Fanfic su artisti musicali > Avenged Sevenfold
Segui la storia  |       
Autore: Queen of Superficial    13/01/2015    3 recensioni
“Immagino fosse la conseguenza naturale delle suore francesi e del corso di danza classica e buone maniere. I miei sono gente all'antica.”
Brian sbuffa sarcastico, essendo lui un fervente attivista contro le suore francesi, la danza classica e le buone maniere.
“E ve la fanno un po' di educazione sessuale, in collegio?”
“Siamo un collegio femminile.”, risponde la bionda quasi in tono di scusa, dopo un attimo di tentennamento.
Lui ride, offensivo. “Quindi non sapete proprio nulla della cosa più divertente del mondo?”
Matt armeggia con la pulsantiera, infastidito.
“Brian, ti sembra il momento di tenere un comizio sulle api e i fiori? Nel caso non te ne fossi accorto, siamo bloccati in un ascensore.”
Genere: Avventura, Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Johnny Christ, Nuovo personaggio, Synyster Gates, The Rev, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

“And I called your name
like an addicted to cocaine
calls for the stuff he’d rather blame.”
- Narcotic,
Liquido

 

 

Venerdì notte, Collegio del Sacro Cuore.

 

Lilian sembra particolarmente agile a scalare le grondaie, per essere una che non l’ha mai fatto.
Jimmy la aspetta di sotto, fuori dal cancello che, comunque, non è lontano dal punto in cui lei atterrerà una volta finita la corsa giù dalla parete dell’edificio.
Lilian sale nella sua macchina senza dirgli una parola, si accende una sigaretta, ostenta una posa da donna vissuta e schiude le gambe. Gli basta giusto un’occhiata per capire che, sotto la gonna troppo corta, non porta biancheria. Sorride perché gli sembra una cosa triste.
“Dove mi porti?”, gli chiede finalmente lei, piegando la testa di lato con fare sensuale.
“Su una stella.”, scherza lui. Forse lei ha visto Titanic, ma, se è così, non se lo ricorda, perché non risponde. Ride, un po’ troppo acuta, come se lui avesse detto qualcosa di particolarmente divertente. A lui viene fuori un ghigno un po’ stanco che non è altro che il lontano parente di un sorriso. Sta pensando a troppe cose, ultimamente, troppe e tutte insieme. Certo non può disfare gli errori che ha fatto, ma perché allora sembra che lei di quegli errori non ne sappia nulla? No, non è vero, Gin sa tutto e gliel’ha fatto capire. È più come se, come dire, non le importasse davvero. Non glieli fa pesare. Non è mai stata scortese o scostante, con lui, e sembrava davvero contenta quando le ha preso quel vinile; un regalo, deve ammetterlo a se stesso, fatto in modo un po’ impacciato. Ma non lo ha fatto per riparare a qualcosa, no. Quel vinile di Johnny Cash lui gliel’ha regalato perché voleva fare qualcosa di bello per lei, non per scusarsi del casino che aveva combinato secoli prima con quella sorella che, con un po’ di fortuna, era riuscito quasi a dimenticare e ora gli si ripresentava davanti in tutta la sua gloriosa devastazione, spuntando fuori praticamente dal nulla, portata dal fruscio di un vestito bianco in un ristorante per vecchie mummie eleganti. Ma allora perché, perché Gin fa così? Perché non gli fa pesare quel che ha fatto? Forse non conosce tutta la storia.
“A che stai pensando?”, gli chiede all’improvviso Lilian, suadente.
Il sorriso strano sul viso di Jimmy si allarga. Si volta a guardarla, e sa di farle un certo effetto, con quegli occhi blu così potenti. “Ai fantasmi, piccola.”, le dice, bevendosi ogni goccia della devozione ammirata che lei gli sta offrendo, “Sto pensando ai fantasmi.”

 

 

Sabato, 18 in punto, casa Haner

 

Jimmy non ha dormito un cazzo. Si guarda intorno stralunato, non capisce per quale diavolo di motivo abbia scelto proprio quel venerdì per vedersi con Lilian.
“Hai delle occhiaie da fare schifo.”, osserva Johnny, avvicinandosi. È con Lacey, se la tiene stretta come se dovessero portargliela via da un momento all’altro. Gli sorride, a tutti e due, e si stropiccia un occhio sorpassando con un gesto esperto le lenti degli occhiali da vista. Non voleva metterseli, proprio oggi, però era troppo stanco per infilarsi le lentine.
Brian li raggiunge con una mezza corsa che lo fa sembrare un completo deficiente, cosa che in effetti è.
“Hey, ragazzi, comeMADONNA, JIMMY, MA CHE HAI FATTO”
“Non urlare, Cristo, ho mal di testa.”
Brian lo osserva con aria di smaccato rimprovero. “PAPÀ!”, urla di nuovo, seguitando a fissare Jimmy dritto negli occhi, “MI PORTI DUE ASPIRINE E UN CAFFÈ?”
“STAI MALE?”, urla Brian Sr., vicino al barbecue che già produce un fumo così grigio e denso da fare invidia ai segnali degli Indiani Cherokee.
“NO, PSJ.”
“PSJ?”
“PRONTO SOCCORSO JIMMY.”
Quella conversazione urlata, a beneficio di tutto il già abbastanza gremito cortile degli Haner, rischia di far saltare a Jimmy la testa dal collo.
“Ti prego” sibila, sofferente, “smetti di gridare.”
Intanto, circa trenta secondi dopo arriva Shadows al trotto con in mano una tazza e due pillole.
“Tieni, bevi, bestia.”
Quattro teste si alzano all’unisono verso il cielo, meditando attentamente come colte da illuminazione. Soltanto Lacey si guarda ancora intorno con aria indifferente, completamente disinteressata al potenziale di “Tieni-bevi-bestia” come eventuale prossima canzone dell’album che i Sevenfold stanno scrivendo.
Jimmy butta giù le aspirine direttamente con il caffè e quasi gli va tutto di traverso; ha già visto quei due vecchi che stanno sorpassando il cancelletto. Quel giorno al ristorante. La signora Baker quasi si manda la salsa barbecue sui pantaloni beige per correre incontro a quella che chiama, gridando, “MALENA!”
“MARIA!”
Urlano tutti, povero Jimmy, ma mentre il padre di Zacky saluta con qualcosa di molto simile a due sonori schiaffi l’uomo che è arrivato con la signora Malena - talmente forti che momenti gli partono di mano le birre, le acque si aprono e spunta lei. Porta in mano una specie di confezione che, probabilmente, contiene qualche tipo di dolce. Jimmy non sa perché è improvvisamente così attratto dalla merlettatura dello scatolo da pasticceria. Probabilmente per non alzare gli occhi e incrociare i suoi. Forse, finalmente, ci troverà la eco di un’accusa. Nessuno di loro si muove verso Gin, neanche Zacky, che è il più vicino a lei. Alla fine, lo fa Johnny, trascinandosi dietro Lacey che lo segue contenta e incuriosita. Jimmy si rende conto che non può fissare il cartone del dolce per sempre, quindi alza lo sguardo; lei è stata appena accolta da sua sorella Kelly. Ha un vestito leggero, lungo fino alle caviglie, con un po’ di spacco; si chiede dove arrivi, quello spacco, perché non riesce a capirlo. Certo che ha proprio centrato l’obiettivo di presentarsi in abbigliamento da barbecue, quella ragazza. Anche il vestito sembra coperto da una specie di pizzo, ma è color avorio. La scatola del dolce invece è azzurra. Ma che gliene frega? Da quando fa caso a queste cose? Probabilmente sta diventando gay anche lui. Stanno diventando tutti gay. Ci sono quindici gradi, e lei ha un golfino nero. Un golfino nero e i capelli chiari, e si muovono con lei quando si volta o cerca di evitare il vento. Quando posa gli occhi su di lui, lo fa come al rallentatore. Zacky si volta a fissarlo per identificare reazioni inopportune, spropositate o che tradiscano una qualche mira del suo amico nei confronti di Gin per la quale, non sa perché, si sente responsabile. Jimmy non batte ciglio, sembra tranquillissimo; alza una mano, quella che regge la tazza, e lei gli sorride tra le ciglia, muovendo le dita in un saluto fugace. Ma ecco che arriva Johnny. Johnny? Che diavolo ci fa, Johnny, con Gin?
La persona normale, civile, educata ed urbana: ecco, cosa ci fa.
“Hey, ciao.”
“Ciao!”
Si guardano sorridendo, inebetiti. Johnny le accenna con la testa verso Kelly. “Hai conosciuto la sorella di Jimmy?”
“Certo che mi ha conosciuto, Jonathan.”, ribatte Kelly, prima di allontanarsi con il dolce. Ma perché devono essere tutti così irascibili, in questa benedetta famiglia.
“Lei è Lacey, la mia fidanzata.”
“Oh!”
Finalmente una fidanzata, sembra pensare Gin. Lei e Lacey si piacciono subito, attaccano a parlare del sistema universitario della California, ma Gin si riscuote d’un tratto, si scusa, e si volta come in cerca di qualcosa. Quando la trova, quella cosa è Zacky: corre dai Baker e il signor James la solleva tra le braccia come se non pesasse nulla. Abbraccia Zacky come se non lo vedesse da un sacco di tempo.
“Secondo te c’è qualcosa?”, chiede Brian a Jimmy, in un altro punto del giardino.
“Ho mal di testa.”, risponde quello. Stanno guardando tutti e due lo sciame di convenevoli tra i Baker e i Kringe, lievemente disgustati.
“Lei non c’entra niente con noi, vero?”
“Che vuoi dire?”
“Mah, è più tipo da country club... Con quei vestiti da brava ragazza, quello sguardo da brava ragazza, quel visino pulito, e soprattutto quel Richard... Un fidanzato con un nome del genere, Richard...”
“Che ha di strano Richard?”
“È un nome troppo altolocato.”
“È un nome normale. Anche tu hai un nome normale, Brian. Anche io ce l’ho. Mi chiamo James, mica, non so, Berserk.”
“Lieto di sapere che ti ricordi ancora come ti chiami. Comunque, non volevo dire questo. Volevo dire un’altra cosa.”
“Quale cosa?”
“Io ho avuto il buonsenso di cambiarmelo, il nome. Io sono Synyster Gates.”
“Definirlo buonsenso mi sembra uno slancio di ottimismo fuori misura.”, osserva pacato Jimmy, con gli occhi su Gin che sta ricevendo la solita pioggia di complimenti che i vecchi fanno ai giovani quando non li vedono da un po’ e improvvisamente si rendono conto che hanno superato il metro e venti con tutti e quattro gli arti ancora attaccati. Come-sei-cresciuta-guarda-come-sei-bella-che-brava-hai-ancora-tutte-e-due-le-mani. Anche Brian guarda Gin, ma è più concentrato sul suo vestito. Quel vestito sembra averlo sconvolto una volta e per tutte.
“Guardala”, dice, con aria saggia, “che si è messa addosso?”
“Calmati, fashion police.”
“Sembra si sia vestita come se dovesse andare ad una comunione!”, continua imperterrito Brian, deciso a proseguire la sua crociata contro l’abito, “È completamente fuori posto.”
“Non so se può essere un problema, per lei, ma non credo. Del resto, noi siamo sempre stati fuori posto praticamente ovunque e siamo sopravvissuti, come vedi.”
“Già.”, fa Brian, lanciandogli un’occhiata inquisitrice, “A proposito, dovevi proprio vestirti come se stessi andando alle esequie del tuo bisnonno?”
Jimmy si dà un’occhiata sommaria all’outfit. “Perché, cos’ha che non va il total black?”
“Che sembri una cornacchia impagliata di due metri, ecco cosa non va.”
Il contenzioso viene spezzato da un rumore alle loro spalle, che li spinge a voltarsi verso l’orizzonte: tre case più in là, i vicini di Brian hanno deciso che era un buon momento per testare i fuochi d’artificio.
Quando si rigirano verso il cortile, sobbalzano tutti e due.
“Ciao.”, dice Gin, ridendo piano di quella reazione. “Non volevo spaventarvi.”
“Ciao, piccola. Non preoccuparti, non ci hai spaventati.”, mente Brian, appoggiandosi con disinvoltura a Jimmy per attenuare il tremore alle gambe.
Il signor Haner urla il nome del figlio, il quale si allontana di corsa (tremolando) verso il barbecue. Jimmy e Gin rimangono da soli, si guardano. Lei è un po‘ imbarazzata, ma lui non sembra affatto a disagio. “Ciao, fatina.”, le dice, facendola sorridere. Gin piega la testa di lato e gli rivolge uno sguardo clinico. “Stai bene.”
“Un po‘ di mal di testa.”
“No, intendevo dire che stai bene con gli occhiali. Comunque, già che ci siamo...”
Jimmy non ha previsto le mani di Gin che gli si appoggiano alle tempie, il suo tocco delicato. Chiude gli occhi quasi d’istinto: le dita di lei sono morbide e fresche, e dopo un minuto o giù di lì gli sembra sul serio che vada molto meglio, ma forse è suggestione.
“È una cosa che faceva mia nonna quando mi faceva male la testa da bambina.”
“Funziona.”, la rassicura lui. Il modo in cui gli scosta i capelli dalla fronte, la pressione circolare delle sue dita sulle tempie, tutto questo, le aspirine e il caffè rimettono al mondo un uomo nuovo, pronto a urlare tutta la notte nelle orecchie di Brian per vendicarsi della sua poca delicatezza di prima.
Lei abbassa le braccia e lui apre gli occhi nei suoi: “Sei straordinaria.”
“Non saprei. A little piece of Heaven è straordinaria.”
Jimmy le sorride. Lei sorride all’erba, un po‘ in imbarazzo. Forse teme di aver detto troppo.
“Sono contento che ti piaccia. È un po’ cruenta pure quella, però. Anche più di Folsom Prison Blues.”
“Mi piacciono le cose cruente.”
Gin coglie il doppio senso nelle proprie parole e anche lui, infatti si guardano e ridono.
“Gin, per quanto riguarda Delia, io...”, dice Jimmy all’improvviso, non sa perché.
Gli occhi di lei si offuscano impercettibilmente. “Non c’è nulla da dire, Jimmy, davvero. Raggiungiamo gli altri.”
Mentre si incamminano, Jimmy riafferra un pensiero che ha fatto un po‘ di tempo prima e abbassa o sguardo sul suo vestito.
“Me la togli una curiosità?”, le chiede.
“Certo.”
“Dove arriva quello spacco?”, dice, indicando con li occhi la parte inferiore dell’abito. Gin lo fissa per un secondo, sorpresa, poi sorride di un sorriso bellissimo, inatteso. Scosta la gonna, e Jimmy ha modo di verificare che il vestito si apre, in teoria, fino a un po‘ più di metà coscia.
“Vertiginoso. Non sembrava.”, commenta, distogliendo lo sguardo.
Gin lascia andare il lembo dell’abito, sorride. “Non si aprirà mai così tanto da solo, a meno che qualcuno non lo apra di proposito.”
“Non preoccuparti.”, la rassicura lui, ironico, “Lo so che sei una brava ragazza.”
Gin ride. “La razza peggiore.”, dice. Si guardano per un secondo, divertiti, prima di buttarsi nella mischia che arrostisce costolette all’imbrunire. 

 

 

Johnny.

 

“Grazie di essere convenuti a questa riunione.”
Vorrei ucciderlo, e poi arrostirlo. O forse arrostirlo vivo. Ma che problemi hanno con Dio e con gli uomini, questi quattro cretini? Una settimana fa siamo rimasti chiusi dentro un ascensore e cosa fa quel vorticoso precipizio di demenza di Brian Haner Jr.? Convoca una riunione nel suo stanzino per le scope.
“Ti rendi conto che siamo cinque maschi adulti-”
“Quattro e mezzo.”
“Vaffanculo, Jimmy. Ti rendi conto, Brian, che siamo cinque maschi adulti chiusi dentro il tuo MALEDETTO SGABUZZINO?”
“Non urlare, Johnny, c’è poca aria.”
Shadows ha acconsentito a partecipare a questa cosiddetta riunione semplicemente perché, negli ultimi tempi, tira aria di crisi personali ed è convinto che nei suoi doveri di leadership sia incluso anche il soccorso psicologico agli amici e la coordinazione delle loro crisi mistiche. Lui e i suoi cinquemila chili di muscoli stanno molto scomodi, in uno spazio così angusto.
“Volevo affrontare una questione con voi.”
“Brian, sei una grossolana svista del Padreterno, lo sai? Parla, veloce! Non respiro, qua dentro!”, fa Zacky, facendosi aria. Oltretutto, è buio pesto. Motivo per cui, facendosi aria, mi tira anche uno schiaffo accidentale in pieno volto.
“Ma Cristo”
“Scusa, Johnny.”
“Qui non ci disturberanno.”, ci rassicura Brian.
“E parla, per Dio, fulgido deficiente!”, Zacky.
“Si tratta di Jimmy.”, Brian.
“Di me? Che ho fatto?”, Jimmy,
“Esisti.”, io.
“Fa il cretino con la sorella di Delia.”, Brian.
“Io non faccio il cretino con nessuno.”, Jimmy.
“E si è pure scopato quell’educanda, quella Leanor.”, Brian.
“Lilian.”, io.
“Grazie per il bollettino, Radio Gates. Ma la domanda è: perché ce lo dici? Non sono fatti di Jimmy?”, Shadows. Ah, quindi è vivo.
“Senti, Jimmy, vacci piano con Gin, lei è una ragazza veramente adorabile, e per me è importante.”, Zacky.
“Zacky, due cose: uno, sei proprio un gay. Due, ma quale importante e importante? Se vi siete rivisti  la settimana scorsa per la prima volta dopo dodici secoli!”, Brian.
“Non c’entra niente. Ve lo chiedo come favore personale, davvero. Non lo so perché ci tengo tanto, e non è niente di romantico, credetemi, ma per cortesia, per pietà, non fate come di vostro solito. Che la masticate e poi la sputate.”, ci giunge accorato l’appello di Zacky. Siamo tutti un po’ increduli e scossi, visto che è la prima volta in assoluto che lo sentiamo parlare di una donna in questi termini da cavaliere della tavola rotonda.
“Sembra una brava ragazza.”, interviene Shadows.
“E tu che ne sai? Vi siete scambiati si e no tre parole, da quando vi siete conosciuti.”, Brian.
“A differenza vostra, io non ho bisogno di un’insegnante di sostegno per capire le cose.”, Shadows.
“Brian, si può sapere perché hai ritenuto di dover sensibilizzare tutti quanti su quelle che tu credi siano le mie intenzioni con Gin?”, Jimmy.
“Perché so come sei fatto, e non vogliamo ripetere quell’esperienza di...”
Due colpi alla porta. Ci giriamo tutti.
“Permesso?”
La voce, inequivocabile, di Gin, ci coglie tutti di sorpresa. Spalanchiamo gli occhi nel buio. Che cazzo facciamo. Se non rispondiamo, confermiamo a lei e all’intero giardino che siamo cinque imbecilli. Se rispondiamo, confermiamo a lei e all’intero giardino che siamo cinque imbecilli.
“Avanti.”
“Johnny, che cazzo fai!”, mi sussurra strillando Brian. Shadows apre la porta, rischiarando l’oscurità con la luce artificiale del giardino.
“Entra, svelta.”
Io non riesco più a trattenermi, scoppio a ridere. Lei anche. Quando la porta si richiude, ripiombiamo nel nero pece. Nessuno fiata. “Ma che ci fate, chiusi qui dentro?”
Zacky allunga un braccio alla cieca e nella foga mi struscia pure il pacco, ma poi afferra Gin e se la tira addosso. Lei lascia andare un gridolino divertito, continua a ridere.
“Non allungate le mani solo perché è buio.”, dice Zacky, circondandola con le braccia.
“Grazie, ehm, Zack.”
Brian è infastidito dall’intrusione. In fin dei conti, abbiamo passato tutti da molto, molto tempo gli anni del kindergarten, il che fa di noi sei adulti chiusi in uno stanzino che ridono a caso e si spintonano come dementi. “Volevo parlare in privato con i miei amici.”, sibila Brian, piccato.
“Ah, scusate, allora vado.”
“No, resta.”
Io ho parlato? Ho parlato io? So che si sono voltati verso di me, anche se non li vedo.
“Non c’è motivo per cui tu te ne vada.”
Lei si divincola dall’abbraccio di Zacky, dolcemente. “Perché non giochiamo a nascondino?”, dice. “Ormai è buio, siamo rimasti in pochi e secondo me potrebbe essere divertente tornare ai bei vecchi tempi. Riprendiamo da dove avevamo lasciato, che dici, Zacky?”
Taciamo tutti per un secondo.
“Ragazzi, abbiamo cento anni a testa, finisce pure che ci facciamo male.”, osservo, cauto.
Ancora silenzio.
“E facciamoci male.”, acconsente infine Jimmy a nome di tutti, convinto.

 

Ore 23.03, vano lavanderia di casa Haner, cantina

 

“Occupato!”, sibila Brian, che non è più tanto sicuro del perché si è lasciato coinvolgere in quella situazione.
Gin lo ignora e si infila dentro con lui: “Ero con Michelle, ma l’ho persa! Mi fai un po’ di posto?”
Brian sbuffa e si stringe in un angolo. Piace a tutti, quella ragazza, anche a chi l’ha vista per la prima volta solo quella sera, come la sua fidanzata, che di solito diffida per procura di tutti gli esseri di sesso femminile che orbitano intorno a Brian, persuasa irrimediabilmente che vogliano tutte scoparselo. C’è da dire che spesso, però, ha ragione.
“Chi sta contando?”, chiede Brian, perché tanto ormai Gin è dentro.
“Tuo padre.”
Suo padre. Certo.
Eccoli là. Abbastanza ubriachi da essere arrivati alla terza manche di nascondino ridendo come delle iene, spingendosi e infilandosi sotto i divani senza riuscire più a uscirne da soli (Johnny). Gin ha bevuto una serie di bicchierini di tequila sale e limone; ha sfidato Jimmy, e ovviamente ha perso. Brian ha bevuto una serie di bicchierini di tequila sale e limone e vino, e birra, e Jagermeister, e il Signore solo sa che altro; non riesce tanto bene a stare in piedi diritto, ma per il resto se la cava.
“Ho notato che non c’è Gena.”, osserva, nei fumi dell’alcol.
“Chi è Gena?”, chiede Gin, facendosi aria con uno straccio per la polvere pulito.
“La fidanzata di Zacky. Quasi sua moglie, veramente.”
“Oh.”, fa Gin, senza commentare oltre.
Brian la squadra di sottecchi; per farle capire che la sta squadrando di sottecchi deve impegnarsi molto, dal momento che non hanno acceso la luce per evitare di essere scoperti e deve sfruttare la fessura della porta che lascia passare il riverbero delle luminarie da esterno in giardino, a loro volta appannate dal vetro delle finestre. Brian è bravo, però, e Gin si sente messa all’angolo. “Non è niente di quel che pensi.”
“Non penso granché quando si tratta di te, sai, bel-culo? In fin dei conti nemmeno ti conosco. L’unica cosa che non mi spiego è perché non hai un problema con Jimmy.”
“Che vuol dire perché non ho un problema con Jimmy?”
“Dopo quello che ha fatto a tua sorella. So che non dovrei dirlo, sono il suo migliore amico, in effetti non so nemmeno bene perché te lo sto dicendo. Perché te lo sto dicendo?”
Gin sorride. “Perché sei sbronzo, Brian. Comunque, per rispondere alla tua prima domanda, non ho un problema con Jimmy perché conosco Cordelia.”
“Cordelia?”
“Delia si chiama così. Cordelia.”
“Che nome di merda.”
“Sì, lo pensa anche lei.”
“STO ARRIVANDOOOOooO”, giunge da fuori.
Gin abbassa drasticamente il tono della voce: “Tuo padre è ubriaco.”
“Me ne sono accorto.”, le sussurra di rimando Brian.
Una strana adrenalina gli percorre le viscere, a tutti e due, e per un attimo sembrano tornati a un tempo che non hanno neanche vissuto insieme: sono compagni di scuola, alle elementari, e si tappano la bocca a vicenda per evitare che il suono del respiro attiri il terribile lupo che si aggira all’esterno, con un’eccitazione un po’ sinistra che però non riesce a impedirgli di provare un fortissimo impulso a ridere. Dopo un po’, finalmente, sentono i passi barcollanti di Papa Gates che risalgono le scale della cantina.
“Sparpagliamoci, è meglio.”, suggerisce Gin, aprendo uno spiraglio della porta per accertarsi di avere campo libero.
“Gin.”, dice Brian all’improvviso,  pentendosene subito dopo, “Tua sorella si è quasi ammazzata per Jimmy.”
Ginevra è fuori per tre quarti e si guarda intorno; tuttalpiù lui può parlare con il suo fondoschiena, del quale è comunque un grande fan.
“È un modo di vedere le cose.”, gli risponde, prima di uscire e lasciarlo lì come un cretino, a meditare su quella frase.

 

Ore 23:15, secondo piano di casa Haner, cabina armadio di McKenna

 

Gin si è fatta tutte le scale di corsa rasente il muro. Ha intravisto Zacky nascosto nel sottoscala e gli ha lanciato un cenno di saluto. Ha avuto il cuore in gola per tutto il tragitto, una paura bianca, buona, di essere scoperta. Poi ha visto quella stanza da letto femminile e si è buttata lì; dopo una breve ricognizione, ha identificato quella che sembrava una cabina armadio e ci si è infilata dentro, chiudendo la porta pianissimo. Si lascia andare contro la parete liscia, non ingombra dai vestiti che invece sembrano occludere tutto il resto dell’ambiente - non lo sa per certo, è buio pesto -, e si siede a terra, ravviandosi i capelli. Si lascia andare a una leggera risata. “Dio, sono proprio un’imbecille. Un’imbecille masochista del cazzo.”, osserva tra sé e sé, sussurrando. “Cosa mi è venuto in mente? Perché diavolo sono tornata qui? Dovevo starmene in Europa, maledetta, stupida Gin! Non riesco neanche a sostenere il suo sguardo senza farmi venire la tachicardia. Idiota di una maledetta ragazzina aggrappata a quattro fotografie e quattro impressioni che non sa nemmeno se sono giuste. Idiota! Idiota! Idiota!”
“Quanti complimenti.”
Quella voce un po’ nasale, anche se sussurrata, la riconosce subito. Salta in piedi ma riesce a trattenere un urlo. Due mani le si appoggiano sulle braccia: “Hey, non volevo spaventarti, fatina.”
Gin ci mette un attimo a recuperare l’autocontrollo. Lui non le chiede a cosa si stesse riferendo poco prima, e lei non glielo dice.
“Beh, però sembra che ti riesca molto bene spaventarmi, James. Cristo, non fai altro.”, dice, un po’ troppo aspra. Jimmy sussurra un fischio. “Finalmente.”
“Finalmente cosa?”
“Un po’ di rabbia.”
Gin sospira, si passa una mano sul viso. “Sono ubriaca e siamo dentro una cabina armadio.”
Il suo odore è vicino, così vicino che può indovinare la consistenza della sua pelle anche senza toccarla.
“Non sono arrabbiata con te per quello che è successo con Delia, Jimmy.”
“Io sì. Io sono sempre stato arrabbiato con me per quella storia.”
Gin sospira.
“Delia è mia sorella, non farmi dire cose che non voglio dire.”
Al buio, i pensieri odorano di tequila e di idee scomode. Gin sente il profumo di giacche di pelle e vestiti indossati da una ragazzina.
“Ci puzza di minipony, qui dentro.”, osserva Jimmy, come leggendole nella mente. Gin sta in silenzio ancora un attimo e poi scoppia a ridere, così forte che non riesce a fermarsi; ride anche lui, tappandole la bocca per attutire il rumore.
“Shh, shh, ci beccano!”, le fa, mentre lottano per riprendere il controllo.
Quando si calmano, Gin sospira. “Richard è a San Francisco.”, dice, non sa neanche bene perché.
“Chi?”
“Rick. Il mio fidanzato.”
“Mmm. Cosa fa, nella vita, questo Dick?”
Rick.”, lo corregge lei, ma le viene da sorridere perché dick vuol dire cazzo, e l’errore sembra poco casuale, “È uno psicologo, come me. Anche se lui ha scelto un percorso più classico, io una strada più sperimentale.”
“Vale a dire?”
“Cosa faccio io? Studio i ricordi.”
“C’è una frase fighissima sui ricordi, è di uno scrittore cileno.”
“Che ne sai tu, Jimmy, degli scrittori cileni?”
“Io so un sacco di cose, fatina.”
Gin sorride, annuisce e gli appoggia la fronte contro la spalla, senza un vero motivo.
“Dick invece che fa?”
Rick. Le solite cose: Freud, Jung, l’io, il superio e l’inconscio.”
“Da quanto state insieme?”
“Da qualche mese. Tu, invece?”
“Io cosa? Io e Dick? Non siamo mai stati insieme. Non mi sarei mai potuto mettere con uno con un nome del genere.”
Gin ride di nuovo; non lo corregge nemmeno, stavolta.
“No, volevo sapere della tua vita sentimentale.”
Jimmy sorride, nell’oscurità.
“È sempre stata più o meno uno sfacelo, fatina. A un certo punto mi è anche sembrato che stesse andando tutto bene, ma-”
“TANA PER... JIMMY E... E... JESSICA!”
Jimmy e Gin ridono insieme, spostando lo sguardo tra Papa Gates, che ha appena spalancato l’anta della cabina armadio, e i rispettivi occhi.
“Ginevra.”, lo corregge Jimmy guardandola, con l’ombra della risata ancora nella voce, “Si chiama Ginevra.” 

 

 

Ore 2:20, cortile di casa Haner

 

Sono andati via tutti, ormai, e quelli che sono rimasti si sono addormentati sulle sdraio davanti alla piscina. Jimmy e Gin, lei molto più ubriaca di lui, dividono una sdraio. È arrivata anche Gena, la fidanzata di Zacky, e ora gli dorme addosso. Gin si guarda intorno, un po’ appannata, e nota che dormono proprio tutti. Tranne loro due.
“È stata la serata più divertente della mia vita.”
“Perché, non ti divertivi, in collegio?”
Gin ride, alza gli occhi dentro i suoi, leggermente provati dalla stanchezza. Il braccio che la avvolge è forte, però, e l’angolo di torace in cui poggia la testa si muove tranquillo al ritmo del respiro.
“Delia mi accoltellerebbe e getterebbe il cadavere in un fosso, se ci vedesse così.”, osserva, lieve, ma nel pronunciare quelle parole lo stringe di più. Ormai ha valicato un confine immaginario di cui nessuno è informato, tranne lei.
“Sai, Jimmy, per tutta la vita ho fatto solo quello che dovevo.”
“E chi te l’ha fatto fare?”
“I segreti.”
“Quali segreti? Quelli di tua sorella?”
“Anche. In un certo senso.”
Delia ha mollato la scuola, è caduta e riemersa dalla droga un paio di volte, e in ogni caso sembrava aver deciso che il suo scopo nella vita era deludere le aspettative dei genitori. Gin - ma questo Jimmy non lo sapeva - non la biasimava per questo. La biasimava molto per il coefficiente di autolesionismo che la cosa aveva comportato, però.
“Tua sorella è una brava ragazza. Non nel senso classico del termine, ma è buona. E fragile.”
Alza gli occhi su di lui: “Smettila di incolparti, non ha senso.”
“Le ho fatto del male, Gin.”
“Tutti ci facciamo del male, nella vita. È proprio la cosa che ci riesce meglio.”
Segue mezzo secondo di silenzio.
“Sono sempre stata una grande appassionata di teschi. Sai, di crani, di ossa, di iconografia della morte. Non andava bene, però, perché non si addiceva ad una signorina. All’Università, di nascosto dai miei, ho presentato una lunga ricerca sulle implicazioni psicologiche del significato della Santa Muerte nell’iconografia messicana. Grazie a quella, la UCLA ha accolto la richiesta della mia vecchia Madre Superiora di assumermi come ricercatore appena finito l’orientamento alle ragazze del Sacro Cuore. I miei ancora non lo sanno.”
“Forse dovresti provare a fare le cose che ti va di fare senza farti troppe domande. Le costrizioni fanno venire un sacco di malattie psicosomatiche.”, osserva Jimmy, giocherellando con una ciocca dei suoi capelli.
“Dici che dovrei buttarmi?”
“Dico. Fai qualcosa di folle, ogni tanto, senza pensare alle conseguenze. Giusto perché ti va. Vedi che succede. A volte fa bene. Io non faccio altro.”
Gin gli sorride, pensa che ha ragione.
“Mi piacerebbe leggerla, la tua ricerca.”, le dice all’improvviso Jimmy.
Lei si illumina, sorpresa: “Te la mando.”
Le vibra il cellulare in tasca e risponde senza pensarci.
“Pronto?”
“Amore? Dove sei?”
“Dick!... Scusa, volevo dire, Rick!” Jimmy ride sottovoce, vedendola fare confusione, e lei gli molla  un cazzotto scherzoso sul petto, “Sono al barbecue a casa di quell’amico del mio amico. Ricordi?”
“Sei ancora là? A quest’ora? Ma è tardissimo!”
“È vero ma, sai, avevamo più di dieci anni di aneddoti da recuperare...”
Richard non sembra convinto. “I tuoi sono ancora lì?”
“No, sono tornati a casa già da un po’.”
“E chi ti riaccompagna?”
“Rick, so cavarmela, non preoccuparti.”
“Lo so benissimo, ma non mi piace che tu sia da sola a quest’ora della notte.”
“Non sono da sola.”, dice lei.
“Ginevra, è importante che tu capisca che una ragazza, specie della tua età, in quell’ambiente...”
Lo sapeva. Non doveva dirgli che Zacky era il chitarrista di una band metal.
“Non essere ridicolo, Rick.”
Rickdicolo.”, sussurra Jimmy tra sé e sé, e Gin soffoca una risata.
“Sono serissimo, Ginevra.”
Fa sempre così, Rick, per quello piace tanto ai suoi genitori. La controlla, la delimita, la definisce, e la tratta come una deficiente.
“Lo so, e la cosa mi preoccupa molto.”, gli risponde, dura, sorprendendosi di se stessa. Fare qualcosa di folle. Mm. Rick sospira dall’altro capo del telefono, raccoglie le idee e inizia a farle un discorso sulle responsabilità che lui ha nei suoi confronti. Gin si volta pensierosa verso Jimmy, che la guarda interrogativo. Qualcosa di folle. È un unico movimento, fluido, quello con cui si scontra con le sue labbra, e precario è il suo equilibrio - e quello della sdraio - mentre si sistema addosso a lui, continuando a baciarlo, con il ricevitore un po’ lontano dall’orecchio e Rick che sproloquia sull’influenza che certi contesti hanno sulle ragazze impressionabili che non hanno mai visto il mondo perché sono sempre state protette dalle quattro mura di un collegio. A Gin non frega niente, perché sente le campane, gli angeli e le onde del mare, e non le dà fastidio che Jimmy, che nella vita si fa sorprendere da pochissime cose - e certo non da quella che lei ha appena fatto -, faccia scorrere una mano giù per la sua schiena, fino alla curva dolce che Brian le ammira tanto.
“Ginevra? Mi stai ascoltando?”
Gin resta sulla sua bocca, con il fiato corto, e risponde al suo fidanzato sentendo una scarica di adrenalina proibita accenderle la spina dorsale: “Certo che ti sto ascoltando, Rick.”, dice, posando poi un lieve bacio, due, tre, sulle labbra di Jimmy, che la guarda tranquillo.
“Ora devo andare.”, taglia corto lei, attaccando il telefono senza neanche attendere una risposta. Vuole baciarlo ancora. Vuole baciarlo sempre. Gli affonda le dita tra i capelli e gli piega la testa all’indietro, per approfondire il bacio.
Quando si staccano, sono entrambi senza fiato.
Jimmy la guarda con infinita tenerezza: “Sono proprio uno stronzo.”, dice, scostandole i capelli dal viso prima di darle un altro bacio, a labbra chiuse. La sorellina di Delia.
Gin si tira in piedi e si sistema il vestito e il golfino, gli sorride: “Ho fatto tutto io. Devo dire che anni di collegio hanno prodotto un bel risultato, ricordami di farlo presente alla Madre Superiora.”
Jimmy incrocia le braccia dietro la testa e la guarda: “Lo hanno fatto davvero. O, quantomeno, non hanno fatto danni permanenti. Ora torna qui.”, le dice, indicando il proprio torace con il mento. Gin lo guarda, sorride, scuote la testa incredula, afferra una delle molte coperte che hanno addosso a Brian e Michelle e si stende di nuovo accanto a Jimmy, su quella sdraio. Nasconde il viso nel suo collo, convinta che non dormirà mai in un cortile, su una sdraio, addosso all’ex fidanzato di sua sorella che ha appena baciato, con quel tasso vorticoso di umidità. Invece si addormenta quasi subito, e con lei Jimmy, la testa appoggiata sulla sua.
Johnny invece è sveglio, qualche metro più in là, e tiene gli occhi spalancati nella notte decidendo cosa pensare di quella situazione.

 

You cast a spell on me
you hit me like the sky fell on me


 

   
 
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > Avenged Sevenfold / Vai alla pagina dell'autore: Queen of Superficial