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Autore: Goran Zukic    09/01/2015    0 recensioni
"Più volte abbiamo chinato il capo, accettato la sconfitta, issato bandiera bianca, mentre i nostri nemici diventavano forti e prendevano il potere. Mai come oggi siamo stati così deboli, così umiliati, figli di un paese segnato dalla corruzione, dalla violenza e dalla dittatura. Ebbene sì siamo deboli, ma quando guardo quella bandiera bianca io non vedo un simbolo di resa, io vedo un simbolo di rivalsa. Siamo ancora qua! Siamo parte di questa grande e bella terra ed è nostro compito proteggerla dal nemico, proteggere le persone che amiamo e le generazione future da quello che potrebbe accadere. Ora sventola una bandiera bianca, ma ora io vi dico che ben presto si tingerà di sangue e allora...sarà l'inizio della rivoluzione" disse Nikolai quasi urlando davanti a tutti i superstiti.
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Nella Russia lacerata dalla fame, dall'ingiustizia e da una situazione politica delicata, si rinnova lo scontro secolare tra Assassini e Templari, sullo sfondo della rivoluzione più sanguinosa del XX secolo.
Genere: Azione, Guerra, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altro personaggio, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Voci nella notte

La tormenta infuriava. Il vento batteva violentemente contro i muri in legno e gli spifferi entravano da sotto la porta.
All’interno però si stava bene grazie al camino, che era acceso ed emanava una grande quantità di calore. Nadia era seduta per terra, avvolta nella sua coperta rossa di lana di yak e beveva il thè alle erbe che le aveva preparato suo padre.
Quella sera avevano mangiato come dei re: la carne di cervo era un prelibatezza che solo pochi potevano permettersi.
Si raccontava che lo zar nella sua tenuta estiva avesse un intero parco pieno di cervi, cinghiali e altri animali e che lui personalmente li cacciava e se ne cibava il giorno stesso, con tutta la famiglia.
Lo zar...
Nadia non aveva mai visto lo zar Nicola e di lui sapeva pochissimo, solo qualche parola o frase origliata a Omsk, nelle rare occasioni in cui il padre la portava in città.
Lei si era sempre immaginata lo zar come un re immenso, potente e incredibilmente cavalleresco, la moglie come una stupenda regina, vestita di abiti splendidi e luccicanti, le principesse come delle bellissime ragazze, nobili d’animo e gioiose. Diciamo che l’aveva sempre affascinata la famiglia Romanov, sin da quando era piccola, ma non ebbe mai l’occasione di conoscerla di persona.
Suo padre non parlava mai dello zar, anzi non le parlava affatto di nulla al di fuori della loro casa e dei loro boschi. Certe volte aveva provato a fargli delle domande su Mosca, San Pietroburgo, ma il padre non aveva dato grandi risposte, aveva risposto vago, per poi cambiare argomento. Da un po’ di tempo non aveva più provato a chiedere, amava vedere le cose come le immaginava: cupole d’oro che svettano nel cielo, palazzi sfarzosi dove si organizzano balli tra dame e principi, paesaggi da favola accompagnati da musica di violini e flauti.
Anche in città il padre la portava di rado. Odiava andare in città, ma se volevano sopravvivere doveva andare in città per vendere qualche pelliccia di volpe o donnola e guadagnare qualche soldo per le provviste invernali e i vestiti.
Certe volte lasciava che Nadia venisse con lui, ma di rado, solo quando lei era particolarmente insistente. La prima volta che giunse a Omsk rimase affascinata dalle cupole della cattedrale di San Filippo e dai vestiti sfarzosi delle dame e dei signori che camminavano per le strade.
Lei ,vestita di un vecchio vestito rattoppato e con degli scarponi da montagna in cuoio, non si rispecchiava in quel mondo e questo la metteva un po’ in imbarazzo, ma non c’erano solo ricche dame e sfarzose cattedrali in città.
Ad ogni angolo c’era un mendicante che invocava qualche spicciolo, sporco, magro, nella povertà più assoluta, centinaia di persone che facevano l’elemosina o rubavano.
Lei non sapeva la causa di questa diversità, ma questo incontro l’aveva segnata nella mente e non si era mai dimenticata della miseria che si nascondeva dietro allo sfarzo e al lusso.
“Chi è Lenin papa?” chiese Nadia d’un tratto girandosi verso il padre, che stava bevendo al tavolo un bicchiere della sua vodka preferita, quella che prendeva in città ogni mese.
Lui alzò lo sguardo e spalancò gli occhi, come spaventato da quello che la figlia gli aveva chiesto.
“Come conosci quel nome?” chiese lui.
“In città ho sentito degli uomini parlarne…non ho capito a cosa riferissero, ma elogiavano questo Lenin. Chi è papà?”
Lui si alzò dallo sgabello di legno e le disse: “Quel nome non può entrare in questa casa”
“Come il nome dello zar?” chiese lei.
“Sì, proprio così” rispose lui, facendole intendere che non voleva ne avrebbe voluto parlare di lui in seguito.
Nadia si lasciò andare annoiata a terra, sapeva che suo padre sapeva, ma non sapeva perché non volesse parlarne.
Si sentì all’improvviso un forte colpo di vento e la porta cadde a terra con un tonfo. Entrarono gli spifferi e la neve invase la casa, ricomprendo di bianco l’ingresso.
Sergey, che stava leggendo un libro sdraiato sul letto, corse giù e aiutò il padre a fermare la neve. Nadia, si mise il cappotto di lana sopra il maglione rosso e si accinse ad aiutarli, ma all’improvviso udì una voce.
Non sapeva da dove venisse, ma la percepiva nella sua testa come un suono che si ripeteva nelle sue orecchie. Ebbe una fitta alla testa e chiuse gli occhi. All’improvviso il rumore del vento, della neve, della tormenta si attenuò e sentiva solo quella voce, che non era più un brusio lontano e profondo. “Aiuto! Aiuto!” diceva la voce.
Aprì gli occhi e intorno a lei tutto era sfuocato, non riconosceva bene ciò che le stava intorno, ma d’istinto si mise gli scarponi e corse fuori, nella furia della tormenta.
La neve era alta, ma riusciva a correre, nonostante il vento che le faceva sbattere la frangia di qua e di là. La voce si intensificò di volume, e si fermò nel mezzo della foresta per sentire da che punto proveniva.
Girò su sé stessa e vide poco distante da lei un uomo, quasi coperto dalla neve, immobile. Corse attraverso gli alberi e lo raggiunse.
Era congelato: le labbra erano viola e piene di tagli, le orecchie erano talmente congelate che sanguinavano, i baffi folti e neri erano pieni di ghiaccio e tutte le sue membra tremavano insistentemente.
“Sergey! Papà!” urlò lei, ma ricevette solo la risposta del vento.
Allora cercò di tirare il corpo dell’uomo fuori dalla neve che era debole, ma ancora vivo, ma era troppo pesante per lei.
“Aiuto!” urlò lei di nuovo.
Sentì dei passi nella neve e proprio davanti a lei arrivò Alexandr, con in mano una lampada a olio. Dietro di lui c’era Sergey, che tremava dal freddo.
“C’è un uomo…è vivo…io…non” disse lei con il fiatone.
“Ci pensiamo noi, ora torna a casa” le disse Alexandr prendendo in spalla l’uomo.

Nadia si inginocchiò nella neve, non sapeva come, non sapeva perché, ma qualcosa dentro di lei era successo, qualcosa di nuovo, o almeno così pensava.
   
 
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