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Autore: emrys_    09/01/2015    4 recensioni
La prima canzone dei DriveShaft venne rilasciata esattamente otto anni fa. "Doomsday" invase la scena musicale inglese spodestando band ben più famose di quella composta dai quattro originari di Portsmouth. Forse il successo fu dovuto, in parte, allo scandalo che accompagnò l'uscita del loro primo album: "Pauper Lunatic". Ciò non toglie che ad oggi i DriveShaft rappresentino una pietra miliare nella storia della musica britannica.
Noi di MTV vi proponiamo una compilation dei loro brani più celebri con tanto di introduzioni tratte direttamente dagli appunti, scritti di proprio pugno, della cantante Ophelia Withmore, appunti annotati in un moleskine blu che di recente è stato venduto ad un'asta per la bellezza di 5.300 sterline.
Genere: Erotico, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Alex Turner, Nuovo personaggio
Note: Lemon | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo
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TAKEN FOR A FOOL

Traccia 4


Taken for a fool  - 3.25

 

 9 Febbraio

Stavamo facendo il soundcheck quando Alex comparve in fondo alla sala del locale.
«Cosa ci fai qui?» gli avevo chiesto. Lui aveva buttato a terra la sigaretta e mi era venuto incontro sorridendo solo a me.
«Ti pensavo» mi aveva detto facendomi arrossire.
Ero scesa dal palco con un salto e mi ero messa la giacca pronta a seguirlo ovunque volesse andare.
«Lyla!» entrambi ci eravamo girati verso Liam che pareva furibondo «dove pensi di andare? Dobbiamo suonare tra meno di tre ore!»

 
"Blame yourself for once, quit putting it on me,
I can't help you 'cos I've seen what it means,

It's so early I don't want to wake up.
We're so lucky 'cos we never grew up."


 

«Te la riporto in tempo non ti preoccupare» Il tono di Turner sembrava sempre troppo sarcastico.
«No, lei non può mollarci così» Liam insisteva e forse quella volta aveva anche ragione, ma per troppe occasioni avevo seguito i suoi ordini «Lyla torna sul palco e riprendi il microfono»

 

"I know, everyone goes any damn place they choose.
And I hope everyone well on the toxic radio.
A tourist in the ghetto, not afraid of anything.
Except death and anything else that could maybe hurt the most. Yeah"

Alex aveva riso con lo scopo di schernirlo, si era acceso una sigaretta e lo aveva guardato dritto negli occhi.
«Altrimenti cosa fai, Liam?»

 

"You get taken all the time for a fool.
I don't know why.
You get taken all the time for a fool.
I don't know why.
I don't know why."

 

 


 

 

Uno dei numerosi luoghi comuni in ambito musicale vuole che il rapporto tra cantante e canzone sia simile a quello che intrattiene il genitore coi proprio figli.
Prima è dentro di te, poi nasce nelle tue mani, la sviluppi, la correggi e al momento giusto la lasci andare, guardandola da lontano.
Non è proprio così.
Le canzoni sono parti del cantante, o per meglio dire, parti dell’anima del cantante. Quando un’artista è veramente mosso dai fili ciechi delle muse è in grado di provare esperienze lontane da sé. L’arte può essere una conoscenza priva di stimoli, basta saperla immaginare.
Un cantante, un poeta, un pittore… sono tutti in grado di razionalizzare le loro emozioni e di vivisezionarsi l’anima concedendoci un pezzo della loro essenza.
Le persone meno sensibili non si rendono conto dell’enormità che c’è dietro una canzone. Tendenzialmente una canzone “suona bene”. I più si focalizzano sul ritmo, ma sono le parole che ne costituiscono l’ossatura. Il testo sono le ossa, la musica la carne e la voce di chi la canta è il frammento di anima in questione. Il soffio che gli dà vita.
Quindi, quando Alex Turner degli Arctic Monkeys mi ha detto che sembravo il frutto di una sua canzone mi ha fatto un regalo spaventoso.
Da un certo punto di vista, ero anche io un pezzo della sua anima.

 

Rimasi immobile per almeno una ventina di secondi. Mi mordicchiai il labbro inferiore per nascondere un sorriso frutto della vanità. In vita mia nessuno mi aveva detto una cosa così banale, ma al contempo così personale.
Turner sbuffò facendomi tornare coi piedi a terra.
«Sono stato orrendamente sdolcinato»
«Bè, dipende dai punti di vista» mi guardò interrogativo così continuai «voglio dire, dipende dalla canzone»
Ridacchiò e annuì.
Insieme al sushi la cameriera ci aveva portato un paio di Yebisu e mentre io ero a metà della mia, Turner ne aveva già ingollate due. L’alcool sembrava renderlo più calmo, ma il tremore alla mano non era cessato. Notai che aveva anche la pelle d’oca. Sentivo che in lui c’era qualcosa che non andava, ma non avevo il coraggio di chiedergli nulla.
Mentre la giapponese portava via i nostri piatti vuoti Turner ordinò un’altra birra. Sorrisi al pensiero che probabilmente non lo avevo mai visto da sobrio.
«Che canzone vorresti essere?»
Ci pensai su «Una di quelle del mio album preferito» fui volutamente enigmatica.
Chinò la testa di lato, come avevo imparato, usava fare quando pensava o cercava le parole giuste per dire qualcosa.
Si passò la lingua sulle labbra «Suck it and see?»
«Humbug»
«Avrei dovuto immaginarlo» si rimproverò.
«Perché? Sembro disonesta o una a cui piacciono gli scarafaggi?»
«No, ovvio che no» precisò immediatamente «vedi all’uscita di ‘Humbug’, un sacco di persone hanno scritto una recensione sull’album… Sia chiaro, io non sono uno che legge le recensioni!» precisò con una smorfia «se a qualcuno non piace la mia musica può andare a farsi fottere…. Una, però, mi è rimasta impressa»
La cameriera tornò con la Yebisu e Turner ne bevve un generoso sorso prima di continuare «dicevano che ‘Humbug’ era una discesa verso l’abisso. Le scale buie e umide di un vecchio castello di pietra: un consapevole salto nel vuoto»
Mi appoggiai coi gomiti sul tavolo «Ed io sarei questo per te?» anche io avevo finito la birra e le mie inibizioni si erano allentante permettendomi di essere un po’ più audace.
«Tu, Ophelia, sei come la fine di un tramonto» Distolsi lo sguardo e mi passai una mano tra i capelli.
Io per lui ero la notte che inghiottiva la luce.
Mi concentrai sul suo pomo d’Adamo mentre ingoiava l’ennesimo sorso di birra. La profondità di Turner mi destabilizzava: era un mare, un oceano! Le parole gli uscivano con facilità e senza vergogna, ogni sua frase sembrava presa a citazione da una poesia triste e sconosciuta.
«Poetizzi sempre le persone al primo appuntamento?»
«Non si può mettere in versi tutti» sorrisi accondiscendente.
«Quindi...» dissi riprendendo il filo del discorso «stai dicendo che sono dark?»
«Oh... tu sei così dark» mi abbagliò con un sorriso furbo.

 

Deglutii a vuoto «Hai detto che sono una tua canzone, quale?» domandai, mossa da una sorta di curiosità un po’ maliziosa.
«Non intendevo una canzone in particolare» ammise con lo sguardo perso «Sei l’idea... una mia idea» lo guardai senza comprendere. Si avvicinò, appoggiando i gomiti sul tavolo. Si prese un po’ di tempo per pensare mentre con le dita strappava gli angoli dell’etichetta della birra «Quando sono entrato nel tuo ristorante è stato come trovarmi davanti la ragazza alla quale penso quando scrivo. Con gli anfibi, gli occhi da gatta e il sorriso altezzoso»
Le nostre braccia si sfioravano. Non me n’ero accorta fino a quel momento. Sentì il piacevole calore del suo corpo e mi irrigidii terrorizzata dalla possibilità che Turner si muovesse di nuovo interrompendo quel contatto rubato.
Mi guardai le mani perché sapevo che se avessi guardato lui mi sarei volutamente gettata tra le fauci del leone… anzi no, del lupo. Sì, perché Alex Turner aveva il sorriso affilato di un lupo abituato a vincere. Sapevo che se avessi incontrato i suoi occhi troppo grandi e troppo scuri, avrei perso. Era un po’ come quella infantile convinzione secondo la quale: “se non lo vedo non esiste”.
Oh, al Diavolo!
Lasciai che il suo sguardo buio mi baciasse il viso. Aveva il capo leggermente chinato in avanti ed il ciuffo gli ricadeva sugli occhi allungandogli il viso. Teneva il sopracciglio sinistro appena sollevato, questo gli increspava la fronte e gli dava un’aria da ribelle senza una causa, che gli veniva fin troppo bene.
Sentii il cuore battermi in testa mandandomi in confusione. Nemmeno la mia voce interiore fu più in grado di comporre una frase compiuta quando Turner sorrise con un angolo della bocca.
Il brivido che mi percorse la schiena fu così violento che involontariamente spinsi il petto in avanti. Lui colse subito il mio movimento ed i suoi occhi mi caddero sul seno. Lo vidi deglutire e capii che mi stava spogliando mentalmente, ma lo faceva con una sfrontatezza che lo rendeva…eccitante.
Era la prima volta che lui era quello impegnato a volere e io quella con una parvenza di autocontrollo. Così ne approfittai facendogli una domanda con l’intenzione di metterlo con le spalle al muro.
«Mi stai dicendo che sono la donna dei tuoi sogni?»
I suoi occhi si mescolarono di nuovo coi miei, lasciando sul mio petto, la stessa sensazione fredda e fisica che si sente quando qualcuno lascia scoperta una zona di pelle dove prima aveva poggiato una mano.
«Non sono sicuro sia un complimento» disse non dicendo niente. Il sorriso da lupo si accompagnò agli occhi da cucciolo ed io sentì il sangue accelerare nelle vene. «Mi è stato detto che la mia mente è malata»
«Chi te lo ha detto?» domandai schiacciando il petto contro il tavolo nella speranza di distrarlo di nuovo.
«Matt…» parlò come sovrappensiero «e Nick e Jamie e mia madre e chiunque» concluse serrando le palpebre. Quando notai le piccole rughe che gli si formarono attorno agli occhi sentii un piacevole calore riempirmi l’addome. Come quando durante l’inverno si può sentire il tè caldo scendere per la gola e arrivare allo stomaco.
Il sentirsi oggetto del desiderio è una sensazione tipicamente femminile, che però io non avevo mai provato in modo così prepotente. Ogni conversazione con Turner era come una corsa in macchina, con il paesaggio che si confonde in uno sfavillio di luci, fuori dal finestrino e la velocità dell’auto che preme il petto.
«Nessun poeta è mai stato sano di mente» dissi.
«A volte temo di essere più matto che poeta»
«Perché?»
«Io sono sempre, costantemente innamorato» spiegò «sono ossessionato dall’idea di amare. Di quella sensazione di pienezza che provo quando sono ricambiato e di quel vuoto macinante che mi prende lo stomaco quando non lo sono» sollevai un sopracciglio all’idea che qualcuno non ricambiasse le sue attenzioni «Io sono un vaso pieno d’amore e ho la necessità di riversarlo su qualcuno, perché una forza grande come l’amore non la puoi tenere dentro, o ti sgretola dall’interno»
Fu un attimo. Un secondo ed ecco che pensai subito a Liam. Sentii un peso schiacciarmi i polmoni, era come se si fossero rinsecchiti, il mio corpo si rifiutava di respirare.
Turner lo notò subito, non so cosa capì, ma lo capì prima di me. I suoi occhi si spalancarono e per un momento parve confuso. Non disse nulla e lo ringraziai mentalmente per non aver provato a consolarmi.
«Scusa» dissi quando respirare smise di fare male.
«Non devi scusarti di essere innamorata»
«Non lo sono»
«Io dico di sì»
«Credevo fossi un cantante, non uno psicologo» scherzai alleggerendo l’atmosfera. Turner rise, ma una smorfia di dolore si disegno sul suo bel viso come una riga su un foglio bianco.
Si coprì la fronte con il palmo.
«Tutto bene?» domandai.
«Si, è solo… mal di testa» Nonostante la sua rassicurazione non gli credetti. Turner serrò la mascella e chiuse gli occhi. Istintivamente gli presi la mano, ma le sue dita era ossute e gelate. Si scostò da me con uno scatto irritato e mi fulminò con lo sguardo.
Ritrassi la mano impaurita.
«Torno subito» disse alzandosi e scomparendo giù dalle scale.

 

Rimasi lì immobile e con il disagio attaccato alle spalle. Cercai di capire cos’avevo sbagliato per farlo reagire così, ma non mi venne in mente nulla.
La cameriera comparve con due tazze di sakè, così, per celare l’imbarazzo finsi di controllare il telefono.
Avevo tre messaggi di Liam e una chiamata persa di Joel. Decisi di leggere i messaggi che perlopiù erano raccomandazioni del tipo “spero che tu abbia messo in risalto le tue belle gambe” oppure “controlla che la foto non venga troppo scura”. Serrai i denti dalla rabbia e pensai di rispondergli che non se ne poteva fare niente, perché quel cantante era più complicato di un rebus scritto in una lingua sconosciuta e io non ero più nemmeno sicura di interessargli, ma prima che cominciassi a digitare Turner ricomparve di fronte a me.
Feci uno scatto e mi ficcai il telefono in tasca «Non ti ho sentito arrivare»
Rispose con una scrollata di spalle e si sedette, o per meglio dire si lasciò cadere sulla sedia con un tonfo. Prese la sua tazza di sakè e la mandò giù come se fosse una medicina.
«Andiamo?» domandò.
Avevo ancora la mano sulla tasca dei pantaloni, perché non mi ero mossa di un millimetro da quando era tornato. Ebbi la brutta impressione di trovarmi davanti una persona diversa, come se Turner fosse regredito abbandonando gli abiti da poeta e rimettendosi il giubbotto da star internazionale abituata a farsi servire, con tanto di smorfia annoiata.
Si passò l’indice sotto al naso e tirò su inclinando la testa di lato.
La mano non tremava più.
«Joe è fuori?» chiesi guardando la finestra per smettere di guardare lui.
«No, ho deciso che ti porto io»
«Come mai?»
«Mi va» rispose laconico.
Qualunque organo avessi all’altezza dell’ombelico lo sentii attorcigliarsi su se stesso. Voleva accompagnarmi a casa lui stesso, cosa poteva significare?
Mi prese il panico. Allora Joel aveva ragione? Voleva solo venire a letto con me?
Mi irrigidii e non ebbi il coraggio di dire nulla mentre lui si faceva portare il conto. Non perché non volevo categoricamente fare sesso con Alex Turner, ma perché quella specie di appuntamento non doveva finire così.
Concludere la serata a letto sarebbe stato troppo banale.
Ad ora non riesco a spiegare quello che provai, forse era perlopiù delusione. Avevo pensato che Turner fosse uno spirito lirico che non aveva bisogno del corpo per fare l’amore. In effetti mi sentivo come se noi avessimo già fatto sesso, ma a parole. Nei nostri pensieri. Ero consapevole del fatto che, come io avevo immaginato di spostare il tavolo e sedermi a cavalcioni su di lui almeno un paio di volte, lui aveva fatto lo stesso, magari fantasticando di schiacciarmi contro il muro e mordermi le labbra fino a farmi male.
Dunque l’idea di rendere concreto il desiderio così presto mi sembrava sbagliata. Mi sarebbe piuttosto piaciuto andare a casa insoddisfatta. Così avrei avuto il tempo di rimpiangere di non essere stata abbastanza istintiva. Così il ricordo della sua camicia sbottonata mi avrebbe perseguitato, al punto che la volta dopo gli sarei saltata addosso, vittima di un’incontentabilità succosa e matura che avrebbe reso il tutto indimenticabile.
Purtroppo però la realtà ci mise un paio di secondi a tagliarmi le ali. Lo stesso tempo che serve alla cintura per unirsi al gancio. Quando, infatti, mi sedetti sulla sua macchina nera e Turner mise in moto, capii che non ci sarebbe stata una seconda volta per noi, capii che avremmo probabilmente fatto sesso, capi che non sarei riuscita a fare nessuna stramaledetta foto per Liam e capii infine che da domani tutto sarebbe tornato come prima.

 

Non parlai per tutto il tragitto, ma a Turner non sembrava importare. Era troppo preso dai suoi pensieri. Guidava veloce, troppo o forse ero io che non volevo arrivare a casa in fretta.
Alla radio c’era “Love will tear us apart” quando Turner spense il motore davanti a casa mia.
«Dove abiti?» domandò abbassando il volume invece di spegnerlo.
Indicai una palazzina bianca in stile vittoriano «Lì, al primo piano»
Turner annui e non disse altro.
Sospirai e mi slacciai la cintura. Aprì la bocca per chiedergli se voleva entrare, ma lui parlò prima.
«Allora buonanotte Lyla»
Lo guardai e se avessi potuto avrei sorriso. Mi prese il mento con due dita e mi costrinse ad allungare il collo verso di lui.
Quando le sue labbra si premettero contro la mia guancia dovetti mordermi l’interno della bocca per non urlare. Fu un bacio lento, ma non di certo casto. Probabilmente voleva dirmi così tante cose che però aveva trovato più facile riassumere così.
«Buonanotte Turner» dissi permettendomi di sorridere solo quando mi chiusi il portone di casa alle spalle.

 

Quel bacio mancato era il desiderio inespresso che mi avrebbe torturato fino al nostro prossimo incontro.


CORNERSTONE

Salve a tutti! Eccomi di nuovo con la seconda parte dell'appuntamento tra Lyla e Alex! Bè, che ne pensate? Spero vi sia piaicuto e sappiate che dal prossimo capitolo le cose iniziano a farsi serie!
Mi dispiace non aver potuto aggiornare per il compleanno del nostro bad boy, ma mi hanno invitato fuori a mangiare il sushi e se mai un giorno io dirò di no al sushi sappiate che vorra dire che quella con cui state parlando non sono io, ma un automa con le mie sembianze! Okay, adesso se la smetto di citare Blade Runner vi posso salutare!

La canzone del capitolo è degli intramontabili "The Strokes" tra l'altro è una delle mie preferite in assoluto. Quando Alex e Lyla parlaando di 'Humbug' e lei chiede se lui la crede "una disonesta oppure una che ama gli scarafagi" quella è una battuta sui due significati della parola 'humbug' in slang infatti significa "disonesto/ fraudolento" e la storia degli scarafaggi si riferisce al personaggio dei fumetti. Ah, quasi mi dimenticavo di sottolineare il riferimento a "You're so dark" che in effetti è davvero la canzone alla quale mi sono ispirata per creare il personaggio di Lyla, il fatto che voi l'abbiate notato subito mi ha veramente reso felice! Bene, a parte quello non credo ci siano altre cose che vanno spiegate! corro a rispondere alle recensioni e vi auguro una buona gionata. 

p.s. e vi ringrazio come sempre! <3

  
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