Traccia 4
Taken for a fool - 3.25
Stavamo
facendo il soundcheck quando Alex comparve in fondo alla sala del locale.
«Cosa
ci fai qui?» gli avevo chiesto. Lui aveva buttato a terra la sigaretta e
mi era venuto incontro sorridendo solo a me.
«Ti pensavo» mi aveva detto facendomi arrossire.
Ero scesa dal palco con un salto e mi ero messa la giacca
pronta a seguirlo ovunque volesse andare.
«Lyla!» entrambi ci eravamo girati verso Liam che pareva furibondo
«dove pensi di andare? Dobbiamo suonare tra meno di tre ore!»
"Blame yourself for once, quit putting it on me,
I can't help you 'cos I've seen what it means,
It's so
early I don't want to wake up.
We're so lucky 'cos we never grew up."
«Te la riporto in tempo non ti preoccupare» Il tono di
Turner sembrava sempre troppo sarcastico.
«No, lei non può mollarci così» Liam insisteva e forse
quella volta aveva anche ragione, ma per troppe occasioni avevo seguito i suoi
ordini «Lyla torna sul palco e riprendi il microfono»
"I know,
everyone goes any damn place they choose.
And I hope everyone well on the toxic radio.
A tourist in the ghetto, not afraid of anything.
Except death and anything else that could maybe hurt the most. Yeah"
Alex aveva riso con lo scopo di schernirlo, si era acceso
una sigaretta e lo aveva guardato dritto negli occhi.
«Altrimenti cosa fai, Liam?»
"You get
taken all the time for a fool.
I don't know why.
You get taken all the time for a fool.
I don't know why.
I don't know why."
Uno dei
numerosi luoghi comuni in ambito musicale vuole che il rapporto tra cantante e
canzone sia simile a quello che intrattiene il genitore coi proprio figli.
Prima è
dentro di te, poi nasce nelle tue mani, la sviluppi, la correggi e al momento
giusto la lasci andare, guardandola da lontano.
Non è
proprio così.
Le
canzoni sono parti del cantante, o per meglio dire, parti dell’anima del
cantante. Quando un’artista è veramente mosso dai fili ciechi delle muse è in
grado di provare esperienze lontane da sé. L’arte può essere una conoscenza
priva di stimoli, basta saperla immaginare.
Un
cantante, un poeta, un pittore… sono tutti in grado di razionalizzare le loro
emozioni e di vivisezionarsi l’anima concedendoci un pezzo della loro essenza.
Le
persone meno sensibili non si rendono conto dell’enormità che c’è dietro una
canzone. Tendenzialmente una canzone “suona bene”. I più si focalizzano sul
ritmo, ma sono le parole che ne costituiscono l’ossatura. Il testo sono le
ossa, la musica la carne e la voce di chi la canta è il frammento di anima in
questione. Il soffio che gli dà vita.
Quindi,
quando Alex Turner degli Arctic Monkeys mi ha detto che sembravo il frutto di
una sua canzone mi ha fatto un regalo spaventoso.
Da un
certo punto di vista, ero anche io un pezzo della sua anima.
Rimasi
immobile per almeno una ventina di secondi. Mi mordicchiai il labbro inferiore
per nascondere un sorriso frutto della vanità. In vita mia nessuno mi aveva
detto una cosa così banale, ma al contempo così personale.
Turner
sbuffò facendomi tornare coi piedi a terra.
«Sono
stato orrendamente sdolcinato»
«Bè,
dipende dai punti di vista» mi guardò interrogativo così continuai «voglio
dire, dipende dalla canzone»
Ridacchiò
e annuì.
Insieme
al sushi la cameriera ci aveva portato un paio di Yebisu e mentre io ero a metà
della mia, Turner ne aveva già ingollate due. L’alcool sembrava renderlo più
calmo, ma il tremore alla mano non era cessato. Notai che aveva anche la pelle
d’oca. Sentivo che in lui c’era qualcosa che non andava, ma non avevo il
coraggio di chiedergli nulla.
Mentre la
giapponese portava via i nostri piatti vuoti Turner ordinò un’altra birra.
Sorrisi al pensiero che probabilmente non lo avevo mai visto da sobrio.
«Che
canzone vorresti essere?»
Ci
pensai su «Una di quelle del mio album preferito» fui volutamente enigmatica.
Chinò
la testa di lato, come avevo imparato, usava fare quando pensava o cercava le
parole giuste per dire qualcosa.
Si passò
la lingua sulle labbra «Suck it and see?»
«Humbug»
«Avrei
dovuto immaginarlo» si rimproverò.
«Perché?
Sembro disonesta o una a cui piacciono gli scarafaggi?»
«No,
ovvio che no» precisò immediatamente «vedi all’uscita di ‘Humbug’, un sacco di
persone hanno scritto una recensione sull’album… Sia chiaro, io non sono uno
che legge le recensioni!» precisò con una smorfia «se a qualcuno non piace la
mia musica può andare a farsi fottere…. Una, però, mi è rimasta impressa»
La
cameriera tornò con la Yebisu e Turner ne bevve un generoso sorso prima di
continuare «dicevano che ‘Humbug’ era una discesa verso l’abisso. Le scale buie
e umide di un vecchio castello di pietra: un consapevole salto nel vuoto»
Mi
appoggiai coi gomiti sul tavolo «Ed io sarei questo per te?» anche io
avevo finito la birra e le mie inibizioni si erano allentante permettendomi di
essere un po’ più audace.
«Tu,
Ophelia, sei come la fine di un tramonto» Distolsi lo sguardo e mi passai una
mano tra i capelli.
Io per
lui ero la notte che inghiottiva la luce.
Mi
concentrai sul suo pomo d’Adamo mentre ingoiava l’ennesimo sorso di birra. La
profondità di Turner mi destabilizzava: era un mare, un oceano! Le parole gli
uscivano con facilità e senza vergogna, ogni sua frase sembrava presa a
citazione da una poesia triste e sconosciuta.
«Poetizzi
sempre le persone al primo appuntamento?»
«Non si
può mettere in versi tutti» sorrisi accondiscendente.
«Quindi...»
dissi riprendendo il filo del discorso «stai dicendo che sono dark?»
«Oh...
tu sei così dark» mi abbagliò con un
sorriso furbo.
Deglutii
a vuoto «Hai detto che sono una tua canzone, quale?» domandai, mossa da una
sorta di curiosità un po’ maliziosa.
«Non
intendevo una canzone in particolare» ammise con lo sguardo perso «Sei l’idea...
una mia idea» lo guardai senza comprendere. Si avvicinò, appoggiando i gomiti
sul tavolo. Si prese un po’ di tempo per pensare mentre con le dita strappava
gli angoli dell’etichetta della birra «Quando sono entrato nel tuo ristorante è
stato come trovarmi davanti la ragazza alla quale penso quando scrivo. Con gli
anfibi, gli occhi da gatta e il sorriso altezzoso»
Le nostre
braccia si sfioravano. Non me n’ero accorta fino a quel momento. Sentì il
piacevole calore del suo corpo e mi irrigidii terrorizzata dalla possibilità
che Turner si muovesse di nuovo interrompendo quel contatto rubato.
Mi
guardai le mani perché sapevo che se avessi guardato lui mi sarei volutamente
gettata tra le fauci del leone… anzi no, del lupo. Sì, perché Alex Turner aveva
il sorriso affilato di un lupo abituato a vincere. Sapevo che se avessi
incontrato i suoi occhi troppo grandi e troppo scuri, avrei perso. Era un po’
come quella infantile convinzione secondo la quale: “se non lo vedo non esiste”.
Oh, al Diavolo!
Lasciai
che il suo sguardo buio mi baciasse il viso. Aveva il capo leggermente chinato
in avanti ed il ciuffo gli ricadeva sugli occhi allungandogli il viso. Teneva
il sopracciglio sinistro appena sollevato, questo gli increspava la fronte e
gli dava un’aria da ribelle senza una causa, che gli veniva fin troppo bene.
Sentii
il cuore battermi in testa mandandomi in confusione. Nemmeno la mia voce
interiore fu più in grado di comporre una frase compiuta quando Turner sorrise
con un angolo della bocca.
Il
brivido che mi percorse la schiena fu così violento che involontariamente
spinsi il petto in avanti. Lui colse subito il mio movimento ed i suoi occhi mi
caddero sul seno. Lo vidi deglutire e capii che mi stava spogliando
mentalmente, ma lo faceva con una sfrontatezza che lo rendeva…eccitante.
Era la
prima volta che lui era quello impegnato a volere
e io quella con una parvenza di autocontrollo. Così ne approfittai facendogli
una domanda con l’intenzione di metterlo con le spalle al muro.
«Mi
stai dicendo che sono la donna dei tuoi sogni?»
I suoi
occhi si mescolarono di nuovo coi miei, lasciando sul mio petto, la stessa
sensazione fredda e fisica che si sente quando qualcuno lascia scoperta una
zona di pelle dove prima aveva poggiato una mano.
«Non
sono sicuro sia un complimento» disse non dicendo niente. Il sorriso da
lupo si accompagnò agli occhi da cucciolo ed io sentì il sangue accelerare
nelle vene. «Mi è stato detto che la mia mente è malata»
«Chi te
lo ha detto?» domandai schiacciando il petto contro il tavolo nella speranza di
distrarlo di nuovo.
«Matt…»
parlò come sovrappensiero «e Nick e Jamie e mia madre e chiunque» concluse
serrando le palpebre. Quando notai le piccole rughe che gli si formarono
attorno agli occhi sentii un piacevole calore riempirmi l’addome. Come quando
durante l’inverno si può sentire il tè caldo scendere per la gola e arrivare
allo stomaco.
Il
sentirsi oggetto del desiderio è una sensazione tipicamente femminile, che però
io non avevo mai provato in modo così prepotente. Ogni conversazione con Turner
era come una corsa in macchina, con il paesaggio che si confonde in uno
sfavillio di luci, fuori dal finestrino e la velocità dell’auto che preme il
petto.
«Nessun
poeta è mai stato sano di mente» dissi.
«A
volte temo di essere più matto che poeta»
«Perché?»
«Io
sono sempre, costantemente innamorato» spiegò «sono ossessionato dall’idea di
amare. Di quella sensazione di pienezza che provo quando sono ricambiato e di
quel vuoto macinante che mi prende lo stomaco quando non lo sono» sollevai un
sopracciglio all’idea che qualcuno non ricambiasse le sue attenzioni «Io sono
un vaso pieno d’amore e ho la necessità di riversarlo su qualcuno, perché una
forza grande come l’amore non la puoi tenere dentro, o ti sgretola dall’interno»
Fu un
attimo. Un secondo ed ecco che pensai subito a Liam. Sentii un peso
schiacciarmi i polmoni, era come se si fossero rinsecchiti, il mio corpo si rifiutava
di respirare.
Turner
lo notò subito, non so cosa capì, ma lo capì prima di me. I suoi occhi si
spalancarono e per un momento parve confuso. Non disse nulla e lo ringraziai
mentalmente per non aver provato a consolarmi.
«Scusa»
dissi quando respirare smise di fare male.
«Non
devi scusarti di essere innamorata»
«Non lo
sono»
«Io
dico di sì»
«Credevo
fossi un cantante, non uno psicologo» scherzai alleggerendo l’atmosfera. Turner
rise, ma una smorfia di dolore si disegno sul suo bel viso come una riga su un
foglio bianco.
Si
coprì la fronte con il palmo.
«Tutto
bene?» domandai.
«Si, è
solo… mal di testa» Nonostante la sua rassicurazione non gli credetti. Turner
serrò la mascella e chiuse gli occhi. Istintivamente gli presi la mano, ma le
sue dita era ossute e gelate. Si scostò da me con uno scatto irritato e mi
fulminò con lo sguardo.
Ritrassi
la mano impaurita.
«Torno
subito» disse alzandosi e scomparendo giù dalle scale.
Rimasi
lì immobile e con il disagio attaccato alle spalle. Cercai di capire cos’avevo
sbagliato per farlo reagire così, ma non mi venne in mente nulla.
La
cameriera comparve con due tazze di sakè, così, per celare l’imbarazzo finsi di
controllare il telefono.
Avevo
tre messaggi di Liam e una chiamata persa di Joel. Decisi di leggere i messaggi
che perlopiù erano raccomandazioni del tipo “spero che tu abbia messo in risalto le tue belle gambe” oppure “controlla che la foto non venga troppo scura”.
Serrai i denti dalla rabbia e pensai di rispondergli che non se ne poteva fare
niente, perché quel cantante era più complicato di un rebus scritto in una
lingua sconosciuta e io non ero più nemmeno sicura di interessargli, ma prima
che cominciassi a digitare Turner ricomparve di fronte a me.
Feci
uno scatto e mi ficcai il telefono in tasca «Non ti ho sentito arrivare»
Rispose
con una scrollata di spalle e si sedette, o per meglio dire si lasciò cadere
sulla sedia con un tonfo. Prese la sua tazza di sakè e la mandò giù come se
fosse una medicina.
«Andiamo?»
domandò.
Avevo
ancora la mano sulla tasca dei pantaloni, perché non mi ero mossa di un
millimetro da quando era tornato. Ebbi la brutta impressione di trovarmi
davanti una persona diversa, come se Turner fosse regredito abbandonando gli
abiti da poeta e rimettendosi il giubbotto da star internazionale abituata a
farsi servire, con tanto di smorfia annoiata.
Si
passò l’indice sotto al naso e tirò su inclinando la testa di lato.
La mano
non tremava più.
«Joe è
fuori?» chiesi guardando la finestra per smettere di guardare lui.
«No, ho
deciso che ti porto io»
«Come
mai?»
«Mi va»
rispose laconico.
Qualunque
organo avessi all’altezza dell’ombelico lo sentii attorcigliarsi su se stesso.
Voleva accompagnarmi a casa lui stesso, cosa poteva significare?
Mi
prese il panico. Allora Joel aveva ragione? Voleva solo venire a letto con me?
Mi
irrigidii e non ebbi il coraggio di dire nulla mentre lui si faceva portare il
conto. Non perché non volevo categoricamente fare sesso con Alex Turner, ma perché
quella specie di appuntamento non doveva finire così.
Concludere
la serata a letto sarebbe stato troppo banale.
Ad ora
non riesco a spiegare quello che provai, forse era perlopiù delusione. Avevo
pensato che Turner fosse uno spirito lirico che non aveva bisogno del corpo per
fare l’amore. In effetti mi sentivo come se noi avessimo già fatto sesso, ma a parole. Nei nostri pensieri. Ero
consapevole del fatto che, come io avevo immaginato di spostare il tavolo e
sedermi a cavalcioni su di lui almeno un paio di volte, lui aveva fatto lo
stesso, magari fantasticando di schiacciarmi contro il muro e mordermi le
labbra fino a farmi male.
Dunque
l’idea di rendere concreto il desiderio così presto mi sembrava sbagliata. Mi
sarebbe piuttosto piaciuto andare a casa insoddisfatta. Così avrei avuto il
tempo di rimpiangere di non essere stata abbastanza istintiva. Così il ricordo della
sua camicia sbottonata mi avrebbe perseguitato, al punto che la volta dopo gli
sarei saltata addosso, vittima di un’incontentabilità succosa e matura che
avrebbe reso il tutto indimenticabile.
Purtroppo
però la realtà ci mise un paio di secondi a tagliarmi le ali. Lo stesso tempo
che serve alla cintura per unirsi al gancio. Quando, infatti, mi sedetti sulla
sua macchina nera e Turner mise in moto, capii che non ci sarebbe stata una
seconda volta per noi, capii che avremmo probabilmente fatto sesso, capi che
non sarei riuscita a fare nessuna stramaledetta foto per Liam e capii infine
che da domani tutto sarebbe tornato come prima.
Non
parlai per tutto il tragitto, ma a Turner non sembrava importare. Era troppo
preso dai suoi pensieri. Guidava veloce, troppo o forse ero io che non volevo
arrivare a casa in fretta.
Alla
radio c’era “Love will tear us apart”
quando Turner spense il motore davanti a casa mia.
«Dove
abiti?» domandò abbassando il volume invece di spegnerlo.
Indicai
una palazzina bianca in stile vittoriano «Lì, al primo piano»
Turner
annui e non disse altro.
Sospirai
e mi slacciai la cintura. Aprì la bocca per chiedergli se voleva entrare, ma
lui parlò prima.
«Allora
buonanotte Lyla»
Lo
guardai e se avessi potuto avrei sorriso. Mi prese il mento con due dita e mi
costrinse ad allungare il collo verso di lui.
Quando
le sue labbra si premettero contro la mia guancia dovetti mordermi l’interno
della bocca per non urlare. Fu un bacio lento, ma non di certo casto. Probabilmente
voleva dirmi così tante cose che però aveva trovato più facile riassumere così.
«Buonanotte
Turner» dissi permettendomi di sorridere solo quando mi chiusi il portone di
casa alle spalle.
Quel bacio mancato era il desiderio inespresso che mi avrebbe torturato fino al nostro prossimo incontro.
CORNERSTONE
Salve a tutti! Eccomi di nuovo con la seconda
parte dell'appuntamento tra Lyla e Alex! Bè, che ne pensate?
Spero vi sia piaicuto e sappiate che dal prossimo capitolo le cose
iniziano a farsi serie!
Mi dispiace non aver potuto aggiornare per il compleanno del nostro bad
boy, ma mi hanno invitato fuori a mangiare il sushi e se mai un giorno
io dirò di no al sushi sappiate che vorra dire che quella con
cui state parlando non sono io, ma un automa con le mie sembianze!
Okay, adesso se la smetto di citare Blade Runner vi posso salutare!
La canzone del capitolo è degli intramontabili "The Strokes" tra l'altro è una delle mie preferite in assoluto. Quando Alex e Lyla parlaando di 'Humbug' e lei chiede se lui la crede "una disonesta oppure una che ama gli scarafagi" quella è una battuta sui due significati della parola 'humbug' in slang infatti significa "disonesto/ fraudolento" e la storia degli scarafaggi si riferisce al personaggio dei fumetti. Ah, quasi mi dimenticavo di sottolineare il riferimento a "You're so dark" che in effetti è davvero la canzone alla quale mi sono ispirata per creare il personaggio di Lyla, il fatto che voi l'abbiate notato subito mi ha veramente reso felice! Bene, a parte quello non credo ci siano altre cose che vanno spiegate! corro a rispondere alle recensioni e vi auguro una buona gionata.
p.s. e vi ringrazio come sempre! <3