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Autore: keepsakeEFP    12/01/2015    8 recensioni
Emma è una ragazza di povere origini presa a servizio nella tenuta della nobile famiglia Jones. Killian è un nobile arruolato nella marina militare di sua maestà, ma quando farà ritorno troverà ad attenderlo molto più di quello che aveva lasciato. L'amore proibito tra la serva e il suo padrone dovrà farsi strada tra intrighi, tradimenti, congiure e pregiudizi sociali.
Liberamente ispirato alla serie Tv Elisa di Rivombrosa.
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Dal testo:
« Voi siete… » cominciò titubante, terrorizzata all’idea di essersi solamente illusa, ma il ragazzo l’anticipò.
« Conte Killian Jones. » disse con orgoglio inchinandosi di fronte a lei e lasciandola alquanto esterrefatta.
« Ai vostri ordini. » aggiunse guardandola in un modo così intenso da farle venire i brividi.
Killian le sfiorò le dita, sicuramente intenzionato a farle il baciamano, ma prima che potesse riuscirci la ragazza le aveva già allontanate per tirar su gli angoli della gonna e fare una piccola riverenza.
« Onorata. » affermò raggiante e con gli occhi luccicanti.
Genere: Angst, Romantico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Emma Swan, Killian Jones/Capitan Uncino
Note: AU, Cross-over, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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>> Capitolo 2 <<

 
L’uomo si rigirò il foglio tra le mani spiegazzandone gli angoli già sgualciti. La calligrafia sul biglietto era minuscola ma comunque leggibile, priva di fronzoli che avrebbero potuto appesantirne la lettura. Il messaggio contenuto in quella busta gli balzò addosso, le lettere sbiadite dalla pioggia e dall'umidità non facevano altro che accentuare il significato riportato in quelle poche righe.
Il messaggero era arrivato nel pomeriggio consegnandogli il biglietto non appena aveva messo piede sulla banchina del porto. Lo aveva riconosciuto subito, William. Era a servizio della sua casata da molto tempo, una specie di balia, se così si può dire. Rivedere il suo volto era sempre motivo di gioia, ma anche di un’ansia tale da spingerlo a rimanere calmo e riflessivo.
« Mio Signore! » lo chiamò l’ometto non appena lo vide attraversare la passerella. Indossava un cappello di lana rosso e il suo aspetto trascurato lo faceva rassomigliare ad un topo di fogna. Gli occhi piccoli e vispi incontrarono quelli del suo Padrone, che ricambiò sorpreso il suo saluto.
« William, mi aspettavo di vederti domani. »
L’uomo era alto e possente, indossava la divisa ufficiale delle forze militari della marina del Re e un enorme cappello nero. La nave da guerra aveva appena attraccato al porto di Leinster, una delle quattro provincie dell’Irlanda, proprio nei pressi di Hearthford, per racimolare delle provviste e mettere al corrente gli ufficiali a proposito delle loro peripezie in mare contro i nemici del Re. Tutto ciò aveva luogo una volta al mese per una settimana, il resto delle loro giornate lo trascorrevano tra cannoni, stiva e alberi maestri.
Una lieve brezza gli scompigliò i capelli ricci intrappolati dall’enorme cappello. Guardò nuovamente l’ometto con due occhi verdi come il mare, che diresse prontamente alla lettera che teneva in mano.
« Mi è stato chiesto di consegnarvela il prima possibile, ecco perché ho anticipato il nostro incontro. » spiegò il messaggero porgendogli la lettera.
« Spero non si tratti di cattive notizie. » rispose il suo padrone afferrando la busta dalle sue mani. Rigirò quel pezzo di carta finché non si decise a riporlo nella tasca interna della sua giacca.
« Mi ritiro nei miei alloggi. E’ stato un piacere rivederti, mio caro William. » lo salutò dandogli una leggera pacca sulla spalla mentre lo superava.
« Anche per me, signorino Liam. »
L’ometto lo osservò fin quando la figura del Comandante non sparì inghiottita dalla folla. Si voltò nuovamente verso l’enorme vascello e attese trepidante la discesa di qualcun altro che aspettava di vedere ormai da tanto tempo.

 
***


Liam spalancò la porta della sua dimora, una piccola stanza provvisoria che fungeva da casa quando si ritrovavano a dover ormeggiare durante la settimana dell’Attracco, così nominata e ufficializzata dal Re stesso in persona. Osservò il letto e ci scaraventò sopra il cappello senza nemmeno preoccuparsi di dove fosse caduto. Si avvicinò alla minuscola scrivania in legno che dava le spalle ad una finestra a due ante, la cui vetrata non era stata chiaramente ripulita a dovere, infatti poteva intravedere la polvere e i segni di qualche manata. Si accomodò sulla sedia e tirò fuori dalla tasca il biglietto ancora sgualcito. A quanto pare William non aveva avuto molto tatto nel trasportare il messaggio, di sicuro lo aveva tenuto nella tasca dei pantaloni anziché riporlo in una sacca come di consuetudine. Quel pensiero lo fece sorridere. William era sempre stato un uomo di poca furbizia, di scarsa moralità e molta inettitudine, ma era un uomo fedele, e per questo suo padre aveva deciso di riscattarlo dalla prigione, sotto precisa richiesta del suo fratellino minore. Forse era proprio per questo che William nutriva un affetto incondizionato nei confronti del secondogenito della famiglia Jones.
Liam si allontanò da quei pensieri ritornando alla realtà. La busta che aveva tra le mani riportava il simbolo della sua casata, un’ancora su cui era attorcigliato un bellissimo delfino argentato. Lo guardò ricordando come suo padre, qualche giorno prima della sua morte, gli aveva spiegato che i Jones erano sempre stati legati al mare, alcuni addirittura vociferavano che in un passato remoto i loro antenati avessero avuto contatti diretti con le sirene.
Liam strappò finalmente la busta e avvicinò il minuscolo biglietto al volto. I suoi occhi vagarono su quelle righe inchiostrate e il suo sguardo poco a poco mutò. Prese un profondo respiro, socchiuse le palpebre e lasciò che il foglio cadesse sulla scrivania. Con la mano appena liberata si sfregò la fronte e si voltò verso la finestra alle sue spalle che dava direttamente sulla banchina. Gli schiamazzi dei ragazzini e le urla degli adulti che cercavano di vendere il pesce appena pescato coprirono per un attimo il bussare insistente alla sua porta, o forse erano stati semplicemente i suoi pensieri troppo rumorosi a farlo estraniare completamente dalla realtà.
« Avanti. » urlò dopo essersi voltato nuovamente verso la porta. Quest’ultima si spalancò e nella stanza fece il suo ingresso un giovane uomo che non aveva mai visto.
Capelli castani con qualche riflesso rossiccio, occhi verdi e barba appena accennata. Indossava un panciotto nero con una fantasia che ricordava le foglie autunnali, una camicia che riprendeva lo stesso disegno e un foulard nero e bianco allacciato intorno al collo e inserito all’interno del panciotto.
I suoi occhi erano strani, spalancati con delle occhiaie vistose e violacee. Se ne stava in piedi davanti alla soglia della porta senza accennare un passo, immobile come una statua, ma teneva sempre gli occhi fissi sul Comandante seduto dietro la scrivania. Quest’ultimo lo squadrò da cima a fondo prima di alzarsi con cautela e posare entrambe le mani sulla superficie in legno del tavolo.
« Voi chi siete? » gli domandò non ottenendo alcuna risposta.
« Non siete stato annunciato. » aggiunse un attimo dopo cominciando a realizzare la situazione.
« Siete voi il Comandante Jones? »
La voce dello sconosciuto era tormentata. Liam poté percepirlo chiaramente a dispetto di quegli occhi freddi e vuoti che lo stavano squadrando fin da quando era piombato nella stanza.
« In persona. Con chi ho il piacere di parlare? »
« Il mio nome è Jefferson, e ho qualcosa per voi. »
Non appena ebbe terminato la frase scostò di poco l’apertura del panciotto e fece per infilare la mano al suo interno. Tutto successe in meno di mezzo secondo.
Liam afferrò la spada che teneva legata alla cintura e balzò oltre il tavolo afferrando lo sconosciuto per il bavero. Lo spintonò contro la parete con la punta affilata, intrappolandolo. Avvicinò il suo viso a quello del giovane tanto da poter udire il suo respiro accelerato sul collo.
« Fai un altro passo falso… e sei un uomo morto. » gli alitò contro schiacciandolo ancora di più contro la parete. Jefferson alzò le mani verso l’alto in segno di resa, ora il suo sguardo rifletteva il suo vero io, un uomo consumato dai dubbi e dalla paura.
« Vi prego, non sono venuto qui per uccidervi. Devo fare una confessione! » urlò cercando di allontanarsi quanto più poteva dalla lama che gli premeva insistentemente sul collo. Liam si scostò di poco per poterlo guardare negli occhi e sollevò un sopracciglio che rivelò la sua curiosità.
« Ebbene, parlate. » lo incitò allontanandosi da lui ma continuando a puntargli contro l’estremità della sua spada.
Jefferson prese un profondo respiro e infilò nuovamente la mano all’interno del suo panciotto, sotto la completa supervisione dell’uomo che aveva di fronte. Ne tirò fuori una lettera, sigillata con uno strano stemma.
« Quella cos’è? » gli domandò il Comandante avvicinando nuovamente la lama al collo del malcapitato.
« La mia confessione. »
Liam corrugò la fronte, ma l’uomo finalmente si decise a chiarire ogni suo dubbio.
« Sono il Marchese Jefferson Hatter e sono colui che ha cospirato insieme ad altri ai danni del Re. »
Gli occhi del Comandante si spalancarono e per un attimo smise totalmente di respirare. La presa sulla sua spada si allentò leggermente, ma un attimo dopo era nuovamente nel pieno delle sue facoltà per poter ascoltare il resto.
« Nonostante questo… mi pento delle mie azioni. Per il rispetto che porto al mio nome, e soprattutto alla mia famiglia, ho deciso di redimermi e di consegnarmi agli ufficiali. In questa busta c’è una lista, una lista scritta di mio pugno contenente i nomi di tutti i nobili che progettano di uccidere il Re. »
Jefferson gliela porse con gli occhi lucidi e sinceri di un uomo effettivamente pentito. Liam abbassò cautamente la spada fino a rinfoderarla del tutto ed osservò la mano tremolante dell’uomo che gli stava donando tutto ciò che rimaneva della sua vita. Il Comandante finalmente la afferrò segnando in questo modo il destino del giovane.
« Siete a conoscenza che la pena per la cospirazione contro il Re è la decapitazione, vero? » gli domandò in un sussurro quasi impercettibile. Jefferson abbassò lo sguardo verso il pavimento e un sorriso amaro si fece strada sul suo volto spossato.
« Che io possa trovare la pace nella vita che mi aspetta. »
Un’ultima supplica ad occhi chiusi, forse diretta involontariamente a qualcuno.
« Siete in arresto, Jefferson Hatter. Le guardie vi scorteranno alle prigioni, dopodiché verrete processato alla presenza del Re, che deciderà il vostro destino. »
Chiaro e conciso. La sentenza di Liam cadde come un macigno sulla mente straziata di Jefferson, ma quest’ultimo non aveva ancora finito.
« Aspettate! » urlò afferrandolo per un braccio, ma la stretta era talmente debole che l’uomo non provò neanche a fare resistenza.
« Ho un favore da chiedervi. » lo supplicò con gli occhi sgranati e arrossati. Dal canto suo il Comandante restò in silenzio in attesa dell’ultima richiesta di un condannato a morte.
« Promettetemi che se mi capiterà qualcosa vi prenderete cura di mia figlia. »
Quelle parole echeggiarono nella piccola stanza e nella mente confusa di Liam. Il Comandante lo guardò accigliato e per un momento spalancò la bocca senza che ne uscisse alcun suono.
« Come avete detto? »
« Vi prego. E’ soltanto una bambina e non ha altri che me. Non voglio che rimanga da sola. Dovete promettermi che quando morirò andrete a cercarla. »
La stretta sul suo braccio divenne poco a poco più opprimente man mano che il giovane andava avanti con la sua disperata richiesta. Il volto del malcapitato si era trasformato in una maschera di dolore, che non riuscì a far rimanere impassibile l’impeccabile Comandante.
« Dovete promettermelo! »
La sanità mentale di Jefferson era chiaramente in stato di allarme. Liam osservò il giovane aggrapparsi a lui come se fosse la sua ancora di speranza, l’ultimo barlume di luce nella sua vita ormai offuscata dal buio.
« Perché proprio io? » gli domandò riferendosi non soltanto alla sua richiesta. Voleva sapere perché si era rivolto a lui, perché aveva aspettato il suo ritorno dal mare per confessare ogni cosa.
« Perché no? Vi conosco di fama, Comandante. So che siete un uomo leale, un uomo che farebbe di tutto per far rispettare la giustizia. Qualcun altro mi avrebbe già ucciso sul posto o ne avrebbe approfittato per i suoi scopi, ma non voi. Se dopo morto vorrò che il mio nome sia riscattato dovevo rivolgermi ad una persona che sarebbe stata in grado di aiutarmi, che avrebbe riconosciuto il mio pentimento. Sto facendo tutto questo per mia figlia, Comandante. Voglio che i miei errori non le ricadano sulle spalle, voglio liberarla dal peso di una vita in cui sarebbe additata come una criminale solo perché il padre ha fatto delle scelte sbagliate. »
Liam lo guardò con gli occhi pieni di comprensione. Gli afferrò la mano mentre Jefferson si accasciava al suolo perdendo le ultime forze che fino a quel momento lo avevano aiutato a reggersi in piedi.
« Qual è il nome di vostra figlia? »
Una domanda che nascondeva molteplici significati, tra cui l’accettazione di una promessa. Il giovane a terra sollevò il volto estasiato e una piccola luce si accese all’interno dei suoi occhi donandogli per un breve attimo un aspetto quasi rilassato.
« A tempo debito lo saprete. »
Non aveva altro da dire. Ora non c’era più nessun motivo per continuare a combattere, per continuare a rialzarsi. Aveva fatto la sua scelta: la coscienza pulita e il riscatto del suo nome. Tutto per sua figlia.
Dopo qualche minuto le guardie reali erano già lì per ammanettarlo. Lo trascinarono via e Jefferson non si oppose minimamente, gettò solo un’occhiata alle sue spalle, verso il Comandante, che si era accomodato nuovamente sulla sua sedia. Ora sulla scrivania c’erano due buste differenti, due strade che avrebbe dovuto percorrere. Cosa avrebbe scelto? L’affetto per la sua casa o la lealtà verso il suo Re?

 
***


Il sole era tramontato da poco e il cielo si era dipinto di colori accesi e vivaci che andavano dal rosso fiammante al giallo dorato. Aveva passato il pomeriggio seduto sulla banchina ad osservare il tragitto del sole che pian piano era svanito oltre la linea dell’orizzonte, inghiottito dal mare.
Una piacevole brezza gli accarezzò il volto e l’odore della salsedine gli entrò nelle narici facendolo rabbrividire. Socchiuse gli occhi nascondendo le iridi azzurre dietro un sottile strato di ciglia nere, si passò una mano sul volto e avvertì subito la sensazione graffiante della barba appena accennata sotto i suoi polpastrelli. I capelli scuri e lisci gli ricadevano sulla fronte, raccolti in una piccola coda all’altezza della nuca e tenuti insieme da un nastro color blu scuro che richiamava quello della divisa che indossava. Il panciotto e i pantaloni bianchi gli donavano un’aria immacolata, ma la giacca bluastra con i bottoni dorati gli conferiva un’aria autoritaria grazie anche all’aiuto del cappello a tricorno.
« Avete intenzione di rimanere qui per tutto il giorno? »
La voce di William lo riportò alla realtà e il giovane Capitano si voltò a guardarlo regalandogli uno dei suoi sorrisi sghembi.
« Non sembra che sia un problema per te, sei lì a fissarmi da circa venti minuti. Perché non ti sei avvicinato? Mi trovi così irresistibile? » gli chiese divertito ritornando ad osservare le onde che si infrangevano contro la battigia. William sbuffò indispettito.
« Non volevo distogliervi dai vostri pensieri. »
« Quelli potranno attendere. Sono contento di vederti, Spugna. »
La sottile ironia con cui accentuò quel nomignolo fece indispettire ancora di più il piccolo ometto, che si sedette al fianco del suo padrone con una grazia simile a quella di un pachiderma.
« Credevo avessimo superato il tempo dei giochi. »
« Mi piace ricordare il passato, a te no? »
« Se fa piacere a voi non posso fare altro che essere d’accordo. » rispose l’uomo cominciando a far dondolare le gambe corte sospese sul pontile di legno.
« Oh andiamo, so che ti fa piacere ricordare i vecchi tempi . » lo punzecchiò allegramente guardandolo di sbieco. Le loro menti non poterono fare altro che viaggiare indietro nel tempo, al momento in cui il Capitano e il Comandante erano soltanto due innocenti bambini, rannicchiati sul pavimento del salotto nella tenuta di Heartford ad ascoltare la contessa che leggeva loro le avventure di Peter Pan e di Capitan Uncino.
Il più giovane dei due aveva trovato assai divertente l’idea di soprannominare il suo adorato nuovo servitore come il Nostromo di Capitan Uncino, ricevendo in cambio le lamentele del povero uomo e le risate di suo padre e di suo fratello maggiore. A Liam era stato invece assegnato il ruolo di Barbanera, e adesso tutto ciò gli sembrò talmente surreale da strappargli un sorriso amaro. Barbanera era il nomignolo del loro acerrimo nemico, un pirata che inseguivano da molto tempo e che non erano mai riusciti ad incastrare. Il terrore dei sette mari.
« Notizie dalla tenuta? » chiese inaspettatamente il Capitano rivolgendo lo sguardo all’orizzonte.
« Una lettera, consegnata poco fa a vostro fratello. » lo informò William imitando il gesto del padrone.
« Come tutte le volte. »
Il Capitano ripensò alle miriadi di lettere che si erano susseguite negli ultimi dieci anni. A pensarci bene era la prima volta che attraccavano così vicino casa, tuttavia non avrebbero potuto abbandonare le loro posizioni se non con un congedo ufficiale.
Un forte trambusto li fece improvvisamente voltare. Il Capitano si alzò in piedi mentre il suo servitore rimase seduto dietro di lui ad osservare la scena. Due soldati stavano conducendo un giovane uomo verso le prigioni. Quest’ultimo era ammanettato e non aveva un bell’aspetto. Di certo sarebbe crollato a terra se quei due uomini non lo avessero sostenuto durante il tragitto.
A quel corteo seguì subito l’alta figura del Comandante, che appena vide il fratello minore accelerò il passo muovendosi nella sua direzione.
« Killian. » lo chiamò con la sua voce bassa e tonante. Il ragazzo non se lo fece ripetere due volte, scattò in direzione dell’uomo finché non si trovò faccia a faccia con il suo superiore.
« Che succede Comandante? »
« Una confessione da parte di un pentito. Dobbiamo rimetterci in viaggio il prima possibile, le notizie sono alquanto scottanti. Ho bisogno che raduni la ciurma e dia disposizioni per la partenza. Salpiamo domani nel pomeriggio. »
Killian rimase spiazzato da quelle parole, continuò a seguire suo fratello che intanto non aveva accennato a fermarsi.
« Domani? Ma siamo appena arrivati e l’Attracco dovrebbe durare una settimana. Non abbiamo tutto quello che ci serve, gli approvvigionamenti e il materiale di ricambio per la nave non sono ancora pronti e… »
Killian smise di parlare non appena suo fratello si bloccò di colpo, impedendogli di proseguire. Vide le spalle del Comandante trasformarsi nel suo volto serio e contratto. Avrebbe tanto voluto chiedergli che cosa stesse succedendo, ma Liam lo anticipò.
« Le provviste ed il materiale non saranno un problema, per domani pomeriggio deve essere tutto pronto. E’ un ordine Capitano, non c’è tempo da perdere. »
« Va bene Comandante, ma… dove siamo diretti? »
Liam fece per allontanarsi, gli voltò le spalle e lasciò che suo fratello lo guardasse andar via mentre rispondeva alla sua domanda.
« Andiamo a far visita a sua Maestà. »



Angolo dell’autrice
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Ecco il secondo capitolo! Perdonate il ritardo, ma tra le feste e i vari impegni non ho potuto aggiornare prima. Spero che il nuovo capitolo vi piaccia. Questa è stata solo un’introduzione alla storia, nel prossimo entreremo nel vivo della vicenda, e vi prometto che i nostri due beniamini si incontreranno presto ;)
Un grazie a chi ha recensito la storia e l’ha già aggiunta tra le preferite e le seguite, per me significa molto! Un bacione e alla prossima!

Keepsaker
   
 
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