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Autore: Padme Undomiel    13/01/2015    1 recensioni
"Ken-kun è sempre attento, è un caro amico, ed è sempre disposto ad ascoltare quando ce n’è bisogno. Non sarà di molte parole, certo, ma quando si apre davvero con qualcuno è capace di rivelare al meglio la sua interiorità, che è meravigliosa, benché lui stesso ne dubiti. Peccato che sia convinto sul serio che non si fidanzerà mai con nessuna.
Me lo disse alcuni anni fa, quando per la prima volta noi due scoprimmo di essere davvero in grado di stringere un’amicizia speciale.Per quanto sia assurdo, lui sostiene che la sua convinzione derivi dal fatto che i suoi sentimenti sono pericolosi, fonte di guai."
[...]
"Che significava quel bacio?"
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ken Ichijoji, Miyako Inoue/Yolei
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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JGF2

Just Good Friends






2.






Quando mi sono svegliata stamattina, completamente aggrovigliata tra le mie coperte, osservando il paesaggio imbiancato fuori dalla mia finestra, ho pensato di aver sognato tutto. Suppongo fosse più facile in questo modo.
Può essere stato l’alcool, mi sono detta, passandomi una mano sulla fronte come per scacciare brutti pensieri. Oppure un’indigestione, o brutti pensieri prima di dormire.
Eppure lo sapevo, grazie al vago senso di ansia che mi aveva assalito appena aperti gli occhi. Sapevo che non avrei mai potuto fare un sogno del genere senza uno stimolo esterno.
Così, quando il mio sguardo è caduto sul cappotto e sui guanti della signora Ichijouji, posati in maniera scomposta sulla sedia accanto alla scrivania, non ho potuto fare a meno di balzare giù dal letto con un sussulto, il cuore impazzito, come se avessi visto la concretizzazione di un pensiero astratto che non desideravo vedere.
E i miei nervi scossi hanno fatto il resto.
Ero ancora in preda ad un attacco di isteria persistente, la testa fra le mani, i ricordi dettagliati di ieri che mi incendiavano le guance ed una confusione tale che mi impediva di pensare lucidamente a cosa fare, quando Mimi, Sora e Hikari sono venute a bussare a casa mia. Credo di aver supplicato di portarmi via di lì, non ricordo affatto bene.
Ma neanche adesso che sono al caldo in un accogliente bar, accanto alle mie migliori amiche, aspettando che arrivi la mia ordinazione, la situazione è cambiata. Ora la testa l’ho semplicemente buttata sul tavolino, come senza vita.
Mimi è la prima a commentare quando finisco di fare una sintesi rapida di ciò che è successo ieri, non prima di un sospiro, tipico di chi sembra aver capito tutto da tempo. “Ah, Miyako-chan”, esclama, “me ne vado per qualche tempo e al mio ritorno un po’ di ormoni di troppo sono in circolo, a quanto pare.”
Ormoni. Perché mai devo ritrovarmi a parlare degli ormoni di Ken?
Arrossisco di nuovo, sollevando di scatto la testa e incontrando il sorrisetto di Mimi. “Ridi pure, ma la questione è tragica!” Ribatto, quasi urlando per l’indignazione. Hikari è pronta a zittirmi con un dito sulle labbra, e io tento di controllarmi, sebbene mi sembri di esplodere dall’interno se costretta a parlar piano. “Ken-kun non è … Ci sono miliardi di ragazze sulle quali dar libero sfogo agli ormoni! Perché deve pensare di … di baciare proprio me?”
“Beh, ma Ichijouji-kun ha sempre avuto un rapporto particolare con te”, replica Sora, stringendosi nelle spalle. “Con queste premesse, la scelta, se così si può chiamare, non è così imprevedibile come pensi.”
Mi lancia un sorriso pieno di sottintesi, appoggiandosi il mento sul palmo della mano. “Credo sia una delle cose più naturali del mondo.”
Mimi annuisce vigorosamente. “E’ una delle cose più naturali del mondo.”
Perché adesso si stanno lanciando quello sguardo furbo, come se fossero a conoscenza di un segreto di stato? Tutto questo non fa che accrescere il mio senso di impazienza. Le guardo entrambe, cercando di cogliere l’arcano. “Cosa è una delle cose più naturali del mondo?”
“Magari piaci a Ichijouji-kun”, interviene Hikari diretta, all’improvviso.
Io rimango a bocca aperta per qualche secondo.
Poi, incerta, comincio a ridacchiare. “Sì, come no. Ken-kun? Stiamo parlando della stessa persona che conosco io? Questa è bella, davvero.”
Mentre parlo, mi sento sempre più a disagio, come improvvisamente fuori posto. E l’avere sei occhi puntati addosso non aiuta affatto. Cerco di non badarci, e inizio a giocherellare nervosamente con una ciocca di capelli, continuando a parlare, forse solo per dare aria alla bocca. “A parte che credo che non voglia avere affatto a che fare con l’amore, ma poi … dai, non scherziamo. E’ impossibile che sia così!”
“E perché?” Fa Sora tranquilla, e non smette di osservarmi. “Non vedo dove sarebbe l’impedimento.”
“Come sarebbe, non lo vedi? Non ti sembra assurdo anche solo pensarlo?”
“Come spieghi, allora, il suo comportamento di ieri?” Commenta Mimi, scettica.
E basta la parola ieri perché, come un film fin troppo nitido nella mia testa, il ricordo riparta, turbandomi di nuovo.
“Non lo so!” Scatto, messa alle strette. Cielo, mi sento così imbarazzata … “Non so cosa gli sia preso, perché sia impazzito, se per caso ha mangiato qualcosa di avariato prima di venirmi a prendere ... O magari si tratta solo dell’essere un ragazzo, ho sempre pensato che la razza maschile sia più felice. Tutto alla leggera, tutto tranquillo … Perché è normale, non è vero, baciare me come se niente fosse? Perché sono una ragazza, e lui è un ragazzo, e baciare non è come legarsi a qualcuno, è … è …”
“Miyako-san, respira. Ti stai agitando un sacco.” Hikari mette la sua mano sulla mia, comprensiva, e me la stringe. E io mi sento il viso paonazzo, ma stavolta è solo per mancanza di ossigeno.
“Sto bene!” Quasi strillo istericamente, e poi mi abbandono sulla sedia con un gemito disperato. “No, non è vero. E’ tutto così confuso, non capisco …”
“Ma perché sei così sconvolta?”
La domanda di Hikari, mentre tento di respirare profondamente –misura di sicurezza ogni volta che sragiono per motivi vari ed eventuali-, suona stranamente bizzarra. Me la ripeto mentalmente per un altro paio di volte, ma l’effetto resta lo stesso.
Bizzarra.
Sollevo lo sguardo, fissandolo negli occhi castani della mia migliore amica. “E’ che non me lo aspettavo. Non così all’improvviso, almeno, e non da lui. E poi …” Deglutisco, prima di continuare. “Non capisco nemmeno perché io abbia ricambiato il bacio senza esitare. Come se fosse … Oh, non so. Naturale, ecco.”
Hikari inclina la testa da un lato, come se stesse valutando qualcosa dipinta sul mio viso. “Tempo fa Ichijouji-kun ti piaceva, e tanto”, dice, e non aggiunge altro.
Ma a me non serve altro per capire.
Il disagio scema all’improvviso, ed è come se tornassi padrona della situazione, e delle mie reazioni. Ridacchio, e scuoto la testa, scettica. “E’ stato sei anni fa, Hikari-chan”, le rispondo subito.
“E allora?” Fa lei, con un sorriso disarmante.
“Non vorrai dirmi che è per la mia cotta da adolescente che ho ricambiato quel bacio!” Esclamo, e rido ancora.  “E’ acqua passata da tempo!”
“Sempre che sia davvero acqua passata”, interviene Mimi, con aria maliziosa. “Potrebbe ancora piacerti.”
Le guardo, incredula, e più ci penso più mi viene da ridere. E’ già incredibile ricordare che anni fa Ichijouji Ken mi piaceva, figuriamoci pensare che quel capitolo non sia stato archiviato. Allora non ero che una ragazzina, che idolatrava un ragazzino affascinante e bravo in ogni campo. Quando ritagliavo dalle riviste le sue interviste non sapevo ancora nulla del Digimon Kaiser, né tantomeno del Ken che si nascondeva dietro la facciata di perfezione: quando l’ho conosciuto meglio il mio sentimento si è evoluto, e tanti saluti alle sciocchezze immature.
Ken è il mio migliore amico. Ed è un sentimento unico, puro: non l’ho mai provato per nessun ragazzo che mi sia mai piaciuto. Con Ken è diverso, ecco tutto, ed è bello così.
Non riuscirei a vederlo diversamente.
Sorrido, finalmente tranquillizzata. “Se mi conosco almeno un po’, so che non è così. E poi, se mi piacesse Ken-kun non sarei così interessata a Michael, non vi pare?”
La mia logica è del tutto inattaccabile, ma riceve come risposta degli sguardi scettici.
Che persone impossibili. Mi acciglio, incrociando le braccia. “Libere di non crederci! Io ho la coscienza pulita.”
“Non è questione di coscienza pulita o meno, è che magari non riesci a capire bene quello che provi perché sei confusa”, commenta Sora, conciliante. Il telefono di Hikari squilla all’improvviso: lei risponde in fretta, allontanandosi un po’ dal tavolo per poter sentire la voce del mittente della chiamata.
“Se sono confusa è solo e unicamente perché non so che accidenti fare una volta che lo vedrò, tutto qui! Ma non è un ostacolo insormontabile. Vi dirò di più: andrò a parlargli oggi stesso, così chiariremo una volta per tutte ogni malinteso!”
Sono spavalda e sicura di me mentre parlo, al punto tale che riesco a credere in quello che dico solo grazie al mio tono definitivo. Ma tanto nessuno scoprirà la fragilità delle mie convinzioni, no?
“A proposito di questo …”
Hikari torna ad avvicinare la sedia al tavolo, riponendo il suo cellulare nella borsa. Poi solleva lo sguardo, fissandolo, in particolar modo, su di me. “Taichi mi ha appena chiamata: riunione improvvisa a casa mia.”
Il significato implicito di quell’occhiata mi fa già intuire la situazione in cui mi trovo. Deglutisco. “Riunione nel senso di …?” Articolo, e spero con tutta me stessa di sbagliarmi.
Hikari, naturalmente, distrugge ogni mia speranza. Annuisce. “Nel senso di riunione di tutti i Digiprescelti, Miyako-san.” Il suo viso assume un’aria imbarazzata. “Spero parlassi sul serio, riguardo ai tuoi buoni propositi per oggi, perché … temo ci sarà anche Ichijouji-kun.”
Lancio un gemito, tornando a nascondermi il viso tra le mani. E così tutto il lavoro fatto da stamattina finora per calmarmi va a farsi benedire.
“Oh, perfetto!”
Naturalmente, non parlavo sul serio, prima.
Sono rovinata.
    
***

Ho detto che è assurdo pensare che Ken possa provare sentimenti del genere per me. Ma è ancora più impossibile impedirsi di fare congetture una volta che il pensiero si è ancorato al tuo cervello.
Osservo le mie dita strette tra loro in grembo, e rifletto.
Poniamo il caso che sia così, ecco. Poniamo il caso che in questa persona Ken veda qualcosa di più, qualcosa che non ha visto anni fa durante l’avventura a Digiworld, qualcosa che è riuscita a destabilizzare persino la sua abituale calma e ponderatezza, e che ha mutato la nostra amicizia in qualcosa di indefinito.
Dev’essere un qualcosa di davvero grande, se è riuscito in tutte queste cose.
Chissà cosa, di me, potrebbe eventualmente aver cambiato tutto.
L’aspetto fisico?
Certo, sono sicuramente cresciuta dall’avventura che ci ha fatti conoscere: sono più grande, più matura nelle forme, più alta, e non sembro più una bambina. Però … Dovrei avere una bellezza sensazionale per giustificare un cambiamento di prospettiva simile. E di certo non sono bella e appariscente come Mimi: non sono poi male, ma sicuramente non è abbastanza.
E allora può essere qualcosa relativo al mio modo d’essere, al mio atteggiamento?
Ecco, questo è un enigma ancora più difficile da risolvere: pensarci può solo aggravarmi l’emicrania, lo capisco all’istante.
Ma ci penso lo stesso.
Magari, cosa posso saperne?, magari gli piacciono le ragazze lunatiche, incostanti e chiassose. Magari ha un debole per le persone che non sanno mai controllarsi, per le ragazze che non hanno la grazia femminile come punto di forza.
Quasi me lo immagino: io che mi lamento poco dignitosamente per qualcosa o qualcuno, magari gesticolando e urlando a tutta forza, e lui, accanto a me come sempre, che in tutta risposta mi sorride dolcemente e mi dice: Sei adorabile, Miyako-san.
Oddio, che scena grottesca.
Ridacchio, incapace di controllarmi.
“Ecco lì qualcuno che non sta minimamente ascoltando!”
Sussulto, e di colpo torno alla realtà, trovandomi lo sguardo di undici persone fisso su di me. In particolare, l’espressione teatralmente severa di Taichi, seduto al contrario sulla sedia girevole come ama fare di solito, mi riporta alla mente che sì, stava parlando, e che avrei dovuto ascoltarlo.
Arrossisco, e involontariamente lancio uno sguardo a Ken: per una volta –solo per stavolta-, non posso che provare sollievo nel vedere che è l’unico a non guardarmi, ostinandosi a restare di spalle, seduto com’è ai piedi del letto dove mi trovo io.
Mi porto la mano destra sulla fronte, in un’imitazione di un saluto militare. “Giuro che stavo ascoltando, signore!”Esclamo a voce alta. “Stavamo parlando dell’organizzazione migliore e più efficiente per la festa di Natale di quest’anno, che avrà luogo tra una settimana a casa Yagami, con ospite eccezionale Michael!”
Lo indico con un cenno del capo: Michael mi guarda in risposta, seduto accanto a Mimi, bello e impeccabile come solo un affascinante americano figlio di un attore consumato, ovvero dotato di una buona dose di sicurezza, può essere. “Grazie dell’eccezionale, Miyako-san”.  Mi lancia un sorriso, uno di quelli che ieri mi avrebbero mandato il cuore a mille. Ma oggi non sono in forma: distolgo lo sguardo, in imbarazzo.
Stavo pensando ad un altro ragazzo, poco fa. Che razza di ragazza innamorata sono?
“Almeno questo l’ha capito”, fa Daisuke, col chiaro intento di provocarmi. Io lo fulmino con lo sguardo.
“Corretto, e poi?” Mi incalza ancora Taichi.
Mi arrovello il cervello per cercare di ricordare. Qualcos’altro l’ho sentito sicuramente! “E poi si è parlato di … di … di dividersi i compiti! Sì, ci sono tante cose da preparare, e dobbiamo approfittare del fatto che siamo tanti, abbiamo buoni rapporti tra noi e quindi possiamo collaborare in modo efficiente!”
“Taichi, lasciala stare, ha sentito tutto!” Ride Hikari, probabilmente nel tentativo di salvarmi. Io tiro un sospiro di sollievo, tremendamente grata.
Ma pare che io non sia molto fortunata, ultimamente. O forse la mia espressione colpevole non lo ha convinto più di tanto.
“E la divisione in gruppi qual è?”
Sprofondo nel rossore più vivo. Lo sapevo.  “… Non ne ho idea.”
Risatine in sottofondo accompagnano la mia vergogna. Ken ancora non si volta, non si muove, non dà segni di vita. La sua schiena è tutto quello che posso vedere di lui.
Yamato ghigna. “Lo vedi, Taichi? Stai perdendo credibilità come capo, nessuno ti presta più attenzione”, lo prende in giro, spingendogli la sedia girevole in avanti con il piede.
Lui sospira, melodrammatico. “Ingrati! Mi faccio in quattro per voi e questa è la ricompensa …” Commenta, fingendo di asciugarsi una lacrima. “Ecco, spiegateglielo voi, magari vi ascolteranno di più.”
Sora alza gli occhi al cielo. “Buffone …” commenta, per poi rivolgersi a me. “Io e Mimi-chan siamo addette alle decorazioni”, mi spiega. “Yamato e Takeru-kun penseranno alla musica, Koushiro-kun, Iori-kun e Jyou-senpai alle bevande, Taichi e Hikari-chan, in quanto padroni di casa, alla cena, ma solo per quanto riguarda il salato …”
“… Tu e Ken penserete al dolce, invece, mentre io e Michael, dato che è l’ospite, sceglieremo i giochi da tavola che più ci …” Si aggiunge Daisuke con aria fiera, ma io già non lo sento più: penso che il mio cuore non abbia retto tanto stress.
Tu e Ken penserete al dolce.
“A- aspetta un attimo!” Balbetto, quasi balzando giù dal letto. Non può essere, non può essere! Che situazione imbarazzante creeremmo? Non ci vedono? Non se ne accorgono? “Volete dire che sono nel gruppo dei dolci con …”
La voce mi manca all’improvviso, mentre mi rendo conto che sto parlando come se avessi un problema con lui davanti a tante persone ignare, e per di più in sua presenza. Con la sua presenza ancora silenziosa.
Oh. Ora capisco perché è così immobile. Dev’essersi pietrificato per lo stesso motivo. Non vorrà stare con me, immagino.
Ed è plausibile, dal momento che ieri è scappato via dopo avermi baciata.
Mi mordo la lingua, e l’inquietudine mi assale. Vorrei scappare io, adesso.
Ma cos’altro posso fare?
“Non ti sta bene? Credevo che tu amassi i dolci, Miyako-san”, interviene Takeru, con gli occhi sgranati. E l’ho visto, che lanciava uno sguardo di sfuggita anche a Ken. Ha percepito l’atmosfera che c’è. “E i dolci di casa Ichijouji sono sempre eccezionali, così ...”
Vedo le ragazze scambiarsi un’occhiata inquieta, e Hikari ammonire Takeru con lo sguardo: lui la guarda perplesso, zittendosi.
Non so davvero che fare: ho la testa nel pallone, mentre guardo ora uno, ora l’altro. “Ma no, è solo che … ecco …” E non so davvero come continuare. “Io …”
“Io non ho problemi a cambiare gruppo, o compagno.”
Mi pietrifico. E’ stato Ken a parlare. Ed è stato freddo, conciso, composto. Non mi guarda, ma lo so che si riferiva a me.
Mi sta liberando dall’impaccio.
O forse vuole liberarsene lui?
Una sgradevole sensazione mi colpisce all’istante, e ha il vago sentore della delusione. Stranamente è proprio questo a farmi prendere una decisione. “No, no! Mi sta benissimo così, non voglio assolutamente cambiare gruppo né compagno.”
Se ha problemi con me sarà lui a dirlo, non certo io, penso, sfidandolo mentalmente a ribattere. Tutto ciò che ottengo è solo un movimento quasi impercettibile del capo, e so di averlo spiazzato, magari anche preoccupato. Ma non dice altro.
Non so se esserne felice, però. Questa tensione mi sta uccidendo.
Il silenzio scomodo che segue le mie parole è interrotto –grazie al cielo-, da Koushiro, che si schiarisce la voce. “Bene, se non abbiamo obiezioni, direi che abbiamo detto tutto quello che c’era da dire, giusto?”
Taichi annuisce, interdetto. “Sì, già. D’accordo … la riunione è sospesa.”
“Perfetto. Allora, se volete scusarmi …” Ken si alza in piedi di colpo, e sembra quasi una molla appena decompressa. “Devo andare. Ci vediamo al più presto.”
E so di non essere l’unica ad essere spiazzata. Forse sono l’unica a sentire del gelo nel petto, però.
Hikari si alza. “Ti accompagno”, prova a dire, ma lui scuote la testa, abbozzando un sorriso –ma è così falso-. “Non è necessario, conosco la strada. Grazie.”
E mentre un coro di saluti incerti accompagna la sua uscita dalla camera, io rimango silenziosa, come scioccata.
Sta scappando.
Sta scappando, come ha fatto ieri e come farà anche tutte le prossime volte, e io non potrò parlargli, perché è proprio da me che vuole allontanarsi.
Non voglio.
Scatto in piedi anche io, mi scuso con gli altri e invento non so quale storia mentre corro e lo seguo, perché so che non avrò altra occasione.
Dev’essere ora, prima che sia tardi, prima che scappi ancora tante altre volte.
Lo trovo all’ingresso, con la porta aperta, sul punto di uscire. Accelero il passo, raggiungendolo.
“Ken-kun!”
Si ferma di colpo, e io mi fermo in tempo prima di toccargli un braccio. Il cuore mi martella furiosamente nel petto: non riesco a sfiorarlo, non dopo ieri, non a così poco tempo da quel bacio.
Abbasso la mano, imponendomi di non tremare in quel modo.
“Ken-kun”, ripeto ancora, a voce malferma.
Lui si gira, e mi guarda.
Conosco quest’espressione. Sta cercando di non farmi capire quello che succede nella sua testa, cerca di apparire privo di emozioni, come una statua di marmo. Ma i suoi occhi non si fissano mai direttamente nei miei, perché sa che capirei che emozione sta provando.
Mi fa male. E’ davvero finito tutto? Può un bacio davvero avere questo effetto su di noi? Può davvero raffreddare persino un rapporto come il nostro?
Non voglio.
“Cosa c’è?” Mi chiede, neutro.
Non voglio!
Prendo un respiro profondo, e la paura mi fa acquisire il coraggio di aprir bocca. “Pretendo la torta con triplo strato di cioccolata e panna”, affermo di getto.
E questa volta l’ho sorpreso sul serio.
Spalanca occhi e bocca, incredulo. “Cosa …?”
Si aspettava che gli avrei chiesto spiegazioni per il bacio, suppongo; perché me lo aspettavo anche io da me stessa. Ma non l’ho fatto.
Perché non l’ho fatto?
Non importa, no? Non mi resta che assecondare gli eventi.
Annuisco, un po’ attonita. “Hai capito bene. Siamo noi a doverci occupare dei dolci, giusto? Allora siamo noi a decidere cosa preparare per Natale. E io voglio quella torta.”
Lo fisso, in attesa, e dentro di me prego che si liberi di quella freddezza. Voglio che torniamo ad essere noi, non voglio perderlo. Non voglio. A questo punto, è anche meglio che sia andata com’è andata: meglio dimenticare, e far passare l’evento come se niente fosse, perché Ken è troppo importante per me.
Un lungo silenzio. Poi Ken richiude la bocca: qualcosa nella sua espressione cambia, si distende. “No, Miyako-san. Quella torta è commestibile solo per te.” Ribatte, e tenta di parlarmi col tono di rimprovero che avrebbe usato fino a due giorni fa.
E’ come se mi fossi liberata di un peso.
“E andiamo! Se la provassi anche tu sapresti che è la migliore ricetta che tua madre abbia mai inventato!” Mi lagno come una bambina, riacquisendo pian piano quella spontaneità che mi mancava.
Lui sospira, e sorride. “E’ assolutamente poco pratica da tagliare e servire. Guarda in faccia la realtà, non si può fare. E poi”, aggiunge, gettandomi un’occhiata incerta. “Bisognerebbe cercarne la ricetta, perché non ricordo dove sia finita …”
“Che problema c’è? Vengo a casa e ti aiuto a cercarla!” Mi offro impulsivamente, lasciandomi trasportare dalla corrente. Lui si irrigidisce per un istante; io sussulto, temendo di aver sbagliato, di aver distrutto quella fragile tregua che avevamo creato. Sto per rimangiarmi tutto, quando lo sguardo di Ken mi colpisce.
Sembra sollevato.
Ride piano. “Tutto, per quella torta ipercalorica, eh, Miyako-san?”
Rido anche io, forse un po’ troppo forte. “Puoi ben dirlo! Prendo il cappotto e arrivo, aspettami!”
Mi allontano a passo rapido, e mentre cerco il mio cappotto mi coglie uno strano pensiero.
Lo sguardo di Ken era sollevato perché non gli ho chiesto spiegazioni per ieri.
C’è qualcosa che non quadra. Sono stata io stessa a dirmi che era meglio lasciar perdere, per continuare ad essere i migliori amici di sempre. E allora perché provo delusione vedendo quanto anche lui vuole dimenticare tutto?
Il peso dal mio animo si sarà anche tolto, ma al suo posto è sopraggiunto un senso di vuoto che non sarei capace di spiegare in nessun modo.
Non dovrei essere felice?
Sbuffo, infilandomi il cappotto in fretta e tornando da Ken, ancora fermo sulla porta.
Meglio non complicare troppo le cose con strani pensieri, per il momento.

***

“Ti ripeto che non c’è.”

“E io ti ripeto che la troveremo. Dove la nascondi?”
“Sembri convinta che io abbia ordito un complotto per frenare la tua golosità, ma ti assicuro che sono innocente.”
“Guarda che lo so, che sei più perfido di quello che … Ehi, a chi hai dato della golosa?”
“Miyako-san, la tua golosità in campo dolciario è un dato di fatto, non fingerti sorpresa.”
Siamo strani. Sembriamo normali, ma non lo siamo. Non riusciamo ad esserlo.
Da quando siamo usciti da casa Yagami non ho smesso un attimo di parlare, parlare e parlare. Progetti, ricette, aspettative sulla festa … neanche ricordo tutto quello che ci siamo detti. So solo che avevo un disperato bisogno di non stare zitta un attimo, so che avevo bisogno di ritrovare la quotidianità dei nostri discorsi del prima, e so che, in qualche modo, sentivo che ci stavamo avvicinando ad essi.
Ma io parlavo troppo, e le risposte di lui non riuscivano a rassicurarmi.
Anche ora, come prima, mi risponde, sorride, mi prende gentilmente in giro, ma è circospetto. Non mi guarda negli occhi.
Ci stiamo parlando, ma ho come l’impressione che ancora non riusciamo a comunicare l’uno con l’altra.
Passerà, mi dico, cercando di sopprimere la fastidiosa voce nella mia testa che mi sussurra cose scomode. Passerà, prima o poi. Un bacio dettato da alcool o ormoni non può portare i suoi strascichi per troppo tempo, no? E’ ridicolo.
Casa Ichijouji la conosco molto bene, ormai: sono anni che capito qui per studiare, chiacchierare, semplicemente per incontrare Ken. Mi sento quasi in famiglia, certe volte. Per questo non ho problemi a dirigermi sicura verso la mensola del salotto.
“Non potrebbe essere finita nel raccoglitore delle vecchie ricette? Tua madre una volta mi ha detto che fa difficoltà a riordinarle, siccome ama viziarti con ogni genere di prelibatezza. Potrebbe essere stata una svista”, commento, alzandomi sulla punta dei piedi per poter vedere meglio. E’ decisamente troppo in alto per poterlo prendere, anche stendendo il braccio.
Ken fa un profondo sospiro, alle mie spalle. “Se vuoi metterti a rovistare tutto il raccoglitore …” mi risponde, col tono rassegnato di chi conosce già la risposta.
Io non dico niente: mi dirigo spedita verso la prima sedia che mi capita a tiro, posizionandola sotto la mensola. Poi, decisa, ci salgo sopra.
Lui è rapido ad allarmarsi: si avvicina rapidamente alla sedia. “M-Miyako-san! Aspetta, salgo io!”
Io sbuffo, alzandomi sulla punta periodicamente per riuscire ad afferrare il raccoglitore. “Non sono mica … una bambina, Ken-kun!” Rispondo, concentrata nel mio lavoro. Come vorrei essere più alta, dannazione. “Ce la … farò … senza problemi!”
“Rischi di farti male, se stai sulle punte in quel modo! Io sono un po’ più alto, è meglio se …”
Il resto della frase è interrotto da quello che succede dopo.
Non so neanche come succede, so solo che la sensazione del vuoto mi attanaglia lo stomaco con una stretta dolorosa, mentre mi sbilancio verso la mia sinistra e perdo l’equilibrio.
Lancio una specie di strillo soffocato, e osservo la terra avvicinarsi -
Poi due braccia forti mi prendono per la vita, dietro di me, e recupero l’equilibrio. I tonfi del mio cuore mi rimbombano nell’orecchio.
“Miyako-san … Non fare mai più una cosa del genere!”
E’ stato Ken a salvarmi, capisco all’istante. Forse è stato merito di tanti anni di esercizio a calcio: mi ha vista cadere, si è issato sulla sedia con un rapido movimento, dalla parte opposta a quella verso la quale mi stavo sbilanciando, e mi ha afferrata prontamente. E ora mi stringe forte, e mi parla con rimprovero affannato, e so che si dev’essere spaventato almeno quanto –se non più di- me.
“Perché devi fare sempre di testa tua? Potevi farti male sul serio!”
Io non rispondo: non posso.
Improvvisamente ho la lingua incollata al palato.
Non è più la paura, ormai, a mozzarmi il respiro nel petto, mi rendo conto, e sgrano gli occhi.
E’ che il mio corpo si adatta bene, fin troppo, alle braccia calde strette attorno alla mia vita.
E’ che uno strano calore proveniente da dove mi stringe si sta propagando in tutto il mio corpo, lasciandomi boccheggiante e accaldata, e ricorda quello che ho provato ieri.
E’ che ricordo ieri, l’istinto irrefrenabile di lasciarmi stringere, di baciarlo con tutta me stessa.
E’ che ho voglia di farlo di nuovo.
Nonostante lui sia Ken, nonostante io sia del tutto in me, nonostante il fatto che io non abbia bevuto un goccio, la sensazione persiste.
Perché?
Improvvisamente, mi lascia andare, come scottato. Con movimenti rapidi e turbati, afferra il raccoglitore, scende dalla sedia e si dirige in tutta fretta verso il tavolino. Io mi volto, ancora impalata al mio posto come uno stoccafisso, e lo fisso mentre, a scatti, apre il ricettario e lo sfoglia senza vederlo.
Mi sono appena accorta di aver fatto un errore madornale di valutazione. Ho messo da parte un elemento fondamentale, nel tentativo di far quadrare tutti i conti: non ho calcolato me, la mia debolezza e i miei limiti.
Io ho paura, paura del mio desiderio di raggiungerlo e sentirlo ancora vicino, paura di quello che può significare, perché non lo capisco. Così tanta paura che sono stata incapace di dar voce ai miei pensieri: ho cercato di far finta di niente, di dare tutta la colpa a lui. Perché era Ichijouji Ken a scappare, solo e unicamente lui, non Inoue Miyako.
Non Inoue Miyako.
Siamo più simili di quello che pensassi, dopotutto. Come ho fatto a essere così stupida?
Stringo i pugni, prendo un respiro profondo, e scendo di colpo dalla sedia. Più le mie gambe tremano, più la mia determinazione a mettere un passo dopo l’altro cresce; perché non posso lasciare le cose come stanno, e recitare ancora dietro una maschera. Non posso più.
Non sono in grado di ignorare quello che è successo ieri, quello che ha rischiato di ripetersi oggi: non sarebbe neanche corretto da parte mia, e sua.
Gli sono davanti, ora, anche se lui finge ancora, senza convinzione, di leggere le ricette.
“Che significava quel bacio?”
Il rumore del ricettario che si chiude di colpo riempie la stanza. Le braccia di Ken, appoggiate sul tavolino, tremano leggermente: un lungo silenzio scoraggiante segue la mia domanda.
Ma io non mi lascio più impressionare. Alzo maggiormente la voce, e il mio tono acquisisce sicurezza. “Non ti sembra il caso di parlarne, Ken-kun? Basta girarci intorno, basta fingere. Voglio capire cos’è successo ieri, e voglio capirlo con te.”
Fisso la sua schiena, pregando si giri, e sembra quasi sia stato il mio sguardo così impaziente e desideroso a far sì che Ken si girasse ad affrontarmi.
Mi guarda negli occhi, stavolta, non più grato, non più sollevato, non più guardingo. Non più padrone di sé, del suo autocontrollo, perché è stato improvvisamente privato della sua maschera.
E ha paura anche lui, lo vedo in fondo al suo sguardo. Ha una paura folle, confusa, che non trova spiegazione né tregua:  preme per uscir fuori, ma è strenuamente trattenuta.
 Al suo posto, un sentimento ben più forte affiora sul suo viso, ma non mi riesce di comprenderlo, presa come sono dall’emozione, e dagli occhi di Ken.
Solo quando apre bocca, e mi risponde, la soluzione affiora, come se l’avessi saputa da sempre, nella mia mente, e comprendo.
“Non c’è niente da dire. E’ stato uno sbaglio, nulla più.”
Rifiuto.









Ben ritrovati! Dal momento che la storia è completamente scritta, posso permettermi il lusso di aggiornare con scadenza settimanale ^^ credo non mi succederà mai più nella mia vita, per questo ne approfitto u.u  perciò stay tuned, e aspettatevi il prossimo capitolo martedì prossimo!
Per la cronaca... sono perfettamente consapevole del fatto che il motivo scatenante di tutta questa vicenda, ovvero Michael, non dica che una frase in croce finora, tra l'altro neanche chissà quanto pregnante. Spero mi perdonerete. Non so se c'è qualche fan di Michael tra voi, ma a me proprio non riesce a dire granché come personaggio, è così insipido ._. comunque più in là si farà più sentire, promesso!
Se vi va datemi pure un feedback, che è sempre gradito ^^ 
Padme Undomiel

   
 
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