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Autore: vegeta4e    12/01/2015    4 recensioni
Haytham e Connor sono alla ricerca di B. Church, colpevole di aver tradito l'Ordine Templare e di aver sottratto a Washington i rifornimenti destinati all'Esercito Continentale. Il birrificio di New York è palesemente abbandonato e questo piccolo dettaglio obbligherà padre e figlio a collaborare, costringendo il Gran Maestro a lavorare separatamente sia con Charles sia con il figlio. Successivamente Haytham li convincerà a cooperare, tentando di metter da parte l'odio tra Assassini e Templari per raggiungere uno scopo più grande, desiderato da entrambe le fazioni: vincere la guerra contro gli Inglesi.
Ma non sarà questo l'unico intoppo. Torneranno vecchie conoscenze, vecchi problemi che H. Kenway credeva di essersi lasciato alle spalle. A cosa dare la precedenza? Ad una richiesta d'aiuto o a Washington che, battaglia dopo battaglia, sta perdendo sempre più terreno?
Questi eventi coinvolgeranno anche Connor e Charles Lee, nel bene e nel male.
Dal testo:
Charles e Connor entrarono nella sala, notandomi assente e pensieroso.
«Signore? Che succede?» Sospirai nuovamente, premendomi due dita alla base del naso.
«Temo di dovervi lasciare soli nelle prossime missioni. Devo tornare in Europa» annunciai tornando in posizione eretta per darmi un contegno.
Genere: Avventura, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Charles Lee, Connor Kenway, Haytham Kenway, Jenny Kenway
Note: Lemon, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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Capitolo 26

 

Restai a guardare Charles dalla finestra per qualche minuto, provando qualcosa di simile alla pietà e al senso di colpa nel vederlo lì, in piena notte, col culo all’aria nel piazzale di Fort George. Tremava ad ogni lieve spostamento d’aria, tentando di scaldare le membra strofinandosi le mani addosso.

Poi, però, mi tornò in mente l’immagine in cui cavalcava mia sorella e puff, la preoccupazione scomparve, tornando da dove era venuta. Schifoso bastardo. Gli lancia un’ultima occhiata severa, osservandolo mentre si accovacciava tra il muro che dava a sud e delle casse di legno, nella vana speranza di ripararsi dal vento.

Lo sguardo basso, pentito. Forse arrabbiato, reputando la punizione troppo rigida o addirittura insensata, ma non tornai sui miei passi, avrei perso credibilità agli occhi di tutti. Giammai.

Me ne andai così, passo lento e mani dietro la schiena con una stanchezza addosso che non avevo da anni.

«Charles?» Dei passi veloci e leggeri percorsero il corridoio venendo nella mia direzione, e pochi secondi dopo vidi sbucare da dietro l’angolo Jenny, ancora avvolta nel sudicio lenzuolo in cui si era rotolata con Lee. «Tu!» Si arrestò di colpo, puntandomi un dito contro «Dove hai portato Charles?» Mi fermai, fissandola indifferente. Lì dentro comandavo io, cristo, questo dettaglio sfuggiva un po’ troppo spesso per i miei gusti. Prendevo io le decisione, e sempre a me spettava qualsiasi giudizio riguardo il comportamento dei miei sottoposti. Oltre al fatto che fosse l’ultima arrivata, con che faccia osava contestare il mio volere? Andiamo, era stata una concubina per tutta la sua triste esistenza, quanto poteva valere la sua parola lì dentro?

Assottigliai ancora di più lo sguardo, per quanto fosse possibile. «Dove è giusto che sia» cioè non nel tuo letto.

«Dimmi che almeno sta bene» la voce preoccupata non mi scalfì nemmeno.

«Non saprei, suppongo di sì» iniziavo ad averne abbastanza delle loro avventure da innamorati. Non avrei permesso che distraesse Charles dal nostro scopo primario, non l’avrei lasciato scodinzolare dietro alla sua bellezza appassita con gli anni. Oh, chi volevo prendere in giro? Non c’era stata mai nessuna bellezza esagerata. Mia sorella era semplicemente… Carina, sì, ma nella norma. Indubbiamente piaceva, all’epoca, e mi chiesi spesso il perché. Era piuttosto arrogante e acida, supponente e presuntuosa, difficilmente l’avrei sopportata a lungo se fosse andato tutto liscio quella famosa notte.

«Come sarebbe suppongo?!» Roteò gli occhi, volgendoli per caso sul piazzale interno del forte. Ah, il richiamo dell’amore.

«Sant’Iddio, Charles!» La imitai, individuando Lee proprio mentre starnutiva. «Fallo rientrare immediatamente! Si prenderà un malanno, oh, cielo, sii ragionevole!»

«Pensa che per un attimo ho pensato di…» simulai le forbici con le dita, accompagnando il tutto con uno schiocco di lingua. Sì, giusto per rendere l’idea. «Non provare nemmeno a portarlo qui, la porta è chiusa a chiave.» La guardai con aria di sfida. Voleva mettersi contro la mia autorità? Benissimo, l’avrei accontentata. «E nel caso in cui ti stessi domandando dove sia la chiave…» misi le mani nelle tasche dei calzoni, facendo chiaramente intuire dove volessi arrivare «sappi che sono al sicuro. Spero tu non voglia mettere mano anche lì. Sono pur sempre tuo fratello.»

Spalancò la bocca, indignata. «Sei un lurido figlio di puttana, ecco cosa!» Sbraitò. Gesù, se sperava davvero di ferirmi insultando mia madre era totalmente fuori strada. Anche perché sulla sua –o direttamente su di lei- si poteva controbattere senza nessuna difficoltà.

Infatti sogghignai. «Quindi è stata lei ad insegnarti i trucchi del mestiere» insomma, per dare piacere ad un Sultano credo ci voglia maestria, no? Non le diedi il tempo di formulare una risposta sensata che la superai, evitando persino di calpestare il lenzuolo.

 

Per chi si chiedesse se quella notte riuscii a dormire, la risposta è sì. Non ebbi grandi difficoltà a reprimere il dispiacere, ma la lucidità prese il sopravvento sulla vendetta, dato che pianificare il funerale di Washington aveva ovviamente la precedenza.

Alle sei in punto di mattina scesi giù, raggiungendo il corpo raggomitolato di Charles e svegliando malamente il mio socio lanciandogli addosso i suoi vestiti.

Sobbalzò senza capire, col viso coperto per metà dai calzoni, la redingote e la camicia a coprirlo dal petto in giù.

«S-Signore…»

«Alzati e vestiti, abbiamo delle faccende da sbrigare» iniziò a maneggiare i vestiti di fretta e furia, e non capii se lo fece per trovare calore il prima possibile o perché sperava di accattivarsi la mia simpatia per non essere più punito. Ma poco m’importava, sinceramente, volevo solo che si spicciasse e mi seguisse fuori da Fort George.

«Di che faccenda si tratta?» Charles mi affiancò, finendo di allacciarsi la cintura. Lo afferrai per un braccio e lo tirai verso la taverna più vicina.

«La solita.» Non aggiunsi altro ed entrai facendo cenno all’oste di servirci qualsiasi cosa avessero di commestibile, poi occupai l’ultimo tavolo sulla sinistra, nell’angolo. Lee mi raggiunse subito, trascinando la sedia e sedendosi di fronte a me.

Su, forza, non ci vuole niente.

«Prima di iniziare il discorso...» abbassai lo sguardo sul tavolo e presi fiato «io… Sì, insomma, credo di aver esagerato ieri sera. Mi dispiace» visto? Non è stato poi così difficile. Charles sorrise appena, come se aspettasse quelle scuse da un momento all’altro.

«Non importa, avrei dovuto aspettarmi una reazione del genere, è pur sempre vostra sorella.»

«Ma non hai saputo resistere all’istinto, dico bene?» Dissi con una punta di acidità. Sì, mi dava fastidio, nonostante tutto. Jenny, però, mi stava sul cazzo a prescindere per i suoi modi di fare che non tolleravo nemmeno a dieci anni, non fraintendiamo.

Deglutì. «Veramente io credo di provare qualcosa per Jennifer.» Ritenni educato non scoppiargli a ridere in faccia, ma la mia espressione parlò per me. Innamorato di Jenny? Gesù, doveva aver pregato giorno e notte il Signore per avere la grazia di un uomo che la sopportasse finché morte non li separi. Li immaginai all’altare e soffocai a stento una risata. Che funerale avrei dovuto organizzare nel caso si fossero sposati? Quello di Charles, per il suo suicidio?, o quello di Jenny, sgozzata dopo due mesi dal maritino follemente innamorato?

«Sono pronto a dimostrarvelo»

Alzai le mani in segno di resa. «Per carità, la scena di stanotte mi ha turbato abbastanza. Parliamo di George.» Annuì subito, ben felice di cambiare argomento. «Aggiornami.»

«Ho sentito dai soldati che l’esercito è a corto di polvere da sparo. Washington sa bene di essere in svantaggio rispetto alle truppe Inglesi ed evita sempre lo scontro diretto., ma senza polveri possiamo dire addio alle poche possibilità che avevamo di vincere.»

Sbuffai. «Quello è il meno, il vero problema è lui. Potrebbe avere armi in quantità industriali che non saprebbe nemmeno da dove iniziare.»

«Intanto pensiamo ad armare l’esercito. Non c’è bisogno del segnale del comandante in capo per salvare la pelle, sanno sparare in caso di pericolo. I nostri soldati non sono stupidi, c’è solamente molta disorganizzazione.» Fui costretto a trovarmi d’accordo con lui. La scarsità di polvere da sparo era certamente un fattore che ci penalizzava, ma non era il solo e non si poteva risolvere in fretta.

«Bisognerà chiedere rifornimenti, sarà una faccenda piuttosto lunga. Intanto, però, possiamo fare una visita al caro George. Ti va?»

 

 

Ogni settimana sempre peggio, lol, va beh. Lo studio mi sta uccidendo psicologicamente, quindi la faccio breve.
Solo io ho immaginato Charles surgelato con le stalattiti pendenti dai baffi? lol. Non fateci caso, ripeto, è lo studio.
Non vi annoio oltre e ringrazio come sempre chi legge e recensisce, a lunedì prossimo, ciaaao :3

 

 

 

   
 
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