Leliana sapeva sempre tutto, ma questa volta brancolava nel buio. E Leliana, che non sbagliava mai, l'aveva avvertita che nutriva poche speranze di ritrovarlo.

Fissò le montagne lontane sfumate dalla foschia, nella solitudine silenziosa del balcone. Le mani strette attorno alla pietra fredda non bastavano a restituirle una sensazione di sicurezza e di realtà.
- E' successo troppo in troppo poco tempo - sussurrò lentamente fissando l'orizzonte lontano in cui la nebbia confondeva la demarcazione fra aria e suolo.
E di nuovo la mente corse al loro ultimo incontro e all'espressione del viso di Solas dopo quel bacio che lei non poteva ancora sapere sarebbe stato l'ultimo. L'espressione di dolcezza del viso di lui era sfumata in quella di un rifiuto causato da un dolore intenso, ma ostinatamente muto.
Aveva provato rabbia già allora, ma ora quella rabbia continuava a montare come un fiume alimentato da piogge incessanti e le mani strette attorno alla balaustra marmorea non bastavano a mantenere fermi gli argini. Le aveva promesso una spiegazione a guerra conclusa, ma era svanito senza una parola.
“Forse è proprio quello che desideravi in modo che io potessi andare oltre” provò a consolarsi ripensando a quando Solas le aveva suggerito di sfruttare quella sua rabbia per combattere Corypheus perché ora, a guerra conclusa, poteva rivolgerla solo contro chi ne era stato la causa.

Rientrò nel tepore della stanza da letto, sorridendo ai rumori delle risate festose che ancora provenivano dalla sala del trono. I suoi compagni di tante battaglie continuavano a brindare alla vittoria con entusiasmo vivace e la musica generata da strumenti diversi che suonavano melodie diverse, ma con uno stesso ritmo vivace, penetrava prepotentemente nelle sue orecchie e disperdeva i pensieri malinconici. Con un sorriso divertito socchiuse la porta e vide che quella musica aveva trascinato diverse coppie male assortite a volteggiare fra i tavoli, urtando sedie e persone con una stessa impudenza gioiosa, facendo rotolare in terra bicchieri già vuoti o ancora colmi.
Si lasciò trascinare in quel vortice di musica senza riuscire quasi a distinguere i volti delle persone che la presero fra le braccia, ma la loro gioia era così genuina e contagiosa che per lunghi momenti se ne lasciò invadere dimenticando ogni malessere.

Si ritrovò improvvisamente sola, immersa nella semioscurità di quella stanza circolare in cui era solita andarlo a cercare per ascoltare le sue strane avventure nell'Oblio. Si guardò attentamente attorno cercando di capire se quegli affreschi celassero un messaggio nascosto il cui significato potesse essere svelato alla luce degli ultimi avvenimenti. Ma non c'era nulla alla portata della sua comprensione: le pareti istoriate la fissavano con freddezza e superiorità, quasi sapessero che non era in grado di accettare la sfida che forse le offrivano. E sapeva anche che quel poco che Solas le aveva raccontato della sua vita prima di unirsi all'Inquisizione non le sarebbe bastato a rintracciarlo.
“Sei andato via senza un vero saluto e senza uno straccio di spiegazione” sussurrò verso le pareti colorate avvertendo sentimenti confusi. Ma ammise con se stessa che si sarebbe stupita di ritrovarlo a Skyhold. Nel momento in cui l'elfo aveva preso fra le mani i frammenti taglienti della sfera distrutta, Mahvir aveva capito che la fine era giunta, pur senza comprenderne le ragioni.
L'espressione di sconfitta che gli aveva letto in volto nonostante la morte di Corypheus, quel leggero chinare le spalle in segno di resa, erano stati più eloquenti di un urlo scagliato a viva voce contro il cielo.
”E' finita” si era detta senza riuscire a capire, ma sapendo di non sbagliarsi. Solas voleva quella sfera, quel manufatto elfico di cui nessuno ancora aveva compreso i troppi misteri. Quella sfera era più importante della sconfitta di Corypheus ed era il motivo principale per cui l'elfo si era unito all'Inquisizione.

Aveva talvolta ascoltato strane frasi pronunciate da Solas durante i mesi trascorsi prima ad Haven e poi in quel castello appollaiato sulle cime montuose, quasi ai limiti della realtà terrena, e ora si rimproverava di non aver ragionato a fondo sul loro senso, presa com'era dai tanti problemi e impegni che la guida di quel gruppo di amici e compagni di lotta le imponeva di continuo.
Che non fosse un individuo simile a quelli di cui aveva esperienza le era stato chiaro da subito: non era un dalish e meno che mai un elfo di città. Certo, non tutti gli elfi erano chiaramente classificabili in quelle due grandi categorie, ma Solas era davvero insolito. Le sue conoscenze erano vaste e spesso in contrasto con tutto quello che aveva appreso negli anni passati nel suo clan e dalla lettura di testi antichi ritenuti quasi sacri. E anche le sue reazioni erano spesso imprevedibili, specialmente se riguardavano gli spiriti o i demoni, l'Oblio, gli antichi Dei.
Forse era quello il motivo per cui Solas l'aveva incuriosita fin dal momento in cui le aveva afferrato la mano per dirigerla verso lo squarcio verdastro che occupava il cielo, là su quella terra stravolta dove poco tempo prima sorgeva il Tempio delle Ceneri.
Ma quello che l'aveva turbata davvero, ben oltre i suoi strani discorsi, erano state le frasi di Cole quando sentiva Solas. Quello spirito pietoso che leggeva le emozioni altrui e le restituiva in frasi sbocconcellate, che si interrompevano bruscamente e spesso cambiavano direzione, come insetti impazziti intrappolati fra pareti trasparenti, l'aveva turbata in più occasioni.
Quando l'elfo si distraeva e scordava di celare le sue emozioni, Cole pronunciava frasi oscure ed inquietanti che generavano in lei un senso di inadeguatezza, di inferiorità, di timore e disegnavano intorno alla persona di Solas un'aura sovrannaturale, soffusa da ombre inquietanti e atmosfere confuse.

Scrollò la testa per liberarsi da quei pensieri, cercando di concentrarsi sui rumori festosi che provenivano dalla sala del trono e si sedette davanti al piccolo tavolo, con i gomiti appoggiati sul ripiano e la fronte sopra i palmi delle mani. Chiuse le palpebre e forse si addormentò.

Main Theme – DAI (extended)


Aprì gli occhi nella tenue luce di un'alba rosata che illuminava le alte montagne a guardia della ripida valle boscosa. Allungò un braccio verso i pochi ciocchi della provvista raccolta prima del crepuscolo per ravvivare il fuoco che si stava spegnendo.
Si liberò dal peso delle pelli che avevano preservato il suo calore corporeo durante la notte e lanciò uno sguardo verso la rupe sotto la quale aveva montato la piccola tenda di pelli fissandola su un intreccio di rami tenuti insieme da corde di fibre vegetali. Non si stupì nel vedere che il lupo era ancora lì. Si rese conto di non ricordare da quanto tempo accompagnasse i suoi passi nella caccia che precedeva il lungo inverno: era come se fosse stato sempre assieme a lei.
Si alzò spazzando via dalla tenda un sottile polverio di neve. Il lupo, in piedi sulla piccola rupe, stava fiutando l'aria con il muso rivolto verso le montagne. Emise un breve ululato e rimase immobile, come in attesa di una qualche risposta o di un altro segno che però non venne.
Mahvir bevve il contenuto della tazza appoggiata a poca distanza dal fuoco: l'infuso di erbe era ancora tiepido e gradevolmente amarognolo. Con gesti sicuri smontò la piccola tenda che arrotolò rapidamente prima di fissarla sul robusto fianco del cavallo pezzato legato ad un albero poco lontano.
- E' ora di cominciare la caccia - annunciò quindi sollevando lo sguardo verso il lupo, che si limitò a voltare il muso per fissarla con i suoi occhi grigi.
Spense il fuoco e salì sulla groppa del cavallo che si incamminò a fatica sullo stretto sentiero tracciato da zoccoli antichi. Ogni tanto, nel verde scuro del sottobosco, distingueva un rapido lampo biancastro che spariva prima che potesse essere certa di quella visione, ma dentro di sé sapeva con certezza che il lupo bianco sarebbe rimasto al suo fianco.

Non ricordava come fossero diventati una coppia di cacciatori tanto affiatati, anche se probabilmente il merito spettava al lupo più che a lei. Era lui a spaventare i cervi piombando a poca distanza da loro e a spingerli verso le frecce silenziose che l'avrebbero ucciso. In cambio Mahvir spartiva generosamente il bottino ad ogni uccisione, lasciando al lupo tutte quelle parti che lui preferiva e che lei avrebbe fatto fatica a conservare.
Non riusciva a ricordare un'epoca in cui quel lupo bianco non fosse stato al suo fianco. Eppure doveva esserci stato un tempo anteriore, in cui cacciava con suo padre o sua madre, o forse con qualche membro del suo clan. Invece non ne serbava alcun ricordo, come se la sua memoria iniziasse dal suo incontro con il lupo.
Approfittò del passaggio in una piccola radura erbosa per ammirare l'elegante sicurezza del passo felpato del suo più caro compagno di avventure rendendosi conto ancora una volta di quanto contasse per lei e di quanto affidamento facesse sulla sua presenza fedele e costante.

Quella giornata serena si concluse senza uccisioni di sorta, tranne una piccola lepre che il lupo cacciò in solitudine e divorò in pochi morsi. Nella luce rossastra del tramonto Mahvir montò un nuovo piccolo campo e accese un fuoco più grande del solito dopo aver studiato i colori splendenti delle tante nuvole che si addensavano a ovest e riflettevano gli ultimi raggi del sole.
Durante le ore diurne il lupo era apparso irrequieto. Non era mai rimasto fermo per più di pochi secondi, intervallando brevi scatti a vere e proprie corse nel mezzo del folto sottobosco.
- L'inverno sta arrivando - constatò sottovoce, mentre rimestava nella piccola pentola appesa sul fuoco, accorgendosi che il lupo le si era messo di fianco. Smise di occuparsi della cucina e gli passò il braccio intorno al collo, accarezzandone il pelo setoso. Non capitava spesso che lui si lasciasse toccare come avrebbe fatto un cane domestico e per questo si concentrò su quei brevi istanti che erano un regalo prezioso.

Si svegliò la mattina seguente realizzando che aveva dormito molto più a lungo del solito. Il sole era coperto da una folta coltre di nuvole tanto scure da lasciar trapelare soltanto un tenue barlume di luminosità. Anche il fuoco si era spento e l'infuso nella tazza si era ghiacciato. Fu scossa dai brividi mentre si tirava a fatica fuori dallo strato di pellicce e ripeteva i soliti gesti quotidiani.
Non provò a riaccendere il focolare perché avvertiva un senso di disagio, una sorta di gelo interiore che nessuna fiamma sarebbe riuscita a sciogliere. Le ci volle qualche minuto per capire le sue sensazioni: il freddo intenso le intorpidiva le membra, il silenzio assoluto che la circondava le faceva capire che gli animali avevano avvertito l'avvicinarsi di una tempesta e si erano cercati un riparo, ma era l'assenza del lupo ad averla turbata.

Finì di sistemare tutte le sue cose sul dorso del robusto cavallo ma poi non salì sulla sua groppa. Scalò una ripida parete di roccia e una volta raggiunta una piccola sporgenza a metà altezza prese a guardarsi intorno. Un colore grigio biancastro uniforme ricopriva ogni sporgenza del terreno e ogni ramo degli alberi. Bianco grigiastri erano anche i fiocchi di neve che stavano cominciando a cadere. Solo il cielo era di un tono molto più scuro che sembrava voler minacciare ogni forma di vita, animale o vegetale che fosse.
Il vento rigido arrivò all'improvviso, portando con sé frammenti di ghiaccio che spezzavano gli steli delle poche piante ancora erette e i rami più sottili degli alberi. L'aria vibrava attorno a Mahvir con un rumore di schiocchi e di crepitii così intensi che fu solo dopo parecchi minuti che lei distinse gli ululati di un branco di lupi.
Si rannicchiò contro la parete di roccia che le copriva le spalle mentre la sua mano destra sganciava l'arco appeso alla schiena, incoccava una freccia e ne tendeva la corda in silenzio. Rimase così per alcuni minuti, in attesa, prima di distinguere un leggero ululato ripetuto che proveniva dalla base della roccia su cui aveva trovato riparo.
Altri ululati si mischiavano ai sibili del vento, ma provenivano da grande distanza. Il lupo bianco era seduto in terra, con il muso alzato nella sua direzione, indifferente ai frammenti di ghiaccio che il vento gelido gli stava rovesciando addosso.
Mahvir scivolò lentamente lungo la parete rocciosa per un primo tratto, poi si lasciò cadere dall'alto, sicura che la neve avrebbe attenuato l'impatto. Si ritrovò ad appena un passo dal lupo.
- E' il tuo branco, vero? - chiese con un sorriso sulle labbra. Allungò le dita verso il pelo del lupo e spazzò via delicatamente i cristalli di ghiaccio impigliati nella folta pelliccia attorno al muso e sulle spalle.
Ricevette una testata affettuosa sulla spalla, abbastanza violenta da farla cadere all'indietro nella neve. E fu così che si ritrovarono a rotolare nel manto candido che scricchiolava sotto il peso dei loro corpi, dimentichi del freddo e del ghiaccio, come ubriachi dalla felicità di essersi ritrovati.

- Io devo andare - confessò Mahvir alla fine della lotta gioiosa, mentre entrambi ansimavano in cerca di un respiro più regolare.
- Devo tornare dalla mia gente - aggiunse ancora, mentre la voce incerta incespicava su quelle brevi parole. Allungò le dita per un'ultima lenta carezza e poi scosse la testa cercando di liberarsi dai pensieri colmi di tristezza che la stavano invadendo. Si alzò da terra e si diresse con passo incerto verso il cavallo ancora legato all'albero. Liberò le redini e gli salì in groppa, incitandolo a dirigersi verso sud.
Fatti pochi passi il cavallo scartò improvvisamente. Mentre Mahvir si reggeva con le dita alla sua criniera e stringeva con forza le ginocchia per non cadere, udì distintamente il ringhio prolungato che sovrastò per qualche attimo i rumori della tempesta.
Piantato fermamente con le zampe nella neve che ricopriva il piccolo sentiero, le labbra sollevate a mostrare i lunghi denti aguzzi e candidi e il folto pelo irto sulla schiena, il lupo bianco stava impedendo che il cavallo procedesse in quella direzione.
Non soddisfatto dall'arresto della cavalcatura, la belva scattò in avanti serrando di colpo la mandibola che si chiuse rumorosamente nel vuoto. Il cavallo scartò di nuovo e nitrì come impazzito, facendo una giravolta su se stesso che mandò l'elfa a cadere malamente nella neve.
Mahvir si rialzò all'istante, con la mano stretta sul piccolo pugnale che portava legato alla coscia e lo sguardo verso il lupo che rimaneva immobile sul sentiero, come in attesa. Gli si avvicinò con cautela. Quando fu certa che non aveva intenzioni ostili ripose il coltello nel fodero, con lentezza, poi afferrò le redini in una mano e fece per riprendere il cammino a piedi, tirandosi dietro il cavallo ancora impaurito.
Nell'istante in cui provò a sorpassare il lupo di lato, vide le sue fauci spalancarsi. I denti candidi si serrarono sulla manica della giacca di pelle, con fermezza e delicatezza assieme, costringendola a fermarsi. Un sordo brontolio, più fioco di un vero ringhio, brontolava nella gola del lupo mentre il pelo sul suo dorso tornava a rizzarsi di nuovo.
Le occorsero pochi istanti per capire che si trattava di un invito e non di una minaccia. Con i denti conficcati nella pelle della giacca, il lupo la stava tirando all'indietro: verso di sé, verso nord, verso gli ululati del branco lontano.

In quel momento il vento prese a soffiare ancora più impetuoso, disperdendo nell'aria la neve accumulata sui rami degli alberi. Ma non erano quelle folate gelide a farle lacrimare gli occhi. Era piuttosto il dolore che provava e che non poteva essere condiviso. Si sentiva impotente a spiegare a quella creatura la sua necessità imperiosa di tornare a casa, di portare al clan i frutti della lunga caccia, di mettere la sua esistenza al servizio di chi era debole e necessitava il suo aiuto.
- Devo andare - ripeté fissando il suo sguardo in quegli occhi grigi che non potevano comprendere né le parole né le motivazioni di quell'abbandono - E anche tu devi andare - aggiunse puntando le dita della mano destra verso nord.
Aveva usato un tono quieto e risoluto e forse fu quello il motivo per cui il lupo emise un uggiolato e allentò la stretta dei denti abbastanza da lasciar libera la manica della giacca. Le lanciò solo una breve occhiata prima di girare su se stesso e trotterellare via con la sua andatura morbida e vellutata, ma quello sguardo racchiudeva in sé una sofferenza intensa, che le restò impressa nella mente.
Continuò a ricordare quello sguardo ricolmo di delusione velata di rabbia e di rancore anche mentre rimontava stancamente a cavallo. Continuò a vedere quei due tristi occhi grigi fra i fiocchi che adesso cadevano lenti e pesanti, seminascosti nel groviglio dei rami carichi di neve, riflessi nelle stalattiti di ghiaccio che pendevano dalle rocce inclinate. E ogni volta le accuse contenute in quello sguardo le facevano più male e la spingevano a cercare invano nuovi modi per spiegare le sue azioni a una creatura selvaggia che non conosceva il suo linguaggio.


Fu con quel pianto serrato in gola che riaprì gli occhi nella stanza circolare, senza aver coscienza del tempo trascorso e senza essere sicura che si fosse trattato soltanto di un sogno, ma avvertendo la necessità di cercare qualche risposta alle troppe domande che si erano andate ammassando nella sua mente.

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Occorsero pochi giorni per terminare i preparativi e poco più di due settimane per ultimare il viaggio.
Mahvir scese da cavallo non appena vide il primo segno dell'accampamento, sapendo che qualcuno la stava tenendo d'occhio già da qualche tempo.
Nessuno aveva provato a fermare i suoi passi e neppure un suono aveva turbato la quiete di quel pomeriggio soleggiato, ma almeno uno degli esploratori del clan doveva aver portato al campo la notizia del suo arrivo, perché il capo stava in piedi sull'erba ai margini dell'accampamento in evidente attesa.

Pianse fra quelle braccia affettuose che l'avevano amata e consolata fin da quando era bambina e nella lunga passeggiata tranquilla e solitaria che fecero nella radura gli raccontò brevemente le fasi salienti della lunga guerra. Ma usò molte più parole nel raccontare quel che aveva appreso sugli usi antichi della loro gente, sui loro dei quasi dimenticati e su come avesse avuto il privilegio di ascoltare le parole di Mythal.
L'elfo anziano ascoltò senza parlare, talvolta annuendo, come se le stranezze che andava ascoltando non risultassero così inaspettate, talvolta meravigliandosi apertamente. Ma Mahvir non lesse mai un solo briciolo di dubbio o di incertezza e di questo gli fu enormemente grata.

Fu solo quando smise di parlare che il capo del clan le chiese con gentilezza cosa la turbasse e cosa avesse reso tanto tristi i suoi occhi. D'un tratto le frasi pacate e tranquille che Mahvir aveva usato fino a quel momento divennero una valanga inarrestabile, fatta di parole convulse e spesso spezzate. Parole che si interrompevano a metà su altre parole, frasi incompiute e cambi improvvisi di argomento in cui passato, presente e futuro si ingarbugliavano in una matassa inestricabile.
- Non so chi fosse Solas, padre mio. Non so cosa cercasse davvero. Credo però che mi amasse - concluse Mahvir alla fine del lungo discorso confuso - E so che resterà nel mio cuore anche se non oso sperare che tornerà.

The dawn will come – DAI


L'elfo anziano non rispose e continuò a camminare lentamente. Mahvir accompagnò i suoi passi sapendo che stava rielaborando le tante notizie di cui lo aveva sommerso.
- E così tu hai visto Mythal - asserì dopo qualche minuto l'elfo con tono pacato - Hai addirittura parlato con lei. Eppure dubito che tu abbia compreso tutte le sue parole. Non è così? - le chiese incuriosito.
- E' così, padre mio. Non credo mi fosse dato di comprendere davvero le sue intenzioni o le sue necessità.
- Ed è così che deve essere - assentì l'elfo - perché i disegni delle divinità non sono per noi mortali. Non si può riuscire a figurarsi l'eternità. La durata della vita terrena distorce le nostre visioni e il nostro intelletto, rendendoci ciechi e stupidi.
Mahvir assentì, mentre le tornava in mente la sofferenza provata nel non riuscire a comunicare con il lupo bianco del suo sogno e poi chiese - Perché mi parli di Mythal e dei suoi discorsi?
- Se quella donna non ti avesse dato prova di essere una dea non credo che avresti potuto riconoscerla.
- Hai ragione. Nemmeno io lo credo. Sembrava una comune signora anziana. Perfino sua figlia aveva sospettato che Flemeth non fosse del tutto umana, ma non che fosse addirittura un antico dio.
- E tu sai con certezza chi davvero sia Solas? - le chiese l'elfo fissandola negli occhi e sorridendo divertito al suo cenno di diniego incerto e stupito.
- Io credo di saperlo - affermò con sicurezza. Le prese la mano e la invitò a seguirlo.

Nella piccola costruzione che fungeva da tempio dove il clan si riuniva a pregare, le antiche statue degli dei erano disposte a semicerchio. Grazie agli incensi che vi si bruciavano e alla sacralità da sempre tributata a quel luogo, una quiete irreale e ovattata le avvolgeva, come assorbendo ogni suono, profumo o luminescenza.
L'elfo la condusse davanti a una statua di pietra grigia, antica e segnata dalle intemperie.
- Il ciondolo che porta al collo è comparso stanotte. Non uno di noi ha potuto neppure sfiorarlo - confessò a bassa voce.
Allungò le dita fino a intercettare una barriera di energia pulsante che respinse violentemente indietro la sua mano.
- Fen'Harel - sussurrò Mahvir, riconoscendo l'effige di quel dio controverso, mentre ne osservava le fattezze orgogliose piegando di lato la testa e socchiudendo gli occhi, nel tentativo di studiarlo come se lo vedesse per la prima volta.
Poi allungò le dita e staccò gentilmente il ciondolo di Solas dal collo del lupo di pietra.
L'anziano capo sorrise mentre l'elfa se lo agganciava dietro la nuca, inconsapevole di una lacrima che le scendeva lentamente lungo una guancia.
  
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