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Autore: BrideOfTheWind    19/11/2008    10 recensioni
Hinata-centric A prescindere dalla mia scelta di usare Hinata e non un'altra kunoichi per raccontare questa storia, in questa one-shot si parla di solitudine e di prigionia dentro alla propria mente. Sono presenti accenni di autolesionismo. Se qualcuno pensa di usare le recensioni per sputare sul dolore altrui, e pregato di non aprire nemmeno questa pagina.
Genere: Triste, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Hinata Hyuuga
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Non sapevo se pubblicare questa…questa cosa, perché Hinata è probabilmente molto OOC, non c’azzecca con il manga e, sinceramente, me ne vergognavo.

Poi ho letto un libro, che consiglio a tutti: “13”, di Jay Asher.

Poi ho scoperto quanta gente c’è che sta male, e quanta che non se ne accorge. Sebbene lievemente, l’ho provato sulla mia pelle. Ho sentito l’immancabile frase “fai schifo”, rivoltami da un ragazzo che non ha capito niente…

Mi sono sentita in colpa a non fare nulla per far capire all’esterno che si può star male anche solo dentro alla propria testa, che non per forza deve esserci una lampante ragione esterna per giustificare il dolore. Ma non ci sono molte cose che so fare, quindi ho scritto questo.

Spero sia all’altezza dell’intenzione.

 

Lei che sorride, felice, ricambiata, scaldata dall’amore tiepido e avvolgente di mio cugino. Lui che le prende la mano, le cinge la vita (la sfiora, la cerca), la bacia in fonte e si muove con scioltezza in sua presenza, quasi gli fosse più facile respirare…

 

Sto tremando, di nuovo. Quella parola mi ossessiona.

Sola.

Mi si mozza il respiro, dannazione, non riesco nemmeno a fermare le mani dai loro sussulti esasperanti. Dopo anni, mi sembra di essere tornata la piccola e tenera Hinata perennemente rossa, fragile e balbettante. Un’Hinata che mi sentivo sollevata ad aver abbandonato, credevo per sempre.

Ma ora sono sola, completamente. Anche l’ultima persona che ho sempre sentito vicina, compagna nel dolore, se n’è andata. Si è innamorato, e io sono felicissima per lui, so perfettamente che lei è ciò che sta cercando da tutta la vita, che con lei è libero, se stesso, e che la sua esistenza è finalmente simile a quella che sono certa si meriti. Però non è più solo, e io sono invidiosa, da morire. Lo vorrei colpire, picchiare, vorrei fargli capire quanta voglia ho di urlare, vorrei graffiare a sangue il suo viso candido e composto così simile al marmo per fargli ricordare la sensazione claustrofobica di soffocare, tanta la sofferenza che abbiamo passato e della quale io sono ancora prigioniera.

Lo amo, è mio fratello, il mio unico compagno di dolore, la persona alla quale voglio più bene in assoluto, senza eccezioni, ma in questo momento vorrei solo ferirlo con tutte le mie forze.

Lui e Tenten.

Lei che è sensibile, viva; lei che ha occhi migliori di noi, riesce a vedere i veri sentimenti delle persone, ad aiutarle accettandole senza forzarle nei ruoli che si autoimpongono, anzi liberandole, con disinvoltura e agio. Come può non vedere me? Come puoi non vedermi intrappolata qui a sputare sangue e gridare la mia sofferenza alle pareti di cristallo della mia prigione, così dannatamente spesse

Io sono prigioniera, schiava di infinite etichette e gabbie dorate di nobiltà che non fanno che soffocarmi e ferirmi le ali ogni volta che provo a dispiegarle. Schiava di me stessa, perfino, nella mia insopportabile incapacità di impedire agli aliti di vento di distruggermi, ogni volta, anche se so che stanno arrivando. Non ho difese, non posso che chiudere gli occhi mentre mi si mozza ancora una volta il respiro e le lacrime mi pizzicano fastidiosamente gli occhi. Mentre la voragine si spalanca nuovamente in me, inghiottendo ogni altra emozione, ogni sentimento e ogni appiglio alla realtà.

Precipito nel mio personale mondo interiore, da rifugio ormai divenuto costante e terrificante incubo di un infinito abisso, nel quale malgrado gli sforzi non smetto tuttavia di precipitare.

E questa è la cosa peggiore: non posso dirlo, non posso spiegare. Non potrei nemmeno se ne avessi la forza, nemmeno se avessi qualcuno a cui confessare tutto questo. Perché è tutto dentro alla mia testa, non c’è niente che non va, nella realtà. Eppure soffro, e mi mordo le braccia per non urlare, per sfogare nella fisicità quella condanna puramente immateriale che mi tormenta corrodendomi ogni secondo, con ogni respiro e con ogni singolo falso sorriso, lasciando sulla mia stessa pelle pallida e semitrasparente quelle sottili mezzelune rosee ormai tanto familiari, quasi gradite, non fosse per al vergogna che portano con sé. Non immaginavo nemmeno che sarei diventata così dipendente da questi gesti, rito ormai pressoché quotidiano, dose leggera ma significativa di dolore fisico a ricordarmi che sono ancora viva, che malgrado tutto ancora sento

Se solo sapessero…

Se solo potessi urlare al mondo quanto soffro, quanto odio, quanto vorrei annentarmi, non essere più, solo per forzare questa tortura ad una conclusione, solo per prendermi gioco di lei, per sfuggirle…

Mi crederebbero pazza, una povera ragazza squilibrata, la tenera fragile erede definitivamente destabilizzata dal peso del suo ruolo. Non mi ascolterebbero davvero, già vedo i sorrisini tra l’imbarazzato e l’accondiscendente, confezionati a tavolino per nascondere il desiderio di farmi tacere. Già sento la repulsione… Così non mi espongo, non mi tradisco….e intanto mi uccido mille e mille volte ancora, ogni giorno, con metodo e autocontrollo, con una perseveranza che non immaginano nemmeno che io possieda.

 

 

Ringrazio come al solito chiunque legga e in particolare chi commenta o mi aggiunge ai preferiti.

Grazie infinite inoltre a June_L e a ragazza-innamorata: è sempre un onore per me essere letta da due delle mie autrici preferite.

  
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