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Autore: sasaneki    13/01/2015    2 recensioni
«Zoro…».
Erano davvero poche le volte in cui Sanji lo chiamava per nome, si potevano davvero contare sulle dita di una mano. Solitamente si ricordava il nome del marimo in rare e precise circostanze.
Quando Zoro lo udì pronunciare il suo nome, capì in quell'istante che era giunta la fine, che sarebbe accaduto l'irreparabile. Nel suo tono non vi percepì alcun ripensamento o titubanza, solo un tacito rimpianto [...]
Fu quello il momento in cui si rese conto che il peggiore dei suoi incubi si era concretizzato proprio davanti a lui, che quel dubbio che si era insinuato come un germe nella sua testa si rivelò essere fondato. E quell'immagine risultò più spaventosa di quanto avesse mai potuto immaginare.
Genere: Angst, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Roronoa Zoro, Sanji | Coppie: Sanji/Zoro
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Disclaimer: One Piece © Eiichiro Oda
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Nightmare.




Attorno a lui non vi era rimasto altro che un cumulo fumante e disordinato di macerie.
Si era risollevato in piedi a fatica, ancora stremato e dolorante per il violento e impegnativo scontro conclusosi pochi attimi prima.
Nemmeno lui sapeva spiegarsi come avesse fatto a rialzarsi, come fosse riuscito a racimolare quel briciolo di energia che ancora gli era rimasta in corpo, ancoratasi saldamente a ogni fibra del suo essere, nonostante le gravi ferite riportate.
Un rivolo di sangue gli contornava il viso, scorrendogli lentamente da una tempia verso il mento, per poi schiantarsi al suolo non prima che alcune gocce andassero a imbrattargli la maglietta bianca e logora.
Forse, quella era una delle ferite più superficiali che avesse riportato perché, probabilmente, anche le sue ossa avevano risentito di quella breve ma intensa battaglia contro Kuma, avvenuta pochi istanti prima, nel tentativo disperato di difendere i suoi compagni e il suo Capitano.
La pelle ambrata era sfregiata da tagli profondi e lividi, mentre la carne viva bruciava per le ferite fresche e sanguinanti.
I suoi movimenti non rispecchiavano appieno la sua volontà, le gambe possenti tremavano involontariamente, troppo stanche e provate per reggere il suo peso, anchilosate dall'ingente sforzo appena subito.
Non riusciva a muoversi come avrebbe voluto, troppo rallentato dai postumi e dagli sforzi che ancora gravavano su di lui, derivanti dallo scontro brutale con Odr.
Nonostante il suo fisico fosse gravemente ferito, Zoro si era portato in piedi, dinanzi a quel dannato pacifista che minacciava lui e la ciurma, col fiato mozzato e appesantito dalla fatica.
Avrebbe combattuto finché ne avesse avuta la possibilità, finché ogni osso del suo corpo non si sarebbe sbriciolato impedendogli definitivamente di muoversi. Solo allora avrebbe accettato la sconfitta, arrendendosi inesorabilmente al nemico. Era quello che il suo onore e il suo orgoglio gli dettavano di fare, e lui, di certo, non avrebbe disobbedito alla sua coscienza e ai suoi principi morali, perché Roronoa Zoro era fatto così.
Avrebbe sacrificato se stesso pur di dare la possibilità alla ciurma e a lui di salvarsi, pur di dare al suo Capitano l'opportunità di diventare il Re dei Pirati.
In quel momento, convenne che donare la propria vita in cambio di quella dei suoi compagni e di quel cuoco, fosse molto più importante che realizzare il suo sogno di divenire lo spadaccino più forte al mondo. Per la prima volta nella sua vita, Zoro stava venendo meno a quella promessa fatta a Kuina in tempi ormai troppo lontani, ma poco gli importava in quell'istante.
«Se proprio devi prendere una vita» gli disse deciso ma con voce leggermente tremante per la fatica «Io ti offro la mia» concluse, senza nemmeno pensarci troppo, portandosi in ginocchio davanti a Kuma.
Non temeva la morte. E quella ne era la prova.
Quelle parole non erano altro che la dimostrazione lampante di quanto Zoro fosse devoto e rispettoso nei confronti del suo Capitano, di quanto egli fosse maledettamente ambizioso, di come non avesse paura di soccombere pur di proteggere le persone a lui care.
E, inevitabilmente, il suo pensiero si rivolse anche a Sanji, perché non poté fare a meno di pensare che, una volta sacrificatosi, non avrebbe più avuto l'opportunità di sfidarlo ogni qualvolta ne avesse avuta l'occasione, di schernirlo per il suo ridicolo sopracciglio e il modo penoso con cui si ridicolizzava quando si trovava davanti ad una bella donna. Ma soprattutto, non avrebbe più potuto dimostrargli come, un giorno, sarebbe divenuto il miglior spadaccino del mondo, tenendo fede a quella promessa che, tempo addietro, aveva fatto anche al cuoco.

Lo guardò dritto in volto, con sguardo fiero e deciso, mentre il sangue continuava a scorrergli sul viso, sporcandogli la palpebra e colorandogli la vista, come se un velo rosso sottilissimo si fosse posato sull'iride scura.
Attese qualche istante una risposta, senza mai distogliere lo sguardo da quel volto inespressivo del nemico. Ma prima che Kuma potesse andare in contro a quella malsana richiesta, la voce vibrante del cuoco spezzò quell'istante di silenzio.
Zoro lo vide avvicinarsi lento e deciso, nonostante anche le gambe del cuoco, solitamente robuste e scattanti, ora lo reggevano a malapena.
Lo vide avvicinarsi con il suo solito portamento elegante, nonostante i vestiti sgualciti, la chioma bionda scompigliata e la moltitudine di ferite riportate. E nemmeno in quell'occasione, Sanji mancò di accendersi una delle sue adorate sigarette, nonostante avesse il fiato mozzato per la fatica.
«Ehi, aspetta» lo sentì dire, ancora a qualche metro da lui.
Lo spadaccino spalancò gli occhi, non riuscendo a comprendere se, dentro di sé, ciò che stava provando in quel preciso momento fosse gioia e stupore, dovuto al fatto di vederlo ancora vivo anche se mal ridotto, o se fosse semplice disperazione, dovuta al timore che Sanji volesse prendere il suo posto come vittima sacrificale. Perché, in quel caso, non glielo avrebbe mai permesso, né tantomeno perdonato.
Zoro non avrebbe voluto sentire ragioni, non avrebbe mai lasciato l'occasione a quel cuoco di sacrificarsi al posto suo e di salvargli la vita. E non solo perché ne faceva una questione d'orgoglio, quello era scontato.
Per quanto lo spadaccino si ostinasse a credere che Sanji non fosse altro che un cuoco da strapazzo, un damerino pronto a sbavare dietro ad ogni bella donna che gli capitasse a tiro, non poteva di certo permettergli di soccombere perché, nonostante tutto, la vita di quel cuoco, del suo cuoco, per lui valeva più di quanto credeva, più di ogni altra cosa al mondo, perfino della realizzazione del suo sogno.

Solo una manciata di secondi dopo Zoro ebbe la terribile conferma ai suoi dubbi.
«Certo che sei proprio un idiota!» proferì il biondo, rivolgendosi allo spadaccino. «Credi davvero che la tua morte possa risolvere le cose? Come pensi di diventare il miglior spadaccino, se ti fai uccidere da questo bestione, dannata testa d'alga?» gli domandò.
E Zoro non poté fare altro che guardarlo, rivolgendogli un'occhiata perplessa e disperata, perché non avrebbe mai accettato il fatto di essere salvato da lui, da quel maledetto cuoco.
Avrebbe voluto dissuaderlo da quel malsano pensiero, ma le parole gli morirono dentro. Non riuscì nemmeno a insultarlo, nonostante fosse una delle attività che gli erano sempre riuscite meglio.
Gli si mozzò il respiro in gola al solo pensare al corpo di Sanji privo di vita e ricoperto di sangue.
Deglutì a fatica un grumo di saliva lasciando che gli raschiasse la gola.
«Che ci fai qui, cuoco?» domandò con voce tremante.
Ma Sanji sembrò non aver udito le parole di Zoro e si trascinò davanti al nemico, frapponendosi fra lui e lo spadaccino.
«Al posto di questa testa d'alga, uccidi me. Prendi la mia di vita».
Quelle parole giunsero alle orecchie di Zoro come uno dei colpi peggiori e più violenti che qualsiasi nemico avesse potuto infliggergli.
Lentamente, il panico sembrò dilagare in lui e, sempre di più, nella sua mente prendevano forma le immagini che tanto lo spaventavano a morte. Immagini fin troppo nitide, raffiguranti uno dei peggiori incubi che potessero attanagliare la sua mente. Se lo immaginò chiaramente: il corpo di Sanji esanime, privo di vita, imbevuto in una chiazza di sangue.

Questa volta, sarebbe stato lui a interpretare il ruolo dell'eroe, sarebbe stato lui a offrire la propria vita per salvare i suoi compagni, per salvare quell'idiota di un marimo.
Poco gli importava di morire, se quella era la causa. Oltretutto, non avrebbe più avuto la possibilità di rimangiarsi la parola data, anche se non l'avrebbe mai fatto.
«Ti offro questo scambio» cominciò, guardando Kuma dritto in volto, pronunciando quelle parole con voce tremante per via del respiro irregolare e i colpi subiti in precedenza. «Non sono ancora un famoso ricercato, ma presto sarò riconosciuto da tutti come tale con il nome di Sanji Gamba Nera».
Il verde spalancò gli occhi udendo quelle parole.
Fissò la figura tremante del cuoco, mentre con grande sforzo si sollevò in piedi respirando affannosamente.
«Sono pronto a morire, sono pronto a sacrificarmi per la ciurma. Perciò, avanti, prendi la mia vita, adesso» lo esortò, pronunciando quelle parole in modo deciso, senza alcun tipo di timore.
E prima che il nemico potesse procedere, Sanji non poté fare a meno di voltarsi verso il compagno, lanciandogli un'occhiata che sapeva di un addio fin troppo amaro.
«Zoro…».
Erano davvero poche le volte in cui Sanji lo chiamava per nome, si potevano davvero contare sulle dita di una mano. Solitamente si ricordava il nome del marimo in rare e precise circostanze.
Quando Zoro lo udì pronunciare il suo nome, capì in quell'istante che era giunta la fine, che sarebbe accaduto l'irreparabile. Nel suo tono non vi percepì alcun ripensamento o titubanza, solo un tacito rimpianto per non essere mai riuscito a dirgli quanto, nella sua vita, Zoro avesse avuto un ruolo più che rilevante, e non solo come eterno rivale, ma anche come compagno e amante.
«Mi dispiace, ma dovrete trovarvi un altro cuoco. Abbi cura di loro e, soprattutto, abbi cura di te dal momento che mi hai promesso di diventare il miglior spadaccino del mondo».
Furono quelle le ultime parole che Zoro sentì pronunciare, fu il sorriso amaro di Sanji l'ultima cosa che riuscì a scorgere, prima che un calcio troppo rapido e ben assestato da parte del cuoco potesse farlo ruzzolare qualche metro più indietro, gravandogli su una delle costole rotte.
Fu in quel momento che si lasciò inghiottire dall'oscurità, permettendo che i sensi abbandonassero temporaneamente il suo corpo mal ridotto e provato.
«E ora, prendi pure la mia vita».

Aprì gli occhi, percependo le sue ossa e i suoi muscoli dannatamente intorpiditi e rigidi. Lentamente, mise a fuoco ciò che si trovò attorno, senza riuscire a comprendere per quanto tempo fosse rimasto svenuto.
Come un fulmine, un unico e solo pensiero attraversò la sua mente, rimembrando l'immagine di Sanji mentre lo colpiva a tradimento nel petto.
Fece forza sulle gambe, nel tentativo di alzarsi in piedi, ma gli arti inferiori erano ancora troppo indolenziti per reggere il suo peso, costringendolo a sedersi. Si diede un'occhiata attorno, non notandovi nulla di così diverso da prima.
Solo quando ampliò il proprio campo visivo, allungando lo sguardo di qualche metro davanti a sé, scorse un corpo troppo familiare disteso a terra.
In quel preciso istante, sentì correre un brivido lungo tutta la spina dorsale, irradiandosi per ogni centimetro del suo corpo; il sangue gli si raggelò nelle vene, mentre sentiva crescere in lui un'insopportabile e dolorosa fitta al petto, all'altezza del cuore.
Non si rese nemmeno conto che stesse trattenendo il respiro, troppo concentrato sulla figura dinanzi a lui e troppo spaventato perché, probabilmente, sapeva di averla riconosciuta.
La paura lo invase, per la prima volta nella sua vita, e sperò, con tutto se stesso, di essersi sbagliato.
Con uno scatto fulmineo, come se avesse recuperato inspiegabilmente le energie, si sollevò da terra mentre le gambe, involontariamente, correvano in contro alla figura distesa al suolo. E man mano che si avvicinava, i contorni di quel corpo prendevano sempre più forma, divenendo sempre più nitidi e chiari, lasciando comparire, davanti ai suoi occhi neri e increduli, l'immagine del cuoco.
Fu quello il momento in cui si rese conto che il peggiore dei suoi incubi si era concretizzato proprio davanti a lui, che quel dubbio che si era insinuato come un germe nella sua testa si rivelò essere fondato. E quell'immagine risultò più spaventosa di quanto avesse mai potuto immaginare.
S'inginocchiò affianco al corpo privo di vita del cuoco, leggendogli in volto un'espressione serena, troppo contraddittoria per appartenere a un cadavere.
Spostò lentamente lo sguardo dalla giacca nera ed elegante sgualcita, ai pantaloni stracciati che lasciavano intravedere le ferite profonde, dalle quali il sangue ancora colava sulla pelle diafana e livida, per poi riversarsi a terra, alimentando sempre di più quella chiazza vermiglia che lo circondava.
Percepì un peso sul cuore, come se qualcuno gli avesse scagliato addosso un pesante macigno. Per un momento fu come se, sotto le proprie ginocchia, sentì mancare il suolo, e più i secondi passavano, più si rendeva conto di aver perduto una delle persone più care della sua vita. Represse a stento un conato di vomito, e poggiò una mano a terra, sporcandola di quel sangue.
Riportò i suoi occhi neri sul volto del biondo.
«Sanji…».
Pronunciò il suo nome con un filo di voce, nel medesimo istante in cui la mano imbrattata di quel liquido viscoso andava a posarsi sul collo sottile, come se Zoro volesse smentire quella, ormai, palese realtà. Ma così facendo, non ebbe altro che l'ennesima e atroce conferma ai suoi dubbi.
In quell'istante accadde qualcosa che mai pensava sarebbe potuta succedere a lui, un uomo così orgoglioso e fiero. Una cosa che gli era capitata solo due volte nella sua breve esistenza.
Inaspettatamente, un rivolo d'acqua salata sfuggì al controllo dei suoi occhi e gli percorse lentamente uno zigomo, per poi giungere all'angolo delle labbra, avvertendo il sapore amaro e doloroso di quella perdita.
Si chinò sul corpo freddo e privo di vita di Sanji, chiudendo gli occhi, premendo la testa contro il suo petto immobile e stringendo fra le mani callose e sfregiate la sua giacca.
«Sei proprio un idiota» mormorò con voce incrinata dal dolore che gli attanagliava l'anima.
E per la prima volta in vita sua, Zoro desiderò con tutto se stesso che quel cuocastro rispondesse a dovere a quell'insulto, ma alle sue parole non seguì altro che quell'inusuale silenzio.


 
***





Spalancò rapidamente gli occhi.
Attorno a lui notò una flebile luce, proveniente da una piccola lampada posta sulla scrivania di quella che doveva sembrare un'infermeria.
La prima cosa che percepì fu un'insopportabile fitta alla testa e, solo qualche secondo più tardi, realizzò di avere il corpo completamente ricoperto di bende. Non ricordava nulla di quello che era successo, è come se dentro la testa avesse un vuoto, privo di ricordi e immagini. Probabilmente, dopo lo scontro con Kuma, aveva perso i sensi.
Solamente un istante dopo, però, rimembrò com'erano andate le cose.
Il ricordo di Sanji immerso in quella pozza di sangue tornò a fargli visita, attraversandogli la mente a una velocità impressionante, costringendolo, nonostante le ferite, a tirarsi su di scatto, sedendosi sul materasso e appoggiando la schiena al muro, spaventato da quella visione. Avvertì un insolito dolore al petto, proprio dove il cuoco gli aveva piantato un calcio abbastanza potente da metterlo momentaneamente fuori gioco.
Dunque, non era stato un incubo.
Sanji era morto per salvarlo, e lui glielo aveva permesso. Un errore che non sarebbe mai riuscito a perdonarsi e che, probabilmente, lo avrebbe tormentato fino alla fine dei suoi giorni. Dopotutto, sarebbe stata la giusta punizione, per lui, vivere ogni giorno accompagnato dal costante e incancellabile rimorso di aver permesso al cuoco di compiere quel maledetto sacrificio.
Eppure, c'era qualcosa che non lo convinceva ancora del tutto, qualcosa che nemmeno lui sapeva spiegarsi esattamente. O forse, semplicemente, si rifiutava di accettare il fatto che il cuoco avesse perso la vita in un gesto tanto eroico quanto stupido.
Avvicinò a fatica le gambe al petto, quanto bastava per potervi appoggiare le braccia e affondare la testa in mezzo alle ginocchia, rivolgendo lo sguardo sul candido lenzuolo, ripensando al corpo inerme e senza vita del compagno.
Non pianse, questa volta, non di nuovo, nonostante il dolore gli bruciasse ardentemente l'anima e il corpo.
Sentì la porta di legno aprirsi con un leggero scricchiolio, ma non ci badò più di tanto, continuando a mantenere lo sguardo basso e fissando le pieghe del lenzuolo.
«Ah, ti sei svegliato».
Solo quando sentì quella voce pacata e calda, fin troppo conosciuta, un brivido intenso gli percorse la schiena, costringendolo finalmente ad alzare lentamente il capo verso quella figura appena entrata, come per verificare se davvero non si fosse sbagliato o se fosse stata solo la sua immaginazione a giocargli uno scherzo di pessimo gusto.
Spalancò gli occhi trovandosi dinanzi l'immagine del cuoco, il quale gli accennò un lieve sorriso.
Mosse le labbra, nel vano tentativo di dire qualcosa, ma le parole sembravano essersi bloccate in gola per lo stupore e la totale confusione che gli riempiva la testa.
Allora era davvero stato solo un orribile incubo, perché altrimenti non avrebbe saputo come spiegarsi la presenza di quell'uomo, vivo e vegeto, in piedi, davanti a lui, appoggiato allo stipite della porta.
Non sapeva più se considerarsi impazzito o se, semplicemente, quel sogno era risultato dannatamente reale, tanto da fargli credere che quella che avesse vissuto pochi attimi prima fosse la realtà.
Inutile dire che preferì abbandonarsi alla seconda opzione decidendo, per una volta, la via più semplice e meno dolorosa.
Continuò a fissarlo incredulo, dalla testa ai piedi, seguendo con lo sguardo il suo corpo che, passo dopo passo, si avvicinava lentamente al letto, per poi prendere posto sul bordo di questo. Sentì il materasso mancare leggermente sotto i suoi piedi quando il cuoco vi si sedette sopra.
Non poté fare a meno di incatenare le sue iridi scure a quelle chiare del biondo, senza nemmeno rendersi conto di avere la bocca appena schiusa per via dell'incredulità che lo aveva invaso ritrovandoselo a pochi centimetri da lui.
«Che c'è, testa di muschio? Sembra che tu abbia visto un fantasma» proferì Sanji sarcastico, notando l'espressione sbigottita e pallida dello spadaccino, e la sua evidente incapacità di formulare anche la più semplice delle frasi.
Quelle parole di scherno le trovò maledettamente calzanti al suo stato d'animo, e sembrarono destarlo da quell'apparente stato catatonico.
D'altronde, nemmeno lui era così sicuro di trovarsi dinanzi a una persona in carne e ossa, ma nonostante questo volle credere con tutto se stesso che, chi gli stava di fronte in quell'istante, fosse proprio il vero Sanji.
«No, è che… sono un po' confuso» mormorò un po' impacciato, grattandosi la zazzera verde, ripensando inevitabilmente a quel sogno e all'incoscienza con cui quel maledetto cuoco si era fatto ammazzare.
Assunse la sua solita espressione di sfida nei confronti del biondo, guardandolo nuovamente in quegli occhi azzurri che aveva seriamente temuto di non rivedere mai più.
«Sei proprio un idiota» si lasciò sfuggire poi dalle labbra, come se Sanji avesse davvero compiuto quella mossa avventata, rimproverandolo per qualcosa che, in realtà, non aveva commesso.
Naturalmente, Sanji contraccambiò lo sguardo.
«Io sarei l'idiota?» domandò retorico e accigliato «Sei tu l'imbecille che si è quasi fatto uccidere da quel bestione…».
Fu allora che due sagome, inizialmente indistinte, presero forma nella sua mente, mostrandogli e ricordandogli gli eventi trascorsi e il sacrificio da lui stesso compiuto.
«…dannata testa d'alga!».
E quell'insulto gli risuonò alle orecchie in una maniera tremendamente dolce, perché non fece altro che dargli l'assoluta conferma, dissolvendo definitivamente i suoi dubbi, che Sanji era davvero sano e salvo.












NdA: Dunque, alcuni chiarimenti. (?)
Questa oneshot, inizialmente, era nata come una "What if...?" per ovvi motivi. Ecco spiegato tale avvertimento.
Il punto è che non me la sono sentita di dare un dolore così grande al marimo né, tanto meno, di far soccombere l'adorabile Sanji.
Per cui, per chi -come me- ama il lieto fine, ho voluto accontentarvi. Ovviamente ho voluto anche accontentare me stessa.
Se invece siete amanti dei finali drammatici, beh, la storia per voi può terminare prima, come avete potuto notare.
Per quanto ami il lito fine, un finale drammatico ci sarebbe stato a pennello, lo so. Spero comunque di non aver rovinato più del dovuto questa oneshot dal doppio finale.
Se ne avete voglia, fatemi sapere che ne pensate. Alla prossima, Halliwell.
   
 
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