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Autore: PeNnImaN_Mercury92    10/01/2015    1 recensioni
Fu solo quando John e io ci trasferimmo a Londra, nel 1970, che lui entrò a far parte della band che gli avrebbe cambiato la sua vita e in qualche modo stravolse anche me, perché mi fece innamorare di una persona che non avrei mai concepito essere il mio tipo di ragazzo ideale.
E' infatti una storia d'amore che non mi sarei mai aspettata, e ora che lo racconto a te posso dimostrartelo...
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Brian May, Freddie Mercury, John Deacon, Nuovo personaggio, Roger Taylor
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Quel giorno la fermata di South Kensington era molto affollata, soprattutto dopo l'una di pomeriggio lo era sempre, ma inevitabilmente riuscii a scorgerla tra la gente correre peggio di un'auto da Formula Uno.
Durante le lezioni, io e Veronica non spiaccicammo una parola, ma ora doveva cantare, oh, eccome, proprio come un uccellino.
Non riuscivo ancora a credere da dove tirasse fuori quella velocità nel camminare, fatto sta che riuscii ad acchiapparle il polso mentre saliva sul treno della metropolitana.
—Io e te dobbiamo parlare.—dissi secca io, appena il treno cominciò la sua corsa.
Mi guardò confusa.—Oggi non te l'ho proprio chiesto, come ti senti?
—Bene ma questo non importa, è da tanto che non ci vediamo. Come va con Deacy?
Trovammo due posti liberi sul treno e ci sedemmo.—Altrettanto una meraviglia. Perché?
—Veronica, è inutile nascondermi le cose. So tutto.
Fece una faccia contrariata e parecchio irritata.—Di che parli?
Ridacchiai.—Ti dirò, non avrei mai immaginato lo avreste fatto dopo due giorni che vi foste messi insieme.
—Rose, di che cazzo stai parlando?
—Mh, indovina un po'?
—Te l'ha detto lui?—urlò, arrabbiata.
—No, Ver, non dare la colpa a lui, gliel'ho letto subito in faccia.—per qualche secondo si calmò.—E poi è mio fratello, non dirò a nessuno che ha fatto una cosa del genere, non lo sa nemmeno Roger.
—Io non riesco a comprendere cosa ci sia di male.—mise una mano sulla testa.
—E' proprio questo il punto, non c'è nulla di male, perfino a lui è piaciuto.—rimasi per un secondo zitta.—Sai, è strano parlare di lui in questo modo.—ridacchiai di nuovo.
—Tu dici che gli è…piaciuto?—chiese, esitante.
—Ma certo, lui è stracotto di te e non sono di certo io quella che te lo deve dire. Credimi, Veronica, non c'è nulla di cui allarmarsi.
Si fermò per un po' a fissarmi, poi sorrise.—Se lo dici tu, io ci credo.
Continuammo la nostra corsa verso Earls Court in silenzio.
—E tu, invece? Non dirmi che con Roger non hai fatto niente.
—Ormai questo è diventato un argomento da salotto.—ridemmo.—No, o almeno non proprio.—continuai io, ripensando al giorno prima.
—In che senso "non proprio"? L'avete fatto, sì o no?
Mi grattai la fronte, intimidita.—Eravamo sul punto di farlo ieri sera, poi quel coglione del tuo fidanzato ci ha interrotti.
—Oh mio Dio, quindi stavate per farlo?—lanciò un gridolino stridulo.—Sapevo che anche voi, prima o poi vi sareste decisi.
—Veronica, santo Cielo, calmati. Non l'abbiamo fatto per davvero.
Continuò a battere sulle gambe le mani eccitata, poi di colpo si bloccò.—Aspetta un secondo, ieri tu non stavi male? Era tutto finto, allora.
—No, ieri veramente non stavo bene, ma durante il pomeriggio è successo tutto all'improvviso, quando è venuto a trovarmi e il mal di testa che avevo era andato completamente a farsi fottere.
—Che storia da romanzo.—commentò lei.
—Parli proprio tu che dopo due giorni scopate?—mi diede una pacca sulla mia gamba.
—Modera i termini, ragazzina.—disse, ridendo.
—Stasera devo cenare da Liam.
Sospirò.—Dio, ancora quello della biblioteca?
—Anche tu? Ho già Rog che è matto per la gelosia. Cosa c'è di male, me lo spiegate?
—Rose, non credevo l'avrei mai detto ma sono d'accordo con quel biondo. Insomma, dovresti passare più tempo con lui che con questo Liam, mi spieghi cosa ci trovi in lui?
—Veramente ho anche chiesto a Roger di accompagnarmi e venire a prendere. E poi è solo un amico con cui condivido l'amore per la lettura, cosa c'è di sbagliato?
—Non lo so. Ma con quelle poche volte che l'ho incrociato con te ho capito che è un po' strano. Stai attenta. Te lo dico da amica.
Sbuffai.—E va bene, amica.

—Arrivederci e grazie per averci scelto.—dissi alla cliente che stavo servendo, non dandomi nemmeno il tempo di porgli il sacchetto che era già sgattaiolata fuori.
Veronica venne verso di me con un paio di scarpe con i tacchi gialle nelle mani e me le sventolò davanti.—Perché ora anche le scarpe?—chiese, lamentosa.
Gliele presi da mano.—Lasciale qui, zuccherino, se proprio ti infastidiscono le prendo io.—ironizzai.
Sbuffò e continuò a risistemare il negozio.
Ci avvicinavamo pian piano alla fine della giornata lavorativa.
Mentre finivo di servire un altro pagante, una ragazza bionda poggiò il braccio sul bancone.
—Beh, Freddie ha ragione, lavorate piuttosto bene.—disse Mary, non appena la cliente prima di lei se ne fu andata.
—Ehi! Che ci fai qui?—chiesi, entusiasta.
—Sono venuta a trovarvi. I ragazzi mi hanno detto che lavorate qui.—si guardò nuovamente intorno.—Perbacco, questo posto non è niente male. Meglio della bettola dove lavoro io.
Avevo visitato il negozio di Mary quando l'andammo a prendere io, Rog e Freddie e in fin dei conti non era meglio del nostro.
—Non dire scempiaggini.—disse Veronica, mettendosi le mani in testa per la stanchezza.
—Ver, sembri che hai appena scalato il K2.—disse Mary, poggiandole una mano sulla spalla.
—Ah, non me lo dire.—rispose l'altra.
—A che ora finite di lavorare?—aggiunse la bionda.
Guardai l'orologio.—Tra dieci minuti.—osservai.
—Vi va se dopo andiamo a mangiarci qualcosa insieme?—propose Mary.
—Ehm, io devo uscire con John, facciamo un'altra volta?—disse preoccupata Veronica.
—Non è detto che non possa fare io compagnia a Mary. Io ci sto.
Quest'ultima mi sorrise.—Bene, qui di fronte ho appena visto che c'è una pasticceria che fanno delle crostate che sono una delizia.
—Siamo a posto, allora. Il tempo di chiudere qui tutto. Ah, mi raccomando, Ver, questa sera lasciami tornare a casa John.—lei mi guardò in cagnesco, probabilmente per la presenza di Mary.
Misi la mano davanti la bocca, poi mi schiarii la voce.—Nel senso che non deve tornare tardi, siamo intesi, Veronica?
Troppo tardi. Con la coda dell'occhio vidi Mary sorridere più del dovuto.
—Se voi volete cominciare ad avviarvi fate pure, John veniva a prendermi di fronte casa mia, che è vicina.
Annuii.—Perfetto, andiamo, Mary. Ciao, Ver.—andai da lei e le lasciai un bacio sulla guancia.
—Non fare cazzate, Rose.—mi sussurrò nell'orecchio.
—Oh, dovrei dirlo io a te, mia cara.
Prima che potesse controbattere, io e Mary l'avevamo già lasciata.
La pasticceria era esattamente di fronte, dovemmo infatti solo attraversare la strada.
Ci sedemmo ad un tavolo e ordinammo entrambe una crostata alle fragole, non sapendo cosa scegliere tra i vari dolci elaborati.
—E' bello qui. Te l'ha consigliata qualcuno, dimmi la verità.
—Ti giuro, l'ho scoperta per puro caso.
Scrollai le spalle.
—Allora, come va?—chiese poi.—Ci vediamo sempre meno spesso io e te, ed è un po' brutto questo, non trovi?
—Oh, se vuoi puoi anche venire a vivere da me. Veronica sarebbe sicuramente contenta di accogliere John da lei.—ridemmo.
—Comunque è inutile che lo nascondiate, si capisce che quei due hanno passato la notte insieme, lo sanno tutti.
Spalancai la bocca.—Come lo sanno tutti?
—Si nota, e poi Freddie non ha contenuto la sua soddisfazione.
Guardai il soffitto.—Sapevo era stato lui.
—Mi ha raccontato com'è andata. Tu eri sotto shock.—ridacchiò.
—Beh, sai, è mio fratello.—mi giustificai.—Mary, ascolta, sarò anche molto sfacciata a chiederti una cosa del genere, ma devo togliermi la curiosità, cosa pensi di Freddie?
Mi guardò un po' confusa per quella domanda.—Mi hai chiesto se mi piace?—disse, senza pretese.
Scossi subito la testa.—No, è solo che avete un bel legame, e mi chiedevo se lo consideri veramente un ottimo amico.
Sorrise.—Oh, quello sì. È spassoso, divertente e socievole. Credimi, poche persone al mondo sono come lui.
Guardai nel piattino davanti a me, soddisfatta.—Ma se si dovrebbe creare qualcosa di più di un'amicizia, cosa faresti?
Mi guardò completamente scandalizzata.—Dai, Mary, siamo amiche, non sono mica Freddie o Roger che vado a spiattellare tutto a tutti.
Cominciò a giocherellare con la forchetta.—Io, non so come dirtelo, Rose, mi sembri abbastanza affidabile, ma non vorrei crearmi troppe aspettative, ma mi piace proprio come persona, non so se sono spiegabile. Questi sono i sentimenti dell'amore? Io in fondo lo stimo e il più delle volte quando sto con lui mi sento una meraviglia, ma non so nemmeno io quel che provo per lui.
Perché mi trovavo sempre in questi tipo di situazioni?
Altro che odontoiatra, sarei dovuta diventare una consulente amorosa.
—Mary, io ti consiglio solo di seguire il tuo cuore. Se ti piace davvero, io non aspetterei a dichiararmi, vi conoscete, anche se da poco, molto bene. Non hai nulla da perdere.
Sospirò.—E va bene, farò come dici, glielo chiederò stasera, ma non ti prometto nulla, ragazza-sentimentale.—ridemmo sguagliatamente e finimmo la crostata.

Mi misi a camminare per il corridoio per testare le scarpe alte nere che avevo deciso di mettere, non essendo abituata.
Ma, alla fine, sotto un paio di jeans scuri e una camicia bianca, non davano molto fastidio.
John era già uscito per andare da Veronica, quindi mi trovavo sola in casa.
Mi feci un veloce chignon ai capelli prima che qualcuno bussasse alla porta.
E andai subito ad aprire.
—Ah, eccoti, Roger. Vieni, entra, mi servono altri cinque minuti.
Il biondo provò a fiatare, ma io lo tirai dentro prima che dicesse qualcosa.
—Siediti in salotto, io devo andare a truccarmi un po'.—aggiunsi.
Lui non ubbidì, anzi, mi seguì nella mia stanza, sedendosi sul letto mentre io, sulla sedia della scrivania mi riflettevo in uno specchietto.
—Questa cosa ti sta mettendo pressione, non è così?—chiese, mentre io ero intenta a passarmi la matita sotto entrambi gli occhi.
—Perché me lo hai chiesto?
—Non lo so, si nota un po'.
—Sono normale, non ti sembra?
—No, mia cara. Sembri parecchio agitata.
Non lo ascoltai.
Ma dopo aver messo un po' di rossetto rosa chiaro sulle labbra e della cipria, dissi:—Indovina un po'? per questa sera guiderai tu. Probabilmente al ritorno sarò troppo stanca.
Allargò le labbra.—Davvero? Me lo permetteresti davvero?
Annuii.—Hai la patente con te?
Il suo sorrise pian piano si spense.
Lo guardai scocciata.—Guida piano, per lo meno. Su, andiamo.
Misi una giacca nera e uscimmo da casa.
Prima di aprire gli sportelli dell'auto, gli mostrai le chiavi, sventolandole sotto gli occhi.—Non provare a fare brutti scherzi, Taylor.
E con un sorriso da gattamorta, mi prese le chiavi a una delle cose più preziose che io e John custodivamo gelosamente e mi lasciò un bacio sulle labbra.—E tu promettimi che non farai stronzate, Deacon.
Scrollai le spalle.—Questo si vedrà.
Salimmo in macchina e partimmo, mentre io gli mostravo la strada.

Dopo venti minuti buoni di viaggio, arrivammo.
Fortunatamente ero ancora integra. Roger aveva avuto il buon senso di non correre come un pazzo.
Si accostò per farmi scendere.
—Se vuoi, puoi anche farti un giro, ma non andare in un locale, ci siamo intesi?—lo misi in guardia.
—Che palle. Non mi ubriaco, non preoccuparti. A che ora ripasso?
—Tra un paio d'ore. Ciao.
Ci demmo un bacio, lo lasciai a malavoglia e uscii dall'auto.
Guardai il portone di quel palazzo.
Tutto mi preoccupava un po', ma dovevo stare tranquilla, senza farmi influenzare dagli altri.
Bussai al citofono di Liam e, dopo avermi detto il piano, mi entrare.
Arrivai davanti alla sua porta che non tardò ad aprire.
—Rose! Giusto in orario. Vieni, accomodati.
Mi allargò il varco che portava dentro.—Ciao, Liam.—dissi.
Mi diede un bacio sulla guancia, tenendomi con un braccio.
—Stasera ho voluto cucinare io.—disse, dopo che ci fummo separati.
—Ah, bene. Anche se mi avessi chiesto una mano non mi sarei offesa.
—No, è che volevo farti una sorpresa. Vieni, andiamo in cucina.  
 Mi prese per mano, cosa che mi rese un po' imbarazzata, e dall'open space che c'era non appena entrati dalla porta principale, mi condusse in un'altra camera quasi grande quanto quella.
—Caspita, questa cucina è il doppio della mia!—esclamai.
—Beh, ecco. Amo le stanze grandi.
Un forte odore di verdure, probabilmente al vapore, filtrava nel naso.
—Verdure bollite? Oh, le adoro!
Aprii la pentola per controllare e non rimasi delusa.
—Se sei pronta, comincio a fare i piatti.—mi sfilò la giacca e con la coda dell'occhio lo vidi adagiarla sul divano della camera precedente.
Dopo che lo ebbi aiutato, ci sedemmo e cominciammo a mangiare.
—Wow, Liam. Non è proprio vero che sei mediocre nel cucinare.—mi complimentai.
—Grazie, ma mai ai tuoi livelli.
—Perché mi prendete tutti per cuoca? Io sono dentista.
—Tecnicamente non lo sei ancora.
—Sì, ma aspetta un po', tesoro.—scherzai.
Il resto della cena fu abbastanza tranquillo.
Non parlammo di niente, se non di libri.
—Aspetta un secondo, quindi "Romeo e Giulietta", libro che ho sempre considerato la cosa più sdolcinata che esista al mondo, non è così male?—dissi, agitando la forchetta.
—Proprio così. Faccelo un pensierino, sotto non è male.
—Ci penserò.
—Abbiamo finito, ti aiuto a sparecchiare.—dissi, quando mi accorsi che entrambi i piatti erano vuoti.
—No, lascia qui.—si intromise, avvicinandosi a me.
—Ma dai, sono due insulsi piatti.—scossi i piatti, prima di capire che io e Liam avevamo le punte dei nasi molto vicini, nonostante lui fosse leggermente più alto di me.
Mi girai, un po' paonazza, e posai i piatti sul lavabo.
Mi accarezzai il braccio, guardando verso il basso, prima di andarmene in salotto, sempre più bollita in faccia delle verdure che stavo digerendo.
Mi avventurai nell'open space, cercando di distrarmi.
Rimasi delusa quando non vidi neanche un libro sulla piccola libreria che aveva.
—Un momento, hai tutto nella biblioteca?—gli dissi, mentre lui era appoggiato al muro.
Mi sorrise.—No, come potrei? Vieni, ti faccio vedere un'altra cosa.—mi fece segno di raggiungerlo e mi condusse ad una camera accanto alla cucina.
Per poco urlai, quando l'aprì.
Una piccola stanza colma di libri mi si presentò agli occhi.
Tutte e quattro le pareti erano incorniciate da scaffali in legno e sopra vi erano una moltitudine di libri, mentre al centro della stanza due poltroncine rosse bordeaux completavano lo scenario.
—Caspita, Liam. Ma è stupenda!
Si avvicinò ad uno degli scaffali e, dopo aver consultato qualche dorso, tirò fuori un libro che poi diede a me.
—Eccolo, nel caso ti servisse.—disse.
—Oh, allora non ho il tempo di pensarci.—risposi, non appena lessi "Romeo e Giulietta" sulla copertina.
Quando però rialzai gli occhi verso di lui, notai che lentamente stava avvicinando la bocca alla mia.
Non ci pensai subito, credendo fosse uno scherzo, ma poco dopo lo fermai mettendogli una mano – l'altra era impegnata a mantenere il libro – sul petto.
—No, Liam.—alzai la voce.
Mi guardò a dir poco stupito.—Come? Pensavo che io e te…
—No, Liam,—dissi subito io.—tu hai frainteso tutto. Noi due rimarremo amici, non voglio ci sia nessuna storia d'amore che possa rovinare tutto.
Socchiuse gli occhi, imprecando la porta.
—E' colpa di Roger, non è così?
In quel momento, chi aveva la mente completamente offuscata sono io.
—Cosa c'èntra Roger?
—Passi sempre del tempo con lui.
In quel momento mancava solo gli dicessi che io e lui eravamo fidanzati.—Liam, siamo compagni di corso, non abbiamo nessun'altro rapporto se non amichevole.
Sospirò.—Scusami, Rose. Non so cosa mi sia successo.
—No, Liam, non preoccuparti.—oh, no, invece in quel momento ero arrabbiata con lui.
—Andiamo in salotto, volevo farti assaggiare lo champagne che ho comprato stamattina.
Ritornammo nel salotto.
—Siediti sul divano, io vado ad aprire la bottiglia.
Mi accompagnò al divanetto beige e si dileguò in cucina di nuovo.
—Quindi posso portare questo libro a casa?—gli urlai.
—Oh, certo che puoi, amore.
Amore? No, ero troppo stanca per reagire. La giornata era già stata pesante di suo.
Ma perché mi aveva chiamato in quel modo?
Ora, probabilmente era proprio per la stanchezza, ma io non sentii nessun tappo stapparsi, cosa strana, visto che gli champagne producono un rumore abbastanza sonoro.
Ma non ci feci altro caso, visto che subito dopo, Liam arrivò con due bicchieri contenenti un liquido d'orato frizzantino.
Me ne porse uno e alzò il suo.
—A cosa brindiamo?—chiesi.
—A noi.—rispose.
Risi.—Va bene.—alzai anche io il bicchiere.
—E a nessun altro.—aggiunse poi, freddo, prima di cominciare a sorseggiare.
Il mio sorriso si spense, prima che anche io avessi avvicinato le labbra davanti l'alcolico.
Quando ebbi scolato il bicchiere, notai che quello champagne aveva un sapore non comune.
Poteva essere perché io non ero solita bere.
Ma poco dopo dovetti risedermi, ancora più sfinita di prima.
—Cosa c'è? Sei stanca?—disse lui.
Annuii.
—Vuoi stenderti un po' sul letto?
A quella proposta, finalmente il mio carattere un po' sgarbato si fece sentire.
—No, è proprio ora che vada.
Presi la giacca e me la misi, tastando di tanto in tanto le tempie.
—Sei sicura? Tanto ti sveglio domani matti…
—No, Liam, domani devo svegliarmi presto e non voglio irruzioni. Ci vediamo.—risposi scortese, e senza nemmeno salutarlo, uscii da quella casa.
Ripercorsi le scale del palazzo e vi uscii definitivamente.
Ma, con grande gioia, vidi due cose familiari di fronte a me.
La mia Camaro e Roger a braccia conserte appoggiatovi.
—Ah, era ora!—disse, togliendo un piede dalla macchina.
Ero talmente debole che non avevo neanche la forza di rimproverarlo per tale gesto.
—Ma se non sono passate nemmeno due ore?—dissi, aprendo il lato mio dell'auto.
Fece anche lui lo stesso.—Un'ora e mezza è già tanta, fidati.
Dopo essermi infilata la cintura, gemetti silenziosamente.
—Che ti prende?—mi chiese apprensivo.
—Ho un forte mal di testa.—risposi lamentosa.
—Di nuovo? Non  che hai bevuto un po' troppo?
—Un bicchiere di champagne non mette K.O. nemmeno un bambino di dieci anni.
—Resisti ancora un po', ti accompagno fino a dentro, tanto.
Durante il viaggio di ritorno, cercai il più possibile di non pensare a nulla, nemmeno al dolore che provavo.
Per mia grazia, non arrivammo molto tempo dopo.
Roger corse subito fuori dall'auto e venne da me.
Mi aiutò ad alzarmi dal sedile e mi prese in braccio, percorrendo i gradini che portavano al palazzo in due secondi.
Quando fummo di fronte alla portone, chiese—Dove sono le chiavi?
—Nella tasca destra della giacca.—risposi.
Ma, dopo che me le ebbe prese, non fece neanche in tempo a infilarle nella serratura che mi accasciai a terra.
Un grosso tonfo fu l'ultima cosa che sentii.

Spazio Autore: sì, lo so, è passato un secolo dall'ultima volta che ho aggiornato.
È che sono stata troppo svogliata nello scrivere questo capitolo perché lo odio.
In compenso, vi prometto che dopo ci sarà qualcosa di molto meglio.
A presto.

  
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