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Autore: Ashura_exarch    09/01/2015    3 recensioni
Darwin aveva ragione, solo il più forte sopravvive. E, diciamoci la verità, i pokemon sono molto più forti degli umani, è naturale che alla fine li abbiano soverchiati. Non li hanno assoggettati o cose del genere, ma li hanno proprio portati all'estinzione. O quasi. L'ultimo esponente di questa antica razza sa di avere i giorni contati, ma non ha intenzione di finire dimenticato come milioni di altri individui prima di lui.
Genere: Introspettivo, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Manga
Capitoli:
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Chapter 12: Nails and memories

Dapprima pensò ad un'allucinazione. Era rimasto in quella stanza buia per talmente tanto tempo che non si sarebbe stupito del fatto d'essere impazzito e di vedere cose che non esistono. Fu per questo motivo che inizialmente non fece molto caso a quello che aveva visto. Ma più pensava che il chiodo fosse un'allucinazione, più la sua coscienza diceva che non lo era. Lloyd da parte sua non sapeva proprio a chi credere, se alla sua ragione o alla sua vista.
Inizialmente era orientato verso la ragione, ma continuava a dubitare dei suoi stessi ragionamenti, e continuava a gettare occhiate nervose al piccolo arnese di ferro. E se fosse stato reale? Se non fosse stato solo il frutto della sua immaginazione e della sua pazzia? Se magari fosse veramente quel che sembrava e la mente non gli stesse giocando un brutto scherzo? D'altro canto se ci avesse voluto arrivare si sarebbe dovuto muovere, ed era un bel po' di tempo che non cambiava posizione. Le zampe non rispondevano più ai comandi, ed era un miracolo che riuscisse a muovere ancora la testa e il collo.
Alla fine decise di rischiare. Avrebbe sì speso preziose energie, ma sarebbe stato per una buona causa. Lentamente, faticosamente, cominciò a trascinarsi verso il pezzettino di ferro. Doveva essere veramente uno spettacolo penoso e umiliante, ma oramai aveva cominciato quell'impresa ed era intenzionato a portarla a termine, indipendentemente dal risultato che avrebbe ottenuto. Alcune volte le forze gli vennero meno e fu costretto a fermarsi, e la sua volontà più volte vacillò all'infida idea di fermarsi e tornare a dormire.
Ma, nemmeno Lloyd riuscì mai a capire come, resistette. Resistette alle tentazioni e all'impulso di fermarsi. Resistette al buio che l'avvolgeva, resistette alla voglia di arrendersi. La sua forza di volontà si rivelò abbastanza forte, e in qualche modo riuscì a muovere ancora per un po' le spalle, cercando di trascinarsi fino al muro.
E quando effettivamente arrivò a toccare la parete tirò un sospiro di sollievo e ringraziò Arceus per avergli dato la forza. Mosse il collo e la testa, cercando di individuare la posizione del chiodo. E lo vide, a meno di un metro di stanza, piantato nel muro a circa un metro e venti da terra. Adesso doveva solo toccarlo per vedere se era davvero consistente come la sua vista gli stava facendo credere.
Ed era proprio questa la parte difficile. Non aveva la minima idea di come fare a toccarlo. Prima di tutto era posto troppo in alto per la sua statura. Avrebbe potuto cercare di ergersi sulle zampe per provare a toccare con la testa il chiodo, ma aveva già speso tutte le sue forze nel suo viaggio di poco prima. E non gli venivano in mente altre idee, per cui alla fine giunse alla conclusione che la soluzione migliore era aspettare che gli tornassero. Per cui si mise lì, adagiato al muro, e aspettò.
Presto la realtà cominciò a confondersi con la fantasia, e si ritrovò nel mondo dei sogni. "Eppure non mi sembra di essermi addormentato". Ma in fin dei conti in quelle condizioni poteva fare poco o null'altro. E quindi eccolo lì, sospeso nell'oscurità. Si ricordava di averlo già fatto, quel sogno. E ricordava anche la muraglia nera. Infatti era lì, non molto distante da Lloyd, e pulsava come suo solito. Ovviamente a un ritmo più veloce dell'ultima volta, ma questo il Deino lo sapeva già.
Dapprima non gli sembrò di provare niente, almeno finché non sentì il calore. Ebbe un fremito, ma poi riconobbe che gli piaceva quella sensazione. Si abbandonò allora al piacere, e pensò che in fin dei conti quella cosa non era poi così brutta come l'aveva pensata. Poi però il calore si fece più intenso fino a scottare. E decisamente questo non gli piaceva.
Provò a scuotersi e a muoversi in tutti i modi per scacciare il fastidioso calore, ma non sembrò funzionare. Anzi, si fece anche più intenso, e la percezione del pokemon da fastidio si tramutò in dolore. Si divincolò come un pazzo tentando di far cessare il dolore, ma più opponeva resistenza e più aumentava d'intensità. Fu così che cominciò ad urlare.

 - L... Lloyd... che... cosa urli...?
La voce riscosse dal sono il pokemon Impeto. Strinse più volte gli occhi per riprendersi dall'incubo, poi cercò di muoversi. Ciò gli procurò un po' di dolore dovuto all'indolenzimento e anche allo sfregamento delle corde sulla pelle, ma con soddisfazione realizzò di essersi mosso di qualche centimetro.
Solo allora pensò alla voce. Non era stato di certo lui a parlare, non era la sua. E allora chi...
- Lloyd? Sei... sei tu?
Nellie. Allora era lei ad essersi svegliata. "Forse è un bene" pensò il Deino "Non so se Finley mi avrebbe potuto effettivamente aiutare". Non sapeva perché ma sentiva che il Rufflet non gli sarebbe potuto tornare utile.
- C-c... - provò a farfugliare Lloyd - C'è d... c'è d...
- Lloyd... cosa vuoi dirmi...?
Il pokemon Impeto non riusciva a parlare. Aveva totalmente esaurito le forze, o forse invece era solo l'euforia per aver trovato una possibile via di fuga a farlo balbettare. Decise di rinunciare in ogni caso. Pensando che magari l'amica potesse avere fame mosse ripetutamente la testa verso il vassoio col cibo. La Torchic seguì con lo sguardo i gesti e alla fine comprese, dirigendosi verso le Bacche.
Nellie provò a muoversi, ma realizzò presto la gravità della loro situazione. Si trascinò allora fino al cibo e cercò di afferrarne col becco un po', masticando mentre il succo le colava sulla guancia. "Non è un bello spettacolo" pensò Lloyd, e chiuse gli occhi.
Nellie, vedendo che l'amico aveva chiuso le palpebre, si preoccupò e lo richiamò.
- No! - esclamò a bocca piena - Lloyd, non farlo! Non ti riaddormentare!
Il Deino venne riscosso dai suoi avvertimenti. Non si era nemmeno accorto di aver chiuso gli occhi. Se ne dovevano andare di lì al più presto. Ma prima avrebbe fatto finire di mangiare a Nellie, e solo dopo avrebbe tentato di farle capire le sue intenzioni.
Quando era arrivato al muro aveva pensato a come poter fare per arrivare a toccare il chiodo. Non ci sarebbe arrivato da solo, questo era certo. Vedendo svegliarsi Nellie aveva però avuto l'illuminazione, e forse poteva trovare una soluzione. Adesso che aveva recuperato le forze avrebbe potuto tentare di puntellarsi sulle zampe, e magari prendendo Nellie in groppa lei sarebbe potuta arrivare a toccare il metallo. E, chissà, magari quel chiodo sarebbe stato abbastanza acuminato da lacerare quel materiale che le teneva bloccate le ali.
- Prima stavi urlando.
Le parole di Nellie riscossero Lloyd dai propri pensieri. Non potendo parlare fece un gesto perplesso con la testa. La Torchic, probabilmente intuendo il problema dell'amico, glielo confermò di nuovo.
- Stavi urlando. Forse è stato merito tuo se mi sono svegliata. - . Si gettò un'occhiata intorno, e poi affermò che quel posto non le piaceva per nulla. "Bella scoperta" pensò leggermente infastidito Lloyd "Ah, le donne.".
Quando il Pulcino ebbe finito di mangiare Lloyd cercò di attirare la sua attenzione. Una volta che Nellie lo ebbe adocchiato, Lloyd prese a indicare con la testa sopra di sé, verso il chiodo. Vedendo che la compagna non capiva, il Mezzo Drago cercò di aiutarsi con il labiale.
- S-sopra... sopra d... d... di... sopra di...
- Cosa? Sopra di cosa? - chiese Nellie, leggermente preoccupata.
- Sopra di... me... sopra di me...
- Sopra di te cosa?
- Ch... Chi... chio... sopra di me... chio...
- Sopra di te chio?
- Chiodo... chiodo...! - sibilò il Deino, esasperato.
- Sopra di te chiodo? - e solo allora lei alzò la testa verso la direzione indicata dall'amico. Vide il chiodo e abbassò di nuovo la testa verso Lloyd. Sembrava ancora confusa. Lloyd non sapeva che Magikarp prendere per farglielo capire. Finché gli venne un'idea. Chinò il muso fino alle corde che legavano le zampe anteriori e le morse, facendo come per cercare di lacerarle. Poi indicò con la testa il chiodo. Lo fece ancora per due o tre volte, e finalmente Nellie comprese cosa Lloyd voleva farci con quel chiodo.
- Ho capito! Vuoi usare il chiodo per sciogliere le corde!
Il Deino disse di sì con la testa, gratificato. Ora doveva cercare di farla salire sulla sua groppa.
- S-sal... sali...
- Lloyd, ho capito che non ce la fai a parlare. Forse ho capito come fare per usare il chiodo. Ce la fai a prendermi in groppa?
A sentire queste parole il Deino sbatté la testa contro la parete.

 

***

 

Neville si svegliò dall'ennesimo sonno. Non se ne stupì affatto, anzi, oramai nemmeno gliene importava più. Di lì a poco sarebbe morto, e per quel che riguardava aveva risolto tutti i suoi affari in sospeso, se pur ne aveva mai avuti.
Si portò una mano agli occhi e se li strofinò, cercando di scacciare le ultime tracce di sonno. Si guardò attorno, e capì di essere nel suo studio. Si tirò su e si diresse verso la sua scrivania. Il libro era lì, con la sua lucida copertina nera e le sue scritte dorate e rilucenti. Si sedette, e prese a sfogliarlo.
Le pagine erano ingiallite dal tempo e molto sottili, quasi al punto che vi si poteva vedere attraverso. Le scritte vergate in inchiostro nero risaltavano su quella fragile carta, al punto che ogni volta che Neville vi posava gli occhi quasi vi si perdeva. Sorpassò il nome dell'autore, oramai sbiadito. Le uniche lettere rimaste leggibili erano la "R" iniziale del nome proprio e il "son" del cognome, ovvero la sua parte finale. A Neville in fondo non importava veramente sapere chi l'avesse scritto, gli bastava che lo fosse stato.
L'aveva trovato mentre era ancora intento a peregrinare, molti anni prima. Un giorno era entrato in una grande biblioteca, e aveva portato via con sé qualche libro giusto per passare il tempo. Ma tra tutti quelli che aveva preso era stato quello a colpirlo di più, in particolare la sua parte finale. L'aveva letto e riletto, e più lo rileggeva e più gli piaceva. E più gli piaceva e più ne diventata ossessionato. Ossessionato a tal punto da progettare la propria fine sul modello della morte del protagonista.
Richiuse il libro. Si sentiva ancora troppo frastornato per poter leggere. Due passi all'aria aperta gli avrebbero solo fatto bene.

 

***

 

La cosa che più suscitò orrore e sorpresa nel gruppo fu il momento in cui trovarono la scritta. Era stata fatta sul muro del salotto, in un punto spoglio da oggetti come quadri, mensole o cose del genere. Il materiale con cui era stata vergata sembrava vernice, ed era rosso. Quando ancora non si era asciugata del tutto delle gocce erano colate giù lungo l'intonaco, lasciando striature sanguigne in mezzo a quel giallo smorto, il che contribuiva a rendere la scena più desolante di quanto già non fosse.
Gli umani non sono morti. Il messaggio recitava così. Nessuna possibilità di fraintendimento, il suo significato era stato recepito forte e chiaro da chiunque l'avesse letto. Cioè praticamente tutti. I più colpiti sembravano essere Olston e Sanford, forse perché loro li avevano già visti una volta, gli umani, visto che erano presenti alla Battaglia. Nessun membro della famiglia poteva vantare d'essere anziano quanto loro, e i trentaquattro anni di Darren impallidivano a confronto dei cinquantaquattro di Olston e dei cinquantatre di Sanford.
Per un po' nessuno seppe cosa dire. Olston si era portato l'artiglio destro sugli occhi e aveva stretto i denti. Sanford invece era rimasto fermo ed immobile ad osservare la scritta, gli occhi sgranati e la bocca leggermente aperta per lo stupore. La loro reazione in fin dei conti era comprensibile, sapere che gli umani non erano stati eliminati mezzo secolo prima era una notizia assai sconvolgente, e lo doveva essere soprattutto per i due membri anziani. Era normale che reagissero così.
Cominciarono allora a serpeggiare i primi mormorii.
- Esistono ancora umani?
- Cosa è successo mentre non c'eravamo?
- Che fine hanno fatto quelli che erano qui?
- E adesso, cosa succederà?
Sanford si girò, un'espressione indecifrabile in volto. Si diresse verso la poltrona più vicina, vi si lasciò cadere a sedere, si chinò su sé stesso e portò le zampe in volto, coprendoselo. "Deve essere rimasto davvero traumatizzato" pensò Avery "Perdere una figlia non dev'essere per nulla facile". All'interno della loro famiglia erano pochi i legami di sangue veri e propri, e uno di questi era quello tra Sanford e la figlia Nellie.
Olston invece rimase dov'era. Nessuno osò nemmeno avvicinarglisi, poteva non essere sicuro farlo in momenti come quello. Il Gabite era sempre stato molto più controllato rispetto a Sanford, al quale non importava di nascondere la rabbia, e ben di rado Olston era stato visto perdere il controllo. Ma quelle poche volte era bastato a tutti. Lo testimoniavano le finestre rotte dall'ultima volta, e si era pensato che fosse entrato nello Stato Berserk, anche se fortunatamente si era ripreso alla svelta. Se fosse entrato nel Berserk avrebbe fatto molti più danni.
Dopo quello che parve un tempo infinito, finalmente il Gabite si voltò, uno sguardo pregno di determinazione impresso in volto. "Non l'ha mai avuto prima d'ora" pensò Avery, leggermente turbato. Di solito Olston manteneva sempre un portamento calmo ma allo stesso tempo intimidatorio, senza mai però eccedere in espressioni troppo convinte o movimenti bruschi. Questa faccenda doveva essere più grave di quanto tutti loro potessero lontanamente immaginare.
- Darren, John, Tohr, Mike, Pearl, andate fuori e cominciate a perlustrare la zona. Voglio che ogni fenditura, ogni sentiero, ogni roccia, ogni lago, ogni ruscello, ogni sasso di questa montagna venga controllato bene, e quando avrete finito passate al Benn Englar e all'Amochag. Voglio che siate qui entro domattina. Via, andate.
- Aspetta - ribatté John, uno Snover piuttosto slanciato per la sua specie - Come facciamo a controllare tutto per domattina? Potrebbero essere dovunque, anche non...
- Andate. - sibilò il pokemon Grotta, fulminando, anzi, incenerendo lo Snover con lo sguardo - Subito. E tornate entro domattina. I cinque non poterono far altro che obbedire, e uscirono nel silenzio generale.
- Beth, Cirian, Keith, Ioseph, andate a guardia degli ingressi. Roland e Devlin, sul tetto. Augustine, torna in infermeria e comincia a curare chi ne ha più bisogno. Tutti gli altri, aiutatela. Una volta che ci saremo rimessi andremo alla ricerca di Nellie e degli altri. Gliela faremo pagare eccome a chiunque li abbia presi, sia un umano un pokemon o quel che cazzo Giratina ha deciso di metterci contro. Non permetterò che a nessun membro della mia famiglia venga torto un pelo. - . Detto questo uscì dalla stanza, dirigendosi presumibilmente verso la sua stanza. "Eppure siamo partiti in ventitré e siamo tornati in diciassette, escludendo Sanford. Forse è tardi per reagire." pensò Avery, un tantino amareggiato.
Tutti rimasero immobili per alcuni istanti, finché qualcuno incominciò a rompere le righe. Ogni membro della famiglia si diresse verso dove gli era stato ordinato da Olston. Almeno tutti fuorché Avery. C'era ancora qualcosa che non aveva intenzione di lasciare in sospeso.
Invece che andare verso le scale, le quali gli avrebbero permesso di raggiungere facilmente la soffitta e quindi il tetto, si diresse a grandi falcate verso Sanford, ancora seduto il poltrona. Con una forza che nemmeno il Machop pensava di possedere, sbatté violentemente le mani sui braccioli (il Blaziken non vi aveva appoggiato le braccia), e cacciò fuori un urlo poderoso, con una voce che Avery stesso stentò a riconoscere.
- Ci avete mentito! Ci avete sempre mentito! Avevate detto che gli umani erano morti, che erano stati uccisi tutti nella Battaglia, cinquant'anni fa, e invece ecco qua! Sarebbero morti, eh?! Pretendo una spiegazione! Perché ci avete mentito?! Eh?!? PERCHE'!?!
Per un secondo Sanford rimase in silenzio, chino su se stesso, nascondendosi la faccia con le zampe. Il secondo successivo la scoprì, rivelando un volto contratto, anche troppo. Quello dopo si raddrizzò sulla poltrona, facendo notare la differenza di altezza, pure più del doppio, rispetto ad Avery, guardandolo negli occhi. Quello dopo ancora si lasciò ricadere stancamente sul morbido schienale.
Nella stanza era ancora rimasto qualcuno, e la scena era stata vista da un po' di gente. Dalla fine dello sfogo di Avery c'era stato solo silenzio, che venne infine rotto dalla voce di Sanford.
- Hai ragione, vi abbiamo mentito.
Il tono era molto diverso da quello che il Blaziken possedeva solitamente. Di norma manteneva sempre un comportamento spavaldo, iracondo e superbo, degnandosi ben poche volte di ammettere i propri errori o comunque di darla vinta a chicchessia. Adesso invece il tono era molto più mesto, quasi rassegnato, e nei suoi occhi non era rimasto nulla di quell'espressione fiera che lo caratterizzava. Non c'era preoccupazione, rabbia o paura, solo... tristezza. Avery tutto si sarebbe aspettato, meno che quello.
- Adesso, se magari volete starmi a sentire, vi racconterò tutto. - . Si riaccomodò sulla poltrona, dando il tempo a chi lo voleva di avvicinarsi per sentire la storia.
- Come tutti voi saprete, io ed Olston combattemmo nell'Ultimo Esercito, quasi cinquant'anni fa oramai. Eravamo due giovani spavaldi, io ancora un Combusken e lui un Gible, e ci arruolammo come volontari non appena sapemmo della costituzione dell'armata. Ci unimmo per il gusto del combattimento, per la voglia di avventure e di nuove esperienze, ma anche per il Sacro Obbiettivo: distruggere gli umani.
Io e Olston al tempo abitavamo, o per meglio dire eravamo, nella Repubblica, giù a sud. Più di preciso eravamo a Londra, la grande città umana che era un tempo, adesso capitale repubblicana. Eravamo venuti a sapere di questa guerra, ma inizialmente non ci interessava, almeno finché non sentimmo predicare. Tutta la città si era riempita di religiosi, fanatici predicatori di Arceus e della liberazione dalla schiavitù umana. Anche se va detto che in realtà erano almeno sessant'anni che nessun pokemon era stato più soggetto al volere di un uomo.
L'umanità era una grande razza, questo va detto, ma fu messa in ginocchio da due grandi guerre, svoltesi nell'arco di meno di mezzo secolo. All'inizio dei conflitti erano numerosi, molto numerosi, ma le guerre furono talmente devastanti che le loro fila si assottigliarono drasticamente. E come se non bastasse, una volta finita la seconda guerra cominciarono le Guerre di Liberazione. Dapprima furono in pochi a insorgere, man mano sempre di più. I pokemon cominciarono a prendere il sopravvento, dapprima scacciando gli umani dalle loro case e depredandoli dei loro averi e possedimenti, poi passando direttamente a trucidarli. Così, quelle che dapprima erano cominciate come semplici scorribande, presto si trasformarono in Guerre Sante.
Furono quindici anni di sangue. Umani e pokemon si affrontarono i centinaia, migliaia di scontri, l'uno più sanguinoso dell'altro, e quasi sempre la vittoria arrideva a noi. Ritenendo i loro animali indegni anch'essi vennero trucidati, nonostante molti sapessero che gli umani per crearci si erano ispirati a loro. E così noi avanzavamo, e loro retrocedevano. Sempre di più, sempre di più, finché rimasero in pochi. La maggior parte di loro si raggruppò proprio nelle terre dove ci troviamo noi, forse un po' più a sud di qui, magari dopo il lago di Ness. Questi sopravvissuti fondarono un nuovo stato, e piuttosto che tentare di resistere con le armi cercarono di arrangiare una pace con la nostra specie, che nel frattempo si era impossessata della parte sud dell'isola (perché sì, la nostra è una grande isola).
Per tre o quattro anni la pace sembrò reggere, al punto che l'ultimo stato umano cominciò piano piano a stabilizzarsi. Ma fu allora che cominciarono le prediche e i fanatismi. Certi avevano paura che gli umani, una volta riorganizzatisi, cercassero di riacquistare il dominio su di noi, altri invece vedevano quella nazione come una minaccia da stroncare, e fu così che quei facinorosi trovarono un terreno fertile su cui coltivare.
Io ed Olston avevamo sempre vissuto per strada, e ci unimmo all'Ultimo Esercito per tre motivi: stava arrivando l'inverno e il cibo cominciava a scarseggiare, le motivazioni dette prima e infine perché rimanemmo affascinati dalle parole dei predicatori. Non so perché, ma c'era qualcosa nel loro modo di parlare, nel loro modo di trasmettere le proprie idee... Insomma, alla fine ci arruolammo, e partimmo verso nord.
Nel giro di un mese le poche difese che gli umani erano stati in grado di disporre furono annientate. Gli uomini si ritirarono a nord, sempre più a nord, mentre noi li incalzavamo, non lasciandogli tregua. Ne uccidemmo molti in svariati piccoli scontri, ma era robetta. Di uomini ne restavano ancora qualche migliaio, e scelsero come ultima soluzione quella di barricarsi all'interno della fortezza di Stirling.
Stirling era, ed è tutt'oggi, un vecchio forte umano risalente a molti secoli fa, dalle mura spesse e dalla posizione favorevole. Gli uomini lo scelsero proprio per questo come ultima dimora, e anche perché non avevano altri posti dove andare. Decisi a farli soffrire fino alla fine, assediammo la fortezza al fine di farli morire lentamente per fame.
Ma non avevamo fatto i conti con la loro determinazione. Una notte si levarono canti dal forte, quasi come se stessero festeggiando, e il giorno dopo ci fu tutti che quella chiamano la Battaglia, lo Scontro, l'Ultima Battaglia, lo Scontro Finale e cose del genere.
Ricordo bene quel momento. Io ed altri ci eravamo accampati in prossimità di un bosco, e proprio lì, grazie ad una rete di passaggi segreti, emersero molti uomini dal terreno, assieme a delle strane macchine di metallo. Vi montarono sopra, azionarono i motori e ci caricarono. Ricordo di essere stato travolto e solo dopo di aver iniziato a combattere.
Quel giorno uccisi almeno una mezza dozzina di avversari, ma uno di loro mi restò particolarmente impresso. Era un umano basso, tozzo e vecchio, a giudicare dal suo aspetto. Ci ritrovammo l'uno davanti all'altro a causa della confusione e del movimento continuo della battaglia, e ci preparammo ad ingaggiare battaglia. Vedendo che assumeva la posizione iniziale delle arti marziali lo imitai. Da giovane le praticavo, dopo averle imparate nell'Ultimo Esercito. Me la cavavo anche discretamente, a dirla tutta.
Ma, nonostante fossi bravo, il mio avversario lo era di più. Nonostante fossi più alto, più atletico e più forte di lui, riuscì a farmi mettere sotto. Mi incalzava sempre, non mi dava tempo di riprendere fiato, mi stava col fiato sul collo e non mi permetteva di utilizzare appieno il mio potenziale. Allora ebbi paura, e feci una cosa che il codice d'onore prima e la mia coscienza poi mi hanno sempre rimproverato di aver fatto. Deciso a non farmi sconfiggere da un umano, caricai il pugno di fiamme, così - e eseguì la mossa per dimostrarlo - e, cercando di concentrarvi tutta la potenza che avevo in corpo, lo colpì.
Lo presi alla gamba, che si incenerì all'istante. Non mi dimenticherò mai lo sguardo che fece. Sgranò gli occhi e mi guardò per un tempo che parve infinito. Poi crollò a terra, morto. Lo uccisi slealmente, continuo a ripetermelo tutte le notti. Violai il codice d'onore delle arti marziali, e questo non me lo sono mai perdonato. Lì per lì non ci pensai, ma dopo qualche tempo decisi che non le avrei praticate più. Ne avevo abusato già una volta, e non l'avrei fatto di nuovo.

Nel frattempo che io combattevo, altri umani erano usciti dal forte, tentando di rompere l'assedio. Ma ottennero solo l'effetto di spalancare le porte alla loro rovina. I miei compagni d'arme si riversarono all'interno della fortezza, chi passando attraverso la porta aperta e chi distruggendo sezioni di muro. Fu un massacro. Gli uomini di entrambi i sessi, i loro cuccioli, i loro animali, i loro oggetti, qualunque cosa si trovasse all'interno della fortezza, venne distrutto.
La mattina dopo venne accolta dai gemiti e dalle urla dei feriti, dal crepitio del fuoco e dall'odore du fumo e sangue. Niente né di eroico né di glorioso, checché ne dicano i libri. Avevamo ucciso gli umani, ma ad un prezzo altissimo, per cui per quel momento ci ritirammo.
Visto che né io né Olston eravamo rimasti feriti in modo grave nella battaglia, ci mandarono alla ricerca di cibo all'interno del forte. Non vi dirò cosa vidi lì dentro, vi basti sapere che la pietra che costituiva la struttura della fortezza da marrone era diventata rossa. Vi dirò invece quello che vidi quando mi affacciai alle mura. Tre uomini, a bordo di una di quelle macchine di metallo, che si allontanavano dal luogo della battaglia. Eravamo troppo lontani da loro per poter fare alcunché, e non avevamo per niente voglia di combattere, così non dicemmo niente.
Dissero che dopo la battaglia di Stirling la razza umana si era estinta per sempre, ma io e Olston sapevamo che non era così. Ho sempre convissuto con la consapevolezza che c'erano ancora umani in giro, e ho sempre avuto la paura che un giorno ce l'avrebbero fatta pagare. E credo che quel giorno sia arrivato. Si sono presi la mia bambina, e non si fermeranno qui. - .
Il silenzio, che pure era stato presente sin da quando Sanford aveva cominciato a raccontare, si fece ancora più carico di tensione.
- Adesso, se volete scusarmi, devo andare. Devo parlare con Olston.
Si alzò, e uscì dalla stanza.

Note dell'autore
Buon anno! Buon 2015 (in ritardo ma va bene lo stesso)! Come va? Come state? Io benissimo, e come potete vedere la storia si avvia verso la sua fine. Spero che la storia della fine degli umani vi sia piaciuta, e tengo il pezzo forte ancora in serbo per gli intenditori, aspettate e abiate fiducia.
A_e
  
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