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Autore: DulceVoz    12/01/2015    7 recensioni
Che ne sarà di noi? Questa non è una vera e propria domanda, è piuttosto una frase vaga che si ripetono tre fratelli, da quando la loro vita è stata sconvolta da una disgrazia più grande di loro, un uragano di sofferenza che ha stravolto duramente le loro giovani esistenze. Che ne sarà di noi? Si chiede una zia amorevole, che potrebbe trovarsi costretta a vivere con loro a causa di un testamento sorprendente, il quale la vedrebbe obbligata sotto lo stesso tetto anche con il suo peggior incubo, ovvero l’uomo che si interrogherà con la medesima questione, nascondendosi dietro ad una maschera di indifferenza. Dal dolore puo’ nascere amore? E, soprattutto… l’amore puo’ aiutare a superare un dramma tale? Questo e molto altro, lo dovranno scoprire i nostri protagonisti… perché a sanare le loro profonde ferite, dovrà pensarci proprio questo potente sentimento.
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Angie, Diego, Leon, Pablo, Violetta
Note: OOC | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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Sistemare le cose. Cap.12
 
“- Angie posso portarti qualcosa?” Il Restò Band era quasi vuoto per l’orario, prossimo alla chiusura del locale, ma la Saramego se ne stava seduta in un angolo, lo sguardo di tanto in tanto verso l’ingresso e la speranza di vedere entrare da quella porta una sola persona: Pablo. La donna scosse il capo con un sorriso teso, rivolgendosi a Libi che, annuendo, si allontanò verso altri tavoli per prendere le ordinazioni, preferendo rimanere discreta su cosa ci facesse di preciso lì la proprietaria. Angie sospirò profondamente, abbassando gli occhi sul suo cellulare: che Galindo le avesse inviato qualche sms per avvertirla di quel ritardo? No, niente di nuovo… e poi avrebbe dovuto saperlo: la puntualità non era certo una delle sue virtù, a patto che l’uomo ne avesse qualcuna. Gli aveva mandato un messaggio quella mattina per incontrarlo e lui non si era neppure degnato di risponderle, ovviamente. Troppo disturbo, che poteva mai aspettarsi da quel tizio?
“- Che bello, finalmente ti sei degnata di invitarmi a bere qualcosa!” Troppo presa a giocherellare distrattamente con il telefonino, la bionda neppure si era accorta che qualcuno le si fosse seduto di fronte: Pablo le ghignava divertito, perdendosi in quei grandi smeraldi che avevano preso sin da subito a scrutarlo con aria poco amichevole. “- E tu ti sei degnato di venire, vedo! Un ottimo inizio, considerando che stamattina neppure hai considerato l’idea di farmi sapere se mai ti fossi fatto vivo!” Sentenziò lei, posando sul tavolo l’oggetto con cui stava armeggiando e sporgendosi di poco verso di lui, con stizza. “- Touché, mademoiselle!” Sibilò il bruno, squadrandola con attenzione: era bellissima, nel suo abito a fiori leggero e uno chignon che lasciava scoperto il suo elegante collo. “- Ma bravo! Parli anche francese, adesso?!” Lo provocò Angie, facendolo ridacchiare di gusto. “- Le frasi basilari… quelle che possono aiutarmi con una bella e seducente donna. Come te, intendo…” Sentenziò sottovoce quelle ultime parole, facendole sgranare gli occhi di colpo: sarebbe mai cambiato quel tizio? Ne dubitava fortemente, ma decise di mantenere la calma e di intavolare una conversazione civile per provare a convincerlo di ciò che l’aveva spinta ad invitarlo lì: far sì che si trasferisse con lei e i ragazzi, a villa Castillo. “- Se ti ho fatto venire qui è perché…” “- Perché mi ami e mi trovi decisamente affascinante. Devi solo accettarlo.” Quella frase la disse con una tale sicurezza che la Saramego scattò in piedi scioccata, attirando l’attenzione dei pochi clienti rimasti a chiacchierare ai propri tavoli e della stessa Libi, la quale si bloccò sul posto, per poi abbassare di colpo lo sguardo imbarazzata. “- Come, prego?!” Sbottò Angie, stupita da quella dichiarazione tanto decisa. “- Sto scherzando, rilassati… ti vedo così… tesa!” Esclamò Pablo, osservando ogni minimo movimento della donna che, lentamente, si risedette. “- Sono tesa?!” Chiese lei spiazzata, facendolo ghignare ancora di gusto. “- Dovresti trovare la maniera per placarti un po’…” Sorrise con tono fin troppo ammiccante, poggiando una mano sulla sua che, prontamente, tirò indietro per non farsi neppure sfiorare. “- Azzardati di nuovo a toccarmi anche solo con un dito e ti faccio ingoiare il centrotavola con tutti i fiorellini. Mi hai sentito bene?!” Sibilò glaciale la bionda, facendolo annuire e sollevare le braccia in segno di innocenza e resa, continuando, nonostante tutto, a sghignazzare. “- Focosa come immaginavo… mi piace.” Aggiunse comunque, facendole prendere un altro profondo respiro: come diamine si poteva parlare con Galindo senza provare l’istinto di sferrargli un calcio ben assestato in uno stinco? Impossibile. “- Applicherò l’arte dell’ignorarti, ma ho una cosa da dirti… ricominciamo e apri bene le orecchie: se ti ho fatto venire qui è per riprendere il nostro discorso sul tuo trasferimento a Madeira, a casa Castillo… e ti dico subito che non accetto eventuali: ‘no’ come risposte valide.” “- D’accordo, accetto.” Angie pensò di aver capito male… accettava? Subito? Cosa stava tramando? “- Non mi guardare così, non sono impazzito! Mi hanno dato lo sfratto dal mio bellissimo appartamento, dunque non ho molta scelta. E poi il borgo dista pochissimo da Buenos Aires, dunque non avrò problemi per il lavoro… è perfetto. La soluzione ideale.” Concluse Pablo, facendole storcere il naso. “- Di quanti mesi eri in ritardo sull’affitto per farti cacciare?” Chiese una scioccata Saramego, pentendosi subito per quella domanda: in fondo non doveva importarle più di tanto… ce l’aveva fatta e non ci sarebbero stati altri problemi con assistenti sociali o giudici. “- E chi ti dice che mi hanno cacciato per quello? Magari… rumori molesti notturni, no?! Ti dice nulla, bambolina?” Angie sgranò gli occhi: ecco, avrebbe fatto meglio a non sapere, con Galindo era meglio così. Quanto poteva essere sfacciato e impertinente? “- Sto scherzando, calmati! Ero in ritardo di 3 mesi… problemi economici.” Si limitò ad aggiungere di fretta lui, vedendola troppo sconvolta e impallidita alla sua rivelazione falsa. “- Mi chiedo come German abbia potuto considerare te un fratello… assurdo!” Borbottò d’un tratto lei, facendolo accigliare: un lampo di tristezza attraversò lo sguardo dell’uomo, un lampo così vivido che persino Angie lo percepì, abbassando poi gli occhi, dispiaciuta per quel commento. Pablo non disse nulla ma troppi ricordi affollarono la sua mente: German, il loro primo incontro… e suo fratello, quello di sangue, Gabriel. “- Scusami, non volevo rattristarti… è che ho sempre considerato te e mio cognato così… diversi.” Si apprestò a continuare la donna, facendolo annuire con il volto basso sul tavolo. “- Diversi ma simili.” Si limitò a sbottare lui, senza la sua usuale vena ironica che lo caratterizzava: lui e Castillo si erano conosciuti in una biblioteca, erano uniti da un filo invisibile, un filo di dolore. German era solo al mondo sin da ragazzino. Come lui. Ma tutto quello Angie non l’avrebbe capito, l’avrebbe presa per un’ennesima tattica disperata per rimorchiare, non gli avrebbe neppure creduto, forse… e poi lui non aveva intenzione di perdere tempo a raccontarglielo. “- Allora? Tu vuoi venire adesso a casa o… o passi prima a prendere i tuoi bagagli?” Domandò distrattamente la bionda, alzandosi e appoggiandosi con una mano allo schienale della sedia su cui era seduta poco prima. “- Ho omesso un dettaglio, sai? Dormo da due giorni in auto… ho già tutto ciò che mi serve nella macchina.” Sentenziò lui con un sorriso amaro, facendola annuire, sconvolta. “- D’accordo… allora possiamo andare.”. Quel tipo era così particolarmente strano… ma non era cattivo, di ciò ne era sicura. In fondo, German gli aveva messo in mano la vita delle tre persone che amava di più insieme a sua moglie, non doveva essere poi così male. Forse.
Il viaggio verso il borgo non durò tanto e per fortuna non incontrarono nemmeno troppo traffico, tanto che nel giro di poco tempo la Saramego parcheggiò la sua auto nel vialetto della casa, mentre Galindo lasciò la sua vettura fuori, presso il marciapiede di fronte alla villetta. Pablo rimase alcuni secondi a fissare attraverso il finestrino al suo fianco quell’abitazione, le mani sul volante e lo sguardo vuoto: gli faceva un effetto terribile rimettervi piede sapendo di non trovare vicino al cancelletto il suo migliore amico ad accoglierlo. L’ultima volta che l’aveva visto era stato proprio lì, al compleanno di Ambar e adesso… adesso il pensiero che non avrebbe potuto più parlarci, scambiarvi opinioni o semplicemente scherzare insieme gli metteva un’angoscia infinita. “- Ehi, muoviti! Ti sto aspettando!” A farlo sobbalzare dal mare di ricordi in cui era caduto fu la voce di Angie che, sorridente, gli bussò sul tettuccio provocando un fastidioso ticchettio. “- Sì, lo so, bellezza… fammi recuperare le mie cose e sono subito da te.” Sentenziò lui, aprendo la portiera e scendendo rapidamente, per poi dirigersi verso il portabagagli e estrarre un trolley nero e un piccolo borsone dello stesso colore. “- Tutto qui? Hai solo quello?” Indicò la bionda, facendolo ghignare di gusto. “- Certo, non sono mica una donna! Voi siete come le formiche: riuscite a portare un carico che pesa il doppio di voi.” Commentò allegro lui, provando con tutte le sue forze a mascherare quello stato d’animo di tristezza che, più avanzava nel giardino dei Castillo, più lo attanagliava nel profondo. Angie, dal canto suo, percepì che l’uomo non fosse proprio al meglio delle sue condizioni… che quella casa gli portasse alla mente troppe cose passate e mai più rivivibili? “- Andrà tutto bene.” Sussurrò quasi, bloccandosi nel mezzo del vialetto, mentre l’uomo era già sotto al portico: Galindo si voltò e scese i due gradini che era riuscito a raggiungere: come aveva, la Saramego, potuto cogliere la sua amarezza? Forse non la stava nascondendo abbastanza? “- Infatti non mi preoccupa nulla. Cosa mai potrebbe andare storto?” Mentì spudoratamente con aria indifferente, specchiandosi negli occhi smeraldo di lei che quasi lo sfidava con essi: quel verde così intenso lo faceva sentire strano, e se ne accorse quando dovette subito abbassare il viso per non dare a vedere di provare una situazione particolare, mai percepita prima. Poteva essere tale l’attrazione per Angie da renderlo così debole, tanto da non riuscire a sostenere il suo sguardo? Che diamine gli prendeva? Di solito non ricordava neppure il colore degli occhi delle sue conquiste, né lo notava… e allora cosa aveva di diverso quella donna?
Riprese a camminare verso la porta come se nulla fosse, seguito dalla bionda e, quando lei lo raggiunse e aprì la porta si ritrovarono di fronte, seduti sul sofà, i tre figli di German e Esmeralda, tutti intenti a fare qualcosa di diverso: Violetta giocava con Ambar davanti ad una dama disposta tra le due, mentre Diego con aria scocciata, armeggiava con il suo pc portatile. “- Buonasera… vi ho portato qualcuno…” A quelle parole della zia, i ragazzi alzarono gli occhi di colpo e rimasero a fissare Pablo che sorrise distrattamente. “- Si poteva risparmiare il viaggio.” Sentenziò prontamente Diego senza nemmeno guardare in faccia l’uomo ma venendo fissato sia dalle sorelle che da Angie, in maniera serissima. “- Diego, senti io so che…” Tentò Galindo, provando a mantenere un tono che di certo non era il suo solito, ma più pacato e amichevole possibile. “- Tu non sai niente.” Sbottò il giovane con freddezza glaciale, interrompendolo e scattando in piedi, sbattendo il pc sul divano e facendo per salire in camera sua. “- Per favore, Diego… ascoltalo, almeno.” Intervenne la Saramego, vedendolo bloccarsi di spalle e tornare indietro, rimanendo a pochi metri da lei e da Pablo, ancora sotto l’uscio con aria tesissima. “- Che parli! Tanto io non ho niente da dirgli…” Concluse, in preda all’ira, il maggiore dei Castillo, incrociando le braccia al petto e sfidando con lo sguardo prima la zia e poi l’amico di suo padre che abbassò gli occhi, palesemente agitato. “- Io non sono qui per mia volontà ma per quella di tuo padre, facendo ciò che era la sua decisione secondo il testamento… e voglio rispettare la scelta di German.” Iniziò il bruno con voce ferma. “- Certo, la volevi così tanto rispettare che ci hai fatto rischiare che ci sbattessero in orfanotrofio piuttosto che assumerti subito le tue responsabilità, complimenti!” Ribatté il ragazzo, abbozzando un applauso ironico che risuonò nella stanza come un eco pesante come un macigno, in un secondo di silenzio calato implacabile su tutti loro. “- Lo so… ho sbagliato. Ma alla fine… avete bisogno anche di me…” “- Alla fine… MA CHE DIAMINE DICI?!” Gridò furioso il giovane, spintonandolo di forza fino a fargli sbattere, violentemente, la schiena contro la porta. “- Ma non ti vergogni?! Sei un egoista, un bastardo che ora pretende di arrivare qui a vivere come fossi nostro padre… beh, mettiti l’anima in pace perché non sei il capofamiglia qui, e MAI LO SARAI!”. Un rumore sordo, secco quanto inaspettato e Galindo scivolò a terra lungo il legno al quale era appoggiato, tenendosi il naso che aveva preso a sanguinargli per quell’improvviso pugno arrivato come un fulmine a ciel sereno. “- Diego ma che diamine hai fatto?! SEI IMPAZZITO?!” Angie, disperata, prese ad urlargli contro come una furia, mentre Ambar, spaventata ancor di più, piangeva tra le braccia di Violetta che fissava il fratello, atterrita: immaginava una reazione forte alla presenza di Pablo in casa ma non fino a quel punto. Diego esagerava sempre di più, ormai era fuori controllo e quell’atteggiamento, accompagnato a quel gesto ne era stato la prova. “- Lascialo stare, non è niente…” Biascicò Galindo, rimettendosi in piedi a fatica e continuando a tamponarsi il sangue con una mano, mentre Diego, ignorando tutti, come una furia, si precipitò in camera sua, sbattendo la porta tanto da provocare un rumore sordo fino al piano di sotto. “- Lui è cattivo, non è più il mio fratellone!” Piangeva disperata la più piccola di casa, con il viso affondato contro il petto della sorella maggiore. “- Va tutto bene, tranquilla…” Le sussurrò la più grande all’orecchio, fissando poi in direzione della zia e dell’uomo. “- Portala un po’ in giardino… io provo a… sistemare le cose.” Le consigliò la Saramego, sostenendo per la vita Pablo e conducendolo sino alla cucina, mentre le due Castillo si diressero verso la porta per uscire un po’ fuori a distrarsi.
“- Bel destro tuo nipote… fa pugilato?” Ironizzò il bruno, mentre Angie estraeva dal freezer una bistecca congelata e gliela appoggiava, avvolta in un canovaccio, sul naso. “- Ahi…” Si lamentò lui, facendola sogghignare. “- Non vorrei dire, ma un po’ ti sta bene! Per tutte le frecciatine che mi lanci in continuazione questo è il minimo!” Ridacchiò la donna, sporgendosi verso di lui che, seduto al bancone della cucina, si incantò a fissarla: non aveva notato che quando sorridesse fosse ancora più affascinante… incredibilmente affascinante. “- Non sono frecciatine, sono modi per rimorchiare!” Spiegò lui, sentendo forti brividi scuotergli persino le ossa quando Angie tolse il ghiaccio e gli prese il volto tra le mani per controllare se il naso avesse smesso di sanguinare. “- E funzionano?” Sussurrò piano la bionda, riapplicando la bistecca sulla parte lesa e rimanendo ad un centimetro dal suo volto. “- Ovviamente…” Si pavoneggiò lui, facendola ridere di nuovo… amava quella risata così cristallina, l’adorava alla follia. “- Ok, non sempre… la conquista varia da soggetto a soggetto.” Sentenziò Pablo con tono solenne, quasi scientifico, mentre la donna aveva preso a incerottargli il naso con dell’ovatta. “- Ah, ecco… ora è tutto più chiaro.” Ironizzò quella volta lei, continuando a creare tamponcini di ovatta. “- Tu, ad esempio…” Azzardò l’uomo, con tono sicuro, indicandola con un lieve cenno del capo. “- …Non riesco a capire in che modo potrei rubarti il cuore…” Soffiò ad un centimetro dal suo volto, mentre lei attaccava l’ennesima garza, facendogli contrarre il viso in una smorfia di dolore. “- Io non mi innamoro, perderesti in partenza.” Confessò lei d’istinto, troppo delusa da quel maledetto sentimento, dopo tutte le sofferenze che le aveva comportato. Angie si pentì subito di quella risposta… come diavolo le saltava in mente di dar corda a quel depravato? “- Che peccato, mia sexy infermiera!” Sogghignò il bruno, fissandola con interesse dalla tesa ai piedi con aria maliziosa, beccandosi uno spintone che per poco non lo fece cadere dallo sgabello. “- Idiota!” Sbottò, applicando con più vigore l’ultima garza. “- Ahia!” Si lamentò lui, ridendo però come un matto. “- Se Diego non è riuscito nell’impresa di disintegrarti il setto nasale e non la smetti… beh, ci penserò io!” Concluse la bionda, andando a riporre la bistecca nel frigo con aria nervosa. Galindo però rimase confuso: la sua era attrazione o c’era dell’altro? E perché cominciava a pensare che uno come era lui, potesse andare oltre quella? E poi… perché Angie non si innamorava? Era stata sincera, quello era evidente… e allora come mai non si lasciava andare a quel sentimento? Non lo sapeva ma lo voleva scoprire.
 
 
Casa La Fontaine era particolarmente tranquilla quella sera, forse quella tranquillità era dovuta al fatto che il capofamiglia ancora non fosse rientrato da lavoro. Francesca era su una poltrona del salotto sfogliando un grosso volume di astronomia, non riuscendo però a concentrarsi del tutto, mentre Leon giocava alla Play Station facendo un baccano infernale. Il fatto che il fratello stesse utilizzando i videogiochi però non era il motivo principale della sua distrazione: da quando Diego era stato ritrovato, a detta del fratello grazie alla perspicacia di Violetta, non riusciva a pensare a nulla se non a quanto dovesse stare male il ragazzo. Avrebbe voluto aiutarlo, chiedere almeno se si sentisse meglio e, non solo non aveva il coraggio di domandare nulla all’amica, anche lei in quella situazione delicata, ma nemmeno al fratello o alla madre… oppure, peggio ancora, a Cami, la quale già si era preoccupata di definirla stracotta del maggiore dei Castillo.
 “- Se proprio non puoi spegnere, potresti abbassare il volume, almeno?” Sbottò d’un tratto la ragazza, guardandolo da sopra al suo librone e vedendo il gemello sogghignare, senza però neppure staccare gli occhi dallo schermo, anzi, agitandosi ancor di più sul divano, tutto preso da una corsa di grosse moto che rombavano, fin troppo realisticamente. “- Sono al traguardo! Sì! CAMPIONE DEL MONDO!” Esultò il giovane, cominciando a saltellare, buttando il joystick sul tavolinetto di fronte a sé e infastidendo volutamente ancora di più la giovane. Leon doveva ammettere che passare del tempo con Violetta lo avesse destabilizzato non poco e non sapeva spiegarsi bene il perché… tuttavia, non voleva pensarci, in quel momento doveva tenere la mente occupata in qualche modo per non darvi troppo peso, così si era messo a giocare come se nulla fosse. Non era possibile che si fosse sentito così bene con la sorellina di Diego, non era il suo tipo né aveva mai ipotizzato neppure che  potesse esserlo… cosa gli stava prendendo, allora?! Il non saperlo lo irritava, così preferiva buttare il suo tempo in maniera futile, rimbecillendosi davanti ai videogames. “- Sempre il solito infantile!” Sussurrò tra i denti la sorella, ricominciando a concentrarsi sul suo libro. “- Devo assolutamente sfidare qualcuno…” Borbottò Leon, passandosi una mano nel ciuffo dorato, scompigliandolo nervosamente. “- Non guardare me…!” Esclamò, categorica, la bruna, provando per l’ennesima volta a riprendere la sua lettura dallo stesso paragrafo su cui era ormai da parecchi minuti. “- Lo so, vincerei facilmente e sono troppo carico per stracciare una schiappa come te… quando torna papà?” Sbottò lui d’un tratto, facendo sì che finalmente anche la ragazza, nel sentire quella domanda, alzasse gli occhi, di colpo preoccupata. “- Sempre dopo le undici, a quanto pare…” Soffiò quasi, prendendo a riflettere su quella situazione. Da quando i genitori avevano litigato per l’imminente arrivo degli zii e del cugino, in casa non c’era una bella atmosfera, anzi: il padre rientrava sempre più tardi da lavoro, orgogliosamente convinto di aver fatto benissimo ad invitare la sorella e la sua famiglia a stare lì in un momento di difficoltà, mentre la madre a stento gli rivolgeva la parola, ancora offesa a morte per non essere stata interpellata su quella decisione. “- Buonasera, famiglia!” La porta si aprì e, proprio in quel momento, Matias fece il suo ingresso, venendo subito accolto a braccia aperte dal figlio che lo attendeva per la “sfida del secolo”. “- Buonanotte, papà! Stavamo per andare a letto!” Lo corresse Francesca, mentre lui le si avvicinò per depositarle un dolce bacio sulla sommità del capo. “- Vostra madre?” Domandò distrattamente il biondo, mentre Leon già stava sistemando un altro joystick per proporgli la corsa. “- In cucina…” Rispose la ragazza, vedendolo dirigersi verso la stanza da lei indicata. “- …Papà…” Lo richiamò poi, facendolo voltare di colpo con curiosità. “- Che c’è piccolina?” “- Fate pace. Per favore…”. La voce della bruna fu quasi un sussurro e Matias, colpito per quella supplica della figlia, si intenerì sciogliendosi in un sorriso. “- Tranquilla tesoro, la mia intenzione è quella.” La rassicurò, per poi scomparire nella camera dove si trovava la moglie.
Marcela era intenta a fare i piatti e neppure lo vide entrare né avvertì il rumore dei suoi passi, avendo lo scorrere dell’acqua come unico rumore potente di sottofondo. “- Ehi…” L’uomo le si avvicinò piano, vedendola voltarsi di colpo, evidentemente sobbalzata. “- Ah, sei tu…” Commentò, fingendosi rilassata e fissandolo per pochi secondi, ritornando poi a strofinare con più foga delle stoviglie. “- Dobbiamo parlare.” Commentò lui, vedendola ghignare di gusto con freddezza, senza neppure sollevare gli occhi dal piatto che aveva preso a lucidare. “- Ah, quindi quando non ci sono importanti decisioni da prendere, dobbiamo parlare, vero? Un po’ tardi, mi pare…” Commentò ironicamente, posando poi l’ennesimo oggetto con stizza nella vasca del lavello. “- Fran mi ha praticamente supplicato di fare pace con te, e sinceramente lo voglio anch’io. Per quanto ancora hai intenzione di essere arrabbiata?!” Domandò lui, andandosi a sedere al tavolo, venendo seguito dalla donna che, afferrando un canovaccio, si asciugò di fretta le mani e lo seguì, accomodandosi nervosamente di fronte a lui. “- Lo so. I ragazzi stanno male per questa storia e nemmeno a me va per niente giù questa tensione che si è creata. Tu hai sbagliato ma… l’ho fatto anch’io, in fondo.”. Quelle ultime parole fecero accigliare l’uomo che si sporse verso di lei, sicuro di aver capito male: sentire Marcela ammettere i suoi errori e dargli ragione, era raro come assistere ad un’eclissi solare. “- Non mi guardare così! Dico sul serio. Jade è tua sorella ed è giusto e sacrosanto che tu voglia aiutarla. Non sono felice né di avere qui lei, né, tantomeno Nicolas e Clement che conosciamo appena… ma non posso di certo condannare la tua decisione.” La Parodi prese un profondo respiro, per poi continuare: “- …Sono stata troppo aggressiva, mi dispiace. Ma ciò non toglie che avresti prima dovuto parlarmene e non lo hai fatto.” Sentenziò la donna, abbassando poi gli occhi sulle sue mani, intrecciate sul tavolo. “- Mi perdoni?” Chiese La Fontaine sottovoce, vedendola comunque restare in silenzio, mentre lui provava a cercare le parole giuste. “- Mi manchi, amore mio. Mi manchi troppo e… e sono felice che abbia capito che non avessi intenzioni sbagliate: Jade è mia sorella, mi ha chiamato in difficoltà, spiazzandomi e non sapevo nemmeno io cosa dirle se non che poteva venire qui… e poi dirlo a te… io… non avevo nemmeno idea di come affrontare l’argomento.” “- Lo so, l’ho capito. Anche se un modo avresti potuto anche trovarlo...” Sentenziò lei, alzandosi in piedi e facendo per ritornare alle sue faccende. “- E allora?! Mi posso considerare perdonato?” Il frastuono che provocò con la sedia fece ridacchiare la bruna: sempre il solito maldestro… ma lo amava così, non poteva farci nulla, era sempre stato così, da quando erano due ragazzini. La donna gli si avvicinò a passo lento con le mani sui fianchi, fingendosi ancora stizzita e, una volta giunta a nemmeno una spanna da lui, gli prese il volto tra le mani e lo baciò a sorpresa, lasciando lui dapprima sconvolto: non se lo aspettava, aveva intuito di essere stato scusato ma non ebbe neppure il tempo di concentrarsi sulle sue riflessioni che il cervello andò in standby e si lasciò solamente andare a quel gesto tanto dolce quanto appassionato. “- Ti amo…” Soffiò quando, senza fiato, furono costretti a staccarsi. “- Anch’io… purtroppo per me.” Rise lei, accarezzandogli una guancia per poi gettarsi tra le sue braccia. Francesca, di spalle alla porta, aveva sentito tutto e felice come una Pasqua, si avvicinò al gemello che aveva ripreso ad allenarsi per sfidare il padre. “- Credo proprio che si siano riappacificati…” Gli sussurrò la ragazza, vedendolo sbuffare. “- Ciò significa che ne avranno per molto e io mi sono giocato la grande sfida…” Sbottò lui, per poi sciogliersi in un sorriso ironico. “- Ti sfido io… ma non con questo coso: a scacchi!” Esultò Francesca, vedendolo accigliarsi di colpo. “- Non ci penso nemmeno! Ci ho messo un’estate intera ad imparare a causa tua… e perdo sempre!” “- Appunto!” Ridacchiò allegramente la ragazza, dirigendosi poi verso le scale per andare a prendere il gioco con cui avrebbe stracciato per l’ennesima volta Leon, così da togliere dal suo viso quel ghigno fastidioso e soddisfatto da campione.
 
 
“- Non hai idea di quello che è successo quindi con il trasferimento di Pablo da noi…” Violetta era in giardino seduta ai piedi della grande quercia sul retro della villetta e stava raccontando a Francesca le ultime novità di casa Castillo. La bruna rimase confusa da tutte quelle informazioni insieme e immaginò quanto potesse essere stato difficile per i tre fratelli affrontare tutti quegli eventi senza impazzire. Diego aveva preso a pugni Galindo e la cosa non la sorprese più di tanto: prima di allora non avrebbe mai definito il maggiore dei figli dei vicini aggressivo, anzi. Il giovane le era sempre parso affettuoso e premuroso, soprattutto per quanto riguardava le sorelle e gli amici… ma da quando la sua vita era stata sommersa da quell’immenso dolore, da quando aveva travolto lei quel giorno e si comportava diversamente con tutti, non poteva, in effetti, dire diversamente di lui, seppure lo comprendesse. “- Diego sta male, se ha avuto una zuffa con l’amico di tuo padre è comprensibile, per quanto ingiustificabile per i modi che ha usato.” Sentenziò Francesca, prendendo a giocare distrattamente con le pieghe del suo vestito. “- Sì ma… insomma lo deve capire, Fran! Non puo’ comportarsi così! Tratta male chiunque gli capiti a tiro, scappa via, ora addirittura arriva a rompere quasi il setto nasale di Pablo! La deve smettere!”. Da quando avevano toccato l’argomento che riguardava il fratello di Violetta, la La Fontaine era seria e riflessiva: aveva una voglia pazzesca di sapere come stessero andando le cose per il giovane e si sentì meglio quando l’amica iniziò lei stessa a parlargliene, senza che dovesse farle domande a riguardo. “- Non è il solo che sta soffrendo, anch’io sto male e non passa notte che non pianga nel sonno pensando ai miei genitori… Ambar ha incubi quasi sempre a causa dell’accaduto… ma nessuna di noi si sta comportando così!” Continuò la Castillo, abbassando gli occhi con aria malinconica. “- Ognuno reagisce in maniera diversa a questo genere di cose, credo…” Sussurrò quasi l’altra, portandosi i capelli dietro le orecchie con un gesto nervoso e rapido. “- Sì, d’accordo… ma se Pablo è venuto a stare da noi non è colpa sua! Il testamento lo richiedeva, è un tutore tanto quanto nostra zia Angie e se lui fa così… non si rende conto che complica la vita anche a lei che si sta facendo in quattro per noi.” Mormorò la castana, facendo annuire l’altra distrattamente. Dall’altro lato dello steccato, Leon le stava ascoltando da un po’, preoccupato per l’amico: come poteva star reagendo così? Non era da Diego… inoltre, non voleva stare da tempo con lui o Seba che, più volte, avevano provato a rintracciarlo, beccandosi solo declini a tutti i loro inviti anche alla più semplice delle passeggiate. “- Fran… Violetta… come va?” La voce del castano le fece sobbalzare e lui, stranamente intimidito, sensazione che di norma non gli apparteneva, le salutò con un cenno della mano, scavalcando con un abile balzo il recinto, grazie ad una serie di scatoloni appoggiati a mo di scaletta nel suo giardino. “- Leon…” Sorrise la Castillo, ricordandosi improvvisamente del giorno in cui l’aveva aiutata a ritrovare il fratello, sostenendola e facendole battere forte il cuore. “- Solite storie, se non peggio.” Concluse Francesca, osservando il fratello sedersi accanto a loro, per terra. “- Ammetto di aver sentito qualcosa… Diego? E’ dentro?” Domandò alla Castillo che annuì con aria malinconica. “- Sì ma ha esplicitamente detto che non vuole vedere nessuno… e dopo aver assistito a come ha reagito alla vista di Pablo… beh, ti consiglio di non avvicinarti almeno fino a domani se non vuoi un setto nasale disintegrato.” Sentenziò con tono amareggiato, vedendolo prendere un profondo respiro. “- Ragazzi io vi lascio… mia madre voleva una mano per scegliere un regalo, o qualcosa del genere… a dopo!” Salutò la La Fontaine, scattando in piedi e avviandosi a passo svelto verso l’uscita della proprietà dei Castillo, lasciando che un abbondante minuto di silenzio calasse su Leon e Violetta, rimasti l’uno accanto all’altra in un teso imbarazzo. “- Volevo ringraziarti per l’aiuto dell’altro giorno…” Iniziò lei, tenendo lo sguardo basso sulle sue mani, appoggiate in grembo. Leon sorrise, incantandola con quegli occhi verdi e profondi che lei tanto adorava, sin dalla prima volta che li aveva incrociati. “- Figurati. L’ho fatto con piacere… è tuo fratello ma anche mio amico.” Aggiunse, vedendola di nuovo abbassare il viso, per poi continuare: “- Insomma volevo ringraziarti anche per… per essere stato così forte, per avermi dato coraggio. Da sola non so se ce l’avrei fatta.” Concluse la Castillo, mordendosi nervosamente il labbro inferiore. Leon rimase sorpreso da quella frase: stava palesando una fragilità che gli aveva dimostrato solo un’altra volta, quando erano insieme, al faro. Prima, in realtà, non l’aveva mai considerata più di tanto, ma, non sapendo perché, da quel giorno in cui l’aveva sentita parlare con Diego in giardino come una donna matura per la sua forza e saggezza, in lui si era acceso un grande interesse nel voler conoscerla meglio. Tanto coraggiosa eppure fragile… Violetta era ancora un mistero per lui. “- Ce l’avresti fatta comunque. Sei forte e determinata, anche se non lo sembri.” Concluse il giovane, rimettendosi in piedi appoggiandosi pigramente al tronco dell’albero dietro di loro, per poi incamminarsi a passo lento. “- Lo pensi sul serio?” Chiese lei distrattamente, alzandosi a sua volta, facendo voltare il ragazzo, ormai di spalle, di nuovo nella sua direzione. Sì, lo pensava. Pensava che quello scricciolo dall’aspetto di una bambolina nascondesse una forza incredibile e ne aveva avuto più volte la prova: se era crollata in alcuni momenti era stato più che lecito, considerata la situazione. Annuì a quella domanda, ammaliato dai suoi grandi occhi da cerbiatto di un nocciola intenso. “- Meglio che vada… devo vedere Seba tra poco… verrà per raccontarmi sicuro tutte le news sul fronte Cami.” Ridacchiò a disagio, allontanandosi di nuovo verso casa sua, procedendo verso l’uscita dal giardino dei Castillo. Si sentiva strano, quasi in imbarazzo per essere rimasto solo con Violetta dopo che, quel giorno, avevano cercato Diego ed erano stati tanto tempo insieme. Che gli prendeva? Era andato davvero lì solo per sapere dell’amico?  L’ammirava unicamente per il suo coraggio o c’era dell’altro? Lui stava uscendo con Lara, il prototipo della ragazza da discoteca… e Violetta era sempre stata l’amichetta di Fran, la sorellina minore del vicino con cui suonava, nient’altro. Eppure non poteva negare che quel giorno al faro con lei gli avesse fatto bene, la sua compagnia gli faceva bene… e se fossero diventati amici? No. Non poteva. O sì? Confuso e con lo sguardo dolce e determinato di Violetta immortalato nella mente, si avviò verso il garage: chissà, forse suonando nell’attesa che Seba lo raggiungesse, avrebbe anche potuto distrarsi o meglio… chiarire cosa volesse davvero.
 
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Ehilà! :) Eccoci ad un altro capitolo di questa folle storia! :3 In questo 12, Angie convince Pablo a trasferirsi a villa Castillo ed è guerra aperta con Diego! D: A casa La Fontaine i coniugi fanno pace… :3 Avvistati anche altri accenni Diecesca e Leonetta! (E sì, anche Pangie! :3) Ci siamo, gente, ormai è questione di tempo e vedremo sbocciare nuovi amori! :3 Grazie a tutti coloro che continuano a seguire la fan fiction e alla prossima, ciao! :) DulceVoz. :)
  
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