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Autore: tndproject    10/01/2015    1 recensioni
«Thiphanie Lacroix».
La voce che l'aveva interrotta era talmente dura e ferma che la fece tremare. Guardò il suo volto dal basso, cosa che le fu finalmente possibile fare grazie alla fievole luce di una candela che sembrava essere apparsa dal nulla.
[...] Deglutì a fatica, poi mormorò:
«Di solito la gente mi chiama Tip».
[...]
«Tu ti sei buttata dal tetto di un palazzo dopo essere stata assalita da un attacco di panico alle ore diciotto e trentasei», insistette. Poi scosse la testa. «Che morte patetica. Problemi in famiglia, eh?».
Lo guardò con gli occhi bruni spalancati per una manciata di secondi, aprì le labbra, le richiuse. Poi ricordò.
[ Nathaniel/ Dolcetta + coppie di sfondo ] [ come ridicolizzare argomenti delicati in dodici semplici mosse. ]
Genere: Comico, Generale, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Dolcetta, Nathaniel, Un po' tutti
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
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wings

(come sopravvivere ad un angelo custode non richiesto)

 
✖  ✖ 
atto #O1 - specchi sporchi

La prima cosa a cui Thiphanie pensò fu che quel liceo aveva un nome dannatamente imbarazzante. Ma per quanto strizzasse gli occhi o se li sfregasse con le dita, la scritta sull'enorme cartellone piazzato davanti all'entrata rimaneva.
Quale malato mentale avrebbe mai chiamato una scuola superiore Dolce Amoris? Era da qualche minuto che si sforzava, ma proprio il suo cervello non riusciva ad arrivarci – non arrivava a capire nemmeno che strano intreccio di lingue fosse, dannazione!
«E' davvero questa?».
Si voltò verso l'uomo che, come l'aveva accolta in quello che lei aveva etichettato come Inferno, le aveva insegnato tutto sugli angeli e su come svolgere bene il suo futuro lavoro.
«E' questa».
Mac (naturalmente quello non era il vero nome del biondino freddo e “simpatico come un calcio in culo!”, ma quando Tip aveva provato a chiederglielo lui le aveva semplicemente risposto con un accademico “gli angeli sono figli di Dio e non hanno nomina”; così, in memoria del suo cagnolino morto qualche mese fa, Thiphanie gli aveva attribuito il soprannome Mac) era vestito in nero, come sempre; le uniche cose bianche che possedeva erano i guanti di seta aderenti ai palmi delle mani e le ali, che gli puntavano dalla schiena enormi ed imponenti.
Thiphanie non ci aveva creduto quando glie le aveva viste per la prima volta; erano talmente grandi che avrebbero potuto perfettamente avvolgerlo completamente, e quando aveva dato uno sguardo alle proprie (due alette di pollo a malapena visibili) si era quasi sentita in imbarazzo per il confronto. 
Mac le aveva poi spiegato che la grandezza delle ali di un angelo dipendeva dall'esperienza di quest'ultimo, ma Tip aveva continuato a sentirsi a disagio e non darsi pace per tutta la settimana che era seguita, complicando il lavoro dell'uomo che più volte l'aveva insultata senza pietà.
«Ma dai, sul serio, che diavolo si studia qua dentro? La radice quadrata della somma del tempo che Cupido impiega per scoccare una freccia?».
Il freddo sole degli inizi di dicembre le colpiva le spalle senza riscaldarla e Tip, con un'occhiataccia veloce agli studenti che ridevano e li sorpassavano senza battere ciglio, pensò che non si sarebbe mai abituata all'essere invisibile all'occhio umano – fattore indispensabile per quello che sarebbe stato il suo compito.
«Risparmiati le battute scadenti, Lacroix, non siamo qui per una gita».
La ragazza schioccò la lingua, tirandosi indietro una ciocca di capelli neri. Da quando era morta, erano tornati al loro colore naturale. Mac le aveva detto che era perché quando si muore tutto le frivolezze accumulate da umani spariscono; in pratica rimanevi come mamma ti ha fatto, e a Thiphanie le ci volle un po' per abituarsi e dire addio al suo amato biondo cenere e alle tinte a basso costo dei cinesi.
«Allora entriamo?».
Mac scosse immediatamente la testa, poi la guardò assottigliando gli occhi in due fessure azzurre. «Tu entri. Il debito da saldare è il tuo, Lacroix, quindi a te spetta il lavoro sporco».
Tip sbatté le palpebre un paio di volte, le mani nelle tasche dei jeans sgualciti, poi spalancò le labbra. 
«Come, scusa? Mi lasci di nuovo da sola? E il ragazzo come lo trovo?!».
L'uomo sembrò ignorare la sua protesta, alzando la testa verso il cielo ed emettendo un sonoro sospiro seccato. 
«Ti verrà recapitata una foto».
«Una foto? Scherziamo? Ti avviso che non ho mai letto Sherlock Holmes – anzi, in realtà non ho mai letto in generale. Avevo di meglio da fare».
«Tipo il suicidio?».
Quello sembrò toccare un nervo scoperto e tanto bastò a far star zitta la ragazza, che abbassò lo sguardo mordicchiandosi il labbro; aveva inarcato le sopracciglia e sembrava mortificata.
L'angelo sospirò nuovamente e tirò fuori un taccuino su cui prese a scribacchiare.
«Non serve essere Sherlock Holmes per rintracciare uno studente, Lacroix».
Thiphanie borbottò quello che sembrò essere un “stavo scherzando” poco convinto, lo sguardo ostinatamente posato a terra e le mani che erano ritornare alle tasche. Mac non sembrò nemmeno più ascoltarla, troppo preso a riportare informazioni con una scrittura che Tip non riuscì a decifrare nemmeno sforzandosi.
«Ricorda, Thiphanie Lacroix, hai sei mesi di tempo. Sai già cosa succederà in caso di fallimento».
Non le diede nemmeno il tempo di ribattere; svanì, semplicemente, con un battito di ali che sollevò un vento freddo e le scompigliò i corti capelli. Riaprì le palpebre che aveva involontariamente chiuso a causa della vampata d'aria improvvisa e, quando fu certa di averlo perso di vista, strinse i denti e  imprecò tra sé e sé. Diede l'ennesima occhiata al cartellone col nome del liceo. Sospirò pesantemente prima di incamminarsi verso l'entrata.


Non era servito sciacquarsi il volto con l'acqua gelata, ne' dare un'occhiata al suo riflesso negli specchi sporchi dei bagni della scuola; anzi, il vedersi lì sul posto con quella carnagione pallida, le labbra cerulee, i capelli biondi scompigliati e due occhiaie da far invidia al Conte Dracula non aveva fatto altro che accrescere il pensiero.
La vita di Nathaniel faceva schifo. Ne era convinto già da un po', in realtà, esattamente da quando sua sorella aveva compiuto tredici anni e i favoritismi di suo padre avevano iniziato ad essere sempre più palesi; qualche tempo dopo era arrivata anche Debrah che non aveva fatto altro che danneggiare ancor di più la situazione con il suo strisciargli furtivamente addossocome la vipera che era scatenando una violenta rissa tra lui e Castiel che avrebbe segnato il loro rapporto per tutti gli anni seguenti. Poi era riuscito a diventare delegato e ciò gli aveva dato una gioia che presto si era trasformata in un ma chi me l'ha fatto fare a causa delle pressioni ora più maggiori che mai dei suoi genitori.
Il ragazzo fissò ancora un po' i suoi occhi stanchi, i suoi zigomi magri e deglutì. Si sistemò la cravatta rossa e uscì dalle toilette.


La campanella era già suonata da un pezzo e quasi tutti gli studenti avevano lasciato l'edificio. Uno dei pochi vantaggi dell'essere delegato principale era, a suo parere, il potersi trattenersi di più a scuola senza che i professori venissero a cercarti e ti cacciassero via a calci nel sedere. Più tardi tornava a casa, meglio era per lui, pensava sempre Nathaniel sistemando i soliti documenti noiosi. Quella volta non faceva eccezione.
Si fece sfuggire un sospiro rassegnato giocherellando con la penna nella mano destra e leggendo di sfuggita le parole sui fascicoli ordinatamente poggiati sul tavolino senza comprenderne a fondo il significato. Aveva la mente che vagava altrove e si sentiva più emotivamente distrutto del solito.
Tornò alla realtà solo quando udì qualche passo e il rumore dei fogli frusciare. Sbattè le palpebre e guardò fuori dalla finestra; era inverno e faceva buio presto, perciò già alle cinque di pomeriggio riusciva ad intravedere il sole tramontare.
Un altro rumore molesto, passi più forti. Nathaniel inarcò le sopracciglia turbato. Era sicuro di essere rimasto solo nella scuola, l'aveva constato di persona già un'ora prima; eppure quei suoni erano troppo insistenti per essere solo frutto della propria fantasia.
«Professor Faraize...?», chiamò incerto, sperando fosse solo davvero lui; ma il rumore di qualcosa che si spaccava e di un corpo caduto a terra seguito da un rozzo (e fantasioso, doveva ammetterlo) “ma porco il maiale che è tuo padre” gli fece capire che di certo non si trattava del professore. La cosa che lo stupì di più era il fatto che la voce fosse femminile.
Si alzò dalla sedia, camminando insicuro verso il luogo da cui aveva sentito provenire il disastro; non fece in tempo a chiedersi chi fosse che una mano gli afferrò il polso e lo trascinò in avanti.
«O- Ohi – !».
«Ah».
Nathaniel riaprì gli occhi che aveva chiuso in impulso e ciò che vide gli fece gelare il sangue nelle vene.
Una ragazza. Della sua età, a giudicare dai lineamenti; i suoi occhi castani lo scrutavano con un misto tra curiosità e aspettativa e le labbra erano incurvate in un lieve ghigno, le dita magre sembravano non volersi decidere a mollargli il polso. I capelli neri, così scompigliati come non ne aveva mai visti, erano corti e sbarazzini. Mosse il braccio e sfuggì dalla sua presa mentre il suo sguardo si riempiva di diffidenza e un briciolo di paura.
«E tu chi saresti?!», chiese, con più brutalità di quanta volesse mettercene; ma la sconosciuta non sembrò turbarsi. Incrociò la braccia, schioccò la lingua, poi si passò una mano tra i quattro ciuffi che aveva in testa.
«Dal vivo sei più carino».
Nathaniel incurvò, se possibile, ancora di più le sopracciglia bionde. Ecco, adesso stava iniziando ad avere davvero paura.
«Scusa?».
«Voglio dire, c'era davvero bisogno di nascondersi così tanto? Non hai idea di tutte le bestemmie che mi hai fatto lanciare nelle due ore che ho passato a cercarti. Ma poi, intendo, come diavolo è che questa scuola è così immensa? Ho girato a vuoto così a lungo che –».
«Chi diavolo sei?», la interruppe Nathaniel, che già stava iniziando a perdere la pazienza.
La ragazza sorrise di nuovo.
«Mi chiamo Tip e sono il tuo angelo custode».
E Nathaniel seppe di essere fritto.











Yo! ( ´Д`)
E dopo ere glaciali, sono felice di riuscire finalmente a pubblicare il nuovo capitolo di questa long uvu
In realtà non ho molto da dire, quindi mi limito a ringraziare chi ha deciso di leggere fino a qui e mi scuso per la lunghissima attesa ;_;
A presto!
nicki
   
 
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