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Autore: Padme Undomiel    20/01/2015    1 recensioni
"Ken-kun è sempre attento, è un caro amico, ed è sempre disposto ad ascoltare quando ce n’è bisogno. Non sarà di molte parole, certo, ma quando si apre davvero con qualcuno è capace di rivelare al meglio la sua interiorità, che è meravigliosa, benché lui stesso ne dubiti. Peccato che sia convinto sul serio che non si fidanzerà mai con nessuna.
Me lo disse alcuni anni fa, quando per la prima volta noi due scoprimmo di essere davvero in grado di stringere un’amicizia speciale.Per quanto sia assurdo, lui sostiene che la sua convinzione derivi dal fatto che i suoi sentimenti sono pericolosi, fonte di guai."
[...]
"Che significava quel bacio?"
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ken Ichijoji, Miyako Inoue/Yolei
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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JGF3
Just Good Friends






3.





“Uno … sbaglio.”
“Sì.”
“Scusami, credevo stessimo discutendo, non sottoponendo il caso ad una corte giudicante. Che significa ‘sbaglio’? Sbaglio per chi?”
“Miyako-san, guardaci, non è normale questa situazione. Tu sei a disagio, e io … E’ stato uno sbaglio per tutti e due.”
“Vuoi decidere al posto mio quello che penso io di ieri?”
“Non è stato uno sbaglio per te?”
“…”
“… Lo sapevo.”
“Ken-kun, io non lo so! Non mi va di dare etichette, d’accordo? Chi mai potrebbe dare un giudizio razionale quando la cosa è ancora così recente? Quando tu sei più che deciso a considerare l’argomento un tabù? Io voglio solo sapere che ti è preso. Che ci è preso. Perché è successo.”
“Ti dico che è stato uno sbaglio.”
“E io ti dico che ti ammazzo se lo ripeti. Spiegami almeno perché ne sei così sicuro!”
“Perché non ha il minimo senso, quello che ho fatto.”
“Cioè? Mi hai baciata perché una forza aliena si è impossessata di te?”
“Possibile.”
“Sei proprio un testardo.”
“Senti chi parla.”
“Facciamola finita. Di solito si bacia un’altra persona quando si prova qualcosa per lei!”
“…”
“… Tu … Provi qualcosa per me?”
“…”
“Ken-kun?”
“Eri fragile. Eri … eri bella. E credevi chissà cosa sulle mie intenzioni. Ho agito d’istinto, Miyako-san. D’istinto e basta. E ho evidentemente fatto forza su di te, perché non credo proprio fossi io, il ragazzo che volevi baciare. Nessun doppio fine, e nessuna intenzione nobile: è stata un’azione stupida. E non … non si ripeterà più.”
“…”
“Perciò, per favore, dimentica questa storia e non ne parliamo più.”
“Ma …”
Ti prego. Facciamo come se non fosse successo nulla.”



Non riesco a dormire, e non sono sorpresa.
Non si può sfuggire per sempre ai troppi pensieri che ti assillano, neanche riempiendosi l’agenda di cose da fare per tenersi la mente occupata, per distrarsi: la notte è sempre un brutto affare, perché l’unico modo per sfuggire sarebbe dormire. Ed è semplicemente impossibile farlo, se hai un peso nel petto doloroso che te lo impedisce, che ti rende la testa iperattiva.
Perciò eccomi qui, ancora con le coperte sulla testa dopo i miei vani e innumerevoli tentativi di trovare una posizione comoda che mi conciliasse il sonno e che mi hanno solo avvolta nelle lenzuola come un bozzolo, stretta al mio cuscino, gli occhi spalancati e il buio totale in stanza.
E’ tutta colpa di Ken.
Vorrei telefonare a Hikari, giusto per sentire una voce amica, giusto per raccontare queste cose a qualcuno. Vorrei rintanarmi in questa stanza e non uscirne più. Vorrei prendere Ken a pugni. Vorrei piangere. Vorrei prendere me stessa a pugni. Vorrei dormire.
Non so più neanche io cosa voglio, ma tra tutti i miei sentimenti confusi ce n’è uno che è impossibile ignorare.
Una specie di rabbia sorda che fa da sottofondo ad ogni mio pensiero, da oggi pomeriggio.
“Facciamo come se non fosse successo nulla.”
Prendo a pugni il cuscino, una, due volte. Non sono disposta ad accettarlo. Non sono disposta a dimenticare. Non sono disposta ad essere zittita ancora, prima ancora di aver potuto cercare di spiegare le mie motivazioni.
Non ho intenzione di arrendermi.
E all’improvviso so che cosa fare, e il pensiero mi fa sorridere di feroce determinazione.
Finta di nulla? Provaci se ci riesci, Ken-kun.

***

“Cosa?” Chiedo innocentemente, un sorriso ampio sulle labbra mentre lo fisso con la testa inclinata su un lato, il cappotto ancora in mano. “Va tutto bene, Ken-kun?”
Ken deglutisce a vuoto, gli occhi che si fermano senza volerlo sul mio outfit e da esso vengono rapidamente, forzatamente distolti. E’ rossissimo.
“Perché così … elegante … per cucinare?” Domanda piatto.
Io faccio spallucce, girando un po’ su me stessa e osservando la gonna della festa di Michael gonfiarsi al movimento. La leggera scollatura della maglia della festa di Michael mi fa rabbrividire un po’. O forse è la mia stessa sfacciataggine a mettermi a disagio.
“Oh, chi lo ha detto che bisogna vestirsi bene solo alle feste? Avevo voglia di sentirmi carina. Spero che non ti dispiaccia-”
“Non fa niente.”
Mi volta le spalle, rigido, e comincia a prendere il burro dal frigorifero.
Sorrido. “Cioè ti dispiace ma mi perdoni?” Lo provoco. “Non mi trovi carina?”
“Cioè non m’importa niente di come sei vestita, Miyako-san. Cuciniamo?”
La risposta tagliente mi fa sbattere gli occhi d’istinto. L’ho turbato.
“Che maleducato.” Poso il cappotto sul divano e mi avvicino, tanto, troppo, e gli cingo le spalle con un braccio. Qualsiasi suo muscolo sussulta violentemente, come se avesse ricevuto una scossa elettrica. Si volta, quasi spaventato. “Dovresti deciderti, sai. Non puoi baciarmi un giorno e maltrattarmi un altro.”
Sulle sue guance potrebbero friggersi le uova. “Miyako-san.” Fa, a metà tra l’avvertimento, il rimprovero e la disperazione.
Io gli scocco un bacio sulla guancia bollente, allontanandomi soddisfatta. “Fa nulla, ti perdono. Si vede che sei sotto stress. Non vuoi dirmi cosa c’è?”
Sento il suo sguardo addosso, intenso e bruciante, sebbene io stia fingendo di essere interessata alle uova che sto tirando fuori per cucinare. So che ce l’ha con me.
Col sorriso sulle labbra, comincio a parlare del fatto che nevicherà a breve.

-

“Non avrei saputo pensare a un gioco migliore! Sei geniale, Michael. Ge-nia-le!”
Rido, leggermente seduta sul bordo del tavolo, e con la coda dell’occhio osservo Ken spezzettare il cioccolato fondente col coltello. La sua espressione è completamente congelata, i suoi movimenti sono meccanici. Non solleva mai lo sguardo.
“Pare che abbiamo tante cose in comune. Sai che era il mio gioco di carte preferito da bambina? Io e i miei fratelli passavamo così la Vigilia di Natale … mi leggi nel pensiero?” Continuo a dire al ricevitore del telefono, la voce fin troppo alta, gli occhi fissi sul viso di Ken, alla ricerca di una reazione.
Dall’altra parte della cornetta, una risata imbarazzata. “L’idea a dire il vero è stata di Daisuke-kun-”
“Sapevo che era una buona idea, quella di assegnare a te questo compito! Continua così, e grazie per il duro lavoro!” Continuo a cinguettare, un sorrisone sulle labbra. “Mi sto impegnando seriamente anche io con i dolci, così tutto sarà perfetto la sera di Natale.”
Ken, le dita piene di scaglie di cioccolato frantumate e il coltello in mano, non può trattenersi dallo scoccare un’occhiata alla presunta lavoratrice in panciolle, le mani pulite e il grembiule intonso, intenta a flirtare al telefono da mezz’ora abbondante. Distoglie in fretta lo sguardo, ma quel secondo ha il peso di un pugno in uno stomaco. Il sorriso si incrina.
“Ora devo tornare alla ganache al cioccolato. Ci aggiorniamo, ciao ciao!”
Chiudo, poso il telefono. Per un momento ho problemi a fingere disinvoltura.
“Scusami. Cosa posso fare?”
“Posso fare da solo. Non volevo interrompere la tua chiamata.”
Gelido. L’ho turbato.
Ignoro la sua risposta e prendo il pentolino per sciogliere il cioccolato. “Michael è così carino”, attacco, e noto il suo viso irrigidirsi. “Hai visto che adesso ci telefoniamo anche? Stiamo diventando sempre più intimi.”
Nessuna risposta, nessuna reazione.
Insisto, fissandolo apertamente. “Credi che riuscirò a baciarlo sotto il vischio a Natale?”
Il coltello cade sul piano cottura con un fragore assordante. Ken strizza gli occhi e si tampona il dito: una goccia di sangue gli sporca la carnagione chiara.
Sussulto, mi avvicino. “Ti sei fatto male?”
Ken mi lancia uno sguardo di avvertimento, e il gelo mi immobilizza.
“Sto bene”, risponde. “E’ solo un taglietto.”
Dopodiché va al lavandino, e mette il dito sotto l’acqua gelida.
Il sangue si ostina ad uscire dalla feritina.

-

“Davvero non sono in grado, le ho bruciate.”
“Ne facciamo altre! Aiutami a disporle sulla carta forno e abbiamo risolto-”
“La cucina non deve davvero essere il mio forte.”
“Certo, tu devi avere un talento naturale per il lasciar perdere quando sei in difficoltà.”
Capisce all’istante il doppio senso, e i suoi occhi assumono l’espressione dell’incredula frustrazione. Non parla, mentre afferro la frolla tra le mani e comincio a lavorarla.
“Dovresti imparare a prendere le situazioni di petto, Ken-kun. Sai, accettare che hai dei limiti, che non puoi controllare tutto. E che la cosa non è del tutto sbagliata. Scommetto che ti stai precludendo tante di quelle esperienze …”
“Stiamo ancora parlando della pasta frolla, suppongo.” Risponde, un sorriso ironico sulle labbra. Ha le spalle contratte.
“Ma non solo, ovviamente.” Gli sorrido, volutamente leggera. “Parlo di te. Del mio migliore amico. D’altronde a cosa servono gli amici se non a questo? Sono preoccupata per te. Come potrebbe esserlo tua sorella. Pensaci su, nel caso in cui dovessi far disperare qualche fanciulla per questa tua inibizione. Oh, dimenticavo.” Faccio spallucce. “Non sono problemi miei. Né, in effetti, della fanciulla in questione. Sei tu che decidi cosa è giusto e cosa no!”
Basta. Lavoriamo.”
Stringe gli occhi, sul suo viso passa un’espressione dolente.
Ho il cuore pieno di schegge dolorose.
Basta.

-

“Eh … E’ un po’ … siete sicuri di averci messo lo … zucchero?”
La signora Ichijouji sposta gli occhi da me a suo figlio, lo sguardo distolto, appoggiato contro il muro. Sul suo viso c’è una curiosa espressione di cauto imbarazzo, e preoccupazione velata.
Io afferro la busta bianca al mio fianco, sollevandola perché la veda. “Abbondantemente. Non le piacciono i tartufi al cioccolato? Abbiamo seguito la ricetta a puntino!”
“La mia ricetta, dici?” La madre di Ken si riassetta i capelli, ora decisamente a disagio. “Siete sicuri di star bene? Ken, tesoro, sei un po’ pallido. Perché non ti siedi un po’?”
“Sto bene.” Ken quasi non muove le labbra, gli occhi fissi a terra.
Sembra perennemente turbato ormai.
“Non può farci niente, signora Ichijouji. E’ da un po’ di tempo che non sopporta più la mia presenza”, non riesco ad impedirmi di dire, sorridendo vacua, gli occhi fissi nel pallore malsano di Ken. “Da quando è stata così gentile da prestarmi cappotto e guanti, in effetti. Suo figlio magari si augurerebbe di non averlo mai fatto.”
Le labbra di Ken si piegano in una smorfia. Protesta, sconcerto, dolore balenano nei suoi occhi mentre mi guarda.
So che mento. So che non è vero niente. So della sofferenza che mi sta straziando. Non riesco a fermarmi. “Secondo me mi odia da allora.”
“Vado a lavare i piatti sporchi.” Ken ha uno scatto, scappa. Per un istante – uno solo, fugace, irrazionale – vorrei fermarlo.
La madre guarda lui e poi me, confusa, addolorata, e non fa che echeggiare la sofferenza dell’altro Ichijouji che ho ferito.

Da sola, con la ciotola dell’impasto dei tartufi, seduta al tavolo mentre di là il suono dell’acqua che scorre sui piatti sporchi mi informa sull’attività del mio presunto partner dei dolci.
Mi siedo al tavolo, afferro la ciotola e un cucchiaio, assaggio. E rischio di sputare, strizzando gli occhi per il sapore estraneo che sento al suo interno.
Solo allora do un’occhiata attenta alla busta bianca sul tavolo, e leggo cosa c’è scritto. Sale.
E’ disgustoso.
Inghiottisco, gli occhi si riempiono di lacrime.
I nostri tartufi sono disgustosi.
Le lacrime scorrono sul viso, mentre mi riempio un altro cucchiaio di quella roba, e lo mangio, in silenzio.

***

“Devi avercela davvero tanto con me.”
Alzo il capo dalle crostatine che sto decorando con gocce di cioccolato e pezzi di frutta. Non abbiamo parlato da quando ci siamo incontrati, oggi. Eppure è lui a rompere il silenzio, a bassa voce, quasi rispettando la cappa di pesante incomprensione che ci avvolge da qualche giorno.
“Per tormentarmi così”, si spiega. “Devi detestarmi davvero.”
L’aria mi manca all’improvviso.
Io detesto te?” La crostatina mi sfugge dalle mani, e cade in terra, imbrattando il pavimento. I giochi sono finiti. Non esistono vincitori. “E’ colpa tua, Ken-kun! Ti avevo pregato di parlarne, ti avevo pregato di starmi a sentire. Ma no, devi sempre decidere tu per tutto! Oh, attenzione, il genio Ichijouji Ken deve essere il solo a controllare gli eventi!”
“Non è così. Non posso credere che tu non lo sappia.” La voce di Ken è calma, eppure fa male. E’ entrato nella modalità ferita, di quella che cerca di preservare le distanze per non crollare. “Quello che volevo non era inibirti, era rimediare, come possibile. Ma ho sbagliato, pare. Mi scuso. Parla pure, non voglio interromperti.”
“Davvero? Posso? O vuoi fare ancora un po’ la vittima?” Da qualche parte apro un passaggio dentro di me, e la rabbia affiora, calda, insopportabile. Perdo il controllo, mi alzo in piedi, sbattendo le mani sporche di coriandoli di zucchero sul piano lavoro, e mi sporgo verso di lui. “C’è tanto che vorrei dirti, in effetti. Ho capito tante cose su di te in questi giorni, Ichijouji Ken, e non sono sicura che la cosa mi piaccia.”
“E così finalmente ti rendi conto che sono una brutta persona.”
No.
“Sì.” Ribatto, gli occhi ardenti. E lo ferisco ancora. “E ti dirò perché, stupido ragazzo che non sei altro. Perché non hai un briciolo di coraggio per ammettere una cosa semplice come il fatto che, per la prima volta, provi qualcosa per una ragazza!”
Sussulta, violentemente, e vergogna, orrore e paura riempiono il suo viso. Il suo viso assume una sfumatura violacea.
Io ho la conferma che volevo.
Ho una paura matta che il mio cuore cederà, qui, ora, perché non respiro più. Solo ora mi rendo conto che c’era una parte di me che si aspettava una negazione, non fosse altro perché questo avrebbe reso meno triste la situazione, mi avrebbe fatto sentire meno rifiutata, meno simile ad una specie di malattia degenerativa di cui rinnegare l’esistenza.
Ma non mi sento delusa come dovrei.
Stranamente un’emozione confusa mi sta pervadendo, e non capisco cosa sia.
Sembra sollievo.
“Non lo neghi”, soffio senza fiato. “Sei innamorato di me.”
Ken sta zitto.
Io rido, incredula, confusa, turbata. “E allora che c’è? Perché non me lo hai detto? Perché non ci hai mai provato? E’ così semplice. Sei umano anche tu, dopotutto, anche se vuoi giocare ad essere un robot. Se ti piace qualcuno, devi dirglielo. Devi dirgli che è quello il motivo per cui lo hai baciato-”
“Miyako-san-”
“E invece stai zitto! Perché stai zitto? Perché non potevamo parlarne?” Mi passo una mano tra i capelli, scuotendo la testa. Mi sento un po’ isterica. “Cosa devo credere? Che non vuoi provarci. Ecco tutto.”
“Miyako-san, ti prego.”
“Ma è così, Ken-kun. E’ questa l’impressione che dai.” Rido di nuovo. “Sai cosa? Scommetto che è ancora quella storia sciocca della promessa Non mi fidanzerò mai. Ebbene, te lo ricordo di nuovo: è sciocca. Solo tu potevi dar retta ad un imperativo morale auto inflitto per così tanto tempo, davvero … E’ proprio da te. Però ora basta. Devi smetterla, perché non è vero. Non è giusto, per te, per le donne che ti amano a distanza … “
“Cosa m’importa di quello che provo io?” Ken mi afferra le mani, senza volerlo. Il suo sguardo è angoscia pulsante, una ferita sanguinante. E non c’è altro che disillusione al suo interno. “Tu sei innamorata di Michael.”
Michael è un viso lontanissimo ora, non riesco a collegare il suo nome a dei lineamenti concreti. Gli stringo forte le mani, e le sento tremare. “Michael non ha nulla a che vedere con questa storia! Volevo baciare te, quella sera.”
Sussulta, e mi guarda smarrito. Ho il cuore in fiamme, e sorrido come una sciocca.
“E’ questo il bello. Non hai mai fatto violenza su di me. Volevo baciarti, e l’ho fatto. Non so spiegarti perché. Sentivo che era giusto. Lo … lo penso ancora, sai? Voglio ancora baciarti, e chi se ne importa di tutto il resto!”
Come una nota stonata in una melodia, l’espressione di Ken si congela. “Non sai spiegarmi perché.”
“No, ma non importa! Siamo sempre noi. Non c’è niente di male, se ci va di farlo. Anzi, sarà pure ora che tu ti liberi di quell’imperativo morale che ti porti dietro come un fardello!” Gli prendo il viso tra le mani, e all’improvviso ho la sensazione che mi sgretolerò, lì, in quel momento. “Perché non vuoi essere sincero con me? Con te stesso? Perché frenarci?”
Ken sta zitto. I suoi sono gli occhi della perdita, e non capisco perché – e sono così belli, i suoi occhi. Lo sono sempre stati. L’ho sempre saputo, ma mai abbastanza. Mai come ora.
Una stretta allo stomaco, mi avvicino alle sue labbra, chiudo gli occhi. Per un istante solo, le narici invase del suo profumo, sfioro le sue labbra e la gioia mi assale.
Poi Ken inspira violentemente, e mi allontana. Dolce, ma fermo.
Mi allontana.
Apro gli occhi.
I suoi sono bassi, dolenti, decisi. Trema.
“Non ti sei mai accorta di me”, mormora. “Perché proprio ora?”
Il suo sussurro straziato è un pugno nel mio stomaco. Boccheggio.
Ken sorride un po’, e nulla di quel sorriso parla di gioia. “Non farmi questo, Miyako-san. Non per pietà, non per affetto, non per … Michael o chicchessia. Non posso sopportarlo. Non voglio.”
Cerco di parlare. Ci provo più volte, Nessun suono esce dalle mie labbra. Guardo il suo viso, il viso di quello che è stata la persona più importante della mia vita, e all’improvviso la nebbia si squarcia, e lo vedo in modo diverso.
Immagino gli anni di amore segreto, nascosto, gelosamente custodito ma regalato a piccole dosi ogni giorno, sebbene in forma camuffata, sebbene sotto la maschera dell’amicizia. Leggo la sofferenza che prova nel rifiutarmi ora, e capisco che ho risposto al suo amore sincero con un sto solo seguendo l’istinto di un momento.
Capisco che lo sto perdendo, e tutto, di me, sta andando in frantumi, pezzo a pezzo, e un grido strozzato si incastra nella mia testa e si blocca nella mia gola.
Lo guardo, e all’improvviso lo riconosco, come se l’avessi rivisto dopo tanti anni di assenza.
Un passo indietro. Poi un altro. E un altro ancora. Ken alza il capo, e mi guarda. Mi guarda e basta.
Poi mi volto, e afferro tutte le nostre crostatine, buttandole nel cestino, una alla volta.
“Questi dolci non dovevano uscire così male”, sussurro, e una parte di me sembra guardarmi dall’esterno, e si sorprende per il tremito nella mia voce.
Poi non ce la faccio più. Afferro il cappotto, lo indosso, esco fuori. Il freddo invernale non la smette di schiaffeggiarmi mentre cammino via in fretta.
Non mi volto indietro.

***

“Miyako-san!” Hikari è sorpresa, sul ciglio della porta, mentre si stringe nella sua felpa riparandosi dal gelo che entra a raffiche in casa Yagami. “Cosa fai?”
Io mi limito ad abbassare lo sguardo sul quadernetto che reggo tra le mani, osservando per l’ennesima volta quelle parole scritte così tanto tempo fa. Ancora sulla soglia, leggo ad alta voce.
15 settembre 2003. Ken-kun mi ha confessato che non ha alcuna intenzione di fidanzarsi con chicchessia. Lo immaginavo, no? Non sembrava intenzionato a provarci con me comunque. Ma finché potevo dare la colpa alla sua timidezza per questo andava tutto bene … qui sembra che io non abbia speranza alcuna. Ero divisa tra la gioia di conoscere un altro aspetto di lui – uno che aveva confessato solo a me!- e la terribile voglia di piangere. Volevo almeno dichiararmi, così da poter dire: Ho fatto quello che potevo. Non potrò più farlo.”
Hikari è muta mentre si fa da parte, e mi fa entrare. Il tepore della casa mi accoglie, e la porta si chiude, ma io rimango in piedi, infagottata nel mio cappotto, il gelo che mi è entrato nelle ossa e non vuole più andarsene. Continuo a leggere, la voce mi trema sempre più forte.
19 ottobre 2003. Chiodo schiaccia chiodo, si dice. Andrà così. Ken-kun non è l’unico ragazzo sulla faccia della Terra, e ci saranno almeno sei miliardi di altri ragazzi con i quali io potrei stare bene. E poi non ho alcuna voglia di perdere Ken-kun, gli voglio troppo bene. Come amici funzioneremmo benissimo.”
Ho la vista che mi si appanna, ma sfoglio forsennatamente le pagine, decisa a spiegare – a farmi di nuovo del male. Hikari non si muove.
23 maggio 2005. Essere lasciati è una fregatura, ma piangere tra le braccia di Ken-kun decisamente no: sa di casa. Ken-kun non ti giudica mai, non dice mai nulla di superfluo, non ti fa la predica né ti offre tisane e tè per farti star meglio per forza. Ti offre cioccolata, però. E ti accarezza i capelli, delicato come se stesse sfiorando i petali di un fiore. Con Satoshi non mi sono mai sentita così, ed è in questo modo che ho capito che è finita. Il mio ragazzo dev’essere come Ken-kun, o non mi accontenterò.”
Un singhiozzo, poi un altro, e sento un dolore intenso nel petto. Altre pagine sfogliate, quasi con violenza.
2 … febbraio … 2007 … Una ragazza ci ha provato con Ken-kun, e lui è diventato tutto rosso, e ha balbettato senza senso per ore. Ha pure avuto il suo … numero di telefono. Io però … gli ho detto di non chiamarla, perché neanche quella era … quella giusta per lui. Per infrangere la sua promessa … dev’essere una eccezionale. Una perfetta. Forse però dovrei smettere di essere … gelosa del mio migliore amico. Scherzo spesso sul fatto che la donna … giusta … dev’essere almeno simpatica quanto me. Assomigliarmi, insomma. Ken-kun si imbarazza sempre quando scherzo in questo modo. Dovrebbe prendersi meno sul serio-”
Un paio di gocce piovono sulle pagine, e solo allora sollevo il viso dal mio diario adolescenziale.
Hikari ha capito dove voglio arrivare: sul suo viso si rincorrono consapevolezza e tristezza per il dolore che vede riflesso nelle lacrime che mi scorrono sul viso.
“Pagine e pagine … di Ken-kun. E’ sempre stato lui”, singhiozzo, senza fiato, senza capire più nulla. “Anche in presenza di altri, è sempre stato lui. L’ho amato sempre. Lo amo ancora. E ora ho rovinato tutto.”
Hikari mi abbraccia, senza sapere la fine della storia, senza che gliene importi poi granché. E il fiume arginato dentro di me straripa. Mi accascio tra le sue braccia, singhiozzando senza ritegno, senza pensare ad altro che alla mia codardia che mi ha messo i paraocchi per anni, e agli occhi dolenti di Ken.
Il quaderno cade sul pavimento senza rumore, aprendosi scompostamente al contrario.
Le pagine si piegano sotto il peso della copertina rigida.









E con questo siamo ufficialmente al penultimo capitolo della storia! Contenti? ... in effetti, dopo un capitolo del genere, sarei sorpresa se lo foste, ahem. Ma chi mi conosce sa che di solito amo il dramma che porta al lieto fine... Per cui, non disperate ^^"
A martedì prossimo con l'ultimo aggiornamento!
Padme Undomiel



   
 
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