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Autore: startariot    13/01/2015    3 recensioni
Detention Camp.
Guantanamo, Camp X Ray.
471 è il suo nuovo nome, da circa sette anni e mezzo.
Genere: Guerra, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Harry Styles, Louis Tomlinson
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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*entro in punta di piedi sperando che nessuno si accorga che sono tornata, o sperando che mi perdoniate per l’assenza.*

Salve a tutti! 

E’ più di un mese che non posto e beh, forse questa storia non è la più adatta per tornare. Uhm, spero non mi odierete troppo. 

Ci tengo a precisare che la storia è nata dalla visione del film ‘Camp X Ray’ con Kristen Stewart (che ho trovato fantastica in quel ruolo!). E’ un film drammatico, molto molto particolare e forte direi. Se non lo avete mai visto, e la storia vi incuriosisce un minimo….vi consiglio di guardarlo! 

 

N.B. Il rating arancione della storia è dato dalle tematiche trattate nella storia, visto che ci troviamo nella Prigione di Guantanamo.

 

Non vi trattengo oltre e Buona lettura

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

“So pretty, so smart

Such a waste of a young heart

What a pity, what a sham

What's the matter with you man?”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Detention Camp.

Guantanamo, Camp X Ray.

 

 

 

471 è il suo nuovo nome, da circa sette anni e mezzo.

 

 

 

Fa caldo nella cella del detenuto 471 nel campo di detenzione di Guantanamo. E caldo, è tutto quello Louis riesce a sentire; quello secco, e appiccicoso allo stesso tempo, quello che ti toglie il respiro e ti attacca i vestiti alla pelle. 

 

E’ senz’aria, isolato da tutto e da tutti, ma riesce a percepirlo il calore dell’esterno. Immagina i raggi del sole toccare la superficie dell’edificio, oltrepassare la muratura e sente il loro calore sulla sua pelle. Riesce quasi a percepire piccole gocce di sudore addosso. Poi ci ripensa, e da la colpa di quelle sue allucinazioni alla mancanza di sonno. 

 

E’ una settimana che indossa quella tutta arancione, una settimana che non gli permettono di farsi una doccia perché, ogni due ore, lo spostano da una cella all’altra. Una settimana che non dorme.

E’ una sorta di ‘punizione’, così la chiamano loro. Sette giorni che non chiude occhio a causa di quegli spostamenti e, quasi, non la sente più la stanchezza quando lo portano di nuovo nella sua cella, la 105. Si stende sul materasso sottile e scomodo, che gli è ormai diventato familiare, e chiude gli occhi, cadendo immediatamente in un sonno profondo, avvolto nella sua seconda pelle di cotone arancione. 

 

 

****

 

 

Harry Styles è sempre stato un ragazzo particolare. Ha avuto un’infanzia relativamente felice, una mamma affettuosa, una sorella amorevole ma rompiscatole e un papà un po’ assente. Forse, il troppo contatto con le donne di casa, gli ha fatto sviluppare determinate passioni. Gemma, sua sorella maggiore, si divertiva spesso a giocare con lui con la casa delle bambole; sua madre, Anne, fin da quando era piccolo lo teneva sempre accanto a lei mentre cucinava loro pranzi e cene. Des, fin troppo maschilista, quasi non concepiva il modo in cui sua moglie e sua figlia si rapportavano con lui, ma era troppo impegnato nel suo lavoro per fare il vero padre. Per questo, forse, Harry decide, giunto all’età di diciotto anni, di ritrovare se stesso, o di fuggire. Di fuggire da quel che suo padre voleva che fosse, o da quel che forse era già diventato.

 

Per questo, decide di arruolarsi come soldato e di volare alla prigione di Guantanamo appena terminata la scuola superiore. 

 

 

 

 

Detenuti, non prigionieri’, dice la voce bassa e seria del capitano Winston davanti a lui. ‘Non sono ammessi errori su questo. Questa è una zona di guerra, alcuni di questi uomini sono rinchiusi qui da otto anni. Li chiamerai detenuti, non prigionieri.’, aggiunge, con tono solenne. 

 

‘Detenuti, non prigionieri’, è la prima regola che Harry impara arrivato alla prigione.  

 

 

 

****

 

 

 

 

 

 

 

 

Primo mese

 

 

 

Ha i capelli raccolti in una specie di chignon; un po’ gli dispiace, ‘reprimere i suoi ricci’, come dice sempre sua madre ma quelle sono le regole del campo. Cammina lento, trascinando un carrello pieno di libri diretto al corridoio delle celle d’isolamento. ‘Distribuirai i libri ai detenuti dalla 101 alla 109, e farai da guardia notturna insieme al soldato Austin’, gli aveva detto il capitano la sera del suo arrivo. E’ ancora stupito del fatto che concedano delle letture piacevoli ai detenuti, ma continua a far scorrere il carrello lento lungo il pavimento impolverato del corridoio. 

 

E’ la prima volta che svolge la sua mansione da quando è arrivato, per questo si volta spaventato quando la serratura in ferro del corridoio scatta improvvisamente. Di fronte a lui, il soldato Payne, trattiene una smorfia quando si accorge della sua reazione ma Harry cerca di far finta di nulla e oltrepassa il cancello trovandosi davanti un piccolo corridoio con nove porte rosse in ferro. 

 

Sorpassa le prime due celle ottenendo scarsi risultati: un lamento dal primo e un’imprecazione in non sa quale lingua dal detenuto della 103. 

Pensa di dover urlare ancora per ottenere una risposta dal detenuto della cella successiva, la 105 e invece si imbatte in un paio di occhi azzurri che lo fissano attento, come se lo stessero aspettando. 

 

«Vuoi un libro?», dice Harry serio mentre collega la cassetta di ferro alla piccola apertura che ha appena sbloccato nella porta. Il detenuto di fronte a lui resta in silenzio a fissarlo per qualche minuto così «Allora?», insiste Harry, spazientito. 

 

«Hai l’ultimo di Harry Potter?», chiede poi riscuotendosi. Ha una voce sottile, e il soldato fa quasi fatica ad udirla. «Cosa?», chiede infatti. 

 

L’uomo di fronte a lui si schiarisce la voce, lancia uno sguardo sul carrello da dietro le sbarre e «L’ultimo libro di Harry Potter, non lo conosci soldato?», dice il detenuto con tono impertinente e una smorfia sul viso. Harry è preso alla sprovvista dal suo tono canzonatorio, resta per un attimo in silenzio quando «Abbiamo solo questi libri», sbotta in risposta indicandogli la pila di libri. 

 

«Alza quel libro, quello grande in basso», dice l’uomo rivolgendo lo sguardo al carrello. Harry cerca di seguire le sue indicazioni, tentando di essere il più paziente possibile mentre il detenuto gli indica punti imprecisi del carrello. Alla fine gli fa prendere un libro grande, e scuro. «E’ questo?», chiede Harry sbuffando. 

 

«No, questo è il sesto.», ed Harry sta per chiedergli perché gli ha fatto prendere quel libro se non ne era davvero interessato quando «Sai da quanti anni sto aspettando questo libro?», sbotta il detenuto, con tono annoiato. «Ho odiato il sesto, sai perché? Ho letto questa storia con la convinzione che Piton fosse il cattivo e nel sesto libro scopro che è un buono. Capisci che io devo sapere?», esclama esasperato. «Sono due anni che i soldati prima di te continuano a dirmi che avete questo dannato libro ma nessuno lo porta mai in quel maledetto carrello.», conclude poi l’uomo alzando il tono di voce. 

 

«Ehi! Calmati.», sbotta, cercando di mantenere il tono di voce basso ma sicuro e fermo allo stesso tempo. 

 

«Come ti chiami, Curly?», chiede cambiando discorso. 

 

«Non sono informazioni che ti riguardano.», soffia duro Harry guardandolo negli occhi. Ha delle profonde occhiaie che gli circondano gli occhi, e fissandolo meglio Harry pensa che deve essere ancora piuttosto giovane. 

 

«Continuerò a chiamarti Curly», sostiene infine il detenuto. Il soldato si guarda un attimo intorno, istintivamente, per controllare che nessuno stesse guardando quello scambio di battute per poi tornare a guardare l’uomo dietro le sbarre. «Non devi chiamarmi affatto, io e te siamo in guerra e non abbiamo nulla da dirci.», conclude infine con tono duro.

 

«Io non la vedo così.»

 

«Il tempo è scaduto, hai scelto il tuo libro?», interviene il soldato Payne, con tono severo. E’ alto quanto Harry, ma decisamente più muscoloso, il volto stanco dalle numerose ore di lavoro ed è uno dei veterani in quella prigione, Payne. 

 

Il detenuto lo fissa per un attimo, come se stesse cercando qualche battuta sagace con la quale ribattere; poi sembra ripensarci e «quello», sussurra, indicando un libro sottile dalla copertina rossa. Harry lo pesca, in mezzo agli altri, lo infila velocemente nella cassetta metallica che poi richiude, per continuare il suo giro senza voltarsi a guardare il detenuto della 105 ulteriormente. 

 

«Quindi non conosci la saga di Harry Potter, Curly?», «Che libri leggi, soldato?», «Da quanto lavori qui?», sono solo alcune delle domande che quel detenuto continua a porgli ad alta voce, senza ottenere alcuna risposta. Sono passati venti minuti dal loro scambio di battute, e lui sta terminando il giro tra le celle rimaste mentre l’uomo continua a parlare ad alta voce, da solo. Viene quasi da ridere, ad Harry, sentendo le domande strane dell’uomo mentre nella sua testa ormai riecheggia solo il rumore metallico delle cassette che deve collegare alle porte rosse, e lo stridere delle ruote del carrello sul pavimento sporco e impolverato. Porta a termine il suo compito in silenzio, continuando a chiedersi perché permettano al detenuto 471 di creare tutto quel trambusto. 

 

 

 

 Deve ammetterlo, i detenuti, di notte, sono molto più tranquilli. Niente imprecazioni in strane lingue, niente borbottii; ha il turno di guardia nello stesso corridoio del turno precedente e si sente quasi infastidito, perché non vorrebbe rivedere quell’uomo, il detenuto 471. Cammina lento, lanciando un’occhiata all’interno di ogni cella che si trova a superare, e come immaginava, la smorfia beffarda dietro le sbarre della cella 105 è lì ad aspettarlo. «Curly», dice l’uomo semplicemente, aspettando una sua risposta, ma Harry continua a camminare ignorandolo completamente. 

 

In un paio di minuti ha finito il giro e si trova a passare di nuovo davanti quella stanza e l’uomo è ancora lì, come se non facesse altro che aspettare che gli passi davanti. «Sei nuovo qui», dice soltanto continuando a scrutarlo ed Harry si sente quasi a disagio davanti a lui. Poi pensa che forse, una risposta potrebbe dargliela e la smetterebbe di torturarlo. «Si», risponde cauto, dopo aver gettato un’occhiata nel corridoio, accertandosi che nessuno lo vedesse. 

 

 «Da quanto?», chiede l’uomo. 

 

«E’ il primo mese qui», dice Harry, rispondendogli in maniera naturale ed è quasi sorpreso di se stesso. ‘Puoi parlarci, ma non lasciare che sappiano nulla di te. Non farli entrare nella tua testa.’, gli aveva detto il capitano Winston quella mattina, prima di iniziare il suo turno.

 

«Qual è il tuo nome?», chiede poi e no, questo non può concederglielo. «Non posso», risponde serio. 

 

«Beh, il mio è Louis», inizia a dire con un accento che sembra quasi francese. In quel momento, Harry si concede un momento per guardarlo meglio; ha i capelli castani, piuttosto lunghi accompagnati da una barba che gli copre quasi completamente il viso. Riesce ad intravedere un naso piccolo, dritto e delicato. Ma più di tutti, sono i suoi occhi a spiccare. Azzurri, brillanti, vivi. Così belli che riescono ad oscurare le occhiaie e le piccole rughe ai lati del suo viso. «Continuo a non capire perché non dobbiate risponderci comunque», aggiunge serio l’uomo.

 

Harry abbassa lo sguardo verso il pavimento, e sorpassa la sua cella in silenzio

 

 

 

 

 

«Come va tesoro?», chiede la voce dolce e rassicurante di sua madre, Anne, dall’altro lato dello schermo.  

 

«Beh, era il primo giorno mamma», dice Harry ammiccando una smorfia che non passa inosservata alla donna. «Pesante, ma mi abituerò con il passare del tempo»

 

«Come vanno le cose a casa?», chiede poi cercando di cambiare discorso.

 

«Come al solito, tuo padre lavora dalla mattina alla sera, e tua sorella Gemma sembra essere davvero entusiasta del suo nuovo lavoro.», dice sua madre con tono di voce tranquilla; sembra studiarlo per un attimo attraverso lo schermo quando «Sai che puoi tornare a casa se non ce la fai vero? Noi siamo sempre qui.»

 

«E’ stata una mia scelta, mamma. Ce la farò.» risponde serio Harry. Ed è con quel pensiero che si addormenta quella sera, riscaldato da una coperta sottile di cotone e circondato dai pochi affetti personali che aveva portato con se per rendere quella piccola stanza che gli avevano assegnato un po’ sua.

 

 

 

 

 

 

 

Secondo mese

 

 

Ci aveva impiegato un mese intero, Harry, per abituarsi agli orari dei suoi turni. Due interventi d’urgenza gli erano costati un taglio sul labbro inferiore e un paio di lividi, ma tutto sommato non riusciva a lamentarsi. 

 

«Allora, come ti trovi Styles?», dice la voce squillante del soldato Payne, seduto accanto a lui sulle sedie di plastica di fronte al piccolo falò che avevano acceso da circa due ore. 

 

«Uhm, bene..bene», per quanto l’aggettivo si addica alla situazione, si ritrova a pensare tra sé e sé. 

 

«Mi fa piacere, sei un ottimo soldato con cui lavorare», ribatte Payne, ed Harry sorride appena bevendo un sorso di birra dal suo bicchiere. «Posso chiederti una cosa?»

 

«Uh..si, certo», risponde Harry tranquillo

 

«Non sembri - uhm-  uno che frequenta ambienti del genere. Come ci sei finito qui, Styles?»

 

«Avevo bisogno di stare solo, capire uhm- un po’ di cose.», risponde sincero, accennando una piccola smorfia e Liam annuisce, non facendogli altre domande. 

 

 

 

 

Quasi un’ora dopo, è riverso sulla tazza del gabinetto della piccola caserma che abitavano, lui e gli altri soldati. Sapeva di aver bevuto troppo, eppure aveva continuato a farlo per distrarsi, allontanarsi dalla realtà buia e grigia di quella prigione. 

 

Quando è sicuro di riuscire ad alzarsi e camminare correttamente, si avvicina al piccolo lavandino portandosi le mani bagnate sul volto. Si asciuga lentamente il volto cercando di riprendere fiato lentamente ed è pronto a tornare alla festa, quando la porta del bagno di apre di scatto, rivelando la figura alta e imponente del Capitano Winston. 

 

«Oh! Styles, scusami non credevo che-»

 

«Non si preoccupi, Signore!», ribatte Harry immediatamente. 

 

«Che ci fai qui?», chiede l’uomo entrando in quel piccolo spazio e chiudendo la porta dietro di sé. 

 

«Non sono stato uhm - bene, ecco.», conclude Harry mentre la figura di Winston si avvicina a lui, lenta. E’ un bell’uomo, Winston. Se non fosse così pieno di sé, si ritrova a pensare. Non è la prima volta che è attratto da uomini, perfino più grandi di lui, eppure sa che c’è qualcosa di sbagliato in quello che sta accadendo. Ma non fa in tempo a respingerlo perché le mani forti di Winston lo tengono fermo contro il lavandino e le sue labbra sono sulle sue; il respiro forte e alcolico dell’uomo lo colpisce in pieno viso, arrivandogli dritto allo stomaco. 

 

«Io non-», cerca di dire Harry quando la pressione sulle sue labbra diminuisce ma il Capitano è bravo a tenerlo fermo contro il suo corpo per non farlo scappare. Winston continua a lasciargli baci lascivi sulla mandibola e sul collo ed Harry non riesce a trovarci nulla di piacevole in quel che sta succedendo tra loro. 

 

Dopo qualche minuto riesce a far forza sulle sue braccia e respingere Winston che finisce malamente contro la parete. «Sei un debole Styles», è quello che si sente urlare contro dall’uomo, completamente ubriaco,   mentre apre velocemente la porta e fugge da quella stanza. 

 

«Ehi, Styles tutto bene?», chiede Payne quando lo incrocia nel corridoio mentre fugge dalla caserma ma Harry è troppo impegnato a correre per rispondergli. L’unica cosa che vuole è prendere aria, e stare da solo. 

 

 

 

 

sei, sette, otto e….

 

«Manca un vassoio», dice Harry dando vita ai suoi pensieri indicando il tavolo delle provviste. 

 

«No, sono otto oggi. Manca quello della 105», risponde il soldato Austin sistemando i vassoi su un carrello. 

 

«Perché? Non c’è il detenuto 471?», chiede Harry incuriosito dalla risposta ottenuta. 

 

«No. E’ ‘in movimento’», dice il soldato avviandosi verso l’uscita. 

 

«In movimento?»

 

«Si. Il detenuto viene spostato di cella in cella ogni due ore per tutto il giorno.»

 

«Tutto il giorno? Anche di notte?», chiede Harry sbalordito aspettando il cenno d’assenso di Austin. 

 

«Ma perché?»

 

«Perché fanno qualcosa che non avrebbero dovuto fare.», risponde secco Austin. 

 

«Ma è disumano», sussurra Harry senza ottenere risposta dal soldato che supera la porta della stanza, portando con sé il carrello dei pasti. 

 

 

 

 

La mattina dopo, il detenuto 471 è seduto sul pavimento della sua cella con un fazzoletto in mano. Harry passa accanto alla porta della 105 lanciando un breve sguardo al suo interno e quando fa per superarla, la voce di Louis lo ferma. «Curly», dice ed Harry alza gli occhi al cielo, è come se non riuscisse a passargli inosservato; come se aspetti di vederlo ogni volta per fargli qualche strana domanda e a volte, si domanda se si comporti così soltanto con lui. Sono nuovo, sarà per questo, è la risposta che si da ogni volta. «Conosci il Sudoku?», chiede l’uomo alzando il fazzoletto che aveva tra le mani. Harry annuisce leggermente, fissando lo strano disegno raffigurato su quel pezzo di carta. 

 

«Tieni, prendilo», dice poi l’uomo avvicinando il fazzoletto alla porta della cella, ma Harry si limita a scuotere la testa «non posso»

 

«Non puoi? Cos’è le tue regole ti vietano di prendere un fazzoletto?», inizia a dire Louis ad alta voce. «Oh, è vero. Questo potrebbe essere qualche strano messaggio in codice giusto? Non può uscire da questa cella e allora -», Louis si interrompe un attimo per avvicinarsi alla tavoletta del gabinetto e lanciarvi dentro quel pezzo di carta, distruggendolo completamente. 

 

«No, che cazzo», si ritrova Harry a sussurrare tra sé e sé, maledicendosi quasi per il tono che aveva usato con quell’uomo. 

 

«Meglio, così?» , chiede Louis sarcastico, tornando silenzioso subito dopo.

 

«Dev’essere stato difficile», dice Harry in un soffio, come se volesse in qualche modo scusarsi. «insomma…comporre la giusta combinazione», aggiunge poi. 

 

«Si…ma tutto sta nell’entrare nel meccanismo.», risponde Louis con una leggera smorfia in volto. 

 

 

 

 

Louis sta giocando con una palla da calcio in una piccola gabbia metallica, nel cortile della prigione, sotto lo sguardo vigile di Harry, che lo osserva attento senza lasciarsi sfuggire nessun suo movimento.

 

«Hai mai giocato a calcio, Curly?», chiede la voce squillante del detenuto quando la palla cade per l’ennesimo tentativo di palleggi fallito. Harry si limita a scuotere la testa in risposta. «Immaginavo, non hai il fisico adatto in effetti», aggiunge poi con una smorfia sul viso. «Da dove vengo io, non giocano mai a calcio, eppure ho sempre avuto una strana passione per questo sport. Conosci Brema?», chiede poi. Harry scuote la testa per la seconda volta. «E’ in Germania, dovrei chiamarla Bremen, ma non mi piace. Ho sempre odiato la mia lingua. Sempre stato un ribelle», aggiunge in fine sorridendo e causando una piccola smorfia sul viso di Harry. 

 

«Stai sorridendo Curly.», afferma sicuro e soddisfatto Louis, «faccio quaranta palleggi ora Curly, stai a vedere», dice poi tornando a concentrarsi sul pallone. Dopo poco pero, è di nuovo sul pavimento ed Harry non riesce a contenere la piccola risata, che nona fugge nemmeno a Louis. «Erano quaranta?»

 

«Io direi più quattro», è la frase che ottiene in risposta.

 

«Ti ho fatto ridere», afferma poi Louis, con tono gentile. 

 

 

 

 

«Styles!», urla la voce del capitano Winston che dall’altro lato del cortile li osservava. Harry lancia un’ultima occhiata a Louis, prima di avvicinarsi a Winston. 

 

«Si Capitano?»

 

«Avete un rapporto amichevole voi due», inizia a dire Winston, con tono accusatorio. «Di cosa parlavi con il detenuto 471?», chiede serio e severo. 

 

«Di..uh, di niente.»

 

«Se era niente, allora non avete bisogno di parlare giusto?», chiede retorico il capitano, lasciando il soldato in silenzio. «Ho bisogno di te alle docce oggi. I tuoi compagni sono indisponibili.»

 

«Ma è contro il regolamento, io sono appena arrivato qui il regolamento non prevede che-»

 

«I tuoi compagni sono infermeria per un incidente avvenuto questa mattina. Vuoi che faccia spostare qualcuno da un altro reparto per coprire un compito che tu hai problemi a svolgere?», chiede il capitano. 

 

«No Signore.», afferma Harry, rassegnato. «Curly, ne ho fatti venti!», sente urlare poi dalla voce di Louis in fondo al cortile, e accenna un sorriso.

 

 

Un’ora dopo, si trova affianco al capitano Winston, nello spazio adibito alle docce dei detenuti. Ha già assistito più di quindici detenuti e Louis è il prossimo in elenco. 

 

«Spogliati 471», tuona la voce del Capitano, echeggiando nell’intero spazio in cui si trovano. Louis esegue l’ordine, lentamente liberandosi della parte superiore della sua tuta arancione e rivelando la sua pelle candida e scarna, segnata da infiniti graffi e ferite. La sua schiena è completamente coperta da segni rossi profondi e cicatrici che, probabilmente, non lasceranno mai il suo corpo. «Completamente, non abbiamo tutta la giornata.», aggiunge Winston. Quando è completamente nudo davanti ai loro occhi, Harry trattiene per un attimo il respiro guardando quel corpo così fragile eppure così forte. Improvvisamente, quella visione diventa troppo per lui da sopportare così, abbassa lo sguardo verso il pavimento impolverato di quello spazio, ora troppo stretto e sporco per lui.

 

«Sei qui per fare da guardia o per perdere tempo, Styles?», chiede Winston, avvicinandosi a lui. Harry non risponde, si limita a guardare di sottecchi la figura di Louis, trovando i suoi occhi. «Alza la testa, soldato», aggiunge poi ed Harry è nessuno, e non può disobbedire all’ordine del suo Capitano. 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Terzo mese

 

 

E’ all’inizio del suo terzo mese a Guantanamo che Harry scopre che nessuno dei suoi compagni era stato in infermeria quando Winston gli aveva chiesto di sostituirli alle docce e decide di inviare una lettera. Ed è a metà di questo che riceve una convocazione dal supervisore del suo reparto, il Generale Geldof.

 

«Allora, Styles come ti trovi qui, a Guantanamo?», chiede il Generale facendolo sedere sulla poltrona del suo studio. 

 

«Non è così ‘in bianco e nero’ come mi avevano detto sarebbe stata.», ammette Harry.

 

«Mi hai scritto lamentandoti del comportamento del tuo capitano giusto?», Harry annuisce alla domanda, diventando improvvisamente serio. «Cosa ha fatto in particolare?»

 

«Ha mentito, e ha violato il regolamento; le regole non prevedono che un novellino a Guantanamo faccia da assistente alle docce, tranne in casi eccezionali.», afferma Harry, sicuro di sé. 

 

«Conosco il regolamento Styles. Sai, ho parlato con il Capitano Winston», inizia a dire l’uomo rigirando tra le mani una matita «Mi ha detto che tu hai stretto un rapporto amichevole con uno dei detenuti.»

 

«Io..uhm..noi…non è», inizia a dire Harry cercando giustificazioni che non trova. «Lui ha mentito, Generale..lui..-»

 

«Vedi Styles, siete nel torto entrambi. Dovrei punire entrambi per fare giustizia davvero.», in quel momento, Harry realizza che lui è nessuno, Winston è un suo superiore e che la giustizia non esiste. Non importa quanto male un Capitano possa comportarsi perché rimarrà sempre un gradino sopra gli altri. 

 

 

 

 

 

 

Si affaccia nella 105 quasi certo di trovarsi davanti il volto di Louis ma per la prima volta da quando è lì, non succede. Quello che ha davanti non è il Louis che ha conosciuto fino a quel momento; ha davanti l’ombra di quell’uomo; un’ombra che minaccia di togliersi la vita con un piccolo coltello appuntito. 

 

«Shh.», sussurra non appena vede Harry voltarsi per chiamare quello che con tutte le probabilità sarà un altro soldato. «Non farlo, Curly.»

 

«Che stai facendo, Louis», sussurra Harry e l’uomo sorride perché per la prima volta il soldato lo sta chiamando per nome. «Non ha senso quello che stai facendo. Non ha senso toglierti la vita, non-»

 

«Togliermi la vita? Io non ho una vita da vivere, Curly. Questa è la vostra vita, voi mi state facendo vivere questa vita, è tutto nelle vostre mani.», sussurra Louis, mantenendo il coltello puntato dritto alla gola. «Voi decidete quando devo mangiare, quando dormire e se devo farlo, quando lavarmi. Questa non è la mia vita, perché dovrei continuare a viverla?», è rassegnato il tono con cui Louis sussurra quelle parole, ma Harry riesce a leggere nei suoi occhi, ormai lucidi, la disperazione del suo animo. «Sai, non mi aspetto che tu capisca questo, Curly. Mi piaci,  davvero - ma non potrai mai capire questo.», sussurra poi alzando lo sguardo verso di lui. 

 

«Non puoi farlo, Louis.», sussurra Harry cercando di perdere tempo. Cercando l’appiglio per salvare quella vita, e forse, per salvare anche se stesso. «Non vuoi sapere come finirà la storia di Harry Potter?», chiede poi cercando gli occhi dell’uomo. 

 

«Ho sempre detto di non essere pazzo ma forse lo sono ormai. Sai,  lo aspetto da così tanto tempo ormai, e a volte penso che mi stia facendo impazzire…un po’, no? Il non sapere come queste cose andranno a finire.», ed Harry non è completamente certo che Louis stia parlando del romanzo. Resta in silenzio per qualche minuto, guardando la piccola mano di Louis chiusa intorno al coltello che minaccia di bucargli la pelle da un minuto all’altro quando «E’ Harry. Continui a chiamarmi Curly ma il mio nome è Harry Styles. E mi piaci anche tu, davvero Louis.», dice guardandosi intorno e assicurandosi che nessuno l’abbia sentito. 

 

Aspetta una qualche reazione nell’uomo che non sembra arrivare e «Cazzo, cazzo», esclama quando Louis non sembra voler abbandonare le sue intenzioni. 

 

Appoggia la testa al ferro rosso della porta della sua cella e «C’è uno zoo a Brema?», chiede poi alzando di nuovo lo sguardo verso di lui.

 

«Che?», chiede Louis ad occhi chiusi, con il coltello ancora puntato alla gola. 

 

«Quando ero piccolo, sono andato allo zoo con mio padre. Era piccolo, uno di quelli in cui tengono gli animali in piccole gabbie, sembrano quasi…scatole, non so», inizia a dire poggiando le mani alla porta. «Ero così emozionato all’idea di andarci, vedere qualcosa al di fuori della mia città, essere così vicini a  qualcosa di così selvaggio. Ma non è stato bello. C’era questo leone e…e mio padre continuava a dirmi che non sarebbe mai tornato a casa, perché non sarebbe sopravvissuto nel deserto dopo essere stato rinchiuso così a lungo»

 

«Stai cercando di dirmi che queste persone non avevano colpe..Che non avevano scelta?», chiede Louis in sussurro, con lo sguardo rivolto al pavimento. 

 

«No..no….io pensavo avessero una scelta. Ne avevano una…potevano affidarla a lui, avrebbero dovuto lasciare che il leone scegliesse», dice Harry in un sussurro. Louis resta impassibile alle sue parole, il coltello puntato alla gola ed Harry rilascia un sussurro prima di girarsi e continuare a camminare lungo il corridoio per non destare sospetti. 

 

Lentamente, percorre l’intero corridoio. Ogni passo che lo porta di nuovo vicino la cella 105 sembra farsi sempre più pesante, e il suo respiro con esso. Quando i suoi occhi incrociano di nuovo la figura del detenuto, Louis ha ancora in mano il coltello, questa volta sul pavimento e con il braccio libero cerca di asciugarsi le lacrime come meglio può. Harry sospira pesantemente, prima di aprire il piccolo riquadro della porta della sua cella e introdurre parte del suo braccio per permettere a Louis di cedergli il coltello. L’uomo sembra ripensarci per un attimo, ma alla fine alza lo sguardo su Harry e si avvicina a lui lasciandogli l’arma tra le mani. Quando l’uomo sembra allontanarsi, Harry aumenta la presa sulla sua mano, stringendola nella sua e sorridendogli. 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Quarto Mese

 

 

Mentre Harry è su un aereo che lo riporterà a casa dalla sua famiglia, a Miami, con la consapevolezza di aver ritrovato se stesso a Guantanamo e un Sudoku, inciso su un fazzoletto, tra le mani; Louis è nella sua cella, che attende il passaggio del carrello dei libri. 

 

Si aspettava ci fosse Harry, a consegnargli il suo libro, ma davanti a lui c’è un nuovo soldato, forse ancora più giovane di Harry, si trova a pensare Louis. 

 

«Sei nuovo», sussurra Louis squadrando il nuovo arrivato. 

 

«Ti serve un libro?», chiede il soldato impassibile. Louis scorre il carrello con lo sguardo e per qualche secondo gli si ferma il respiro. 

 

«Cos’è quello?», chiede indicando un enorme libro dalla copertina gialla. 

 

«Questo?», risponde il giovane, indicando il libro sbagliato. Dopo qualche minuto, Louis riesce a dargli le indicazioni giuste e il ragazzo gli passa il libro che stava cercando. 

 

Harry Potter e i doni della morte, legge sulla copertina e subito l’apre trovando qualche frase incisa ad inchiostro al suo interno. 

 

 

A Louis, 

Non so se Piton fosse uno dei buoni.

ma so che tu lo sei. 

 

Con amore, Harry.

 

 

 

 

 

 

 

 

“I hear you're living out of state

Running in a whole new scene

You know I haven't slept in weeks

You're the only thing I see”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Non so davvero come iniziare le note finali. 

Inizio con il dire che, ebbene si, il famoso blocco era arrivato anche per me. Ci sono stati giorni in cui scrivevo poche frasi e tutto mi faceva terribilmente schifo. Nonostante questo continuavo a plottare storia e la mia lista ha continuato ad allungarsi inesorabilmente. Poi ho visto questo film, e la mia ispirazione è tornata a galla quindi, dopo due giorni di intensa scrittura, eccomi qui! 

So che è una storia particolare ma spero davvero tanto che vi sia piaciuta perché ci tengo parecchio. D’altronde se il film mi ha colpita così tanto da arrivare a scrivere una storia…un motivo c’è giusto? :) 

 

Ci tengo a specificare che alcune scene sono simili a quelle del film e che parte dei dialoghi (quello del tentato suicidio di Louis su tutti), sono presenti anche nel film. Ho deciso di lasciarli identici a quelli del film semplicemente perché mi hanno colpito davvero tanto e perché mentre guardavo il film, immaginavo Harry e Louis dire molte di quelle battute; quindi cambiare i dialoghi avrebbe azzerato il senso di tutto. Spero capiate la mia scelta. 

 

La canzone che trovate ad inizio e fine storia è Satellite Heart di Anya Marina. 

Per scrivere questa storia, ho usato una mini-playlist che mi piacerebbe condividere con voi:

  1.  Fast Car - Tracy Chapman
  2.  How to save a life - The Fray
  3.  From Eden - Hozier
  4.  Recovery - James Arthur
  5.  Elastic Heart - Sia
  6. Fix You - Coldplay
  7. Beautifully Unfinished - Ella Henderson

 

Ci tento tantissimo a ringraziare Agnese per il banner, so che ti ho messa in difficoltà per questo lavoro e che ti ho tolto un po’ di tempo per lavorarci….ma, personalmente, lo adoro. :) 

 

Ringrazio Anna e Federica che mi hanno spinta a postare questa storia, perché non avrei avuto il coraggio di postarla probabilmente. 

 

Ringrazio voi, se avete aspettato che tornassi con una nuova storia e spero davvero che vi sia piaciuta. Ringrazio chi mi ha scritto su Ask o Twitter, e ha aspettato con pazienza che postassi di nuovo. 

Mi farebbe un sacco piacere sapere cosa pensate di questa storia, con una piccola recensione o con un semplice messaggio ovunque voi vogliate. 

 

Come sempre mi trovate qui, su twitter o su ask. :) 

 

Alla prossima, C

   
 
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