Anime & Manga > Kuroko no Basket
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Autore: mattmary15    11/01/2015    2 recensioni
La generazione dei miracoli si è sciolta e i suoi membri hanno preso direzioni diverse. Le loro strade sono però destinate ad incrociarsi di nuovo e questa volta dovranno confrontarsi con il potere più grande di tutti. Quello dell'amore.
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Altri, Daiki Aomine, Ryouta Kise, Taiga Kagami, Tetsuya Kuroko
Note: Lime, Missing Moments, Otherverse | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate, Triangolo
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Una frase di troppo


Forza di volontà. Taiga credeva di possederne in quantità illimitata ma si rese presto conto che per tenere a distanza Kuroko ne serviva ancora di più. Il ragazzo dalla scarsa presenza era sparito per un po’. In effetti partecipava agli allenamenti ma sembrava aver affinato la capacità di dileguarsi ogni qualvolta i palloni da basket venivano riposti. Lui era combattuto tra il desiderio di far tornare le cose come prima e l’imbarazzo di mettere le cose in chiaro. Che significava poi mettere le cose in chiaro? Parlare con Kise lo aveva aiutato ma affrontare Kuroko, spiegargli che teneva al legame con lui più che vincere contro qualsiasi rivale non era cosa affatto facile. Nel frattempo i giorni passavano e arrivò quello della partenza per il campo estivo. Riko, predisponendo per lui un allenamento speciale separato dagli altri, involontariamente lo aiutò a concentrarsi solo sul basket e per un po’ accantonò la ‘questione Kuroko’.
Inoltre nel campo estivo la Seirin si era ritrovata a dividere la pensione con lo Shutoku e, come se non bastasse il chiodo fisso di Aomine a sollecitare i suoi nervi, Kagami si era ritrovato di nuovo faccia a faccia con quello spocchioso di Midorima.
“A quanto pare, non sei migliorato affatto!” gli disse una sera mentre si allenava nel campetto vicino alla pensione.
“Questo lo credi tu! La prossima volta che incontrerò quel maledetto Aomine, non perderò!” gli rispose lui agitandogli un pugno sotto il naso.
“Non mi riferivo solo al tuo modo di giocare Bakagami!”
“Ah davvero? E a cosa allora?” fece eco Kagami cui bastava poco per fargli saltare i nervi.
“Nella vita ti comporti come sul campo! Uno schiacciasassi. Attento però, finirai con lo schiacciare anche quelli che sono intorno a te.” Disse Midorima sistemandosi gli occhiali sul naso “Fino a che ti limiterai a schiacciare, sarai sempre fermato. Tutti si aspettano solo questo da te. Non credi sia giunto il momento di impegnarsi sul serio? Kuroko non aspetterà per sempre!”
Midorima lo lasciò da solo a riflettere e lui sentì l’urgenza, impossibile ormai da contenere, di vedere Kuroko e chiarirsi con lui.  Tornò alla pensione ma Kuroko non c’era. Dove poteva essere finito quel benedetto fantasma?
Poiché non riusciva a liberare il cervello, decise che la maniera migliore per dare sfogo alla sua rabbia fosse fare ancora un po’ di attività fisica così raggiunse la spiaggia e si mise a correre.
La sua ombra si materializzò al suo fianco senza che se ne accorgesse.
“Kagami-kun posso correre con te?” Kagami non rispose ma accorciò il passo perché il ragazzo potesse rimanergli affianco. Kuroko sorrise. “Mi spiace, Kagami-kun. Io avrei dovuto parlarti prima.”
Kagami lo interruppe.
“Non sei tu a doverti scusare. Io non volevo ferirti quando ho detto che quello che abbiamo fatto contro la Touou fosse il nostro limite. Mi sentivo pieno di energia da sfogare. Se fosse stato possibile rigiocare subito la partita, lo avrei fatto. Forse, però, le cose sarebbero andate nello stesso modo perché non avevo ancora capito.”
“Capito cosa, Kagami-kun?” Kagami si fermò e afferrò Kuroko per le spalle.
“Che per vincere devi continuare a correre affianco a me. Da solo, non posso vincere ma soprattutto non voglio vincere. A che serve se tu piangi? Non voglio più vederti piangere, Tetsuya!”
Il cuore di Kuroko decise di giocargli un brutto scherzo e il ragazzo lo sentì salirgli in gola. Kagami, vedendolo sgranare gli occhi, lo mollò immediatamente e si fece tinta unita con i suoi capelli. Kuroko s’intenerì nel vederlo incapace di uscire da quella situazione e lo tolse d’impiccio.
“Grazie, Kagami-kun. Io resterò al tuo fianco. Sempre. Non permetterò a niente e a nessuno di separarci. E non mi fermerò. Darò il mio massimo e diventerò più forte. Non avere paura di diventare il miglior giocatore del Giappone. Quando ti volterai indietro, io sarò sempre lì a sostenerti, Taiga.” Kagami, che stava ancora cercando di dissimulare sicurezza, sussultò e si fece serio.
“Non mi volterò indietro”, disse di getto e Kuroko abbassò lo sguardo “perché io non ti lascerò indietro Tetsuya, tu sei il mio compagno!” Kuroko sollevò il capo e arrossì.
“Il tuo compagno, Kagami-kun?”
“Sì, cioè non in quel senso, cioè non che io non ci abbia pensato, cioè io non ci ho mai pensato, insomma siamo compagni, o no? Dannazione, Kuroko, perché devi sempre fraintendere?” fece Kagami in un crescendo di tono e rossore.
“Io non ho detto niente!”
“Appunto! Qualche volta potresti dire la tua, no?”
“Io sarei onorato di essere il tuo compagno”, fece Kuroko guardando Taiga dritto negli occhi.
“Onorato? Onorato? Che cazzo vuol dire onorato? Felice, disgustato, indifferente, innamorato ma non onorato!” urlò gesticolando Kagami.
“Innamorato.”
“Cosa?” chiese Kagami bloccando ogni azione in esecuzione, persino respirare.
“Tra le cose che hai detto è quella che si avvicina di più a come mi fa sentire essere il tuo compagno.”
“Tu sei innamorato?” Kuroko annui.
“Di te.”
“E lo dici così?” gridò isterico Kagami.
“E come dovrei dirlo, Kagami-kun? Tu come lo diresti?” Il cervello di Kagami dichiarò la resa totale. Si lasciò cadere sulla sabbia e scoppiò a ridere passandosi le mani nei capelli.
“Io non lo so,” sollevò il capo a guardare il ragazzo dai capelli chiari con uno sguardo talmente tenero che Kuroko non aveva mai visto “forse direi semplicemente che sei il mio compagno.”
Kuroko gli posò una mano sulla testa in un gesto che non avrebbe mai potuto fare se Taiga fosse stato in piedi.
“Per me va bene”, disse Kuroko guardando il mare. Kagami gli prese la mano e la strinse incapace di osare di più.
“Anche per me. Rimani al mio fianco, Tetsuya, non indietro. Accanto a me.” Kuroko gli porse il pugno come faceva in campo e Kagami lo toccò con il proprio mentre il cielo si riempiva di stelle.

La mattina successiva lo Shutoku aveva già lasciato la pensione quando Riko aveva messo in fila i ragazzi per fare l’ultima cosa prevista dal programma del campo estivo.
“Non torniamo a casa?” chiese Junpei.
“No! Prima ci rimane una cosa da fare. Qua vicino si gioca la semifinale dell’Interhigh tra Kaijo e Touou. Vi va di andare a vedere l’incontro?” chiese Aida. Non ci fu bisogno di mettere la cosa ai voti. 
Raggiunto il palazzetto, i ragazzi del Seirin presero posto. Kuroko era più silenzioso del solito e Kagami gli diede un colpetto al fianco col gomito.
“Cos’hai?”
“Hai visto la faccia di Kise-kun?” fece Kuroko senza muoversi. Kagami guardò verso la panchina del Kaijo e vide che Kise sembrava stranamente teso. Non aveva il solito sorriso che gli si dipingeva sul viso quando stava per scendere in campo. Forse era concentrato sulla partita? Poi lo vide. Un solo unico sguardo di Ryouta alla panchina della Touou. E anche se Kagami era davvero un tardone con le questioni sentimentali, capì. Per lui era stato relativamente facile mettere a posto le cose con Kuroko. In fondo stavano dalla stessa parte. Per Kise la situazione era completamente differente. Cosa avrebbe fatto lui se si fosse ritrovato Kuroko dall’altra parte della linea di centrocampo?
“Tutto bene, Kagami-kun?”
“Sì. Pensavo per la prima volta che non deve essere stato affatto facile per te ritrovarti a giocare contro i tuoi ex compagni. Dev’essere stata dura anche psicologicamente giocare contro Aomine.”
“Perché dici questo proprio adesso?”
“Perché non credo che sarà facile per Kise, giocare contro di lui. Psicologicamente, intendo.”
“Kise ha sempre ammirato Aomine. Per lui è la sfida più importante”, disse Kuroko e Kagami non se la sentì di continuare quella conversazione. Era diventato involontariamente confidente del biondo cestista e non voleva tradire quella confidenza improvvisa ma gradita.
Strinse i pugni sulle ginocchia e vide le squadre entrare in campo.

Kasamatsu era preoccupato. Prima di lasciare lo spogliatoio, Kise aveva pregato i suoi compagni di lasciargli provare a fare una cosa. Lo aveva detto in modo talmente determinato che, per la prima volta, Yukio aveva sentito che Kise era davvero un membro della famigerata generazione dei miracoli.
Adesso che entravano in campo sapeva che doveva fidarsi di lui. Se volevano battere la Touou era l’unico modo. Tuttavia Kasamatsu era preoccupato. Preferiva il Kise distratto e sempre allegro da riempire di calci a quella specie di concentrata macchina da punti che aveva affianco in quel momento. Anche il suo allenatore se n’era accorto e aveva deciso di accontentare Kise.
La partita cominciò con un Aomine stranamente deciso a darci dentro dal primo minuto. L’ace della Touou, inoltre, sembrava avere in mente solo il confronto con Kise e più si accorgeva che questo gli sfuggiva volontariamente, più s’inferociva e centrava canestri impossibili. Il divario tra le maglie nere e quelle blu si accentuava ad ogni minuto che passava.
“Sei ridicolo, Kise. E tu volevi battermi? Quando te ne farai una ragione, sarà sempre troppo tardi!” esclamò Aomine sputando in faccia a Kise tutta la frustrazione per quel comportamento strano del numero sette azzurro.
“Pensa alla partita!” Lo difese Kasamatsu. Quando Aomine era a distanza di sicurezza, parlò a Kise. “Quanto ti serve ancora? Il divario si sta facendo troppo grande.”
“Ci sono quasi. Passami la palla. Ci provo.”
“Bene allora,” disse sottovoce poi gridò alla squadra “andiamo!”
Mancava poco alla fine del primo tempo e, dopo l’ennesimo punto di Aomine, Kasamatsu passò subito la palla a Kise. Il biondo numero sette toccò la palla con un gesto fluido della mano e Imayoshi sussultò. Aveva riconosciuto il gesto con cui Kise aveva afferrato la palla. Era la stessa tecnica usata da Aomine. Kise lo fronteggiò e con una finta che Imayoshi sapeva perfettamente essere identica a quella usata dal numero cinque della sua squadra, lo lasciò sul posto. La palla però sfuggì a Ryouta e finì fuori campo proprio mentre la sirena suonava la fine del tempo.
“Troppo lento”, disse Kise e Imayoshi comprese mentre il numero sette si allontanava dal campo. Aomine lo vide allontanarsi dal suo gruppo e si chiese che diavolo stesse passando per la testa di quel maledetto.
Sugli spalti Kuroko si alzò e si affrettò a seguire Kise. Kagami gli diede un po’ di vantaggio poi gli andò dietro.
Kise aveva bisogno di respirare. Il cuore stava per scoppiargli nel petto. Copiare Aomine. Così aveva detto Akashi. Avrebbe richiesto un sacrificio, aveva detto. Che sacrificio? Lui si stava impegnando al massimo ma non ci riusciva. Aomine era davvero troppo forte. Era davvero troppo forte? Si rese conto, mentre il vento gli carezzava il viso, che non se lo era mai davvero domandato. Lo aveva sempre dato per scontato che fosse il più forte. Perché lo ammirava, perché gli voleva bene. Perché lo amava. Sorrise della sua stupidità.
In quel momento si accorse di Kuroko.
“Che stai facendo, Kise-kun?”
“Kurokocchi! Mi hai spaventato. Tu che ci fai qui?”
“Sono preoccupato per te.”
“Davvero, Kurokocchi?” esclamò con un’espressione felice Ryouta.
“Sì.”
“E perché?”
“Stai cercando di copiare Aomine?” Kise si portò una mano alla faccia.
“Te ne sei accorto?” Kuroko annuì “E credi sia impossibile?”
“Credo che tu possa farcela se è quello che vuoi.” Kise cambiò espressione.
“Credi che io possa vincere?”
“Non lo so.” Kise sorrise.
“Kurokocchi, a volte potresti anche mentire a fin di bene, sai? Lascia stare. Ce la metterò tutta. Tu fai il tifo per me, ok Kurokocchi?” disse voltandosi e tornando dentro il palazzetto. Dietro l’angolo quasi si scontrò con Kagami.
“Anche tu?”
“Ho seguito Kuroko”, disse Kagami.
“Geloso?” lo punzecchiò Kise.
“No. Abbiamo parlato.” Kise guardò il pavimento e Kagami strinse un pugno “Scusa.”
“Sono felice che tu e Kurokocchi vi siate chiariti. Ora però devo andare.”
“Kise, aspetta!”
“Sì?”
“In bocca al lupo”, fece Kagami allungando un pugno verso il ragazzo. Kise sentì qualcosa tirare nel petto.
“Scusami, Kagamicchi, non posso. Non adesso.” Kagami annuì e lo vide andare via.
“Proverà con tutte le sue forze anche se questo significa lasciarlo andare per sempre” disse Kuroko prendendo nella sua la mano di Taiga.
“Non deve farlo.”
“Se vuole confrontarsi alla pari con lui, deve dimenticare che Aomine ha un posto così importante ne suo cuore”, disse Kuroko.
“Se lo fa, sarà Aomine a perdere.” Kuroko guardò la sua luce negli occhi e capì che Kagami aveva maledettamente ragione. Aomine poteva vincere la partita ma se avesse perso l’amicizia di Kise per sempre ne valeva la pena?
Tornarono a sedersi sul fischi d’inizio del secondo tempo. Aomine fece altri due punti spettacolari. Sembrava giocasse col solo intento di umiliare Kise.
“Te l’ho già detto. Non sei all’altezza. Credi che anche se sono pieno di falli e tu hai fatto qualche giocata decente, mi tirerò indietro? Posso schiacciarti anche in questa situazione!” Lo derise Aomine e Kise si guardò le scarpe.
“Hai ragione. Non posso batterti finché, nel mio cuore, rimani su un piedistallo. Da questo momento, smetto di ammirarti. Da questo momento in poi non ti guarderò più come fossi la persona più importante per me.” Aomine non riuscì a fare il passo successivo. Che cazzo stava dicendo quel moccioso insolente? Che avrebbe smesso di ammirarlo? Che avrebbe smesso di essergli amico? Che avrebbe smesso di volergli bene? Che cazzo stava dicendo? Strinse un pugno.
“Fa come vuoi. Tanto l’unico che può battermi sono io.”
La partita riprese e la palla finì di nuovo a Kise.
“Hai detto che l’unico che può batterti sei tu. Che accadrebbe allora se ti ritrovassi di fronte un altro te stesso?” Kise abbassò lo sguardo e sorrise lanciandosi alla destra di Aomine il quale non riuscì ad impedire la fuga del suo avversario. Kise lo aveva copiato perfettamente ed era andato a canestro. La rabbia di Aomine divenne incontrollabile. Intendeva ridicolizzarlo? Si concentrò al cento per cento e comunque Kise continuò a copiare tutti i suoi movimenti recuperando punti su punti per il Kaijo.
Fu proprio mentre cominciava a pensare che si stavano avvicinando inesorabilmente alla Zone che se ne accorse. Nell’ultima giocata, Kise si era fatto male. Adesso ogni movimento sembrava costargli il doppio della fatica eppure non mollava. Continuava a copiarlo. Ed era bellissimo. Non si era mai fermato a guardarlo in quel modo. L’eleganza dei suoi movimenti, la semplicità con cui eseguiva giocate impossibili e i suoi occhi. I suoi occhi di oro fuso che scintillavano sotto la fronte imperlata di sudore. Perse la giocata e il Kaijo si ritrovò tra le mani la palla che poteva cambiare il destino della partita. Le mani erano quelle di Ryouta.
“Cosa farebbe lui?” si ritrovò a pensare il biondo “Andrebbe a destra? No, fingerebbe e poi andrebbe a sinistra. Non posso sbagliare, è l’occasione che aspettano tutti. Devo farlo per la squadra. Già, ha ragione Kuroko, qui non c’è in gioco solo la mia sfida con lui, c’è in gioco la voglia di vincere di tutti.” Diede uno sguardo a Kasamatsu e passò la palla.
La palla però, non arrivò a Kasamatsu. Aomine, col suo sorriso beffardo, gliela buttò fuori dal campo.
“Alla fine, hai fallito. Non che tu non ci abbia provato! Vedi, io non avrei mai passato la palla ed ero certo che tra noi rimarrà questa differenza. Tu ragioni come Kuroko. Hai perso, Kise.”
Le parole di Aomine lo trafissero come coltelli pronti a riaprire ferite mai davvero guarite. Lui era come Kuroko agli occhi di Aomine? Aveva perso?
Lo scappellotto di Yukio arrivò forte alla nuca.
“Muoviti, difesa!” Kise sorrise. La partita non era finita. Si lanciò a difendere la propria area e lottò per tutto il resto del tempo anche se non potette fare più nulla per impedire la sconfitta. Quando l’arbitro decretò il finale, Kise rimase a terra. Durante il secondo tempo aveva capito che il sacrificio cui si riferiva Akashi non era solo sentimentale ma anche fisico. Il suo corpo non era ancora pronto per quel tipo di gioco ma lui non aveva voluto tirarsi indietro. Ora che la partita era finita le sue gambe non volevano saperne di muoversi.
Aomine e Imayoshi erano ad un passo da lui. Aomine guardava fuori dal campo. Non voleva farsi vedere in quello stato e provò, senza risultato a rimettersi in piedi. Le lacrime gli sgorgarono dagli occhi per la rabbia e l’umiliazione. Quanto avrebbe desiderato le braccia forti di Kagami in quel momento! Bugiardo. Mentiva. Avrebbe voluto solo che Aomine gli tendesse una mano come quando passavano i pomeriggi ad allenarsi alla Teiko. Fu allora che lo senti. Il capitano della Touou stava parlando con Aomine.
“Quello non è tuo amico? Non dovresti aiutarlo? Magari dirgli qualcosa.”
“Non c’è niente che un vincitore possa dire ad un perdente.”
Kise avrebbe voluto urlare, alzarsi, scappare da lì e urlare. Maledette gambe che non ne volevano sapere. Aomine gli lanciò un’occhiata e lo vide piangere. Sentì una fitta al petto e immaginò di muoversi e tirarlo su dicendogli di smettere di piangere come una femmina. Fu allora che lo vide.
Kasamatsu si avvicinò deciso e si chinò per tirarlo su. Aomine vide le sue mani afferrare il torace di Kise e far aderire il corpo di Ryouta al proprio. Lanciò lontano l’asciugamano che gli aveva passato Sakurai e lasciò la palestra.

  
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