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Autore: Deliquium    09/01/2015    7 recensioni
«Mi state mettendo alla prova?»
«Vedila così... Essere un Saint di Atena non è cosa da poco, tu lo sai molto bene, Angelo. E la costellazione che veglia sull'Etna non è una costellazione come tutte le altre...»
«Il Cancro, lo so.» Angelo si era gonfiato in petto. Sapeva tutto del Cancro. Era il suo segno ed era stata la costellazione di Manigoldo.
«Già, il Cancro.» aveva confermato il vecchio greco, con un sospiro.
Storia di come il Saint di Cancer divenne la Maschera di Morte.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Cancer DeathMask, Nuovo Personaggio
Note: AU, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Sincretismo'
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Aetna


[ Umiliazione ]


Angelo sputò sangue e saliva e si pulì la bocca con la manica della camicia.
Fissava il pavimento. Immobile. Il cuore batteva lo stretto necessario. Se avesse potuto diventare asfalto lui stesso.
Maestro, fatemi diventare più forte.
Di colpo l'immagine di Petre si sovrappose al grigio della strada.
L'uomo seduto al tavolo, con la sua bottiglia di vino. Una scena a cui aveva assistito più e più volte durante gli ultimi anni.
«Più forte?» gli aveva chiesto Petre, dopo aver bevuto un sorso di vino.
«Sì, più forte.» Angelo gli aveva mostrato le mani, le braccia. Era stanco di quella debolezza.
«E che cos'è la forza, Angelo?»
«La forza è sconfiggere il proprio avversario. Colpirlo fino a non farlo più alzare. Chi è forte non ha paura, è rispettato, può fare quello che vuole. Io avrò il cosmo più potente di tutto il Grande Tempio. Sarò il migliore, il più temuto. Tutti dovranno inchinarsi e avere paura...»
«Quindi, tu vuoi terrorizzare... è questa la tua idea di forza?»
Petre si era voltato verso di lui. Gli occhi del suo maestro che non si muovevano di un centimetro dai suoi.
Angelo aveva arricciato le labbra come se provasse disgusto.
«Perché, per voi, la forza è altro?» lo aveva sfidato.
«Quello è un tipo forza, Angelo, ma è una forza fasulla che serve per coprire.»
«Che cosa? Cosa coprirebbe?»
La paura.
Gli aveva risposto.
La paura, quella che stava provando lui in quel momento.

Uccidilo.
« … non fargli del male»
Angelo sbatté le palpebre. Era svenuto? Qualcuno stava gridando. Dentro di lui, fuori di lui.
Lo sentiva. La sentiva.
Angelo tirò su la faccia.
Il sapore metallico del sangue infilato tra i denti. Un colpo di tosse.
Scarpe costose. Lucide. Scarpe da uomo. Scarpe di pelle rossa. Scarpe con il tacco da donna. Sneakers all'ultima moda. Le stringhe slacciate.
E poi altre scarpe. Scarpe che non conosceva, che non aveva mai guardato.
Lui, il Cancro.
Strisciava a terra, come un verme. Percosso da uomini che avrebbe potuto...
Uccidere.
«Non fargli del male. Per favore, zio Vito. Non fargli del male.»
Angelo cercò di alzarsi, ma qualcuno lo colpì allo stomaco.
Aveva visto arrivare il pugno. Avrebbe potuto evitarlo mille volte, ma il suo corpo non si muoveva, le sue membra erano rigide.
Una simile umiliazione.
Davanti a loro.
Davanti a lei.
Rosalia cercò di liberarsi dalla stretta di Michele.
Piangeva.
Per lui.
Sempre.
Non sapeva far altro che farla piangere.
Alle sue spalle, Michele le stringeva le braccia. Le impediva di correre da lui, e le impediva di andarsene.
Doveva vedere. Assistere. Capire le cose che non le venivano dette.
Vedere come striscia un pezzente.
Sapere che loro potrebbero ucciderlo in qualsiasi momento.
Lo vedi Rosalia, chi è che ami?
Non è niente.
Non è nessuno.
Uno degli uomini di Vito lo prese per i capelli.
Vito non lo aveva toccato. Non voleva sporcarsi le mani.
Angelo fu costretto ad alzare la testa verso l'uomo.
Gli occhi di Vito erano gelidi. Le labbra, una striscia sottile.
Non aveva bisogno di parlare.
Angelo sapeva. Lui sapeva.
Si rimise in piedi. Le mani appoggiate sulle ginocchia per conservare una parvenza di equilibrio.
Tentò di sorridere. Ma la bocca gli faceva male. Avrebbe voluto toccarsi il volto, alzare la testa. Ma sapeva che se avesse abbandonato quella posizione sarebbe caduto. E non poteva cadere, non mentre mentiva.
«Rosalia, dite?»
La sua voce tremava.
Non devo tremare.
Deglutì. Trasse un respiro profondo.
«Mia nipote, Rosalia.» confermò Vito. «Mi hanno riferito delle cose su voi due...» s'interruppe per un attimo, mentre lo squadrava. «I miei uomini ci sono andati giù pesante.» constatò senza preoccuparsi di celare la soddisfazione.
Oh, sì... certo. Le domande vengono sempre dopo, vero?
«Qualsiasi cosa vi abbiano detto, don Vito, vi hanno mentito.»
«Come? Non sei il fidanzato di Rosalia?»
C'era sorpresa nella sua voce?
Fingeva così bene.
Uccidilo.
Di nuovo. Angelo scosse la testa.
Alla voce, a Vito.
«No, non mi importa nulla.»
Angelo sentì un brivido percorrergli la schiena, quando Vito gli cinse le spalle con il braccio.
«Molto bravo, ragazzo. Molto bravo.»


Angelo si toccò le braccia, la faccia, lo stomaco. Era un dolore unico. Ogni centimetro della sua pelle gli faceva un male cane. Sarebbe dovuto andare all'ospedale.
Sentiva il volto pulsare, come se scottasse da dentro. Si toccò il labbro e sussultò.
Era seduto su una pietra miliare fuori il caseggiato di Linguadoca. La strada si estendeva davanti a lui, sommersa dalla luce dorata del tardo pomeriggio.
«Per un attimo ho creduto che parlassi sul serio.»
La figura di Rosalia, in piedi davanti a lui, si era sovrapposta a un pezzo del paesaggio.
Angelo aggrottò la fronte e tornò a fissare le ombre lunghe sul selciato.
«Eri così credibile.» rise lei. «Ma stai bene, Angelo? Certe volte lo zio Vito esagera.»
Angelo sollevò la testa di scatto. Non sapeva se ridere o piangere.
Mi ammazzano di botte, e tu ridi, puttanella?
Inghiottì le male parole che aveva voglia di sputarle in faccia.
È solo colpa tua se mi trovo in questa situazione.
Angelo si alzò. Doveva tornare al Buco. Doveva vedere Petre... dirgli che non poteva più andare avanti così.
«E' meglio che tu vada, Rosalia.» le disse, senza guardarla.
«Cosa c'è? Sei arrabbiato?»
Lei si aggrappò alla sua camicia.
«Mi dispiace. Mi dispiace, tanto.» singhiozzò mentre lo spingeva verso il basso affinché tornasse a sedersi su quella pietra.
«Non lo capisci, Rosalia?»
Lei sbarrò gli occhi e con uno strattone lo lasciò andare.
«Mi stai lasciando?» ringhiò.
«Rosalia … » alzò la mano, per toccarla, ma lei arretrò.
Orgogliosa come la prima volta che l'aveva vista.
La regina di maggio.
«Sei solo un vigliacco.» sputò. «Bene. Vattene. Lasciami. Torna in quel buco che è casa tua. Torna da dove sei venuto, pezzente. Tu non sei un uomo. Sei un niente. Niente.»

Avrebbe potuto trattenerla.
Cingerla forte, quando lei si era voltata in direzione di Linguaglossa.
Ma che voleva da lui?
Cosa pretendeva?
Doveva farsi ammazzare perché lei gli credesse?
Se fosse morto per lei, Rosalia avrebbe creduto al suo amore?
Ripensò al tempo passato. A tutte le volte che erano stati insieme. Alle volte che avevano litigato, che lei lo aveva accusato. Aveva sempre il dito puntato. Era sempre lì a dargli la colpa su tutto.

Aprì la porta con la rabbia di chi si è visto sprofondare nel fango in compagnia dei vermi.
Petre era seduto in un angolo. La testa china, un braccio appoggiato alla spalliera della sedia.
Nell'aria, il vecchio giradischi diffondeva una musica che sembrava quasi una marcia.
Angelo si tolse la camicia e la gettò in un angolo.
L'acqua nella tinozza era pulita. Afferrò la pezza. Il suo volto era messo meglio di quanto si aspettasse. Tese le labbra, e le sentì di tirare. Un leggero gonfiore. Se ci metteva su qualcosa non gli avrebbero problemi.
Lo zigomo, invece, era bello viola. Lo sfiorò e ritrasse in fretta la mano.
Il resto era messo tutto sommato bene. Qualche livido sulle braccia, e all'altezza delle costole.
«Ascolta.»
Angelo sussultò e si voltò di scatto verso Petre.
L'uomo sembrava non essersi mosso. Era come se Angelo nemmeno esistesse per il vecchio Petre.
Quella cazzo di musica... non potrebbe spegnerlo...
«Ascolta. L'anima del maestro. La senti? Il grande Ludwig.»
Angelo si mise in ascolto, ma non sentiva nulla di diverso da una manciata di suoni, per altro parecchio fastidiosi in quel momento che la testa gli scoppiava.
Era assurdo. Lui era stato massacrato di botte e Petre se ne stava lì ad ascoltare musica classica.
In quel buco del cazzo.
Afferrò la camicia con rabbia e se la infilò. La stoffa aderì contro la pelle umida.
Non voleva stare un secondo di più in quella casa.
Angelo si fermò davanti alla porta.
«Ah, de vânătoare ... de vânătoare...» Angelo si fermò di colpo davanti alla porta e si voltò.
Petre si era alzato. Traballava come se ci fosse il terremoto. Le braccia larghe, il volto paonazzo per il vino e per … chissà che per altro.
Petre piangeva, mentre tendeva le braccia.
Petre piangeva, mentre ascoltava Ludwig.
E Angelo avrebbe voluto essere altrove, persino sotto le scarpe di Michele...


Note dell'Autrice - Santo Cielo, stavo scrivendo, in una battuta di Vito: “Perché l'uomo che può fare a meno di tutte le cose ... non tiene paura di niente.” (cit Gomorra)..

   
 
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