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Autore: BlueWhatsername    12/01/2015    2 recensioni
" [...] “Vieni qui…” quel sussurro la rincorre ancora, l’eco le rimbalza in testa, rassicurandola sul fatto che sia lì.
Lì per davvero. "
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Ritrovata casualmente nella cartella dei 'TENTATIVI'.
Che sia almeno valido.
Genere: Fluff, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Io non lo so cosa sia 'sta cosa, ve lo giuro.
L'ho ritrovata per caso dieci minuti fa, riordinando le cartelle del PC.
Risale al 29/09/2014, ed io non ricordavo né di averla scritta né ora ricorda che diamine fosse.
E dopo averlo detto a quelle sante di Aitch e ad Aguero eccomi qua a pubblicarla nella sezione 'originale' senza alcuna pretesa precisa, se non quella di farla uscire dal mio pc. L'ho anche riletta, ma continuo a non trovarci un filo logico.
Quindi boh, io ve la pubblico, spero a qualcuno piaccia!
Torno a vegetare/disagiare altrove, gente!
Vostra, Blue











“Vieni qui…” pare più un sussurro nel buio che non una richiesta vera e propria a qualcuno che sembra quasi non avere nome.
 
Le ombre parlano, si muovono, sono morbide e sinuose, avvolgono e scrutano; i muri hanno occhi ed orecchie, captano i sogni e li imprigionano, lasciando a chi li fa un debole ricordo di ciò che hanno visto e sentito; assorbono i rumori ed i sussurri, i sospiri di un amore consumato su una coperta sfatta o i baci dati di sfuggita quando il fiato è ormai a zero ma il cuore pompa come non mai.
 
Le ombre sanno trovarti quando meno te lo aspetti, lei pensa sempre che quelle favole che raccontano da bambini abbiano comunque un fondo di verità, alla fin fine… Insomma, se tutti ti mettono in guardia dal buio qualcosa vorrà dire, no? Il buio tira via e brucia, racchiude ed imprigiona per sempre e  non riscalda… Il buio è freddo e statico, non si muove e non dona. Non si distingue nulla, al buio, nemmeno i propri pensieri.
 
“Vieni qui…” ripete, a voce più bassa, il bisogno che si fa più impellente nella sua voce incerta, la paura che monta come un’onda vischiosa e gelida.
 
Fosse solo il buio a metterla a disagio, fosse solo lo spazio fisico in cui la luce è lontana e non si vede niente.
No, è l’assenza a metterle paura più di ogni cosa, la mancanza in sé, il peso di un qualcosa che dentro non esiste più.
 
Stringe debolmente il cuscino al petto, avvertendo le ginocchia piegarsi istintivamente verso il proprio stomaco e le mani farsi più fredde, quasi il sangue volesse abbandonarla del tutto.
Chiude gli occhi, nel vano tentativo di non dover vedere oltre quel buio che pare volerla inghiottire ad ogni secondo che passa.
 
Tutto inutile, il buio esiste sempre, pure e soprattutto ad occhi chiusi. Le forme scompaiono del tutto se abbassa le palpebre, sembra tutto più vuoto e dissolto, come se si dissolvesse in una nuvola di fumo.
 
Sospira, aprendo di nuovo gli occhi e accorgendosi che le sue mani non poggiano più sul cuscino, né tantomeno le sue ginocchia sono ancora piegate: un calore strano la circonda, per un secondo che pare eterno sente un respiro infrangersi sul suo viso, un profumo che conosce a memoria circondarle i sensi ed annebbiarli.
 
È un profumo, quello, che abita sempre i suoi sogni, che non è replicabile altrove ma che lei – e ne è fin troppo consapevole – ricorderà per sempre come il suo preferito.
 
I pensieri si rimpiccioliscono in quel dannato momento che lei ama considerare come quello del ritrovo, quando ogni cosa pare più bella  e vivida – pure se al buio – e tutto si ammorbidisce, attorno a lei, perfino l’oscurità si rischiara.
 
 
Perché ci sono cose che niente potrà celare, e quella sensazione non si spegnerebbe mai, nemmeno volendo.
 
Si rilassa, i muscoli si tendono e rispondono al battito un po’ più calmo del suo cuore frenando quel loro essere tesi e all’erta. Le sue dita si stendono su una superficie che riconosce come la guancia poco ispida di qualcuno, le sue labbra sfiorano un tessuto morbido, spesso, profumato. Avverte una mano stendersi piano sulla sua schiena, il palmo è così ampio che riesce quasi a centrare le due scapole poco più rilassate.
 
Sospira, il buio pare diventato meno scuro; è così strano ora sentirsi rilassata a sicura, le mani paiono muoversi quasi da sole verso quel corpo che le è attaccato e le infonde un calore nuovo, intenso, è fatto ad ondate che si propagano direttamente verso il centro del suo petto, infiammandolo.
 
Prende un respiro profondo, spostandosi più vicino a chi ora la sta stringendo alla vita, la mano che prima era sulla sua schiena è risalita ai capelli, intrecciandosi ad essi con lentezza: la consapevolezza che si sta facendo toccare da chi sa come toccarla la fa rabbrividire, un po’, la rilassa, uno strano languore le scioglie lo stomaco, poi glielo intreccia, lo annoda così stretto da non farla respirare ma quel profumo è tanto denso da non lasciarle nemmeno il tempo di pensare.
 
Le mani sono leggere sulla sua schiena, la accarezzano ancora, la cullano; altre ginocchia si intrecciano alle sue, fa loro spazio con naturalezza, incastrando il proprio corpo ad un altro che non fa fatica ad adagiarsi contro il suo, riparandola ancora di più da quel manto scuro che ormai li sovrasta e che nessuna luce può più scacciare.
 
Sente il proprio cuore tradirla, aumentando a dismisura il battito, impedendole d’improvviso di respirare.
 
Avverte il respiro accelerare un poco, farsi soffocato nel momento in cui si avvicina di più col viso a quel collo che emana quel forte profumo di cui non riesce a fare a meno; inspira forte, poggiando la fronte tra la mascella e l’orecchio di chi la sta dolcemente stringendo, senza però essere opprimente.
 
Le piace quel contatto, pure se è sempre stata restia a cose di tal genere: ha un modo di rassicurarla che nessuno avrebbe mai. La fa sentire difesa ed al sicuro, esprimere a voce quel bisogno di protezione le verrebbe proprio difficile, ma il bello di tutta quella situazione sta proprio nel fatto che le parole non servono.
 
Non sono mai servite, in realtà.
 
Bastano quei semplici gesti, basta tutto quello che non si è confessata ma che sta così tanto radicato in lei da parerle quasi una parte imprescindibile di sé, un qualcosa con la quale è nata e con cui terminerà di vivere, quando sarà il momento; è strano pensarlo, ma non esiste istante  durante la giornata in cui non ci pensa, a quel folle sentimento incondizionato che si consuma come benzina data alla fiamme ma che è resistente quanto il gelo di un ghiacciaio. Duro come la roccia temprata dalle stagioni e morbido quanto la brezza gentile che sparpaglia i capelli al vento.
 
Quella cosa è tutto, riempie ogni poro del suo essere fin quasi a sopraffarla.
 
Ma è una sopraffazione tanto dolce quanto vorace, le richiede sforzi maggiori giorno dopo giorno, la prosciuga ma le consegna anche così tanta forza che a volte si chiede come possa fare a gestirla tutta. E come fa il mondo a non rendersi conto che in quel piccolo corpicino ora raggomitolato al calore di un altro c’è quella miccia pronta ad esplodere da un momento all’altro? Se il suo viso potesse esprimere quel che sente – tanto brava è a celare quel che pensa, con gli anni ha imparato che non tutto si può dire e soprattutto non a tutti – sarebbe un arcobaleno coloratissimo non con sette, bensì con dieci, cento, mille colori insieme. Sarebbe luce, e tanto più.
 
Ecco perché non fa fatica alcuna a stringersi ancora di più a lui, a farsi assorbire quasi.
 
“Vieni qui…” quel sussurro la rincorre ancora, l’eco le rimbalza in testa, rassicurandola sul fatto che sia lì.
Lì per davvero.
  
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