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Autore: RolltheDice_    10/01/2015    3 recensioni
Dal testo: "Mi era sempre sfuggito qualcosa nella nostra amicizia. Ma in quel momento mi sembrava che ci fosse una verità più scintillante del sole nascosta in quegli occhi azzurri.
Ancora una volta era arrivata a salvarmi, ancora una volta aveva placato il tormento.
Mi sentivo come un scienziato dopo una scoperta epocale.
La guardavo e mi mancava l’aria, catturata com’ero dalla visione."
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Brittany Pierce, Santana Lopez | Coppie: Brittany/Santana
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Eh, boh, è un momento un po' così e io ogni volta che ho momenti un po' così scrivo ahahahah D:
 


Soffiava un vento freddo su Lima, quel giorno.

Ero entrata a scuola diversi minuti in anticipo rispetto al solito e ero da sola davanti alle scalinate. Non so cosa mi portò a andarmi a sedere sugli spalti deserti del campo da football.

Probabilmente fu a causa della tetra e malinconica mattinata, del cielo di un bianco accecante, della mia meteoropatia che imperversava inevitabilmente come ogni inverno, ma mi sentivo stranamente meditativa, quel giorno. Avevo fatto un sogno, ma non lo ricordavo.

Sentivo in me una sensazione di vuoto infelice, nostalgica, che cresceva mano a mano che mi ostinavo a osservare attentamente un punto imprecisato tra l’infinito e l’orizzonte, cercando di sfiorare quei territori inesplorati che sentivo emergere dentro di me.

L’inafferrabile sensazione che mi aveva accompagnato per una vita tornava a farsi sentire in giornate come quella. A volte riuscivo a sedarla e a tornare a respirare, ma capitava spesso che non potessi fare altro che sentirmi affondare tra inesplicabili paludi nascoste entro le spire del mio cuore, inciampando inconsciamente in pensieri sfuggenti che non si lasciavano mai cogliere pienamente.

Chiusi gli occhi mentre sentivo le lacrime affiorare senza una precisa ragione.

Avevo bisogno di qualcosa, ma non sapevo cosa. Avrei voluto aggrapparmi alla vita, alla gioia, trovare un appiglio che mi impedisse di ricadere di nuovo in quella condizione esistenziale che mi affliggeva, ma non sapevo cosa fare, non sapevo a chi rivolgermi.

Fu in quel momento che sentii dei passi avvicinarsi.

La riconobbi ancor prima di guardarla, l’avrei riconosciuta ovunque.

La sua sola lontana presenza bastava ogni volta per risvegliare il mio corpo e la mia anima.

Mi voltai lentamente verso di lei, fissai i miei occhi nei suoi, azzurri e brillanti come non era il cielo quel giorno.

“Ehi” sussurrai, tornando poi a fissare l’orizzonte.

Lei non ricambiò il saluto finché non mi ebbe raggiunta e non si fu seduta accanto a me. Ci ritrovammo una accanto all’altra, zitte.

“Che hai?”

Mi voltai di nuovo verso di lei. I suoi occhi mi sorridevano, dolci e comprensivi come sempre e io mi chiesi come avessi fatto a non capirlo prima.

Mi era sempre sfuggito qualcosa nella nostra amicizia. Ma in quel momento mi sembrava che ci fosse una verità più scintillante del sole nascosta in quegli occhi azzurri.

Ancora una volta era arrivata a salvarmi, ancora una volta aveva placato il tormento.

Mi sentivo come un scienziato dopo una scoperta epocale.

La guardavo e mi mancava l’aria, catturata com’ero dalla visione.

Non avrei dimenticato quel volto per nulla al mondo, come avrei potuto?

Avrei per sempre identificato l’azzurro dei suoi occhi e il suo viso con la perfezione.

L’incarnazione dell’Ideale.

La Bellezza.

Dentro di me tutto tremava, proteso verso di lei, estasiato. Non era eccitazione, non era desiderio. Era semplice stupore all’idea di essersi trovata davanti a una creatura del genere, la stessa meraviglia che avrei potuto provare davanti a un tramonto arancione intenso sul mare o al riflesso della luna nell’acqua in una notte serena. L’incanto che si prova ammirando il cielo stellato sulla spiaggia o la neve che cade in una sera d’inverno.

Lei era tutte queste cose, era molto di più.

Prima di tutto, dentro al mio cuore avvertivo l’adorazione, la sensazione che mai avrei potuto allungare su di lei una mano, mi sembrava lontana, troppo perfetta, troppo elevata rispetto al resto del mondo.

Mi sembrava semplicemente di un’altra dimensione, mi sentivo indegna.

Non l’avrei mai avuta, mai avrei potuto amarla come avrei voluto, sarebbe sempre stata l’Irraggiungibile.

L’avrei desiderata per sempre, non avrei mai potuto fare altro, per tutto il resto dei miei giorni.

Mi resi conto improvvisamente, che ogni giorno, ogni notte, ogni ora e secondo che avevo vissuto al suo fianco fino a quel momento, lei era sempre stata questo per me. Una sorta di divinità irraggiungibile e al contempo estremamente vicina, perennemente con me.

La mia guida, la luce nel buio in cui vagavo.

Mi fu tutto chiaro, all’improvviso.

L’avevo sempre amata, fin dal primo istante, quando era comparsa davanti ai miei occhi: una bella bambina bionda e sorridente, coi capelli legati in una coda di cavallo e un sorriso ingenuo e dolce sul viso. Mi aveva semplicemente preso il cuore, si era collocata nel mio petto al suo posto; mi ero dedicata a lei.

L’avevo difesa quando ne aveva avuto bisogno, consolata quando era stata triste, accompagnata ovunque, mai lasciata.

Avevo sempre detto a me stessa che lei era la mia migliore amica, che chiunque si sarebbe comportato così al posto mio, che lei semplicemente era nata per convogliare l’affetto degli altri su di sé, grazie alla sua personalità dolce e sognatrice, grazie al suo aspetto delicato. Avevo reiterato in me la bugia che non ci fosse nulla di strano nei miei sentimenti, nulla di insolito. Nemmeno quando avevo desiderato avvicinare le labbra alle sue e scoprire come fosse baciarla, conoscere finalmente la consistenza delle sue labbra, nemmeno quando un suo tocco era stato sufficiente a provocarmi brividi lungo la pelle, o un suo sorriso mi aveva fatto battere il cuore così forte da farmi cedere le ginocchia.

Avevo provato sentimenti sempre nuovi, sempre più intensi, legata indissolubilmente a lei, ma cercando sempre di mantenermi a distanza, sempre sapendo che lei fosse come l’aria che respiravo: volubile, intangibile, eppure, in qualche modo, mia.

Non nel modo in cui avrei voluto.

Il suo profumo alleggiava per ore nella mia camera anche dopo che lei era uscita. Quando arrivava dentro casa mia, ogni stanza sapeva di lei, la luce nei suoi occhi irrorava l’ambiente come fosse stata il sole.

La primavera aveva la sua innocenza, il suo splendore. L’estate le somigliava, luminosa e azzurra proprio come lei. L’autunno mi ricordava la malinconia che albergava nel mio cuore ogni volta che non potevo vederla e l’inverno, con le sue festività, aveva in sé la stessa magia che Brittany emanava in ogni cosa che avesse detto o fatto.

Lei, che adorava gli unicorni, e si aggirava dicendo agli altri quanto fossero speciali, era il mio unicorno, era la più unicorno di tutti.

E in quel momento, tutta la matassa di sentimenti confusi che in quegli ultimi due anni mi aveva governata, si districò, dandomi il quadro completo e chiarissimo della situazione.

Ero innamorata di lei. Lo ero, senza alcun dubbio, in modo innegabile.

Lei era il centro del mio mondo e io volevo stare insieme a lei.

Avevo diciassette anni e avevo improvvisamente chiarito cosa fosse quella confusione interiore che provavo ogni volta che Puck avvicinava il suo volto al mio e mi baciava. Perché non mi era mai sembrato giusto. Perché ero stata ingiustificatamente gelosa quando Sam aveva stretto la mano di Brittany e aveva confessato di essersi innamorato di lei, perché avevo pianto, con la testa nascosta tra le lenzuola sul mio letto, quella stessa sera, dopo aver visto Lei dare il suo primo bacio a quel ragazzo dalle labbra immense.

Addirittura, mi fu chiaro perché, quella sera, quando Brittany era scivolata dentro la mia stanza passando dalla finestra, io le avessi augurato di essere felice con Sam, le avessi detto che speravo lui fosse il ragazzo giusto per lei e neanche per un secondo, persa nel suo sguardo sognante, avessi osato rivelarle che detestavo il pensiero che lei si mettesse con Sam, che non potevo sopportare l’idea di vederla con qualcuno.

Mi fu chiaro perché avessi sempre messo lei davanti a tutti, compresa me stessa.

“Santana? Tutto bene?” mi osservò preoccupata.

Io la osservai ancora un attimo, incerta sul da farsi.

Ora che tutto mi era chiaro, ora che capivo perché lei fosse in grado di mettere a tacere i miei demoni interiori, non avevo nulla da dire. Non sapevo se stessi bene o male.

Sapevo solo che se avessi parlato in quel momento, sarebbero uscite solo due parole dalla mia bocca.

“Ti amo.”

Mi guardò, sorpresa.

Sollevò un sopracciglio, dischiuse le labbra. Non riuscivo a capire se fosse contenta, schifata o semplicemente presa in contropiede.

Non persi tempo a ragionare o a misurare.

Non ne avevo bisogno, non ne avevo più voglia.

Mi allungai verso di lei, avvicinai una mano al suo viso, accarezzandole i capelli.

La baciai.

Lentamente.

Non si spostò.

Non ricambiò.

All’inizio.

Si lasciò andare lentamente, si sciolse tra le mie mani, mi disse senza parlare quello che volevo sentirmi dire.

Noi due sapevamo benissimo come capirci senza usare le parole.

Ancora una volta lo stavamo facendo, comunicando nel modo più intimo che riuscissimo a trovare in quel momento.

Sentimmo la campanella suonare, ci staccammo, ci scambiammo uno sguardo.

“Anche io.”

Non lo disse, ma i suoi occhi da soli furono più che esaurienti.

Si alzò e mi porse la mano. Gliela strinsi e cominciai a camminare insieme a lei verso l’ingresso della scuola.

Le lanciai un paio di occhiate di sfuggita mentre percorrevamo il corridoio. Era radiosa, raggiante. Sorrisi tra me, dimenticandomi della mia meteoropatia e della malinconia che mi pervadeva.

Anche se soffiava un vento freddo a Lima quel giorno, dentro di me tutto era caldo, tutto era nuovo e fresco; finalmente dentro di me qualcosa germogliava e dava un senso a tutto il resto.
 
 
  
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