Anime & Manga > Yu-gi-oh serie > Yu-gi-oh
Segui la storia  |       
Autore: Evee    11/01/2015    1 recensioni
~ sequel di “The White Lady who lost her soul”
Kisara è finalmente libera, ed ora che ha ritrovato i suoi ricordi sente di essere anche pronta ad aprire il suo cuore e buttarsi alle spalle il suo triste passato.
Ma presto scoprirà che il passato non ha ancora finito con lei... Anzi, con loro. Perché Seto ha voluto salvare la sua anima, ma purtroppo ogni scelta comporta sempre una conseguenza. E lui ne ha fatto una che rischia di pagare molto, troppo caro. Lei, però, non ha la minima intenzione di permettere che accada.
E poi gliel'aveva promesso, che lo avrebbe protetto per sempre.
Genere: Drammatico, Sentimentale, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kisara, Seto Kaiba
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'The Dark Blue Saga'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

V - Little lion man

 

{But it was not your fault, but mine
And it was your heart on the line
I really fucked it up this time
Didn't I, my dear?
}

 

-I suoi effetti personali, prego.-

Scoccò un'occhiata di traverso all'agente penitenziario, per quanto fosse consapevole che si trattava della prassi e non di una sua decisione. Solo dopo, con riluttanza, si separò dal Rolex, dal Blackberry e dal portafoglio, abbandonandoli nella cassetta metallica a lui dedicata e che si augurava li custodisse a dovere.

-Anche quello, se non le dispiace.- aggiunse la guardia, indicandogli il portafoto che portava al collo.

-, mi dispiace.- ringhiò, per nulla intenzionato a separarsi dal regalo di suo fratello.

-Non era una domanda.- replicò quello con lo stesso tono -Lo consegni.-

Parafrasando, Seto lo mandò al diavolo.

Per tutta risposta, gli arrivò un colpo di manganello dritto nello stomaco, che gli spezzò il respiro e gli fece capire che, d'ora in avanti, avrebbe dovuto sforzarsi di mordersi la lingua prima di parlare.

E così fece quando venne scortato in un gelido spogliatoio perché si svestisse ed indossasse un'anonima tuta di un colore che era solo il pallido ricordo di quello originario, e con un odore talmente sgradevole che temette fosse ancora di appartenenza del precedente proprietario. Ad aumentare il suo disgusto, c'erano un tessuto più ruvido della carta vetrata e una targhetta identificativa appuntata sul davanti...

"70593".

Grandioso, era appena stato omologato. In pratica era come tornato alle superiori, se non fosse che almeno lì lo chiamavano rispettosamente per nome e poteva indossare una divisa comoda, pulita, di un colore che gli piaceva e soprattutto interamente sua.

Successivamente, come ulteriore umiliazione, fu condotto in un'altra stanza affinché venisse catalogato.

-Nome?- gli chiese un altro agente, cartelletta alla mano.

Glielo stava chiedendo seriamente o lo stava prendendo per il culo?

-Seto Kaiba.- rispose a denti stretti.

-Professione?-

-Presidente ed amministratore delegato di una società che, guarda caso, si chiama Kaiba Corporation.-

L'uomo non gli diede neanche la soddisfazione di rispondergli e, trascritto il tutto, gli ingiunse di salire su una bilancia perché si pesasse. Poi gli misurarono l'altezza, gli prelevarono campioni di sangue e di urine, gli presero le impronte digitali e gli scattarono delle foto segnaletiche. Infine, come regalo di benvenuto gli consegnarono il regolamento della prigione, il cui studio l'avrebbe dovuto tenere impegnato fino a quando non lo avesse imparato con la stessa, maniacale cura con cui erano stati scritti i suoi cento e passa articoli.

Ma lui dopo un'ora l'aveva già imparato a memoria, e per la noia si era messo a leggere anche la versione cinese, coreana, inglese e russa alla ricerca di eventuali errori di traduzione.

D'altronde, non c'era molto altro che potesse fare per ingannare il tempo... I cinque metri quadri che gli avevano assegnato erano riusciti a fargli sentire subito la mancanza della sua vecchia cella al commissariato di polizia. Spazio che, tolti il futon, la scrivania, il lavandino e il gabinetto, risultava pressoché inesistente e gli impediva di muoversi liberamente. Ma, anche se avesse voluto farlo, l'articolo 6 del regolamento diceva chiaramente che gli era consentito alzarsi solo per andare in bagno. Per tutto il resto del tempo doveva starsene seduto e ben visibile alle telecamere di vigilanza, puntate su di lui 24 ore su 24. Perché sì, doveva tenere la luce accesa anche di notte. Tra l'altro, quell'alienante lampadina alogena era tutta l'illuminazione di cui poteva beneficiare, poiché tra la finestra e l'inferriata esterna c'era uno schermo di ferro perforato giusto quel che bastava per garantirgli un ricambio d'aria. Ma ad essere onesti avrebbe quasi preferito fosse del tutto chiuso, perché in quel posto non c'era il minimo riscaldamento e si sentiva già le membra ghiacciate fino al midollo osseo.

Tuttavia quello sembrava essere il meglio che quel posto potesse offrire, almeno per dei potenziali dead men walking. Perché, se si trovava nell'isolamento più totale e sotto stretta sorveglianza, era merito del fatto che gli era stata riservata una cosiddetta “cella anti-suicidio”. E forse, un tempo, quando ancora attribuiva all'orgoglio la priorità su tutto, persino su suo fratello, avrebbe davvero preso in considerazione l'opzione di togliersi la vita per sottrarsi ad una simile umiliazione. Il suo padre adottivo l'avrebbe sicuramente fatto. Poteva distintamente sentir riecheggiare la sua voce aspra impartirgli il suo ultimo precetto: meglio morire piuttosto che vivere nel disonore. Anche se non c'era molto nella stanza che potesse servire allo scopo, Gozaburo Kaiba non avrebbe esitato a corrompere un secondino perché gli procurasse una corda per anticipare il lavoro del boia. E, in caso di insuccesso, sarebbe comunque riuscito a soffocarsi staccandosi la lingua a morsi.

Ma lui, anche se ne aveva ereditato il cognome, non era suo padre.

Se lo fosse stato davvero, non avrebbe mai messo piede in quella prigione. Non avrebbe mai cercato di aiutare a sue spese un'altra persona, né avrebbe desiderato così tanto tornare da lei.

Perché lo sapeva che, senza la sua luce accanto, quella notte non sarebbe riuscito a sfuggire dai propri incubi.

 

*

 

La mattina seguente, nel giro di poche ore riuscì a collezionare tre ammonimenti, altrettante punizioni corporali e una riduzione di cibo.

Conservare il proprio orgoglio gli era costato caro, insomma. Ma proprio non era riuscito a rinunciarci quando, alle 7 e 30 spaccate, le guardie erano passate per fare l'appello. E lui non solo si era rifiutato di inchinarsi al loro fottuto cospetto, ma aveva anche osato guardarli in viso. Il che pareva essere un'infrazione alquanto grave dell'articolo 11 del regolamento, specialmente se si incrociava il loro sguardo con l'espressione ostile e sprezzante che lui aveva loro dedicato. Né era riuscito a calpestare il suo amor proprio quando aveva dovuto recitare quel pentalogo che volevano sentirlo gridare ad ogni suo spostamento: “D'ora in poi sarò onesto, sincero, educato e rispettoso. Collaborerò, mi atterrò alle regole, mi pentirò profondamente e sarò riconoscente”.

Lui aveva cambiato un po' troppo quella formula, e nessuno dei secondini aveva mostrato di apprezzare il suo sarcasmo.

Se non ci fosse già stato, si sarebbe di certo guadagnato l'isolamento a tempo indeterminato. Ma, dopotutto, quello era l'unico aspetto del suo trattamento a lui gradito. Non aveva mai avvertito la necessità di stringere amicizia con altre persone per sfuggire alla solitudine: non era un insicuro, lui. Stava bene con se stesso. Tantomeno sentiva il bisogno della compagnia di un criminale analfabeta che lo avrebbe solo distratto dai suoi pensieri, se non dato ai nervi. Ma, considerando gli insulti che gli altri carcerati solevano lanciare al suo indirizzo, neanche lui sarebbe stato un compagno di cella tanto gradito... Probabilmente avrebbe finito per istigare al pestaggio a sangue o a farsi sodomizzare, tra l'altro senza poter contare su alcun intervento in suo favore da parte di guardie alle quali sin da subito non era stato simpatico, e che si era già premurato di inimicarsi ulteriormente. Si sarebbero girate dall'altra parte o, perché no, unite al divertimento.

Comunque, quella giornata non era iniziata sotto grandi auspici, né si aspettava un suo miglioramento. Di certo, non sarebbe migliorato il suo umore...

Ma si dovette ricredere quando, a metà pomeriggio, vennero ad annunciargli che aveva una visita.

 

***

 

-Dove crede di andare?-

Kisara fissò con aria di sfida la guardia che le aveva appena sbarrato il passaggio. “Dove cazzo mi pare”, avrebbe voluto rispondere.

-Ad accompagnare quel ragazzo a trovare suo fratello.- gli annunciò ostile.

Nell'udire la sua voce tanto alterata, Mokuba si fermò poco oltre il tornello e si voltò a guardarla con aria preoccupata. Quell'uomo, invece, rimase imperturbabile.

-E' una parente?-

-No, ma...-

-Allora non può passare.-

Questa volta fu Mokuba a protestare con vivacità.

-Passerà, invece.- sibilò, fulminandolo con uno sguardo davvero da Kaiba -O preferisce discuterne con il nostro avvocato?-

-Può chiamare tutti gli avvocati che le pare, per quel che mi riguarda.- replicò secco -Queste sono le regole.-

Il piccolo aprì nuovamente la bocca per ribattere, ma Kisara ritenne più opportuno fermarlo prima che a causa della sua insistenza venisse vietato anche a lui l'accesso.

-Lascia perdere, Mokuba.- gli disse, cercando di suonare conciliante. -Vai pure. Io resto qui ad aspettarti.-

Lui piegò le labbra colme di disappunto.

-Ma Keira, non è giusto...!- protestò.

No, era una vera e propria ingiustizia. Ma non potevano farci nulla. E poi, forse per lei era meglio così. Anche se soffriva la sua mancanza, temeva avrebbe sofferto ancora di più nell'abbandonarlo in quel posto, dopo averlo rivisto.

-Non importa...- mormorò, cercando di abbozzare un sorriso -Digli solo che lo saluto.-

 

***

 

Quando vide al di là del vetro il volto sorridente di suo fratello, sorrise anche lui.

Non avrebbe voluto mostrarsi a Mokuba in quelle condizioni, ma proprio non se la sentì di rimproverarlo per essere venuto a trovarlo. Anzi, era sollevato di scoprire che non ce l'aveva più con lui e che, almeno in apparenza, sembrava stare bene. Inoltre, più egoisticamente, gli faceva piacere avere la sua compagnia.

-Avete mezz'ora.- gli annunciò secca la guardia che l'aveva preso in carico.

Lui gli scoccò un'occhiataccia, ma non ribatté. Gli avevano ripetuto fin troppe volte che poteva parlare solo su domanda, e la circostanza che in quella stanza registrassero tutto quello che vi veniva detto sconsigliava di fare commenti poco graditi all'amministrazione carceraria.

Si sedette di fronte a suo fratello, che per primo decise di rompere il ghiaccio.

-Con quella divisa stai da schifo.- osservò canzonatorio, con una smorfia di finto disgusto.

Non si aspettava una simile frase per sdrammatizzare, ma funzionò. Per un attimo gli sembrò quasi di essere seduto con lui in soggiorno, a sorridere delle sue battute.

-Non me ne parlare.- gli fece allora con lo stesso tono, alzando gli occhi al cielo, per poi tornare più serio nel riabbassarli -Come stai?-

-Questo dovrei chiederlo io, non credi?- ribatté lui, inarcando un sopracciglio -Guarda che siamo tutti preoccupati per te... Sono venuto qui insieme a Keira in realtà, ma non l'hanno lasciata passare. Ha detto di salutarti.-

Nel sentirla menzionare e nello scoprire che non gli sarebbe stato concesso di vederla, il suo cuore si strinse per il dispiacere, i suoi pugni per il disappunto. Ma si sforzò di celare il suo turbamento.

-Dille che la ringrazio, allora.-

Mokuba annuì, anche se solo lei avrebbe potuto capire quello che sottintendeva realmente. Perché non le era grato solo per essere passata a visitarlo, ma anche e soprattutto perché era pronto a scommettere che lo doveva a lei, se suo fratello era tornato così in fretta ad essere tanto aperto nei suoi confronti.

-Allora?- premette di nuovo il suo fratellino -Come va?-

Sorrise.

-Ora meglio.-

Chiacchierarono finché fu loro possibile, raccontandosi la propria giornata come facevano sempre: l'uno cercando di essere spensierato, l'altro di ironizzare. Poi però la solita, stramaledetta guardia li venne ad interrompere, e Mokuba fu costretto ad alzarsi per andarsene. Ma, prima di farlo, lo salutò con la mano e un'espressione incoraggiante.

-Verrò a trovarti tutti i giorni, promesso!-

 

*

 

E così avvenne per i due giorni successivi.

Poi, però, gli vennero interdetti ulteriori colloqui con qualunque persona che non fosse il suo avvocato.

L'ennesimo regalo da parte del procuratore Nishiguchi, che aveva chiesto al tribunale ed ottenuto senza troppi sforzi quel provvedimento sulla base di un asserito pericolo di inquinamento delle prove. Aveva ordinato ad Endo di presentare subito ricorso contro quella decisione, ma era stato altrettanto rapidamente rigettato. Il solo modo con cui poteva ancora parlare con suo fratello era a distanza, e non senza restrizioni... Non poteva fare telefonate, poteva solo ricevere una corrispondenza che gli veniva recapitata già aperta e scandagliata dalle guardie. Da parte sua, invece, gli era concesso di scrivere solo una lettera al giorno in cui, dato che non poteva essere più lunga di sette pagine, doveva cercare di condensare con la sua scrittura più minuta sia i messaggi per Mokuba che le istruzioni da impartire ad Isono per salvare la propria società dal fallimento. Che, tra l'altro, non solo venivano letti prima della spedizione, ma potevano anche essergli restituiti o addirittura censurati se con contenuti giudicati “inopportuni”...

Gestire la Kaiba Corp. in quelle condizioni era a dir poco frustrante, ma non aveva alternative. Inoltre, pensare al lavoro era uno dei pochi svaghi che si poteva permettere ed in grado di impedire ai suoi neuroni di atrofizzarsi. Quanto al resto del suo corpo, gli era concesso di praticare per mezz'ora esercizio fisico tre volte a settimana. Sempre se si può chiamare esercizio fisico camminare in tondo o, al massimo, saltare una corda. Né si poteva definire palestra una terrazza di appena cinque metri per due, e rigorosamente sorvegliata dall'alto per controllare che non provasse ad utilizzare quella fune per impiccarsi. Ma forse era meglio così, perché se avesse sudato troppo poi non si sarebbe potuto neanche fare una doccia. Certo, gli era permesso di farsi un veloce bagno di 15 minuti, chiaramente comprensivi del tempo necessario a svestirsi e rivestirsi, ma solo in due differenti giorni della settimana. Non sia mai che abbandonasse la sua cella troppo a lungo.

Quella cella che gli stava diventando sempre più stretta, e soffocante.

 

***

 

Arrivò il 25 di marzo.

Ovvero, la data in cui si sarebbe tenuta la prima udienza di quello che i giornalisti avevano soprannominato il “KK Case”, utilizzando come sigla le iniziali della vittima e dell'imputato. E ogni volta che Kisara sentiva quell'espressione, non poteva fare a meno di considerare, con amarezza, che si erano dimenticati di aggiungerne un'altra... Quella della colpevole.

Comunque, l'attenzione mediatica intorno alla vicenda si era fatta sempre più ossessiva, tanto che doveva letteralmente fare da scudo umano a Mokuba ogni volta che si mostrava in pubblico, per evitare che venisse assalito dai reporter.

Evenienza che, puntualmente, si verificò anche quel giorno lungo la scalinata del Palazzo di Giustizia.

-Come si sente in questo momento, signorino Kaiba?-

-E' davvero convinto dell'innocenza di suo fratello?-

-Signorino Kaiba, una dichiarazione...!-

Di fronte a tutti quei flash, microfoni e telecamere puntate addosso, Mokuba si paralizzò sui gradini, pallido e con gli occhi sgranati. Come se non fosse già stato abbastanza agitato da solo. Furente, Kisara gli si parò davanti e trucidò con lo sguardo la folla che stava ostruendo loro l'ingresso.

-Levatevi di mezzo!- esclamò loro.

Qualcuno fu abbastanza previdente da scansarsi all'istante, mentre i più ostinati vennero spintonati via con malagrazia, tra urla di protesta e minacce di denuncia per violenza privata. Lei li ignorò e, assicuratasi che il piccolo Kaiba la stesse seguendo, si fece strada nell'ampio e solenne atrio del tribunale. Le toghe svolazzanti di numerosi avvocati brulicavano in quel crocevia, chi reggendo voluminosi faldoni, chi ventiquattrore e cellulare. Ma lei non si lasciò disorientare e, memore delle indicazioni fornitole da Endo, scortò Mokuba verso l'ala destra dell'edificio, quella penale, alla ricerca dell'aula numero 9. Comunque, c'era così tanta gente che premeva alle sue porte che sarebbero riusciti a trovarla lo stesso.

A fatica e con qualche sgomitata si introdussero all'interno. Era una stanza stretta, perimetrata da colonne sbeccate e bisognosa di una mano di vernice, cionondimeno in grado di incutere rispetto. Di fronte a loro si stagliava imponente il banco ligneo della corte, affiancato dalle contrapposte ed ancora vuote postazioni delle parti. L'altra metà dell'aula era invece interamente riservata al pubblico, e già ampiamente occupata. Ma Kisara era stata abbastanza previdente da chiedere ad Isono di recarsi lì in anticipo, per prendere loro posto davanti ed evitare a Mokuba lo stress dell'attesa. Lui, appena li vide, si sbracciò accorato perché lo raggiungessero. Efficientissimo come sempre, si era schierato in prima fila, proprio dietro la ringhiera che fungeva da divisorio.

Una volta seduti, sentì di poter finalmente abbassare la guardia. Ma questo permise alla tensione da cui finora era stata distratta di crescere, fino a farsi quasi palpabile. Cercò di dissiparla, ma i suoi sforzi furono vanificati dal discorso di un uomo alle sue spalle.

-Sono proprio curioso di sentire quali balle si inventerà Kaiba per farla franca.-

-Anch'io.- replicò una voce femminile -Ma spero che almeno questa volta abbia quello che gli spetta, quel bastardo.-

Non poté impedire alle sue orecchie di sentire quelle parole, né poté evitare che anche Mokuba le udisse. E benché il piccolo continuasse a fissare davanti a sé a testa alta, non le sfuggì il tremito delle sue labbra e come strinse i pugni, convulsamente, fino a farsi sbiancare le nocche.

Delicatamente, Kisara lo prese per mano, cercando di infondergli ed infondersi coraggio.

 

[ma non è stata colpa tua, bensì mia
ed era il tuo cuore ad essere in gioco

questa volta ho proprio fatto un casino
non è vero, mia cara?]

 

Evee's corner

 

H^o^la!

Ok, ok, lo so. Sto letteralmente massacrando Seto. D'altronde avevo minacciato dramma, e dramma vi sto servendo. Comunque, questo è il capitolo più 'forte' di tutti, e spero di essere riuscita ad alleggerire i toni altrimenti troppo pesanti filtrando la narrazione con il sarcasmo del nostro sventurato protagonista e di aver dipinto sulle vostre labbra un sorriso, per quanto amaro. Poi, dato il tema affrontato, ci tenevo a precisare che nel descrivere il trattamento e lo stile di vita nelle carceri giapponesi sono stata e sarò tristemente fedele alla realtà (non che nelle nostre i detenuti se la spassino, beninteso). Per quanto il Giappone sia un paese estremamente civilizzato, sul rispetto dei diritti umani ho scoperto con sconcerto che sembra quasi rimasto al medioevo. Ho cercato di approfondire il più possibile la tematica, basandomi su quanto riportato nel sito internet di “Nessuno tocchi Caino” (per chi non la conoscesse, è un'organizzazione che promuove nel mondo l'abolizione della pena di morte) ed il saggio, curato da Amnesty International, “La pena di morte in Giappone. Una realtà nascosta”. Come sempre però, se avete delle segnalazioni da farmi o magari consigliarmi qualche altra lettura su questo argomento ne sarò più che felice.

Grazie infinite di supportarmi e sopportarmi, alla prossima domenica!

XOXO

- Evee

   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Yu-gi-oh serie > Yu-gi-oh / Vai alla pagina dell'autore: Evee