“Tu!”
Merry sprizzava rabbia e legittima indignazione d tutti i
pori.
Evelyn voleva sprofondare.
Pensò vagamente che, forse, se si spingeva con sufficiente
forza verso il basso, sarebbe passata, a striscioline verticali, tra le fasce
di metallo che formavano la panchina, e si sarebbe accasciata sotto di essa
come un mucchietto di fette di prosciutto.
Hmmm. Prosciutto.
“Tu-u-u, infame, sleale, infida e perfida traditrice
opportunista, voltagabbana, simulatrice, viscida, subdola Giuda!,
rovina-famiglie non ancora create” riprese fiato, poi continuò “avida, cupida,
pavida, stupida, zotica, lepida, stolida, trepida, ladra, rapace…”
“… E incapace”, aggiunse Cathy, che se n’era stata, fino ad
allora, ferma e zitta ad ascoltare.
Merry ed Evelyn si voltarono simultaneamente verso di lei,
perplesse.
“Niente, niente”, disse lei, in fretta, sorpresa quanto
loro. “Chissà come mi è venuto in mente.”
Merry continuò, in tono appassionato: “Come hai potuto farmi
questo! Io mi
fidavo di te! Ti ho affidato la mia felicità, il mio futuro, i miei
progetti, i…” Si portò il dorso della mano sulla fronte.
Intanto, intorno a loro si era riunito un piccolo
assembramento di tifosi.
“Ris-sa, ris-sa!” scandì qualcuno, agitando il pugno.
Tutti si girarono verso di lui, contemporaneamente.
“Shhhh!”, dissero, irritati.
“Qui c’è qualcuno che vorrebbe ascoltare”, aggiunse una
segretaria coi capelli tinti.
Merry cominciò a girare minacciosamente attorno a Evelyn.
Cathy si dileguò rapidamente, ed Evelyn dovette girare a sua volta, per tenere
d’occhio l’infuriata ragazza.
Una mano che reggeva un filo a piombo si materializzò al
fianco di Evelyn, spuntando dalla massa di gente assiepata attorno alle due.
Evelyn non riuscì a capire a chi appartenesse.
“Prendilo”, disse una voce misteriosa tra la folla. “Ti
servirà.”
“Oh, ma tu sei quello che ho messo in comunicazione per
sbaglio col marito di…”
“Cosa?”, disse la voce misteriosa. La mano venne prontamente ritirata.
Evelyn continuò a girare in tondo, cercando di non perdere
di vista Merry.
Era sicura che, nel momento in cui avesse avuto un attimo di
distrazione, lei ne avrebbe approfittato per attaccare alle spalle.
E così fu.
“Ehi, ragazzina, dico a te!”, sibilò un’altra voce fra la
ressa di spettatori. Evelyn si girò verso il punto da cui proveniva, cercando
di individuarne il proprietario.
Una mano spuntò dalla calca, reggendo un righello di legno.
“Prendilo e daglielo in test…”
Evelyn si girò, allungò la mano per afferrare la riga e,
sbam!
“Ahia!”, gridò Evelyn, mentre il torsolo di mela finiva, in
pezzi, ai suoi piedi. Merry l’aveva tirato, con tutta la forza di una donna
ingannata – cioè, tanta tanta tanta forza – e aveva preso in pieno la fronte di
Evelyn.
Lei stessa si stupì del proprio centro perfetto.
“L’ho beccata?”, fece, perplessa, rivolta agli spettatori.
Tutti annuirono di rimando, tranne un impiegato che,
improvvisatosi allibratore, pretese di vedere la moviola.
Nessuno capì a cosa diavolo si riferisse.
Intanto Evelyn, più stordita che mai, si massaggiava la
fronte con le mani.
Ripresasi, Merry si slanciò verso di lei con un urlo
belluino.
L’allibratore propose di creare una piscina di fango,
mettere le ragazze in bikini, e farle lottare lì dentro.
Come al solito, nessuno lo ascoltò.
“Naaah!”
“Assurdo!”
“Pazzesco!”
“Non funzionerà mai.”
“Ragazze che lottano nel fango, che idea ridicola!”
“Se Dio avesse voluto che le donne lottassero nel fango,
avrebbe fatto piovere più spesso.”
“Yipe!”, gridò Evelyn, e tentò di scappare. Merry si lanciò
in uno spettacolare placcaggio, afferrandole le gambe e facendola stramazzare a
terra.
“Ahi!”, disse Evelyn.
“Oh, Dio, scusa, ti sei fatta male?”, chiese Merry,
preoccupata, lasciandola andare.
“No, no, ho solo sbattuto il ginocchio contro la panchina”
“Oh, bene”, fece, sollevata.
Si guardarono, e Merry si ricordò cosa stava facendo.
“Banzai!”, strillò. Afferrò Evelyn per la vita e si rovesciò
sulla schiena, facendola volare all’indietro. Dagli spettatori si alzarono
esclamazioni ammirate.
Evelyn atterrò sulla schiena e si rialzò con un balzo. Le
due si fronteggiarono, ansimando.
“Aaaargh!”, urlò Merry, lanciandosi di corsa verso Evelyn, a
testa bassa.
Evelyn balzò sulla panchina, e da lì saltò addosso a Merry.
Le intrappolò il collo con le gambe e, con un tremendo sforzo degli addominali,
la rovesciò all’indietro terminando seduta sulle sue spalle, in un boato di apprezzamento
della folla.
Merry si liberò e colpì Evelyn sull’interno del ginocchio,
facendole perdere l’equilibrio, per poi gettarsi su di lei per farla cadere.
Altro boato della folla.
L’allibratore stava facendo affari d’oro.
“Merry, aspetta…”
Merry la sollevò circondandole e fianchi, poi si lasciò
cadere insieme a lei.
“… Devi sapere che, ahi! Ahiahiahi…”
Tenendola ferma a terra, bocconi, Merry le tirava un braccio
verso l’alto. Evelyn si liberò facendole lo sgambetto perché perdesse
l’equilibrio. Si alzò a metà, senza fiato.
“… Stavo dicendo che il professore mi ha chiesto di…”
Al nome dell’amato, Merry ululò e si gettò verso di lei.
Afferrò il braccio di Evelyn e il suo collo e portò la schiena contro la sua,
poi fece leva per sbalzarla in aria.
Evelyn atterrò sul sedere.
“… Mi ha chiesto di andare con lui…”
Schivò un affondo di Merry, ma questa l’afferrò mentre si
girava per tornare indietro.
Le mise la punta del piede nella parte interna del
ginocchio, facendole piegare le gambe.
“:.. Mi ha chiesto di andare con lui al ballo perché…”
Merry approfittò della sua posizione per rovesciarla sulla
schiena. Evelyn vide un lampo assassino nei suoi occhi.
Si coprì la faccia con le braccia e tentò il tutto per
tutto.
“… Perché-ti-ha-visto-andare-via-con-quel-ragazzo-e-c’è-rimasto-malissimo-e-allora-mi-ha-accompagnato-a-casa-e-io-non-sapevo-cosa-dire-e-lui-non-sapeva-cosa-dire-e-allora-io-gli-ho-chiesto-se-lui-avesse-già-invitato-qualcuno-proprio-come-mi-avevi-chiesto-tu-ma-a-quel-punto-lui-mi-ha-chiesto-se-neanche-io-fossi-già-stata-invitata-da-qualcuno-e-lui-ha-detto-di-no-e-io-ho-detto-di-no-e-poi-io-ho-detto-ha
ha-allora-siamo-in-due-e-allora-lui-ha-detto-che-si-sentiva-in-dovere-di-non-lasciarmi-senza-cavaliere-e-così-ha-chiesto-a-me-quello-che-doveva-chiedere-a-te-ma-solo-perché-pensava-che-tu-ci-andassi-con-quel-giovanotto-che-ti-è-venuto-a-prendere!”,
disse tutto d’un fiato.
“Oh”, disse Merry. Si alzò, lasciando libera Evelyn. Questa
si tolse, guardinga, le braccia dal viso e la guardò. Merry le tese un braccio
per aiutarla ad alzarsi.
“Ma perché non l’hai detto subito?”, le chiese,
spazzolandosi la polvere dal vestito.
Perché mi tenevi un braccio intorno al collo, pensò Evelyn ,
ma non lo disse.
Merry la guardò: Evelyn era sporca, ammaccata e coi capelli
in disordine.
Cioè.
Non più del solito, comunque.
“Oh, quanto mi dispiace!”, si disperò Merry, rendendosi
conto del proprio errore. “Spero di non averti fatto molto male… Potrai mai
perdonarmi?”
“Ma certo… Errare è umano, no?”, rispose Evelyn, sollevata
per essersela cavata con così poco.
Non l’aveva nemmeno uccisa.
“Scusate...?”
Le due si voltarono. L’allibratore le stava fissando con
aria d’attesa.
“Avete intenzione di finire lo scontro?”
“No”, disse Evelyn.
“Certo che no”, disse Merry.
La folla si disperse, delusa.