Libri > Hunger Games
Segui la storia  |       
Autore: AlessiaDettaAlex    10/01/2015    5 recensioni
Che i trentaquattresimi Hunger Games abbiano inizio!
Alyss Knight si è offerta volontaria alla mietitura per proteggere Laree Amberdeen, la ragazza che ama. Ma, oltre a sopravvivere all'arena, ha un altro obiettivo importante da adempiere: nascondere alle telecamere di Capitol City la sua relazione omosessuale con la giovane Laree, che potrebbe costare loro la vita a causa delle ferree leggi di Panem a riguardo.
[Capitolo 1]
«No!» grido con rabbia, «non lei!» tremo di terrore e di fatica, quando la raggiungo davanti al palco. «Mi offro volontaria come tributo al suo posto!». Non posso credere di averlo fatto sul serio. Un brivido mi corre lungo la schiena, di paura ed eccitazione insieme, nella consapevolezza che sto per morire. Sto per morire per lei.
---
[Capitolo 4]
"Noi tributi siamo solo questo: gli agnelli più belli, giovani e forti del gregge, strappati dai propri compagni per attendere al sacrificio da tributare a dèi oscuri. E il nostro sangue bagnerà l’altare dei potenti, tra grida di giubilo e l’eco lontana del lamento degli ultimi, che piangeranno per lunghi secoli i loro figli."
Genere: Avventura, Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio, Tributi edizioni passate
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Capitolo 4

Telluria Rikter, la mia stilista, mi squadra coi suoi occhi blu e grandi. Leggo un misto di disprezzo e superiorità nel suo sguardo. Io non smetto di guardarla in faccia, in segno di sfida: già la odio. Sbuffa.
«Quindi… “ragazza fantasma”, “volontaria”, “guerriera”… cosa posso fare con te?» mormora senza voglia.
«Beh, sei tu la stilista, non io» le rispondo acida.
No, decisamente non la sopporto. Lei sbuffa un’altra volta.
«Se non fosse che stimo e rispetto la tua mentore, mi sarei rifiutata categoricamente di fare la stilista del Distretto 6… al diavolo mio fratello e le sue fisse! Se non fosse stato per quello scandalo adesso sarei ancora a creare abiti favolosi per i bei tributi del 4! Povera me…». Ha iniziato parlando a me, ma ha concluso rivolgendosi più a se stessa. Sento che continua a borbottare cose incomprensibili mentre prende le misure della mia vita e scribacchia qualcosa su un foglio.
Cerco di distrarmi e pensare ad altro, perché proprio non mi va di ascoltare parole di disprezzo da qualcuno che mi fa bella per mandarmi a morire. E comunque, la bellezza non è mai stato il mio forte. Tanto per cominciare sono esageratamente alta. Diceva mia madre che questa è una caratteristica ereditata dalla mia famiglia paterna, in cui praticamente tutti, maschi e femmine, sono soliti ritrovarsi a guardare gli altri dall’alto in basso. Questo è un punto forte per gli uomini, ma oggettivamente su una donna non rende altrettanto. Inoltre sono denutrita, il che mi rende più simile a un palo della luce – alto – che ad una ragazza. Poi c’è il fatto che al posto dei capelli ho una specie di nido d’uccello carbonizzato. A volte mi chiedo cos’è che Laree abbia trovato di così meraviglioso in me. Quando mi ha conosciuta in particolar modo ero una specie di brutto anatroccolo, col viso annerito dalla sporcizia, avvolta nella grande felpa del vecchio Sirius, con i soli miei occhi, cristallini, che splendevano mentre mi rivolgevo a lei. Lei che si era messa a piangere alla vista del graffio insanguinato che mi bruciava sulla guancia. Io, sinceramente, non avevo ben capito cosa stesse succedendo: un attimo prima ero di fronte al Pacificatore, con una mano inondata del sangue della mia ferita, l’attimo dopo ero nel mio piccolo vagone, in compagnia di Laree e con Sirius che mi premeva uno straccio umido sulla faccia. Fu dopo le medicazioni che le sorrisi e mi presentai, e lei scoppiò in una risata liberatoria, a metà tra l’incredulo e il divertito:
«Tu sei matta!» disse, e io piegai la bocca in una smorfia che doveva intendersi per sorriso.
«No, io sono Alyss!» ribattei convinta. Per tutta risposta lei rise di più.
«Io mi chiamo Laree, ma… è così normale per te prendersi le frustate al posto degli altri? Potevi farti davvero male!»
«Volevo conoscerti» alzai le spalle io, come se fosse la cosa più naturale del mondo. Lei si asciugò col braccio le ultime lacrime rimaste al bordo degli occhi e il suo viso si illuminò di gioia. Decisi in quel momento che amavo il suo sorriso.
«Certo che hai delle maniere davvero strane per conoscere la gente, Alyss. Nessuno si era mai preso una frustata per venire a parlare con me… ma grazie» l’ultima parola era quasi sussurrata; io arrossii appena – nessuno mi aveva mai ringraziata in vita mia – e a quel punto scese il silenzio tra noi. Una settimana dopo tornò da me con un braccialetto fatto di maglie metalliche – pezzi di lamiera lavorata proveniente dal cantiere, per la precisione – che lei aveva fatto con le sue mani apposta per regalarmelo, come ulteriore segno di riconoscenza. Non era certo un accessorio di moda all’ultimo grido di quelli provenienti da Capitol City, ma aveva lo stesso valore, se non maggiore. Rappresentava l’inizio della nostra amicizia.
Guardo distrattamente il braccialetto che porto anche ora sul polso sinistro, mentre Telluria mi annuncia che il suo progetto è finito e che dopo pranzo avrò il mio vestito per la sfilata. Che il costume sarà pronto in tempo record è quasi un eufemismo. Ci salutiamo velocemente senza guardarci in faccia, e io decido di rifugiarmi in camera fino all’ora di pranzo.
Quando arrivo al salone dove è pronto il nostro pranzo, trovo Layla e Roy già seduti l’uno affianco all’altra a parlottare animatamente. Mi chiedo da dove abbiano preso tutta questa confidenza, considerati i piani della mia mentore per lui.
«Ehi» saluto io, alzando una mano. Noto subito l’assenza dei due stilisti: «Seismòs e Telluria?»
«Oggi mangeranno nelle loro stanze, stanno creando» interviene la voce di Julius alle mie spalle. Ci giriamo tutti a guardarlo e lui, per tutta risposta, arrossisce vistosamente. Assurdo! Eppure dovrebbe essere abituato ad avere gli occhi puntati su di lui, col lavoro che fa. Non l’avevo mai visto imbarazzato prima d’ora.
Roy salta giù dalla sedia e gli va incontro, prendendolo per un braccio: «tutto bene?». L’accompagnatore annuisce e gli scompiglia i capelli.
Ma che diavolo è successo in mia assenza? Sembrano tutti cambiati. Sono forse impazziti?
Mi siedo al tavolo e attendo che gli altri facciano lo stesso. Ho una certa fame. A parte gli arretrati di diciotto anni, è da stamattina presto che non tocco cibo per star dietro a quella rottura di scatole di Telluria. Mi domando come sia andata a Roy, e se almeno Seismòs sia più simpatico. Poi mi viene in mente quello che la mia stilista ha detto a proposito di suo fratello: accennava a delle fisse e a uno scandalo che li ha fatti trasferire dal 4 al 6. Scuoto la testa e scaccio quei pensieri. Non sono la tipa che ama fare gossip, preferisco concentrarmi sul cibo. Quello che fa questa gente non sono affari miei. Io devo solo focalizzare la vittoria e raggiungerla. Sono qui solo per questo: per riuscire a tornare da Laree, indipendentemente da quante gole dovrò tagliare e da quanto tutto ciò provocherà il gaudio di Capitol City.
Layla si accende una sigaretta senza toccare cibo.
«Non hai fame?» le chiede Julius. Lei scuote appena la testa e fa una lunga tirata. Poi dice a me e a Roy:
«Vi voglio carichi per questo pomeriggio. Sarà la vostra prima apparizione ufficiale, gli sponsor saranno tutti lì ad aspettarvi».
Non so perché ma l’idea di una sfilata con tutta Panem che guarda mi mette più agitazione degli stessi Hunger Games. E non è che durante i Giochi ci sia pure molta privacy. Ma forse è perché lì dentro la mia prima preoccupazione sarà la sopravvivenza, e non lo spettacolo di me stessa mentre sono acclamata dalla gente che mi vuole morta. Bene, è ufficiale. Sono in ansia per questa sera.
Mi si chiude lo stomaco dopo il terzo boccone e resto immobile a fissare il piatto, mentre Layla, Julius e Roy fanno discorsi sul nulla, la prima per dare aria alla bocca, il secondo perché è realmente interessato e il terzo probabilmente per pensare a qualcos’altro che non sia l’arena. Ma poi percepisco qualcosa che cattura la mia più completa attenzione. È Julius che sta parlando.
«…e alla fine sono tornato col mio ex… ora stiamo cercando un appartamento a basso costo dove convivere, e alla fine credo mi ritirerò dal business degli Hunger Games». Il SUO ex? Alzo lo sguardo vacuo verso di lui, e contemporaneamente sento su di me gli occhi freddi di Layla che mi intimano di non dire cose compromettenti. Ma non ce n’è bisogno, lo so perfettamente. L’accompagnatore si accorge di come lo sto fissando e anticipa qualsiasi mia parola: «ovviamente prima di ritirarmi farò di tutto per sostenere i miei tributi, non temere cara!» e mi sorride. Rimango interdetta e sto per replicare, ma un colpo di tosse probabilmente proveniente da Layla mi manda il chiaro messaggio di fermarmi qui. Deglutisco con forza e piego gli angoli della bocca in quello che dovrebbe essere un sorriso rassicurante.
«Meno male, avevo proprio paura che te ne andassi!» dico col tono meno credibile che potessi assumere. Lui si poggia la mano sinistra sul petto, aperta proprio sopra il cuore, mentre con l’altra si asciuga gli occhi leggermente inumiditi. Non credo sia molto abituato a dimostrazioni di interesse nei suoi confronti da parte dei suoi tributi. Sempre che il suo piccolo fraintendimento e la mia frase di circostanza possano essere considerati interesse.
Comunque tra la scoperta della sua omosessualità e il divieto di Layla di poter sapere di più – sapere di più su questi maledetti capitolini che possono convivere tranquillamente con i loro amanti dello stesso sesso mentre io e Laree dobbiamo temere la morte – mi sono inacidita non poco. Questo pranzo è stato un boccone amaro da mandar giù. Mi congedo con poca grazia dalla civiltà e mi rinchiudo in camera decisa a non uscirne finché Telluria non mi dice che il costume è pronto.
Non faccio neanche in tempo a toccare il letto col sedere che subito bussano alla mia porta. Non rispondo, convinta al cento per cento che sarà Layla che vuole urlarmi contro per come mi sono comportata o quel rompiscatole di Julius con le sue asfissianti attenzioni.
«È permesso?» e invece è la voce tremante di Roy a raggiungermi da dietro la porta.
Resto in silenzio a riflettere sul da farsi.
Non è che faccia i salti di gioia al pensiero di parlare col bambino che in quel posto disumano chiamato arena poi dovrò uccidere. È anche vero che lui è sicuramente la persona che stimo di più in questo buco. O, perlomeno, quella più innocente. Mi accorgo all’improvviso di invidiarlo. Non ho ancora tagliato la gola a nessuno eppure mi sento più sporca che se avessi già ammazzato con le mie mani più della metà dei tributi. Forse è perché dentro di me l’ho già fatto: ho già squartato uno per uno tutti loro, nella smania di tornare a casa.
Altri tocchi risuonano nella stanza e io mi risveglio dallo stato di trance.
«Vieni pure» dico sbrigativamente.
Una bassa testa castana fa capolino pudicamente da uno spiraglio nella porta, ma poi si blocca. Io, ancora seduta sul letto, mi sporgo di lato per incrociare il suo sguardo e incitarlo a farsi avanti. Una figura tremante entra nella mia camera. Finora non lo avevo mai guardato veramente in faccia, Roy Cutter. O meglio, l’ho sempre guardato, ma mai visto. Persino il suo aspetto esteriore in questo momento mi riesce nuovo: ha dei capelli castano scuro, tagliati cortissimi; i suoi occhi sono due mandorle piuttosto grandi, di un marrone scuro che si avvicina al nero. Il suo viso ha dei lineamenti dolci che lo rendono davvero più indifeso di quel che è lecito per un tributo degli Hunger Games. In generale si vede che è ancora un bambino di corporatura: affianco a me, che sono esageratamente alta, sembriamo madre e figlio.
Lui si siede sul letto alla mia sinistra.
«Ti dispiace per quello che ha detto Julius?» mi chiede bruciapelo.
Non capisco a cosa possa riferirsi di preciso, perché lui non dovrebbe sapere della mia situazione. Lo guardo un po’ confusa, e lui si affretta a spiegare: «la ragazza per cui ti sei offerta volontaria… tu la ami, vero? Lo so perché me l’ha detto Layla».
Mi faccio un appunto mentale di uccidere Layla Fross se torno viva dall’arena. Poi dice a me di non parlarne con nessuno.
Abbasso lo sguardo e annuisco, cercando di mascherare la rabbia che mi assale. È strano: quando sto con Roy non riesco a farmi uscire le parole dalla gola. Mi riesce difficile persino guardarlo in faccia.
«Io lo so che Layla ha scelto te» sussurra improvvisamente Roy, con un singulto. Io mi pietrifico.
«Anche questo te l’ha detto lei?»
«No. L’ho capito da solo»
Alzo le spalle.
«Aiuterà anche te, sicuramente»
«No. Io non ho possibilità di vittoria… ma tu» fa una breve pausa e prova ad incrociare il mio sguardo –inutilmente, perché il mio è piantato a terra – «tu puoi farcela. Ma non ti devi sentire in obbligo di consolarmi, lo so già che morirò» la sua voce è stranamente atona, ma sento che il suo corpicino è scosso da sporadici singhiozzi. Ti prego, non piangere.
«Comunque non fa niente se muoio, anche se ho un po’ di paura. Almeno… almeno potrò raggiungere la mia mamma in cielo». La sua voce arriva quasi impercettibile, tanto che faccio fatica a rendermi conto di ciò che ha detto. Ma quando capisco, non posso fare altro che voltarmi finalmente verso di lui e guardarlo sforzarsi di non far scendere le lacrime dagli occhi gonfi, mordendosi il labbro inferiore coi denti per riuscire a trattenersi. Nonostante tutto la prima lacrima scende lo stesso e sento che comincia a piovere anche sulle mie guance. Non è possibile che io stia piangendo di nuovo… non va bene! Comincio a non ragionare più, tanto che seguo il mio primo istinto e lo abbraccio con forza.
«Anche mia madre non c’è più» bisbiglio tra i suoi capelli. Lo sento annuire contro la mia maglia, e rimaniamo stretti così per lunghi minuti. In qualche modo, ne avevo bisogno. Tutto questo atteggiarsi da dura per prepararmi alle telecamere mi sta facendo desiderare come nient’altro un po’ di affetto. E forse, inconsciamente, un po’ con tutti, lo stavo già mendicando, quest’affetto. Perché la verità è che ho paura, paura come quando mia madre fu condannata, paura per me, paura per Laree, paura per Sirius, paura per Roy, paura che non esista un aldilà in cui le nostre mamme vegliano su di noi. Paura, paura, paura. Mi concedo questo momento di debolezza con il mio compagno di distretto, almeno ora. Così che se morirò anch’io in quell’arena, saprò che c’è stato almeno uno che ha visto la verità di me, con tanto di debolezze, in mezzo a tutta la falsità dei trentaquattresimi Hunger Games. Qualcuno con cui condividere questo dolore.
Noi tributi siamo solo questo: gli agnelli più belli, giovani e forti del gregge, strappati dai propri compagni per attendere al sacrificio da tributare a dèi oscuri. E il nostro sangue bagnerà l’altare dei potenti, tra grida di giubilo e l’eco lontana del lamento degli ultimi, che piangeranno per lunghi secoli i loro figli. Che mondo è quello in cui viviamo? Perché siamo costretti a vivere così? Me lo dice sempre, il vecchio Sirius, che mi faccio troppe domande. Mi dava anche della sognatrice, della visionaria, quando passavo intere giornate a seguire con gli occhi i treni che se ne andavano silenziosi così come erano arrivati. Immaginavo che forse avrebbero raggiunto terre lontane e portato con sé storie di gente libera. Libera e felice. Un posto distante da questo inferno, dove Roy e la sua mamma avrebbero potuto stare insieme per sempre. Un mondo in cui io e Laree potevamo vivere così, libere e felici.
La realtà ci richiama subito all’attenzione, perché i nostri stilisti irrompono nella mia camera con fare scocciato. Io e Roy ci separiamo, lui comincia a guardare imbarazzato il pavimento torturandosi le unghie, mentre io mi asciugo velocemente il viso arrossato con la manica della maglia. Telluria alza gli occhi al cielo, sbuffando.
«Questi tributi, sempre con le solite sceneggiate…»
Non sono sicura di aver capito bene quello che ha detto, perché è stato poco più che un brontolio. Ma quello che credo di aver sentito basta e avanza per dimenticare il dolore di poco fa e farmi salire la furia che dalla mietitura mi caratterizza così tanto. Eppure giurerei che prima di venire qui a Capitol City io non ero così irascibile: sembro un cane rabbioso.
«Roy, piccolo, vieni in camera che proviamo il tuo abito! Tra due ore inizia la sfilata!»
L’interpellato annuisce, salta giù dal letto e corre a seguire il suo preparatore.
È la prima volta che sento parlare Seismòs. Ha una voce più profonda di come la immaginavo. E anche modi decisamente più gentili di quelli di sua sorella. Lo guardo un attimo prima che sparisca nel corridoio con Roy e registro la sua figura: è un uomo grande e grosso, vestito di un elegante e pomposo smoking verde brillante decorato a strisce orizzontali giallo limone, della stessa tonalità dei suoi capelli – non biondi, ma proprio un’innaturale giallo limone – pettinati in una cresta alta e verdognola. Gli occhi, completamente neri, sono contornati da un trucco pesante dalla sfumature giallo-arancio che li risaltano ancora di più. Dal collo vedo spuntare un tatuaggio vagamente fucsia, che sembra sfumare leggermente verso il blu nella parte nascosta. Sua sorella, che ancora mi guarda in cagnesco, è ancora più ridicola: il suo look si basa tutto sul blu. Blu sono i suoi occhi, blu i capelli cotonati e corti – a pois luccicanti che fanno somigliare la sua testa a una palla stroboscopica, di quelle che da piccola vedevo in tv quando trasmettevano in diretta le feste a Capitol –, blu il trucco a motivi di farfalle in faccia e blu il vestito a palloncino – veramente sobrio, per appartenere a una capitolina. Ho comunque notato con piacere che entrambi i nostri stilisti hanno detto no a quel sacrilegio che è la moda di dipingersi tutto il corpo di bizzarre tinte, uniformi o meno.
«Hai intenzione di rimanere lì a fissarmi per molto tempo ancora?» chiede lei retorica.
«Ci sono, ci sono…» mugolo io.
Lei si sistema i capelli con superiorità e poi apre la valigetta che si è portata dietro. Mi mostra il costume, ma non riesco a capire come sia fatto: sembra un cumulo deforme di… pezzi di metallo tintinnante. Che schifo, altro che fare bella figura per gli sponsor!
«Cos’è quella faccia scettica?»
«La vera domanda è: cos’è quel coso
«Ciò che ti renderà un po’ meno insopportabile al pubblico, tesoro» sibila lei lanciandomi contro il suo costume. Che è un po’ come se mi avessero tirato addosso un armatura da battaglia. Mi massaggio il naso il naso dolorante per lo scontro col duro metallo dell’indumento, mentre borbotto improperi contro quella megera.
«Infilatela velocemente. Poi qui ho anche la parte di sotto»
Parte di sotto? Credevo fosse un vestito unico. Eseguo celermente l’ordine, ho intenzione di porre fine a questa sceneggiata il prima possibile. Telluria mi impedisce di guardarmi allo specchio finché non sono completamente vestita – con tanto di pantaloni e stivali fatti dello stesso materiale di quella che ho scoperto essere una specie di felpa metallica. Ma anche arrivata a questo punto scopro che mi tocca passare prima per la fase trucco: dopo un’ora abbondante, insomma, mi è finalmente concesso di guardare l’effetto finale. Mi avvicino al grande specchio ovale che prende buona parte di una parete della mia stanza con molta cautela. Ho veramente paura di quello che vedrò. Telluria nel frattempo ha la gentilezza di darmi una spintarella per accelerare i tempi. Guardo nello specchio e rimango senza parole: sono una vera guerriera. Il costume, che prima sembrava senza senso, indossato rivela tutti i suoi punti forti. Tanto per cominciare, per essere un abito tutto di metallo non è per nulla del tipo che siamo abituati a vedere noi nel Distretto 6. È un metallo rifinito in modo particolare, mi spiega Telluria, flessibile e leggerissimo, tanto da sembrare un tessuto qualunque. Tre grosse lamine metalliche saldate insieme mi ricoprono rispettivamente la parte destra del torace, la sinistra, e l’addome. Dal collo si alza la parte inferiore di quello che sembra un elmetto rigido, che si completa tirando il cappuccio sulla testa: in questo modo l’elmo mi arriva proprio sopra fronte. Delle spalline rigide a più strati mi proteggono scapole e clavicole, mentre lunghe maniche argentee scendono fino ad intrecciarsi attorno alle mie dita strette a pugno. I pantaloni sono fatti più o meno allo stesso modo, e gli stivali di ferro dorato, a dispetto di come appaiono, sono molto comodi. La cosa che mi sorprende di più è la decorazione stampata su questa divisa: è fregiata delle lunghe strisce rosse parallele che si vedono sulle fiancate dei vagoni predisposti al trasporto di personalità importanti: queste partono dal petto e si incontrano sulla schiena, intrecciandosi. Il cappuccio ha sui lati due trapezi rossastri, staccati rispetto al resto del tessuto metallico: sono i lunghi finestrini della locomotiva di un treno ad alta velocità.
Mi hanno praticamente trasformata in un treno. Un mezzo pesante, ma anche rapido e affascinante. Sono proprio io, sono la ragazza dei treni.
Il trucco è leggero e prevede una patina bianca che mi schiarisce il viso e fa risaltare di più i miei occhi blu, lucenti come due fari che corrono veloci tra i binari. Ma a risaltare più di tutto è la mia cicatrice: l’hanno ripassata di rosso e dai suoi contorni sgorgano volute di finto sangue che mi macchiano il viso.
Alla fine, non mi aspettavo tutto questo. Mi giro verso Telluria a bocca semiaperta, mentre lei mi guarda con un misto di noia e soddisfazione sul volto.
«Grazie» riesco a mormorare alla fine io, prima di incrociare quello che sembra essere il suo primo sorriso per me.
La sfilata inizia e io mi sento di vivere in un mondo parallelo, fatto di nebbia e confusione. Sono così agitata che a malapena mi accorgo dei consigli di Layla e di come è vestito Roy – che sembra molto simile a come lo sono io. In mezzo a questo mare confuso mi rendo conto dell’immensa folla di persone che grida a destra e a sinistra: un agglomerato di puntini colorati e deliranti che peggiora il mio senso di vertigini e la voglia di scappare da quel carro trainato da cavalli grigi. Vorrei fermare tutto e chiedere a tutta questa gente che cosa ci sta facendo qui, che cosa ci faccio io qui, e mi viene da vomitare. Una gomitata di Roy mi riporta alla realtà e la sua vocina flebile mi dice: «Sta su!» e io mi rialzo immediatamente. Giusto, io ho una missione da compiere. Laree torna ad occupare la mia mente e, forte del fatto che lei sta guardando, mi tiro su il cappuccio mostrando l’opera di Telluria completa, sollevo il mento e metto in scena il sorriso più strafottente che ho nel mio repertorio. Il pubblico mi acclama. Guardami, Laree, ho già addosso la mia armatura: la battaglia sta per cominciare e io vincerò. Per te. Quando arriviamo di fronte al presidente Snow per ad ascoltare il suo discorso, tiro comunque un sospiro di sollievo: la parte difficile è passata. Ciò non toglie che io non capisca una parola di quello che Snow dice, perché troppo concentrata a spiare gli altri tributi: riconosco immediatamente Axel, il ragazzino volontario dell’1, e il tipo del 2, quello con gli occhi verdi e i capelli tinti di rosso, che lo fa somigliare a una fenice.
Anche il percorso inverso passa nella lotta più accesa tra il volto di Laree che mi incoraggia a mettercela tutta e le mie vertigini imperanti. Quando finalmente riesco a mettere i piedi a terra, lontana il giusto dalle telecamere, perdo completamente l’uso della parola. Le esclamazioni gioiose di Layla, Seismòs e Telluria mi scivolano addosso quanto i loro consigli prima di partire, e non sono in grado di sostenere una conversazione fino a tarda sera, quando finalmente si chiude il sipario su questa lunga giornata.
Ora posso finalmente fermare i pensieri.


Note Di Me.
Questo capitolo è infinito, come cavolo ho fatto a pubblicarlo per intero? Il problema di base è che non riuscivo a trovare un punto sensato dove dividerlo. Devo comunque dire di essere molto soddisfatta di ciò che è venuto fuori: in questo capitolo vengono fuori aspetti prima nascosti di molti personaggi, e anche Alyss alla fine giunge alla consapevolezza che nessuno di quelli che ha davanti può essere semplicemente ridotto a quello che mostra esteriormente.

Poi mi è mancata Layla. Non l'ho molto considerata in questo capitolo perché di lei si parlerà meglio più avanti, ma mi è sinceramente mancata.
Ah, tanto per dire, gli stilisti sono ispirati ai terremoti. Proprio nel senso che i loro nomi - l'avrete capito - vengono fuori da parole che rimandano al campo semantico dei terremoti: "Telluria" da "tellus", che è la terra in latino, da cui deriva l'aggettivo "tellurico". "Seismòs" dalla parola greca che significa "movimento" (mi pare) e da cui deriva invece l'aggettivo "sismico". Poi chiaramente il cognome Rikter è la pronuncia del nome tedesco di Richter, da cui la "scala Richter", che individua la magnitudo dei terremoti, prende il nome. Abbiate pietà, questi nomi li ho inventati dopo aver sentito un terremoto 4.1.
Beh, ora mi placo e lascio la parola
ai vostri commenti sempre fin troppo gentili, davvero.
Un abbraccio,
Alex
   
 
Leggi le 5 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Hunger Games / Vai alla pagina dell'autore: AlessiaDettaAlex