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Autore: Obsessed    13/01/2015    1 recensioni
E senti quella canzone, su quella strada, insieme alle persone a cui vuoi più bene al mondo, e in questo momento, te lo giuro, noi siamo infinito!
Raccolta di Daddies!Thadastian.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Jeff Sterling, Nick Duval, Sebastian Smythe, Thad Harwood | Coppie: Nick/Jeff, Sebastian/Thad
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Trent si strofinò nervosamente le mani. Aveva freddo, eppure era sicuro che in quel ristorante facesse veramente tanto caldo.

-Smettila di essere così nervoso.-

Alzò gli occhi su Thad come se si fosse dimenticato della sua presenza. -Non volevo vi mettesse in mezzo-

-Gli amici servono a questo-

Trent si guardò intorno e poi tornò a guardare la porta. Erano giorni che lui e Hunter si ignoravano. 
E abitavano nella stessa casa.
Gli si mozzò il fiato in gola quando lo vide entrare accompagnato da Sebastian.
Nello stesso momento, gli occhi gli si riempirono di lacrime.

Gli mancava in modi che non si potevano nemmeno immaginare. Trent non era mai stato bravo  ad essere arrabbiato con le persone. In realtà, non era mai stato bravo ad arrabbiarsi in generale. Era Hunter quello che di solito li deliziava con exploit da drama queen.

Sobbalzò quando gli si sedette vicino senza degnarlo nemmeno di uno sguardo. Salutò Sebastian con un sorriso mentre nel suo stomaco qualcosa si contorceva e quel sorriso si trasformò in una richiesta d’aiuto appena accennata.

 

 

-Mi sono permesso di ordinare per tutti. Qui fanno un’ottima carne al Barolo.-

 

Gli altri annuirono come se le parole di Thad fossero state solo una semplice brezza passeggera. Trent poté vedere Sebastian che alzava gli occhi al cielo scambiando uno sguardo complice con il marito. Si voltò in direzione di Hunter per sorridergli ma si bloccò bruscamente, giusto, loro stavano giocando a fare i bambini.

 

 

Quando i loro piatti vennero serviti l’unico rumore udibile fu lo scontrarsi delle posate con la ceramica del piatto. Trent  assaggiò un piccolo pezzo di carne ed una volta ingoiato il senso di nausea non fece altro che aumentare. Lasciò le posate ai lati del piatti, non riuscendo a mangiare altro.

 

-Trent, stai bene?- lo sguardo preoccupato di Thad si poggiò su di lui, scansionandolo rapidamente.

L’uomo non alzò lo sguardo dal suo piatto. –Non ho molta fame, scusa Thad-

Un frastuono un po’ più forte fece spostare lo sguardo dei commensali su Hunter.

 

-Mangia-

 

Trent continuò a rimanere immobile, quasi come se non lo avesse sentito.

 

-Mangia, Nixon-

 

Le spalle di Trent tremarono un po’. –Non sono un bambino, Hunter-

 

-Se ti affami, un bambino non lo avremo lo stesso-

 

Trent trattenne il fiato. Continuava a non voltarsi verso di lui, non voleva vedergli stampato in volto quello stupidissimo ghigno.

 

-Sei un mostro- sibilò Trent

 

-Hunter. Siamo in un luogo pubblico. Non vorrei dover pulire il vostro sangue. – li richiamò Sebastian.

Trent arrossì. Farsi richiamare da Sebastian era davvero il colmo.

Sarebbe stato sempre peggio. Forse Cameron aveva ragione quando diceva che avrebbe dovuto lasciargli Hunter. Non avrebbero avuto problemi loro due. Trent voleva un figlio. Questo era sempre stato chiaro a tutti come il sole. Da quando era nato Colin, Trent era arrivato addirittura a sognarsi nel ruolo di padre. Era sempre stato molto affettuoso e dopo Hunter avere un figlio sarebbe stata la coronazione del loro sogno d’amore.

Peccato che quel sogno fosse solo suo.

Lui e Hunter non ne avevano mai parlato veramente fino a pochi giorni fa quando Trent aveva riportato a galla  l’argomento, bruscamente troncato dal no secco di Hunter. Da quel giorno qualcosa tra loro due si era spezzato. Trent non riusciva più a sopportare che lui lo toccasse, avevano smesso di fare sesso ed Hunter aveva iniziato a tornare tardissimo da lavoro. Per un periodo di tempo, Trent aveva addirittura creduto che lo stesse tradendo. Avevano smesso di parlare, se non per degli educati buongiorno e buon lavoro. Avevano smesso di ricordarsi degli anniversari e dei compleanni troppo presi chi dal proprio dolore chi dal proprio orgoglio.

 

-Credo che abbiate bisogno di risolvere i vostri screzi-

 

-Credo che se avessi voluto un terapista, mi sarei rivolto ad un esperto-

 

-Perché non vuoi bambino, Hunter? Quelli come noi, vogliono un bambino-

 

-Io non sono te, Sebastian. E santo cielo! Non potete costringere una persona a volere qualcosa che non vuole-

 

Trent si agitò sulla sedia e trattenne un gesto di stizza voltandosi, però, bruscamente verso l’altro. –Tu non ne vuoi nemmeno parlare. Tu non vuoi parlare di niente!  Non hai nemmeno voluto sposarmi. Il problema sono forse io? Non vuoi sposare me? Non vuoi avere un bambino con me? Ti ho sempre accontentato, ho sempre cercato di non farti sentire in gabbia e quando mi hai detto che il matrimonio era un cosa stupida, non ho detto nulla. Per quanto tempo dovrò continuare a mettermi da parte per te?-

 

Hunter strinse gli occhi in due fessure. –Quindi è così che tu vivi la nostra relazione?  Non mi sembra di averti mai messo una catena, Trent. Puoi fare quello che cazzo vuoi. Puoi andartene quando vuoi.-

 

-Non mi lasceresti andare-

 

Hunter ammutolì. Non c’era nulla da controbattere a quello. Era semplicemente vero.  Hunter non l’avrebbe lasciato andare. Mai. Non importava se l’avrebbe reso infelice. Era troppo egoista per lasciarlo andare a qualcun altro. –Ce ne andiamo- borbottò alzandosi di scatto.

 

-Io non vado da nessuna parte- si imputò Trent, ma, una mano strinse saldamente il suo polso. –Tu fai quello che dico io-

Trent rabbrividì. Non voleva andare a casa. Hunter era furioso. Poteva sentire le radiazioni d’ira che si espandevano lungo tutta la sala. A casa sarebbe stato solo peggio. Non voleva sentirlo urlare, lui voleva solo un bambino.  Thad poggiò delicatamente una mano sulla sua. L’altro alzò lo sguardo tirando su col naso. Gli sorrise rassicurante e gli fece segno di seguire il compagno. “È la tua occasione per parlare con lui”, gli sillabò. Trent annuì e prendendo un bel respiro profondo seguì fuori il marito.

 

 

 

Il viaggio in macchina fu silenzioso. Trent provò ad accendere la radio  ma Hunter la spense immediatamente con un grugnito.   

Trent si strinse le braccia al torace sospirando per il disagio. La tensione era palpabile.

Hunter continuava a tenere le mani sul volante, stringendolo fino a farsi sbiancare le nocche, e Trent non riusciva a capire se fosse sua impressione o meno ma gli sembrava che la macchina andasse sempre più veloce.

 

-Vai piano- sussurrò, talmente piano che Hunter faticò a sentirlo.

 

-Sta zitto- sibilò Hunter, diminuendo in ogni caso la velocità.

 

Trent sorrise appena. Forse poteva ancora essere salvato il salvabile.

 

 

Trent fu il primo ad entrare in casa e sobbalzò quando Hunter sbatté violentemente la porta  dietro di lui. Trent chiuse gli occhi cercando di isolare il mondo esterno.  Si sentì voltare ed in pochi secondi la sua schiena sbatté contro il muro. Poteva sentire il fiato di Hunter sul suo volto, le sue mani premevano forte contro i suoi fianchi.

-Guardami-

 

Trent spalancò gli occhi, trattenendo il fiato. –Mi stai facendo male.- mormorò mentre gli occhi gli si riempivano di lacrime.

 

-Smettila di piangere come una stupida ragazzina. Non voglio mai più – mai più, Trent –che i tuoi amici si mettano in mezzo –

 

-Sono anche i tuoi amici- sussurrò

 

Hunter lo lasciò andare e Trent rilasciò un respiro. Il più alto si portò una mano tra i capelli tirandoli leggermente alla base. Si stavano perdendo. Si stavano perdendo per un fottutissimo bambino. Non lo voleva. Era più forte di lui. Non per Trent, non era perché non voleva un figlio con lui.  Non ci riusciva. Non riusciva a desiderarlo. Non voleva i pianti, non voleva i pannolini, non voleva le responsabilità.  Era già stato difficile ammettere di essere innamorato e praticamente dipendente da qualcun altro che non fosse se stesso, non voleva diventare come Sebastian. Amare Trent , per lui era abbastanza.  

 

-Possiamo…parlare?-

 

 

-Parlare di cosa, Trent? Sappiamo tutti e due che nessuno farà cambiare idea a nessuno. Ci conosciamo bene. Stiamo insieme da tanto-

 

Trent si guardò i piedi e si sedette sul divano. Hunter sospirò allentandosi il nodo alla cravatta. –Preparo due tazze di tè-

 

Trent sospirò un leggero grazie. 

Contrariamente a ciò che tutti pensavano, nonostante fosse Trent che amasse cucinare, Hunter era quello che preparava tazze di tè , sia perché il caffè non gli piaceva nemmeno un po’ sia perché Trent aveva l’abitudine di non comprarlo mai. Diceva sempre che non avevano bisogno di altra energia sotto forma di caffeina per andare avanti.

Trent si sedette più composto, cercando di controllare il tremore alle mani. Hunter gli porse la sua tazza di tè ai frutti di bosco con due zollette di zucchero di canna. E sorseggiò il suo, completamente amaro.

 

-Voglio un bambino, Hunter, ma lo voglio con te…altrimenti non ha senso-  sospirò Trent, prendendo un altro sorso del suo tè. In qualunque modo si sarebbe conclusa quella discussione, Trent non se ne sarebbe mai andato. E non perché fosse un masochista senza personalità. Semplicemente perché non poteva vedersi con nessun altro. Immaginare una vita sempre Hunter gli faceva venire meno il  respiro. Non avrebbe avuto nessun senso condividere qualcosa con qualcuno che non fosse Hunter.

Il marito chiuse gli occhi espirando forte.
– Quello non sarei io, Trent. Non è perché sono convinto che non sarò un buon padre, non pensarlo nemmeno. Io non sono Sebastian. È che non sarei io. Amarti per me è abbastanza. Non voglio nessun altro, solo noi-

Hunter sapeva che stava facendo l’egoista ma era semplicemente il suo modo di vedere la situazione. Non c’era niente, nulla al mondo che gli faceva desiderare un bambino. Si alzò poggiando la tazza di tè ormai vuota sul tavolino da caffè e si inginocchiò a piedi di Trent. Quest’ultimo sobbalzò. –Cosa stai facendo?-

 

Hunter gli prese le mani. –Ti amo, Trent. Nonostante sia uno stronzo che ti fa solo soffrire. Va via. Allontanati il più possibile da me. Trova qualcuno che ti renda felice come meriti. –

 

Trent tirò su col naso e scosse la testa. –Io non….-

 

-Non sopravvivresti? Trent, siamo essere umani. E un cuore infranto non ti fa morire, aspetti semplicemente che si cicatrizzi-

 

E in ogni caso, sarei io a morirne.

 

-No. Come puoi anche solo pensare…come puoi? Io non me ne vado, Hunter. Non c’è niente, niente, che tu possa dire o fare per mandarmi via. Quindi, se vuoi finire questa relazione, dovrai essere tu ad andare via-

 

Trent singhiozzò guardando il partner negli occhi. Gli stava chiedendo, lo stava implorando di non farlo, di rimanere con lui. Nulla avrebbe avuto senso senza Hunter. Era tutta la sua vita. Non si sarebbe cicatrizzato nulla, sarebbe sempre stato l’ombra di stesso in cerca della stessa quotidianità, degli stessi momenti insieme e degli stessi baci che aveva perso.

 

Hunter gli baciò i palmi. –Io non posso. Non ti lascerei andare per nulla al mondo. Capisci che mostro sono Trent? Non mi importa se ti rendo infelice. Voglio legarti a me per sempre.-

 

Il più giovane scostò le mani dalle sue e gli accarezzò il volto. –Un matrimonio, un bambino…Hunter non voglio averli con nessun altro se non con te. E se tu non li vuoi allora imparerò a conviverci, magari te lo rinfaccerò una volta ogni tanto ma i miei progetti sono con te. –

 

Hunter si morse le labbra avvicinando piano il suo volto al suo e baciandolo piano. Trent gli portò le braccia al collo assaporando le labbra del uomo. Gli erano mancante un sacco in questi. I baci un po’ dolci e un po’ rudi, quelli morbidi e bagnati e quelli che erano solo una sfiorarsi di labbra.  

 

-Non sei un mostro, Hunter- gli sussurrò Trent mentre nascondeva la testa nel suo collo.  –Sei l’amore della mia vita--   

 

Hunter lo baciò con prepotenza spingendo la sua schiena contro lo schienale del divano.  –Mi sei mancato così tanto-

 

Trent non rispose. Si limitò ad alzarsi e afferrarlo per il braccio per trascinarselo su per le scale e poi in camera da letto. 

Non dormivano insieme da tanto tempo. Dopo l’orrenda discussione Hunter si era spostato a tempo indeterminato sul divano. Il cuscino aveva oramai ormai perso il suo odore e il materasso aveva dimenticato la forma del suo corpo. Quando si ritrovò fra quelle  lenzuola emise un sospiro di piacere. Quell’odore, quella familiarità gli erano mancate troppo. La pelle di Trent che sapeva sempre di zucchero, il calore delle sue cosce strette intorno ai suoi fianchi. I suoi gemiti che lo incitavano a smettere di succhiarlo e ad entrare in lui il più presto possibile. Il calore al suo interno. Il modo in cui i suoi fianchi si spingevano contro i suoi per cercare il piacere. Come si inarcava quando veniva ed il modo in cui sorrideva quando si sentiva riempito dal suo seme. Ringraziò chiunque li stesse guardando dall’alto perché Trent l’aveva perdonato di nuovo, nonostante lui gli stesse impedendo di essere felice.

 

 

Quella notte mentre Trent dormiva e le lenzuola erano ancora calde del loro amore, Hunter chiamò Sebastian.

 

-Quindi non gli darai un figlio?-

 

-No-

 

-Non ti senti uno schifo?-

 

-Si-

 

-Bene. Almeno una coscienza ce l’hai ancora-

 

-Lo amo, Sebastian-

 

-Lo so. Non so come lui faccia ad amare te, però. Dev’essere devoto al sacrificio-

 

-Non lo so. Non so perché lo fa. Non faccio altro che renderlo infelice. Perché lo fa?-

 

Sebastian si prese il suo tempo per pensare e per un po’ al telefono non si sentì altro che il suono dei loro respiri.

 

-Non lo so, Hunter. Non so cosa passi per la loro testa quando scelgono che vogliono restare-

 

Attaccarono pochi minuti dopo una volta che si furono salutati. Hunter si stese di fianco al compagna prendendolo tra le braccia, Trent gli si accoccolò subito addosso.

Perché, Trent? Perché diavolo lo fai?

 

Spesso la risposta alle domande ci sfugge, soprattutto quando è dettata dall’amore. Questo, in sostanza, fu tutto quello che pensò il giorno dopo Trent Nixon, decidendo che sinché quelle braccia avessero stretto almeno lui sarebbe andato tutto bene.

 

 

 

 

Dess’ Corner

 

Finalmente torno a pubblicare. È la mia prima fan fiction da quando sono qui a Oxford. “Noi Siamo Infinito” è iniziata come un daddies ma sta continuando come molto altro. È diventata la casa dei miei protagonisti, dei miei bambini, dove possono crescere e vivere le loro vite. È diventato il mio posto segreto dove posso far rivivere ai personaggi tutte le mie esperienze, posso migliorarli e renderli felici. Voglio ringraziare Whity per l’intenso lavoro di betaggio e per il finale da lei suggeritomi. Grazie mille perché non smetti mai di credere in me. A Melipedia che non fa altro che farmi banner e sopportarmi nei miei scleri, a valevigi1995 con cui ho parlato via facetime di Supernatural e di questa fan fiction per ore e Baude che l’ha letta subito dopo il betaggio definendomi “scrittrice con le palle”. Grazie mille a tutti voi che non l’avete abbandonata nonostante i miei periodi di assenza. Vi aspetto al prossimo capitolo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

   
 
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