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Autore: Snow_Elk    10/01/2015    4 recensioni
Fuori pioveva, la finestra aperta lasciava entrare qualche goccia d’acqua che si infrangeva silenziosa sul pavimento. Fuori pioveva, sentiva la sinfonia della pioggia, ma lei non provava freddo, si sentiva bruciare dentro. Quando riaprì gli occhi trovò nello specchio dinanzi a lei il riflesso di due rubini che la fissavano nel buio della stanza, uno sguardo che non aveva bisogno di descrizioni, uno sguardo che pretendeva una risposta silenziosa e il suo fiato corto, i brividi che la facevano tremare gliel'avevano appena data. Non aveva scampo, era diventata schiava di una passione insana di cui aveva assaporato solo il principio.
“ Sei mia… piccola Alice” un solo, unico sussurro e poi solo il buio.
Genere: Erotico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yuri
Note: Lemon | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: Sovrannaturale
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A Black Lotus as Night

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Capitolo VI - Seduzione Demoniaca



Continuava a spingerla contro il muro, come se di colpo avesse perso tutte le sue forze, proprio lei, la Dea Falce, il Loto Nero, terrore oscuro e nefasto di chiunque se la fosse mai ritrovata davanti sul campo di battaglia.
Continuava a baciarla con ardore, spingendo la lingua contro la sua, senza alcun ritegno, senza alcun contegno, ma ciò che la mandava in totale confusione era il semplice fatto che le piaceva, aveva il gusto della follia, il sapore dolciastro del proibito.
Continuava a toccarla, dovunque, con le sue dita affusolate e stranamente calde, le sfiorava i fianchi, le gambe, stringeva con forza i seni, una morsa di lussuria senz’anima, per poi accarezzarli con estrema delicatezza.
Non le bloccava più i polsi, le sue mani erano troppo impegnate ad esplorare con bramosia quel corpo e lei, lei stava letteralmente iniziando ad affogare in quell’oceano di lussuria sfrenata nella quale era precipitata all’improvviso.
 
La vocina nella testa che le sussurrava di reagire si stava affievolendo, sempre di più, consumata da quegli occhi rossi come il sangue che la fissavano compiaciuti, due immersi nell’oscurità e gli altri due così dannatamente vicini da potersi rispecchiare nei suoi: due rubini incastonati in un cielo color ametista. Sentì le mani della ragazza che scioglievano i pochi nodi del corsetto ancora posti a difesa delle sue grazie, diminuendo sempre di più la distanza tra lei e quel peccato così ammaliante quanto osceno. Perché non reagiva? Perché la lasciava agire indisturbata?
 
Il suo cuore stava battendo all’impazzata, sicura che da un momento all’altro sarebbe esploso, insieme ai polmoni, perché ormai aveva il fiato corto, ansimava.
Una ventata gelida la investì sul petto, facendola rabbrividire, e capì che la peccatrice le aveva abbassato il corsetto quel tanto che bastava a mostrare il seno.
Debran la osservava con quel suo sorriso sadico stampato sulle labbra, immobile come una statua, bello come la morte, silenzioso spettatore di quello spettacolo.
-Chi… chi sei?- riuscì a balbettare, tra un gemito e un bacio, tra un sospiro di piacere e un altro di abbattimento e vergogna. La ragazza fermò per un attimo la sua opera di seduzione blasfema, guardandola di sottecchi:
-Io sono Lico, l’ultima peccatrice- rispose, lanciandole uno sguardo carico di malizia, poco prima di leccarle il seno, arrivando perfino a morderlo, con un desiderio tale che avrebbe fatto impallidire anche la più disinibita delle cortigiane.
 
Quell’azione così improvvisa la fece sussultare di piacere e fu costretta a mettersi una mano sulla bocca prima che qualcuno potesse sentirla gemere a quel modo.
Lico si fermò, gustandosi compiaciuta il risultato delle sue azioni, lasciandole un misero attimo di tregua.
-Come fai? Come ci riesci? Io… non… capisco-formulare quella frase era stato più difficile di quanto avesse potuto immaginare, col fiato corto, un occhio chiuso come se stesse soffrendo e ormai mezza nuda. Patetica.
Lico sorrise e si avvicinò con le labbra al suo orecchio destro spingendo il proprio corpo contro il suo, quasi a rimarcare il fatto che fosse in balia delle sue perversioni.
-Semplice…perché…sono…mezza…demone- pronunciò quella frase con una lentezza devastante, mentre la sua mano sinistra si faceva largo sotto la gonna, per assestarle il colpo di grazia –Perché non mi fermi? Opponi resistenza, Loto Nero, fammi divertire- nel concludere la frase le morse l’orecchio e al tempo stesso quella mano silenziosa si insinuò sotto l’intimo, violandola.
 
Un gemito acuto squarciò il silenzio attorno a loro e una scossa di piacere e orrore la fece tremare come una foglia, spezzandole il fiato e facendole perdere un battito. Il suo sconcerto, misto allo stupore, si riflesse negli occhi rossi della mezza demone, che scoppiò a ridere, continuando la sua opera.
-No! Smettila!- esclamò Alice, ritrovando per un attimo le forze, spingendola lontana da lei – Falce!- urlò, furiosa e frustrata, e l’enorme arma si materializzò tra le mani della sua padrona. Violata da una ragazzina mezza demone e visibilmente psicopatica, no, non poteva concepirlo, figuriamoci accettarlo.
- Me la pagherai- sibilò.
-Oh sì- Lico sorrise sadica, leccandosi le dita –Ora si che ci capiamo- esordì, facendo smaterializzare davanti a sé uno spadone oscuro, che rispecchiava appieno il carattere della sua detentrice. Alice osservò disgustata quel gesto, sentendo ancora quella sensazione di violazione che era stata vivida e orribile fino a pochi attimi prima. Sentì la rabbia crescere dentro di sé, come un incendio incontrollato, pronto a divorare tra le sue fiamme tutto, o forse solo quella peccatrice demoniaca che continuava a fissarla divertita come se niente fosse.
Si guardò intorno esasperata, stringendo con forza in una mano la falce e cercando di rivestirsi alla buona con l’altra, tirando su il corsetto per coprirsi il seno e abbassando le frange della gonna: di Debran non c’era traccia, per l’ennesima volta si era volatilizzato nel nulla, lasciandola da sola in quel vicolo buio insieme a quella psicopatica che, se aveva capito bene, era una sua pupilla o forse ancor peggio era una sorta di schiava a giudicare dal collare in ferro che portava attorno al collo.
 
Quel pensiero le fece rivoltare lo stomaco, per un attimo sentì risalirle la colazione, non si era mai ritrovata dinanzi a qualcosa del genere. Come poteva quella ragazzina lasciarsi comandare a bacchetta in quel modo? Agire con quella follia e spudoratezza? Non osò nemmeno immaginare cosa avesse potuto fare Debran con lei, probabilmente quello che era appena successo non era nulla a confronto. Tuttavia, non era il caso di biasimarla, scosse la testa per scacciare qualsiasi pensiero, lasciando solo quella del volersi vendicare di quella pazzoide.
- Io sono qui che ti aspetto, Piccola Alice – quella voce stridula, da adolescente troppo cresciuta, ma che nascondeva una strana note profonda, la fece rinsavire ancora di più e i suoi occhi violacei si fiondarono sullo sguardo divertito della ragazza.
“Piccola Alice” Debran l’aveva chiamata in quel modo, Debran continuava a chiamarla così e non poteva accettare in alcun modo che quella sotto specie di demone si prendesse gioco di lei anche con quel “nomignolo”. Stava letteralmente perdendo la pazienza.
- Vai al diavolo! – esclamò, lanciandosi all’attacco con tutta la rabbia che aveva in corpo: Lico schivò l’attacco con un’agilità assurda, la falce si conficcò nel terreno, spaccando le pietre della strada, lanciando detriti a destra e a manca, e la peccatrice atterrò divertita sull’asta dell’arma, poggiando lo spadone sulla propria spalla, agitando il seno sotto il lungo vestito nero come se volesse stuzzicarla ancora di più.
- Tutto qui? Mi deludi, piccola Alice- rise ancora, quella risata era snervante, fastidiosa, come una spina nel fianco. La fulminò con uno sguardo carico di disprezzo, stringendo la presa sull’arma, si sentiva come un lupo preso in giro dalla pecora di turno, inconcepibile, ridicolo, frustrante.
- Smettila di chiamarmi in quel modo!-  urlò, estraendo la falce dal terreno con una violenza inaudita e, quando Lico saltò per evitare di sbilanciarsi, Alice roteò l’arma colpendola prima al fianco con l’asta per poi tagliarle la guancia con una delle lame, pochi centimetri e le avrebbe staccato la faccia.
 
La peccatrice atterrò qualche metro più in là, scivolando leggermente sulle ginocchia, stracciando le calze e facendo strisciare lo spadone a terra con forza. Non appena alzò di nuovo quello sguardo sadico su di lei sfiorò con la punta delle dita la ferita sulla guancia e leccò una goccia di sangue che stava scivolando timida verso la bocca.
- Davvero niente male – esordì, dondolando la testa – ma non è abbastanza!-non appena concluse la frase scattò velocemente verso Alice, cogliendola di sorpresa: Lico calò un fendente dall’alto che riuscì a parare usando la falce come scudo, ma la ragazzina continuò ad infierire, con altri fendenti, uno più violento dell’altro, finché non fu costretta ad  arretrare quando Alice roteò su se stessa agitando la falce vorticosamente.
 
Quella tregua durò un attimo: Lico riprese la sua corsa sfrenata, agitando lo spadone come se non avesse avuto peso, finché non schivò la doppia lama della falce, cogliendola senza difese e in balia dei suoi attacchi.
Una spadata le lacerò parte del corsetto e della gonna, ferendola sulla spalla e sul braccio sinistro, il suo tentativo di ritornare sulla difensiva era fallito e ne stava pagando le conseguenze.
Urlò di dolore, ma si morse le labbra per interrompere quel gesto di debolezza, l’ultima cosa che doveva fare era far credere alla sua avversaria di essere in svantaggio, di avere paura, di non essere all’altezza di quello scontro.
Stramazzò a terra, rotolando più volte, quel fendente era stato poderoso e se l’avesse colpita direttamente probabilmente le avrebbe spezzato qualche osso o peggio.
 
Sputò sangue, tentando di rialzarsi sfruttando la falce come un bastone: si sentiva debilitata, come se qualcosa avesse risucchiato tutte le sue energie, ogni singola scintilla della sua forza. Così non aveva senso, così non poteva sperare di vincere, si morse ancora di più le labbra fino a sentire il sapore del sangue. Cosa diavolo poteva essere? Un maleficio? Un sortilegio arcano? O forse erano quegli occhi? Gli stessi occhi di Debran… due rubini maledetti.
- Ora siamo pari, Alice, non trovi? Anzi, non sono soddisfatta, voglio di più- disse con calma la ragazzina, camminando verso di lei in tutta tranquillità, come se sapeva che non avrebbe opposto alcuna resistenza.
Le gambe sembravano essere sul punto di cedere, ogni tentativo di rialzarsi sembrava vano dal principio e sentiva che se non si fosse appoggiata contro la falce probabilmente sarebbe caduta a terra, eppure quelle ferite non erano letali, stava sanguinando sì, ma non così tanto da ridurla in quello stato.
Che lo spadone fosse avvelenato? No, no, stava vaneggiando, la vista si stava offuscando, e i sensi intorpiditi non aiutavano. Lico avanzava.
 
- Ti credevo più combattiva, Loto Nero, più selvaggia, oscura, mi stai deludendo, lo sai?- c’era sarcasmo nelle sue parole e  a tratti faceva più male delle ferite stesse.
- Stai zitta…- sussurrò lei, ritrovandosi di nuovo col fiato corto, qualunque cosa le avessero fatto la stava consumando lentamente dall’interno e non sapeva come fermarla.
- Il mio padrone mi ha parlato così bene di te e ora tu mi deludi? Non ci si comporta così, piccola Alice- ancora quel nomignolo, ancora quella risatina pungente come l’acqua fredda.
- Basta! – fece appello alle ultime forze che le erano rimaste e si rialzò, tentando un attacco improvviso e inaspettato, facendo saettare l’enorme falce di lato: Lico deviò il colpo con lo spadone che, nell’urtare l’arma oscura, si spezzò a metà, facendo conficcare parte della lama a terra e lasciando l’elsa nella mano della sua incredula padrona. La peccatrice lasciò cadere ciò che restava dello spadone e pochi attimi dopo afferrò Alice dal collo, sbattendola nuovamente contro il muro manco fosse stata una bambola di pezza e l’impatto con la parete le spezzò il fiato. Da dove prendeva quella forza? Come poteva una ragazzina, seppur mezza demone, ridurla in quello stato?
 
Era di nuovo a terra, stremata, sanguinante, e Lico si stava avvicinando a lei con la stessa calma di prima, disarmata, la falce era caduta quando lei era stata letteralmente lanciata ed era troppo distante per essere recuperata.
- I miei complimenti, Piccola Alice, mi hai messo in difficoltà nonostante…- si interruppe, come se si fosse accorta che stava per dire qualcosa di sbagliato, qualcosa che doveva restare celato nelle ombre più oscure. Si inginocchiò accanto a lei, ormai sicura che la piccola Loto Nero non avrebbe più potuto fare niente per fermarla, le sollevò la testa posando due dita sotto il mento e la baciò, di nuovo, mordendole la lingua, le labbra, assaporando il gusto ferroso del sangue. Lei non avrebbe voluto, la sua anima le urlava di staccarsi da quel bacio di Giuda, da quell’unione blasfema, ma sembrava aver perso il controllo delle sue stesse labbra, ma non delle braccia: si lasciò scivolare quel tanto che bastava per allungare il braccio destro e afferrare con la mano la stessa elsa che la ragazza aveva buttato poco prima.
 
Bastò un attimo: con la mezza demone impegnata a baciarla lei roteò l’elsa spezzata e la scagliò contro di lei, scaricando tutta la frustrazione e la rabbia che aveva in corpo.
L’espressione di Lico, esterrefatta e confusa, confermò che il suo colpo era andato a segno. La ragazza interruppe quell’ennesimo gesto di lussuria e arretrò, incredula, i suoi occhi rossi sembravano aver perso quella scintilla di follia che li aveva fatti brillare fino a pochi secondi prima: si era portata una mano al fianco sinistro, la veste lacera e sanguinante, l’elsa ancora conficcata nel suo corpo, una piccola pozza di sangue che iniziava a formarsi ai suoi piedi.
Continuò ad arretrare, osservando la ferita e poi Alice, più e più volte, guardando le proprie mani insanguinate, barcollando, passo dopo passo la catena tentennava, finché non fu costretta a poggiarsi contro uno dei muri del vicolo, pallida in viso, il sorriso sadico ormai sparito.
- Non finisce qui… Loto Nero… ci rivedremo- disse, gelida, la voce divenuta un’eco del suo dolore e del vuoto che le si era generato dentro, prima di sparire in un portale oscuro che la inghiottì, lasciando di lei solo il sangue finito contro la parete.
 
Alice si lasciò andare contro il muro, ansimando, ma soddisfatta: nonostante tutto, aveva vinto e quel singolo pensiero bastò ad offuscare tutti gli altri e a strapparle un mezzo sorriso. Rimase lì per alcuni minuti, in silenzio, a guardare quel piccolo campo di battaglia devastato da uno scontro di cui era stata fautrice e vincitrice, ma che non aveva alcun senso e forse non l’avrebbe mai avuto.
Si rialzò: non poteva restare lì o sarebbe morta dissanguata, senza sé e senza ma. Iniziò a vagare per quei vicoli stretti e abbandonati, strade evitate perfino dalla peggior feccia della capitale finché non pensò che poteva anche lei utilizzare uno di quei portali oscuri per evitare di lasciare metà del suo sangue nei quartieri bassi di Randall.
Si concentrò con tutta se stessa sulla prima parete che le capitò a tirò, facendo appello a qualsiasi residuo di energia che le fosse rimasto dopo lo scontro con Lico, e quando finalmente il varcò si aprì vi si gettò a peso morto, senza nemmeno sapere dove sarebbe stata teletrasportata, ma poco le importava, qualsiasi posto sarebbe stato migliore di quello.
 
Quando si ritrovò dall’altra parte finì per sbattere contro un portone finemente decorato e vi rimase poggiata, per il semplice fatto che se avesse tentato di camminare senza un appoggio sarebbe finita a terra seduta stante.
Era ferma lì, ad assaporare l’aria fredda della giornata d’autunno, un dolce torpore che la aiutava a sopportare il dolore delle ferite riportate, quando la porta si aprì e un paio di occhi ambrati immersi nel nero si posarono su di lei:
- Alice? – quella voce sembrava un balsamo curativo sulle sue ferite, aveva lo stesso effetto dell’animanera.
- Ciao… Xem- disse, prima di perdere completamente i sensi.

 
 
   
 
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