[Hillr]
Il
siniscalco di Gil'ead si sentiva umiliato, piccolo e schiacciato come
uno scarafaggio.
Quando Alba era venuta da lui, in piena notte,
per informarlo del ritorno del suo padrone e dell'elfa, erano rimasti
svegli per un'ora intera per macchinare un piano.
Il mattino
seguente, lui avrebbe dovuto intrattenere il governatore Durza,
mentre Alba avrebbe convinto l'elfa a seguirla fuori dalla
città e
lì l'avrebbe uccisa. A quel punto l'avrebbero accusata di
essere
fuggita di sua spontanea volontà e avrebbero sostenuto che
Alba si
era lanciata al suo inseguimento per fermarla, finendo poi per
ammazzarla per difendersi da un suo comportamento aggressivo.
Non
sembrava difficile da realizzare e aveva accettato di buon grado,
anche perché quella soluzione gli avrebbe permesso di
rimanere in
qualche modo fuori dalla situazione, e quindi innocente agli occhi
del suo signore. Era decisamente un'idea migliore di quella di farsi
ammazzare pur di liberarsi di quella malefica creatura dai capelli
neri come inchiostro e occhi di un verde così improbabile da
risultare demoniaco.
Peccato che nulla fosse andato come avevano
previsto.
Aveva bloccato Durza lo Spettro -ancora in malandati
abiti da viaggio- all'ingresso delle prigioni e lo aveva tempestato
di informazioni sull'andamento dell'ordinaria amministrazione di
Gil'ead, riferendogli anche le più inutili piccolezze. Il
suo
padrone era rimasto immobile ad ascoltarlo, palesemente seccato, per
qualche minuto, ma poi aveva inclinato la testa di lato e corrugato
la fronte, per poi correre a tutta velocità in direzione
delle sue
stanze.
Se si fosse preso due minuti per riflettere avrebbe
probabilmente abbandonato il piano e si sarebbe ritirato nelle sue
stanze, ma si era ritrovato ad inseguirlo, d'istinto. Alba l'aveva
coinvolto nel dibattito per metterlo contro l'elfa e in quel momento
l'uomo si era reso conto che il suo signore era veramente infatuato
di quell'essere, più di quanto avesse immaginato. E si era
ripromesso di aprirgli gli occhi.
Ma poi Alba aveva detto qualcosa
di sbagliato e lui era fuggito come un codardo di fronte allo sguardo
vacuo e infuocato di Durza.
Era rimasto a lungo nelle sue stanze,
a piangere il suo destino crudele, che lo voleva sempre implicato in
situazioni troppo grandi, che lui non era in grado di affrontare.
Poi
aveva visto Alba scendere in cortile e le era corso dietro.
La
giovane indossava un mantello leggero e aveva i capelli biondi
stranamente sciolti sulle spalle, impegnati a coprire la parte
superiore di una sacca da viaggio stracolma.
«Alba!» l'aveva
richiamata.
E lei si era voltata, con un'espressione addolorata e
insieme risoluta stampata in volto.
Era bellissima, come al
solito, e se ne stava andando.
«Abbiamo fallito» aveva
dichiarato lei.
«E hai già rinunciato?»
«Ho parlato con
Durza e so per certo che non ci sarà una seconda occasione
per
poterci liberare dell'elfa. Per questo me ne vado: ora non ho
più
nulla da fare qui».
«E dove andrai?»
«A sud, credo. A
cercare un nuovo alleato e una nuova occasione».
La sua
affermazione era così vaga da confonderlo inevitabilmente.
«Che
genere di occasione?»
Aveva sorriso innocentemente. «So che c'è
un eremita nelle lande tra l’Helgrind e le Pianure Ardenti.
Per il
momento mi rifugerò lì. Non lo conosco, ma credo
che non
disprezzerà la mia domanda di diventare sua allieva. Se
avrai
bisogno di me potrai sempre mandare qualcuno a cercarmi».
«Mi
sfugge il perché».
«Voglio perfezionare la mia arte magica. Non
guardarmi così, mi è necessario, e potrebbe
essere utile anche a te
se in un futuro diventerai governatore di Gil'ead».
«Non lo
diventerò mai» aveva obbiettato lui. «Il
nostro signore è
immortale, lo sai».
Sempre sorridendo ampiamente, la donna si era
avvicinata a lui. «Durza non rimarrà a lungo a
Gil'ead. Non so
dirti cosa succederà esattamente, ma vedrai che in un paio
di mesi
qui ci sarà un posto vacante e, se saprai giocare bene le
tue carte,
potrai facilmente prendere il potere al posto di Durza».
«Non
tradirò mai il mio signore!» aveva esclamato,
indignato.
E
sapeva che non avrebbe mai cambiato idea, né per tutto l'oro
del
mondo, né per qualsiasi seggio governativo. Durza lo Spettro
gli
aveva salvato la vita e dato un futuro e lui non sarebbe stato
così
ingrato da dimenticarlo.
Ma Alba era scoppiata a ridere
sommessamente, coprendosi i denti bianchi con la mano.
«Non
voglio che tu lo tradisca» gli aveva sussurrato.
«Le cose stanno
cambiando, gli equilibri di Alagaësia stanno vacillando e il
re ha
un punto debole che potrebbe essere sfruttato per
sconfiggerlo».
«Non
mi starai dicendo che il nostro signore complotta contro di lui,
vero?» aveva chiesto con timore, riducendo la voce ad un
sussurro,
tanto che temette che lei non l'avrebbe nemmeno sentito.
E invece
lo sentì alla perfezione. «Nel caso fosse
così lo tradiresti?» lo
aveva provocato.
«No».
«Allora fidati di me: rimani al
servizio di Durza e mostrati disposto alla più cieca
obbedienza,
anche a rinunciare di mettere le mani sull'elfa. Tra qualche mese la
situazione può aver preso due pieghe: o il re
avrà ucciso Durza o i
Varden avranno insediato un nuovo governo. In entrambi i casi potrai
sfruttare le tue capacità e dimostrarti disposto a
collaborare,
magari scaricando tutte le colpe su Durza stesso, e sono certa che
non ti sarà negato un posto di prestigio. Dimostra che
nessuno
possiede la tua fedeltà e chiunque siederà sul
trono vorrà
accaparrarsela. In ogni caso, ti prego, avvisami di come si evolvono
gli eventi».
Un po' scosso, aveva annuito. «Va bene, ti
ringrazio».
Lei gli aveva afferrato le mani. «Allora a presto,
amico mio. Manda un messaggero a cercarmi con un qualche segno di
riconoscimento -anche una lettera con le tue sigle- e se
vedrò un
uomo vagare tra l’Helgrind e le Pianure Ardenti
saprò riceverlo e
rimandartelo qua a Gil'ead con una risposta». Si era portata
le sue
mani sul petto, all'altezza del cuore. «In me avrai sempre
una
preziosa alleata, ricordati».
E poi era corsa via, bella come un
sogno, con i capelli di seta che ondeggiavano dietro di lei. E lui
l'aveva lasciata andare, un po' a malincuore. Quella ragazza era
strana: inizialmente era stato spaventato da lei, perché
sapeva che
praticava la magia -e lo dimostrava il fatto che, nonostante la
conoscesse da vent'anni non sembrava invecchiata affatto, forse
grazie a qualche incantesimo- ma in fondo era sempre stata gentile
con lui e, dopo la fuga dell'elfa dalla sua stanza, lo aveva
avvicinato e gli aveva proposto una sorta di alleanza contro quella
creatura. E lui aveva accettato volentieri, trovando in lei una degna
confidente. In quel momento non si era sentito un traditore nei
confronti del suo signore, si era sentito l'eroe che l'avrebbe
salvato dal compiere errori di cui si sarebbe duramente pentito.
Ma
aveva fallito e ormai aveva anche perso la sua alleata.
E come se
non bastasse, Durza non aveva accettato di parlare con lui per tutto
il pomeriggio e nemmeno il mattino dopo. Sapeva che era nella sua
camera da letto con l'elfa e che lei doveva avergli detto qualcosa su
di lui. Qualcosa che il suo padrone doveva aver preso sul serio,
tanto da non volere nemmeno vederlo.
Così si rifugiò nel suo
studio, dove svolgeva i doveri di governatore in sua vece. E si mise
a riflettere sulla sua vita.
Aveva ormai superato la mezza età e
non aveva combinato assolutamente nulla. Né di buono
né di
cattivo.
Era sempre vissuto all'ombra di qualcuno: sua madre prima
e Durza lo Spettro poi. Non aveva mai potuto dimostrare a nessuno le
sue abilità e nessuno gliele aveva mai riconosciute. Certo,
il suo
signore lo aveva salvato dalla morte, ma lo aveva sempre trattato
alla stregua di un servo, nonostante facesse tanto per lui.
Praticamente governava Gil'ead al posto suo, visti i numerosi viaggi
che egli compiva per tutta Alagaësia, con brevi soste di non
più di
qualche mese nella città che gli era stata affidata dal
re.
L'umiliazione che aveva sentito per l'atteggiamento del suo
padrone si trasformò in rabbia. Ma poi la rabbia si spense e
divenne
determinazione.
Alba gli aveva detto il vero, ne era certo. Lei
non gli avrebbe mentito mai. E se Durza lo Spettro avesse davvero
abbandonato il suo seggio, allora lui avrebbe preso il suo posto e
sarebbe diventato qualcuno, finalmente. Non il figlio bastardo, non
il figlio della strega, non il leccapiedi del mostro.
Ma Hillr, il
governatore di Gil'ead.
E quelle stesse persone che avevano
condannato e arso viva sua madre avrebbero dovuto seguire i suoi
comandi e concedergli il loro rispetto.
Non doveva nemmeno tradire
il suo salvatore, doveva solo ubbidirgli e aspettare. E lui avrebbe
aspettato. Non faceva altro da quando era venuto al mondo.
[Arya]
Il
mio incubo era stato meno pesante del solito quella notte,
così
potei riposare più serenamente fino all'alba, quando Durza
si spostò
lievemente, ridestandomi.
Nonostante fossi ormai sveglia, giacqui
accanto a lui per un'altra buona mezzora, con la testa posata sulla
sua spalla nuda e la coperta imbottita sollevata fino al mento, fino
a che non sentii il suo respiro diventare più forte, segno
del suo
imminente risveglio. E in effetti lo Spettro schiuse gli occhi
cremisi un istante dopo e mi stampò prontamente un bacio
sulle
labbra.
«Apro le tende» decretò. E
scattò in piedi per
eseguire.
Scesi a mia volta dal materasso e mi stesi l'abito
stropicciato sulle cosce, lisciandolo.
«Durza che ne dici di
procurarmi un paio di pantaloni e una camicia?» domandai.
Lui
spalancò le tende, inondando la stanza della lieve luce del
sole non
ancora sorto e mi squadrò da testa a piedi.
«Così mi piaci,
Principessa».
«Non ho chiesto il tuo parere»
osservai.
«Diamine, come ho potuto credere di contare qualcosa
per te!» rispose con sarcasmo, aprendo la porta della sala da
bagno
e sparendovi all'interno.
Sentii lo sciacquio tipico di una massa
d'acqua in movimento e capii che si stava lavando il viso nel catino
incastrato sul piedistallo accanto allo specchio, che ben
conoscevo.
«Non capisco perché una donna non possa indossare
i
pantaloni, tra gli umani. Insomma sono decisamente più
pratici di
una gonna».
«Alla corte degli elfi li porti spesso?» mi
gridò
Durza dalla stanzetta.
«Poco» ammisi. «Ma sono in casa tua, non
alla corte degli elfi».
Lo Spettro si sporse dalla porta e mi
sorrise. «In ogni caso dovrò ridarti i vestiti che
avevi addosso
quando ti ho catturata, Arya. Lord Barst potrebbe avere la cattiva
idea di ricordarli e non credo che ci sia nulla di sospetto
nell'averti cambiato abiti, ma non si sa mai».
«Li hai
conservati, vuoi dire?» mi informai dubbiosa.
Annuì. «Da
qualche parte in una delle cassapanche lì dietro».
E accennò al
paravento.
Trovammo i miei vecchi vestiti -puliti- ammucchiati in
una sacca di iuta, insieme ai miei vecchi stivali. Guardai il tutto
presa da sentimenti e ricordi contrastanti: libertà, il
fuoco, le
torture, una vita così lontana che non sembrava nemmeno mia.
Durza
pareva intenzionato a lasciarmi qualche istante per me e -aperta
l'altra cassapanca- iniziò a vestirsi. Non serviva essere
esperti
per capire che gli indumenti che aveva indossato per tutto il nostro
viaggio erano di qualità di gran lunga inferiore di quelli
che stava
estraendo in quel momento: una camicia morbida e una casacca che
sembrava di velluto nero. Insieme ad un paio di stivali lucidi e
decisamente più nuovi di quelli marrone scuro che aveva
indossato
per correre. Tuttavia ad attirare la mia attenzione fu una specie di
piccola borsa che estrasse per ultima e indossò a contatto
con la
pelle.
«Cos'è?»
Lo Spettro mi guardò sorpreso, forse
credendo che fossi intenta a rimirare i miei abiti, piuttosto che
guardare lui vestirsi. Mi imbarazzai un poco e scostai gli occhi da
lui per riportarli sui miei vecchi pantaloni neri.
«Si tratta di
una protezione per il cuore, piccola Elfa. Vuoi vedere?»
Alzai lo
sguardo e lo seguii incuriosita mentre si allacciava quella che a
prima vista era sembrata una sacca, mentre in realtà doveva
essere
un cuscinetto imbottito e corazzato. Una metà andava sul
torace e
l'altra sulla schiena.
«Non mi protegge totalmente» mi informò
Durza. «Una lama potrebbe passarmi dalle clavicole o tra le
costole,
sul fianco. E decisamente non mi salverebbe da un colpo di spada ben
assestato. Ma in ogni caso potrebbe risparmiarmi una morte
idiota».
Mi alzai e sfiorai la placca corazzata, picchiettando
leggermente l'indice su di essa. «È una
precauzione saggia»
concessi. «Sei mai..?»
«Morto?» Ghignò.
«Esatto».
«No.
E non chiedermi come funzioni il processo di rigenerazione
perché
non ne ho la più pallida idea. So solo che se anche mi
spaccassero
la testa non morirei totalmente».
«Quindi non sai nemmeno quando
morirai di morte naturale?»
Scosse la testa. «Non sono nemmeno
sicuro che morirò. Credo che comunque ci sarà
qualche segnale del
mio decadimento fisico prima di ritrovarmi nel nulla».
«Sembri
ancora un uomo giovane» lo rassicurai. «Quando ti
ho visto il
giorno dopo l'agguato non ti avrei dato più di venticinque
primavere. Umane, ovviamente».
«Effettivamente dovevo avere
circa venticinque primavere quando sono diventato uno
spettro»
disse. «Mio padre sapeva contare, ma non credo che abbia mai
seguito
l'età mia e di mia sorella, quindi non ne sono
certo».
Stavo per
chiedergli di raccontarmi del suo passato e della sua famiglia, ed
ero certa che in quel momento mi avrebbe risposto, ma a quel punto
qualcuno bussò alla porta.
«Mio signore sono io» fece la voce
di Hillr.
«Non ora!» lo cacciò lo Spettro
aspramente.
«Forse
ha visto qualcosa di troppo» osservai, ricordando lo sguardo
acceso
di odio che mi aveva lanciato.
Hillr mi detestava e mi aveva più
volte minacciata. E non escludevo che si sarebbe abbassato a compiere
qualche atto avventato pur di farmi sparire dalla sua vista.
Già
sospettavo la sua complicità con Alba vista la sincronia con
cui
aveva trattenuto lo Spettro in modo che lei potesse venirmi a
parlare, da sola.
Ma forse era solo la mia immaginazione.
«Non
mi tradirà» insistette Durza.
«Nemmeno Alba doveva
tradirti».
Schioccò la lingua contro il palato.
«Sarà meglio
che faccia un discorsetto con Hillr, allora. Gli dirò di
tenere la
bocca chiusa su di te».
«E per quanto riguarda i miei abiti?»
mi informai accennando alla pila che giaceva ai miei piedi.
«Tienili
da parte. Non mi sembravano troppo malmessi e credo che dovresti
indossarli quando ci sposteremo verso Uru'baen».
«D'accordo».
Li raccolsi e li riposi nella cassapanca.
Lo Spettro finì poi di
vestirsi -indossando lo stesso mantello di pelli di serpente che
aveva indosso il giorno che aveva affrontato Lord Barst- e
uscì,
alla ricerca di Hillr. Per il resto del giorno lo vidi solo a pranzo,
quando venne in camera con un vassoio ricolmo di cibo, e all'ora di
cena, quando mi venne a prendere e mi trascinò con
sé in una stanza
poco lontana dalla sua camera da letto: il suo studio.
Era una
stanza semplice, con una grande scrivania che ospitava pile di carte
ordinate e una sola sedia, così che chiunque venisse
ricevuto fosse
costretto a rimanere in piedi.
Un candeliere con cinque candele
era posato sul tavolo, ma la luce del sole morente illuminava ancora
l'ambiente a sufficienza, nonostante l'unica e piccola
finestra.
Durza sgomberò un angolo della scrivania e vi
spostò
il vassoio contenente la cena, facendomi cenno di servirmi. Poi
occupò la sedia e picchiettò una mano sulle
proprie gambe.
«Se
vuoi ti ospito».
«Un'altra sedia, no?»
Sorrise
sinistramente. «Proprio no».
Sedetti sul tavolo, accanto al
vassoio e mi servii con appetito. Avevo passato la giornata
rispolverando gli esercizi di Rimgar e mi sentivo piuttosto
indolenzita, oltre che affamata.
«Non ti abbandonerò più per un
giorno intero» disse lo Spettro. «Credo di aver
convinto Hillr a
stare al suo posto -anche se continuerà ad odiarti
finché camperà-
e ho incaricato un uomo di mandare un messaggio a Dras-Leona: voglio
essere informato su tutto ciò che succederà,
anche se purtroppo
abbiamo perso Ditolesto».
«Ti riferisci a ciò che ti ha detto
Alba prima di andarsene?»
«Alba mi ha detto che delle spie a
Belatona hanno avvistato il figlio di Morzan. E a quanto pare
Galbatorix in persona andrà a Dras-Leona per richiamare
Tàbor
all'ordine. Non sono sicuro che sia quello il vero scopo del suo
viaggio, il re non abbandonerebbe mai il suo palazzo e la sua ricerca
se non ci fosse un valido motivo di farlo» disse.
Non ci avevo
pensato. «Hai una teoria?»
«Galbatorix sta inseguendo Murtagh,
il figlio di Morzan».
Corrugai la fronte. «Che interesse ha il
re per il figlio di Morzan?»
«Cosa sai del ragazzo?»
«Solo
che esiste e che, per quanto ne sapevo, viveva alla corte del re.
Quindi davo per scontato che fosse al suo servizio».
«Allora
lascia che ti dia qualche ragguaglio». Si accomodò
meglio sulla
sedia. «Murtagh è stato abbandonato dalla madre e
il padre è stato
ucciso..»
«.. da Brom» completai.
Fece un cenno di assenso.
«Il re non si è interessato a lui
finché non è diventato un uomo
e allora ha cercato di tirarlo dalla sua parte, ma il giovane non
è
mai stato molto convinto di una simile possibilità e alla
fine ha
cercato di fuggire».
«E ce l'ha fatta, a quanto pare. Ma non
capisco il punto».
«Sai c'è una certa.. familiarità
nell'ordine dei cavalieri».
«Cioè?»
«Che i figli di
cavalieri hanno più possibilità di diventare
cavalieri a loro
volta» specificò.
Capii il nesso e smisi di masticare per
qualche istante. Poi deglutii e tornai a parlare: «Vuole fare
schiudere le altre uova, non è vero?»
«Ne ha ancora due»
confermò. «E potrebbe dar loro una lieve
spinta».
«Con la
magia».
«Ovviamente».
«Forse avremmo dovuto cercare il
figlio di Morzan e portarlo via con noi» dissi, scoraggiata.
«Ma
come sai che andrà a Dras-Leona?»
«Non lo so. Ma è una delle
poche vere ragioni che spingerebbe il re a muoversi da Uru'baen. E
inoltre sono sicuro che la notizia dell'avvento di un nuovo cavaliere
si sta diffondendo. Un drago non passa inosservato e nemmeno i
Ra'zac. Poche parole alle persone giuste e chiunque sarebbe capace di
fare due più due».
Già. Passano i Ra'zac, poi passa un drago.
Il drago sta inseguendo i Ra'zac.
E chi non vorrebbe l'amicizia di
un giovane cavaliere, presumibilmente ancora libero da una qualsiasi
affiliazione agli schieramenti di Alagaësia?
«Il re lo
troverà?»
«Sì, se non sarà abbastanza furbo da
scappare in
tempo. Ma non escludo che si sia già aggregato al cavaliere
e al suo
drago».
«Brom non lo accetterebbe mai» lo smentii.
«Prima di
tutto perché non saprà mai se è degno
di fiducia, visti i suoi
natali e gli anni passati alla corte di Galbatorix, e poi
perché gli
attirerebbe solo ulteriori attenzioni addosso. E come hai
già detto
tu un drago non ha bisogno di essere annunciato».
Durza si ripulì
le mani su un tovagliolo di stoffa e poi le incrociò
sull'addome.
«Speriamo che non venga preso e continuiamo per la nostra
strada»
tagliò corto. «Dai a Galbatorix un altro paio di
settimane, non più
di tre in tutto, e mi ordinerà di portarti ad Uru'baen.
Forse ormai
non gli interessa avere informazioni sull'uovo -che è
decisamente
schiuso- ma potresti comunque servirgli per fare pressione sugli
elfi».
«Che le ignorerebbero» lo informai.
Posò il viso
sulla mano e mi scrutò interessato. «Quindi dicevi
sul serio quando
sostenevi che gli elfi non avrebbero ceduto di un passo nemmeno per
te che sei la loro principessa».
«Non sono l'erede al trono,
Durza, mi sembrava di avertelo spiegato».
Si strinse nelle
spalle. «Tra gli esseri umani è inconcepibile che
il figlio del
sovrano non sia anche l'erede. Tranne quando il legittimo re viene
spodestato e la sua famiglia massacrata ovviamente. E se anche fosse
rimasto un erede dei Broddring dubito che si farebbe avanti a questo
punto».
«Già» confermai, afferrando la brocca
d'acqua e
versandone un poco nel suo bicchiere, che ingollai in un
attimo.
Trovai gli occhi dello Spettro puntati sul mio collo e le
sue labbra sottili atteggiate in un lieve sorriso.
«Ti ho mai
detto che sei bella, Principessa?»
«No» replicai. «Hai detto
che sono troppo piatta per essere una donna e mi hai proposto di
tenere le curve di Alba».
Fece una smorfia. «Mi sa che già
allora mi piacessi».
«Sei uno sfacciato bugiardo».
Si alzò
dalla sedia. «E tu hai addosso un vestito di
troppo.»
«Te l'ho
detto che pantaloni e camicia sono più pratici».
Durza mi si
parò davanti e separò dolcemente le mie
ginocchia, facendosi spazio
tra le mie gambe. «Non da togliere, Piccola Elfa».
E mi scostò i
capelli su una spalla, per poi depositare baci e morsi sulla mia
pelle.
Gli strinsi il viso tra le mani e lo baciai.
«Questo
è un sì?» si accertò ridendo.
A dire il vero non ero
particolarmente entusiasta all'idea di ripetere l'intera
l'esperienza: quella notte a Dras-Leona si era rivelata
principalmente dolorosa per me, ma ricordavo anche che Durza ne era
stato felice, quindi lo avrei lasciato fare volentieri.
Gli
accarezzai il petto e sciolsi i lacci della sua casacca.
«Sì»
soffiai contro il suo collo.
«Siamo di nuovo su un tavolo, Arya.
Non preferiresti un letto stavolta?»
E senza aspettare una mia
risposta mi strinse la vita e mi tirò giù dalla
scrivania. Il
candelabro accompagnò i nostri passi nel corridoio, in
direzione
della camera da letto dello Spettro. Durza lo posò sul
tavolinetto
accanto al baldacchino e scostò le coperte dal materasso,
poi si
voltò verso di me e mi fece cenno di avvicinarmi, con un
ghigno
rapace stampato in volto.
Lo spogliai, gettando a terra la sua
casacca, la sua camicia e la protezione che aveva sul cuore,
sfiorando la sua pelle nuda, così pallida da sembrare
trasparente
contro quella scura delle mie mani. Disegnai con attenzione i
contorni del suo corpo asciutto, che avevo conosciuto, ma mai
esplorato; giocherellai con il sole d’argento e Durza mi
guardò
come un cervo dato in pasto ad un lupo, mentre la pelle d'oca gli
spuntava addosso.
Lo Spettro mi piegò sul materasso e le sue
labbra scesero indiscrete ad impossessarsi della porzione di pelle
subito sotto le clavicole. Scivolai sul letto e sprofondai nel
materasso sotto il peso del suo corpo, peso che accolsi con un
sospiro di beato abbandono.
Se nello studio la mia testa era
arrivata alle dovute conclusioni, in quel momento il mio corpo
sembrava parlare una lingua diversa. Alle carezze frettolose e ai
baci di Durza mi sentivo sciogliere, avvampare, precipitare in un
pozzo oscuro senza fondo e quelle sensazioni si facevano solo
più
intense di minuto in minuto.
Ma quando sentii le sue dita muoversi
agili sui lacci dell'abito mi sporsi bruscamente in direzione del
tavolinetto e soffiai sulle candele, spegnendole. Peccato che il
tramonto schiarisse ancora la stanza.
Lo Spettro ridacchiò,
insinuando le mani sotto di me per sciogliere i nodi sulla schiena.
«Ti vedo lo stesso, piccola Elfa».
«Allora faresti meglio a
tirare le tende» lo informai.
Mi ero guardata nuovamente allo
specchio, il giorno precedente, e avevo visto gli strati di cicatrici
che deturpavano il mio corpo. Non le avevo cancellate,
perché il
nostro piano prevedeva di usarmi come diversivo con Galbatorix, che
avrebbe sicuramente reputato strana la totale assenza di segni delle
torture subite su di me, tuttavia sapevo di non essere
particolarmente attraente in quelle condizioni.
Durza forse non le
aveva viste, la notte al Covo, e doveva averle dimenticate
perché
sussultò, non appena mi ebbe sfilato il vestito di dosso.
«Chiudo
le tende?» domandai gentilmente.
Lo Spettro mi guardò con occhi
seri e ridotti a fessure, poi si chinò su di me, si
liberò anche
della fascia e tempestò la mia pelle offesa di lenti baci
sensuali.
Restai rigida qualche istante, poi finii per
abbandonarmi alle sensazioni piacevoli della sua bocca e delle sue
mani su di me, mentre il respiro cominciava a mancarmi,
trasformandosi in lieve affanno.
Ma l'abbandono lasciò presto
spazio a qualcos’altro. Una sensazione di mancanza
incredibile che
pareva causata da quelle stesse mani e dalle labbra che
all’improvviso mi sfiorarono la spalla sinistra, seguendo il
disegno dello Yawë. Mi sembrava che in qualche modo Durza
potesse
saziare quel vuoto, ma più lo baciavo più quella
sensazione
sembrava aumentare.
Resa impaziente dalla frenesia che sentivo
montarmi dentro, mi sfilai le brache con un paio di rapidi movimenti
e lo tirai a me, accogliendolo tra le mie braccia.
Aspettai il
dolore, ma non venne. Aspettai la bella sensazione che avevo provato
la prima volta, ma le mie aspettative furono nuovamente
sconvolte.
Fui totalmente e inaspettatamente travolta dal piacere.
Gemetti sorpresa, artigliando le braccia dello Spettro e stringendo
convulsamente le gambe intorno alla sua vita.
Durza si fermò di
scatto, le mani ai lati della mia testa, e mi fissò
allarmato.
«Diamine! Ti ho fatto male?»
Ma davvero? La volta precedente mi
aveva fatto male e non si era accorto di nulla, e ora che tutto
sembrava andare bene mi guardava preoccupato.. e si riteneva anche un
abile lettore dei sentimenti altrui?
Oh, non avevo tempo per
pensare a simili sciocchezze!
«No» bisbigliai in tono quasi
supplice, spostando le mani sulla sua schiena e tirandolo bruscamente
verso il basso.
Lo Spettro cadde sui gomiti e le sue labbra
urtarono con violenza contro le mie, ma quando ricominciò a
muoversi
mi ritrovai a gemere ancora e non certo per il dolore.
Ebbi
caldo, poi freddo, poi caldo e freddo insieme, poi sparirono i suoni
e i colori e poi si mescolarono in una confusa sinestesia. Le mie
unghie troppo corte scivolarono sulla sua pelle, il mio corpo
seguì
le sue mosse e la mia mente sfiorò la sua.
E
fui sommersa da una quantità tale di sentimenti e sensazioni
che mi
parve di essere sul punto di scoppiare.
«Durza»
singhiozzai.
E poi mi sbriciolai in mille pezzi.
Dopo
giacqui senza fiato, ancora avvinghiata a lui, tremando di emozione.
Qualche minuto più tardi lo Spettro si sollevò
sui gomiti e mi
guardò con espressione teatralmente sconvolta.
«Ehi tu!» ansimò.
«Che ne hai fatto della donna algida che ho incontrato cinque
mesi
fa?»
Gli diedi un colpo sulla nuca. «Idiota».
Con un sorriso
arrogante, sprofondò di nuovo il volto nella curva della mia
spalla.
«Non mi stavo lamentando!» puntualizzò
un istante dopo,
sollevando un indice.
Scoppiai a ridere.
Quando provai ad
alzarmi, il mattino seguente, fui nuovamente trascinata giù
dalle
braccia forti di Durza, che mi spinse sotto di sé e
iniziò a
baciarmi. Inizialmente ne risi, poi finii per stringere a me il suo
corpo bollente e cedere agli stessi brividi della sera precedente.
E
lo stesso si ripeté molte volte nei giorni seguenti. Ancora,
ancora
e ancora.
Durza aveva il fuoco nelle vene e, fosse dipeso solo da
lui, mi avrebbe spinta nel suo letto non meno di una volta al giorno.
Io ero diversa e mi rendevo conto io stessa di essere più
cauta e
meno propensa a cadere nel vortice della passione, tuttavia
solitamente lo lasciavo fare e provavo comunque sensazioni molto
gradevoli, anche se non ero accecata dal desiderio. E quando ero io a
volerlo non facevo certo la preziosa e non mi facevo problemi a
cercarlo per strappargli anche solo un lungo bacio.
Lo Spettro
rimaneva con me per molte ore e un giorno mi portò anche
fuori dalle
mura interne di Gil'ead, dandomi sembianze diverse e facendomi
indossare un mantello, ovviamente. Mi accompagnò da uno
speziale e
mi lasciò comprare l'occorrente per fabbricare dell'altro
Nasgalk.
Fu in quell'occasione che ricordai delle spie dei Vardem
che sapevo avere una base o due in città. Non dissi nulla a
Durza,
sia perché non vedevo come la cosa potesse ormai
interessarlo, sia
perché mi sentivo ancora molto vincolata all'organizzazione
ribelle
e non volevo rivelare nulla che avevo giurato di tenere per me.
Nemmeno a quello che ormai era diventato il mio compagno.
Allo
stesso tempo la farsa della mia prigionia andava avanti, e non era
raro che Durza restasse qualche ora nelle segrete, a fingere di
torturare la mia immagine-specchio, mentre io rimanevo nelle sue
stanze a praticare esercizi di Rimgar ed esercitarmi con Ren.
Tre
giorni dopo il nostro rientro a Gil'ead, fui assalita nuovamente da
una di quelle visioni ad occhi aperti, che già due volte mi
aveva
presa, a Dras-Leona. Vidi nuovamente il drago e il giovane cavaliere,
ma il volto sfocato del ragazzo era inondato di lacrime e chiazzato
di sangue.
Durza non seppe aiutarmi, ma era palesemente sollevato
che la visione mostrasse i due ancora in piena libertà e non
sotto
il dominio del sovrano. Sempre che quelle immagini corrispondessero
al vero.
I miei incubi notturni non erano scomparsi, anche se si
erano fatti meno violenti e almeno quel problema divenne di
importanza più marginale.
Ma l'idillio non poteva durare,
ovviamente.
Una settimana dopo il nostro arrivo a Gil'ead vidi
Durza sobbalzare al mio fianco e portarsi una mano al petto.
«Arya»
soffiò con voce allarmata.
Guardai il medaglione che stringeva
tra le dita e l'espressione affaticata che aveva in volto.
«No..»
«Non può essere che il re»
gracchiò. «Devi
andartene».
«Dove..?»
«No aspetta.. resta qui. Io vado di
là». E si trascinò in direzione della
sala da bagno.
«Posso
fare qualcosa?» mi offrii angosciata, seguendolo
istintivamente.
Lo
Spettro si appoggiò allo stipite della porta. «Se
senti il re
ordinarmi esplicitamente di farti del male..»
Scossi
violentemente la testa.
«..scappa» concluse lui. «Corri fino a
che non sarai arrivata in un posto sicuro. E non fermarti fino ad
allora».
«Durza..»
«Non fare la sciocca e non buttare via
la tua vita» mi rimbrottò bruscamente.
E poi scomparve dietro la
porta, tirandosela dietro con violenza.
Mi afflosciai contro il
muro, tremando, e mi lasciai scivolare a terra, imponendomi di
rimanere concentrata sui suoni provenienti dal muro dietro alla mia
schiena.
«Mio Signore» fece Durza, con un tono deferente che
non
gli apparteneva.
«Non ho tue notizie da mesi, Durza» gli rispose
una voce persuasiva almeno quanto lo era stata la sua durante gli
interrogatori.
Solo che essa non era fredda, suadente e
pericolosa, ma calda, gioviale, familiare e paterna.
Rassicurante.
Non era la voce di un pazzo e assassino.
«Ho
dato per scontato che non avrei dovuto contattarti se non avessi
avuto novità da darti».
«Quindi deduco che la situazione sia
rimasta invariata, nonostante le mie
raccomandazioni».
Raccomandazioni incise a sangue nella carne
di Durza?
«Effettivamente sì, mio re».
«Oramai non è
più così importante. Credo che tu abbia sentito
le voci, dico
bene?»
«Qualcuno mormora che un nuovo cavaliere calpesti il
suolo di Alagaësia» disse lo Spettro quietamente.
«Ed è così.
I Ra'zac si sono scontrati con lui, appena fuori da Dras-Leona, ma
alla fine se lo sono fatto sfuggire. Tuttavia, se il loro racconto
non sbaglia, pare che Brom sia rimasto gravemente ferito nello
scontro».
Brom?
«Questa è una buona notizia».
«Non lo è
abbastanza!» fece Galbatorix severamente. «Murtagh
è stato visto
con loro: a quanto pare ha provveduto lui stesso a liberarli e si
è
unito al cavaliere».
«Desideri che mandi gli Urgali a cercarli,
mio signore?»
«No. Gli Urgali saranno molto utili ai nostri
scopi, ma seminerebbero il panico più totale nel cuore
dell'Impero.
Tuttavia ti ordino di convogliarli a sud, tra Uru'baen e il deserto
di Hadarac, dove potranno intercettare i tre nel caso cercassero di
raggiungere i Varden».
Sobbalzai. Il re come sapeva dei Varden?
Sapeva forse dove fosse collocata la fortezza sotterranea del Farthen
Dur? O forse sapeva solo di voci, che sostenevano che i ribelli si
trovassero a ovest?
«Come comandi» rispose Durza prontamente.
«E
ora dovremo affrontare la questione dell'elfa.» Rabbrividii.
«Manderò alcuni uomini della mia scorta personale
a Gil'ead. Ti
accompagneranno fino ad Uru'baen e ti aiuteranno a sorvegliare la
prigioniera».
«Non è necessario» osservò lo
Spettro
umilmente. «Non è in grado di nuocermi in alcun
modo».
«Lo
spero bene per te. Ma voglio avere la certezza che Varden, Elfi o
umani non si metteranno in mezzo. Una parte del drappello che
verrà
si fermerà a Gil'ead».
«Non abbiamo bisogno di altri uomini a
Gil'ead».
«Il cavaliere è ancora in circolazione, Durza, e
io
non ho intenzione di lasciarlo a piede libero un giorno di
più.
Potrebbe andare a nord, a sud o a est e cercare rifugio tra Elfi,
surdani o Varden e io non posso permetterlo. Ogni città
abbastanza
rilevante da essere segnata su una mappa avrà un drappello
di uomini
informati sul giovane e sul suo drago tra le sue mura, così
da poter
agire dove altri esiterebbero. Questi soldati hanno ricevuto miei
precisi ordini e quindi ti prego di non contraddirli, come
già
facesti pochi mesi fa con Lord Barst».
«Ai tuoi
comandi».
«Raduna i tuoi Urgali dalle terre del nord e conducili
verso sud, ma senza fare tagliare loro il territorio di
Alagaësia».
«Ordinerò loro di proseguire lungo la linea del
deserto di Hadarc fino al punto che hai stabilito».
«Eccellente.
Tra circa una settimana il drappello sarà a Gil'ead. A quel
punto
lascerò che scada il tempo che ti avevo promesso per
strappare
qualcosa alla prigioniera, ma tra non più di tre settimane,
se non
avrai ottenuto risultati, dovrai condurla a
Uru'baen».
«Certamente».
«Aspetto presto tuo notizie,
allora. Non vorrei vedermi costretto a punirti di nuovo per la tua
leggerezza».
Ci fu un lungo silenzio. «Non ho dimenticato la tua
lezione. Farò del mio meglio, hai la mia parola».
«Lo so».
E
poi probabilmente chiuse il contatto.
Restai raggomitolata a terra
per parecchi secondi, incerta, poi mi alzai cautamente e azzardai
qualche passo verso la porta. Durza ne uscì e
cercò rifugio tra le
mie braccia.
«È andato tutto per il meglio» lo
rassicurai
dolcemente.
«Non avevo così tanta paura da decenni»
confessò.
E poi rise, cercando probabilmente di sciogliere la tensione che
entrambi avevamo addosso dopo quei pochi minuti di contatto con il
re.
Una domanda sbagliata avrebbe potuto mandare all'aria i nostri
piani, invece il sovrano pareva ancora fidarsi di lui, nonostante
disprezzasse evidentemente la sua incapacità di togliermi
informazioni.
«Manteniamo integro il nostro piano?» mi
accertai.
«Direi di sì. Ordinerò agli Urgali di
radunarsi
intorno a Gil'ead e solo quando saranno tutti qui li manderò
verso
sud. Non voglio che il cavaliere finisca nelle mani del re, piuttosto
è meglio che raggiunga i Varden».
«A proposito dei
Varden..»
«So cosa stai per chiedermi» mi precedette.
«E ti
rispondo subito: sì, abbiamo delle spie. Sono due individui
ambigui,
Galbatorix li chiama i Gemelli».
«Li conosco» dissi,
freddamente.
«Non pensarci adesso. Una volta ucciso il re potrai
fare una soffiata ai Varden e ci penseranno loro a farli morire
male».
«Suppongo di sì» concessi. «Ma
quanto sa il re del
loro covo?» non riuscii a trattenermi dal chiedere.
Durza fissò
gli occhi di brace nei miei. «Sa tutto, Arya. Se volesse
potrebbe
attaccarli in qualsiasi momento e distruggerli. Anche io ho delle
mappe delle gallerie sotterranee dei nani nel mio studio, magari non
tutte, ma quelle sufficienti per arrivare al Farthen Dur sì.
Sono
informazioni che possediamo da parecchi anni. A quanto pare Ajihad
è
molto diffidente nei confronti dei Gemelli, ma loro riescono comunque
ad ottenere parecchie informazioni».
«Perché non me l'hai detto
prima?»
Si strinse nelle spalle. «Non ci ho neanche pensato, a
dire il vero. E poi meno penso ai Varden e al loro capo meglio sto.
Magari ho rinunciato a farlo a pezzi, ma questo non significa che mi
stia simpatico».
«No, certo» feci, addolcendo il tono.
E
pensai automaticamente a ciò che io non gli avevo detto sui
ribelli.
In fondo era giusto che tra di noi rimanesse un argomento intoccato,
almeno fino alla sconfitta totale del re. Del resto, finché
fosse
stato sotto il suo controllo, Durza non avrebbe nemmeno potuto
garantirmi il silenzio sui miei segreti.
Sul filo di quel
ragionamento mi raccapezzai di qualcosa che Galbatorix avrebbe potuto
facilmente notare e reputare sospetto.
«Devo avere ferite
recenti» dissi. «Il re crede che tu stia
continuando a torturarmi e
sarebbe alquanto insolito presentarmi al suo cospetto con vecchie
cicatrici ormai guarite».
L'espressione già cupa di Durza si
fece funerea. «Io non ti toccherò mai
più con un ferro, Arya. E
questo posso giurartelo».
«Ma devi, e lo sai. O dovrò farlo da
sola e sarà solo più difficile».
Tentennò. «In ogni caso non
ora. Abbiamo ancora una settimana prima che arrivi il drappello
promesso dal re. Quando saranno qui sarò costretto a
riportarti
nella cella per evitare di venire scoperti e lì ti..
farò qualche
segno».
«Va bene così».
«Tra una settimana..»
«Abbiamo
ancora tempo» constatai.
Poi gli sorrisi e cercai le sue labbra
ruvide.
E invece la settimana passò con la rapidità di un
sogno, che si interruppe con un brusco risveglio.
Gli uomini
preannunciati da Galbatorix arrivarono nel primo pomeriggio, un paio
di giorni oltre alla settimana stabilita dal re.
Io e Durza
eravamo pronti e, quando una pattuglia rientrò annunciando
l'arrivo
di venti soldati con le uniformi delle fiamme imperiali addosso, lo
Spettro mi accompagnò nei sotterranei.
Avevo indossato nuovamente
i miei vecchi abiti neri, ma ero ovviamente stata costretta a
lasciare la mia spada, Ren, e il mio arco a Durza, che li avrebbe
riposti nell'armeria per non destare sospetti, seppur con l'ordine
esplicito che nessuno li toccasse. Mi aveva inoltre procurato una
fascetta di cuoio per fermare i miei capelli come lo erano la notte
della mia cattura.
Lo Spettro congedò le guardie e io, che mi ero
celata sotto un incantesimo che respingeva la luce, rendendomi
invisibile ad occhi umani, lo seguii in quella che era stata la mia
cella. Non vi entravo da più di due mesi e la vista delle
pareti
spoglie, umide e prive di finestre mi catapultò indietro nel
tempo,
a ricordi decisamente spiacevoli, che cercai disperatamente di
sopprimere in fretta prima che mi travolgessero.
Durza afferrò le
mie mani e fissò i miei occhi per qualche istante.
«Inizia la
recita, allora» disse tristemente.
Annuii, assumendo un cipiglio
determinato. «Ci vediamo più tardi».
Avevamo stabilito che lo
Spettro sarebbe venuto a prelevarmi dalla mia cella come aveva fatto
nelle ultime settimane con la mia immagine-specchio e mi avrebbe
portata con sé nella stanza delle torture, dove avrebbe
dovuto
procurarmi nuovamente ferite simili a quelle di qualche mese prima. E
avremmo ovviamente sfruttato il tempo insieme anche per parlare delle
ultime novità, di cui avrebbe dovuto tenermi informata. La
notte
avremmo lasciato una mia immagine nella cella, mentre io avrei
riposato nel suo letto, dove avrebbe potuto riscuotermi. Al mattino,
fingendo di andare a prelevarmi per torturarmi, mi avrebbe riportata
nelle segrete.
Ci separammo a malincuore e dopo qualche minuto
sentii le guardie prendere posizione davanti alla porta. Era una
situazione strana. I soldati lì fuori erano convinti di
avermi
sorvegliata ininterrottamente anche per gli ultimi mesi, mentre in
realtà io avevo viaggiato per Alagaësia insieme al
loro padrone e
passato le ultime settimane nelle sue stanze.
Tornare a sentire
voci e respiri oltre alla massiccia porta di legno era.. Irreale.
E
non mi ero ancora resa conto di ciò che avrei dovuto
nuovamente
subire di lì a poche ore, al più tardi il giorno
seguente.
Arrotolai le maniche del farsetto e della camicia e contemplai le
brutte cicatrici stratificate.
Ricordavo il dolore alla perfezione
e ogni più piccola parte di me si ribellava strenuamente
all'idea di
sottopormi volontariamente allo stesso trattamento che mi aveva
spinta sull'orlo della pazzia, solo pochi mesi prima.
Ma era
necessario. E sarebbe stato solo per poche settimane.
Dopo, con
una buona dose di fortuna, avrei assistito alla caduta di Galbatorix,
per la quale combattevo da più di settant'anni. Poi avrei
abbandonato Alagaësia nel caos e sarei fuggita.
Ma forse sarei
anche riuscita a temporeggiare, convincere Durza a prendere false
sembianze e a seguire anche la sua rinascita, l'instaurazione di un
governo equilibrato e il risorgere dell'antico ordine dei
cavalieri.
O forse no, ma non era importante. Non avrei rischiato
la vita del mio amante solo per il gusto di vedere compiuta l'opera a
cui avevo partecipato con tanto entusiasmo. Ero fiduciosa: morto il
re e annullata la misteriosa fonte del suo potere, gli uomini
sarebbero riusciti a ristabilirsi con al massimo qualche scaramuccia
e gli elfi avrebbero ottenuto probabilmente un patto vantaggioso per
essere almeno lasciati in pace, anche grazie all'appoggio dei
Varden.
Sedetti sul pagliericcio e chiusi gli occhi.
Sarebbe
andato tutto bene e io avrei cominciato una nuova vita, ricca di
avventure e amore e entusiasmo, lontano da tutto ciò di
bello e
brutto che mi era successo in Alagaësia.
Quella stessa sera non
riuscii a mangiare il pane col formaggio che lo Spettro mi porgeva,
colta dalla nausea e da una strana emozione che somigliava
terribilmente a terrore per il futuro.
Quella notte strinsi a me
Durza come se potesse dissolversi tra le mie mani.
Salve a tutti! ^_^
In questo capitolo succede di tutto e di più e vi lascio solo due commenti:
-Per chi cerca sempre collegamenti con Eragon: la visione di Arya del cavaliere con il volto bagnato di lacrime e sangue corrisponde alla notte della morte di Brom. In seguito passano due settimane e sappiamo bene che Saphira, Eragon e Murtagh si muovono per Alagaësia, sfiorando Uru'baen e avvicinandosi a Gil'ead, alla ricerca di qualcuno che possa condurli dai Varden. Vi arriveranno tra una settimana abbondante e da lì ne parliamo al prossimo capitolo..
-Le guardie mandate da Galbatorix sono plausibili perché Durza litiga con il loro capitano dopo la cattura di Eragon, il quale sostiene di non volere disubbidire agli ordini del re, quindi suppongo che non fosse alle dipendenze dello spettro ma avesse ricevuto ordini diretti dal sovrano.
Vi lascio e ci vediamo alla prossima! ;)