Trent
si strofinò nervosamente le mani. Aveva freddo, eppure era sicuro che in quel ristorante facesse veramente tanto
caldo.
-Smettila di essere così nervoso.-
Alzò gli occhi su Thad come se si fosse dimenticato della sua
presenza. -Non volevo vi mettesse in mezzo-
-Gli
amici servono a questo-
Trent
si guardò intorno e poi tornò a guardare la porta. Erano giorni che lui e
Hunter si ignoravano.
E abitavano nella stessa casa.
Gli si mozzò il fiato in gola quando lo vide entrare accompagnato da Sebastian.
Nello stesso momento, gli occhi gli si
riempirono di lacrime.
Gli
mancava in modi che non si potevano nemmeno immaginare. Trent non era mai stato
bravo ad essere arrabbiato con le
persone. In realtà, non era mai stato
bravo ad arrabbiarsi in generale. Era Hunter quello che di solito li deliziava
con exploit da drama
queen.
Sobbalzò
quando gli si sedette vicino senza degnarlo nemmeno di uno sguardo. Salutò
Sebastian con un sorriso mentre nel suo stomaco qualcosa si contorceva e quel
sorriso si trasformò in una richiesta d’aiuto appena accennata.
-Mi
sono permesso di ordinare per tutti. Qui fanno un’ottima carne al Barolo.-
Gli
altri annuirono come se le parole di Thad fossero state solo una semplice
brezza passeggera. Trent poté vedere Sebastian che alzava gli occhi al cielo
scambiando uno sguardo complice con il marito. Si voltò in direzione di Hunter
per sorridergli ma si bloccò bruscamente, giusto,
loro stavano giocando a fare i bambini.
Quando
i loro piatti vennero serviti l’unico rumore udibile fu lo scontrarsi delle
posate con la ceramica del piatto. Trent
assaggiò un piccolo pezzo di carne ed una volta ingoiato il senso di
nausea non fece altro che aumentare. Lasciò le posate ai lati del piatti, non
riuscendo a mangiare altro.
-Trent, stai bene?- lo
sguardo preoccupato di Thad si poggiò su di lui, scansionandolo rapidamente.
L’uomo
non alzò lo sguardo dal suo piatto. –Non ho molta fame, scusa Thad-
Un
frastuono un po’ più forte fece spostare lo sguardo dei commensali su Hunter.
-Mangia-
Trent
continuò a rimanere immobile, quasi come se non lo avesse sentito.
-Mangia,
Nixon-
Le
spalle di Trent tremarono un po’. –Non sono un bambino, Hunter-
-Se
ti affami, un bambino non lo avremo
lo stesso-
Trent
trattenne il fiato. Continuava a non voltarsi verso di lui, non voleva vedergli
stampato in volto quello stupidissimo ghigno.
-Sei
un mostro- sibilò Trent
-Hunter.
Siamo in un luogo pubblico. Non vorrei dover pulire il vostro sangue. – li
richiamò Sebastian.
Trent
arrossì. Farsi richiamare da Sebastian era davvero il colmo.
Sarebbe
stato sempre peggio. Forse Cameron aveva ragione quando diceva che avrebbe
dovuto lasciargli Hunter. Non avrebbero avuto problemi loro due. Trent voleva
un figlio. Questo era sempre stato chiaro a tutti come il sole. Da quando era nato
Colin, Trent era arrivato addirittura a sognarsi nel ruolo di padre. Era sempre
stato molto affettuoso e dopo Hunter avere un figlio sarebbe stata la
coronazione del loro sogno d’amore.
Peccato che quel
sogno fosse solo suo.
Lui
e Hunter non ne avevano mai parlato veramente fino a pochi giorni fa quando
Trent aveva riportato a galla l’argomento, bruscamente troncato dal no secco
di Hunter. Da quel giorno qualcosa tra loro due si era spezzato. Trent non
riusciva più a sopportare che lui lo toccasse, avevano smesso di fare sesso ed
Hunter aveva iniziato a tornare tardissimo da lavoro. Per un periodo di tempo,
Trent aveva addirittura creduto che lo stesse tradendo. Avevano smesso di
parlare, se non per degli educati buongiorno e buon lavoro. Avevano smesso di
ricordarsi degli anniversari e dei compleanni troppo presi chi dal proprio
dolore chi dal proprio orgoglio.
-Credo
che abbiate bisogno di risolvere i vostri screzi-
-Credo che se avessi voluto un terapista,
mi sarei rivolto ad un esperto-
-Perché
non vuoi bambino, Hunter? Quelli come noi, vogliono un bambino-
-Io
non sono te, Sebastian. E santo cielo! Non potete costringere una persona a
volere qualcosa che non vuole-
Trent
si agitò sulla sedia e trattenne un gesto di stizza voltandosi, però,
bruscamente verso l’altro. –Tu non ne vuoi nemmeno
parlare. Tu non vuoi parlare di niente!
Non hai nemmeno voluto sposarmi. Il problema sono forse io? Non vuoi
sposare me? Non vuoi avere un bambino con me? Ti ho sempre accontentato, ho
sempre cercato di non farti sentire in gabbia e quando mi hai detto che il
matrimonio era un cosa stupida, non ho detto nulla. Per quanto tempo dovrò
continuare a mettermi da parte per te?-
Hunter
strinse gli occhi in due fessure. –Quindi è così che tu vivi la nostra
relazione? Non mi sembra di averti mai
messo una catena, Trent. Puoi fare quello che cazzo vuoi. Puoi andartene quando
vuoi.-
-Non mi lasceresti andare-
Hunter
ammutolì. Non c’era nulla da controbattere a quello. Era semplicemente
vero. Hunter non l’avrebbe lasciato
andare. Mai. Non importava se l’avrebbe reso infelice. Era troppo egoista per
lasciarlo andare a qualcun altro. –Ce ne andiamo- borbottò alzandosi di scatto.
-Io
non vado da nessuna parte- si imputò Trent, ma, una mano strinse saldamente il
suo polso. –Tu fai quello che dico io-
Trent
rabbrividì. Non voleva andare a casa. Hunter era furioso. Poteva sentire le
radiazioni d’ira che si espandevano lungo tutta la sala. A casa sarebbe stato
solo peggio. Non voleva sentirlo urlare, lui voleva solo un bambino. Thad poggiò delicatamente una mano sulla sua.
L’altro alzò lo sguardo tirando su col naso. Gli sorrise rassicurante e gli
fece segno di seguire il compagno. “È la tua occasione per parlare con lui”,
gli sillabò. Trent annuì e prendendo un bel respiro profondo seguì fuori il
marito.
Il
viaggio in macchina fu silenzioso. Trent provò ad accendere la radio ma Hunter la spense immediatamente con un
grugnito.
Trent
si strinse le braccia al torace sospirando per il disagio. La tensione era
palpabile.
Hunter
continuava a tenere le mani sul volante, stringendolo fino a farsi sbiancare le
nocche, e Trent non riusciva a capire se fosse sua impressione o meno ma gli
sembrava che la macchina andasse sempre più veloce.
-Vai
piano- sussurrò, talmente piano che Hunter faticò a sentirlo.
-Sta zitto- sibilò Hunter, diminuendo in
ogni caso la velocità.
Trent
sorrise appena. Forse poteva ancora essere salvato il salvabile.
Trent
fu il primo ad entrare in casa e sobbalzò quando Hunter sbatté violentemente la
porta dietro di lui. Trent chiuse gli
occhi cercando di isolare il mondo esterno.
Si sentì voltare ed in pochi secondi la sua schiena sbatté contro il
muro. Poteva sentire il fiato di Hunter sul suo volto, le sue mani premevano
forte contro i suoi fianchi.
-Guardami-
Trent
spalancò gli occhi, trattenendo il fiato. –Mi stai facendo male.- mormorò
mentre gli occhi gli si riempivano di lacrime.
-Smettila
di piangere come una stupida ragazzina. Non voglio mai più – mai più, Trent –che i tuoi amici si
mettano in mezzo –
-Sono
anche i tuoi amici- sussurrò
Hunter
lo lasciò andare e Trent rilasciò un respiro. Il più alto si portò una mano tra
i capelli tirandoli leggermente alla base. Si stavano perdendo. Si stavano
perdendo per un fottutissimo bambino. Non lo voleva. Era più forte di lui. Non
per Trent, non era perché non voleva un
figlio con lui. Non ci riusciva. Non
riusciva a desiderarlo. Non voleva i pianti, non voleva i pannolini, non voleva le responsabilità. Era già stato difficile ammettere di essere
innamorato e praticamente dipendente da qualcun altro che non fosse se stesso,
non voleva diventare come Sebastian. Amare Trent , per lui era abbastanza.
-Possiamo…parlare?-
-Parlare
di cosa, Trent? Sappiamo tutti e due che nessuno farà cambiare idea a nessuno.
Ci conosciamo bene. Stiamo insieme da tanto-
Trent
si guardò i piedi e si sedette sul divano. Hunter sospirò allentandosi il nodo
alla cravatta. –Preparo due tazze di tè-
Trent
sospirò un leggero grazie.
Contrariamente
a ciò che tutti pensavano, nonostante fosse Trent che amasse cucinare, Hunter
era quello che preparava tazze di tè , sia perché il caffè non gli piaceva
nemmeno un po’ sia perché Trent aveva l’abitudine di non comprarlo mai. Diceva
sempre che non avevano bisogno di altra energia sotto forma di caffeina per
andare avanti.
Trent
si sedette più composto, cercando di controllare il tremore alle mani. Hunter gli
porse la sua tazza di tè ai frutti di bosco con due zollette di zucchero di canna.
E sorseggiò il suo, completamente amaro.
-Voglio
un bambino, Hunter, ma lo voglio con te…altrimenti
non ha senso- sospirò Trent, prendendo
un altro sorso del suo tè. In qualunque modo si sarebbe conclusa quella
discussione, Trent non se ne sarebbe mai andato. E non perché fosse un
masochista senza personalità. Semplicemente perché non poteva vedersi con
nessun altro. Immaginare una vita sempre Hunter gli faceva venire meno il respiro. Non avrebbe avuto nessun senso
condividere qualcosa con qualcuno che non fosse Hunter.
Il
marito chiuse gli occhi espirando forte.
– Quello non sarei io, Trent. Non è perché sono convinto che non sarò un buon
padre, non pensarlo nemmeno. Io non sono
Sebastian. È che non sarei io. Amarti per me è abbastanza. Non voglio
nessun altro, solo noi-
Hunter
sapeva che stava facendo l’egoista ma era semplicemente il suo modo di vedere
la situazione. Non c’era niente, nulla al mondo che gli faceva desiderare un
bambino. Si alzò poggiando la tazza di tè ormai vuota sul tavolino da caffè e
si inginocchiò a piedi di Trent. Quest’ultimo sobbalzò. –Cosa stai facendo?-
Hunter
gli prese le mani. –Ti amo, Trent. Nonostante sia uno stronzo che ti fa solo
soffrire. Va via. Allontanati il più possibile da me. Trova qualcuno che ti
renda felice come meriti. –
Trent
tirò su col naso e scosse la testa. –Io non….-
-Non sopravvivresti? Trent, siamo essere
umani. E un cuore infranto non ti fa morire, aspetti semplicemente che si
cicatrizzi-
E in ogni caso,
sarei io a morirne.
-No. Come puoi anche solo pensare…come puoi? Io non me ne vado, Hunter. Non c’è
niente, niente, che tu possa dire o
fare per mandarmi via. Quindi, se vuoi finire questa relazione, dovrai essere
tu ad andare via-
Trent
singhiozzò guardando il partner negli occhi. Gli stava chiedendo, lo stava
implorando di non farlo, di rimanere con lui. Nulla avrebbe avuto senso senza
Hunter. Era tutta la sua vita. Non si sarebbe cicatrizzato nulla, sarebbe
sempre stato l’ombra di stesso in cerca della stessa quotidianità, degli stessi
momenti insieme e degli stessi baci che aveva perso.
Hunter
gli baciò i palmi. –Io non posso. Non ti lascerei andare per nulla al mondo.
Capisci che mostro sono Trent? Non mi
importa se ti rendo infelice. Voglio legarti a me per sempre.-
Il
più giovane scostò le mani dalle sue e gli accarezzò il volto. –Un matrimonio,
un bambino…Hunter non voglio averli con nessun altro
se non con te. E se tu non li vuoi allora imparerò a conviverci, magari te lo
rinfaccerò una volta ogni tanto ma i miei progetti sono con te. –
Hunter
si morse le labbra avvicinando piano il suo volto al suo e baciandolo piano.
Trent gli portò le braccia al collo assaporando le labbra del uomo. Gli erano
mancante un sacco in questi. I baci un po’ dolci e un po’ rudi, quelli morbidi
e bagnati e quelli che erano solo una sfiorarsi di labbra.
-Non
sei un mostro, Hunter- gli sussurrò Trent mentre nascondeva la testa nel suo
collo. –Sei l’amore della mia
vita--
Hunter
lo baciò con prepotenza spingendo la sua schiena contro lo schienale del
divano. –Mi sei mancato così tanto-
Trent
non rispose. Si limitò ad alzarsi e afferrarlo per il braccio per trascinarselo
su per le scale e poi in camera da letto.
Non
dormivano insieme da tanto tempo. Dopo l’orrenda discussione Hunter si era
spostato a tempo indeterminato sul divano. Il cuscino aveva oramai ormai perso
il suo odore e il materasso aveva dimenticato la forma del suo corpo. Quando si
ritrovò fra quelle lenzuola emise un
sospiro di piacere. Quell’odore, quella familiarità
gli erano mancate troppo. La pelle di Trent che sapeva sempre di zucchero, il
calore delle sue cosce strette intorno ai suoi fianchi. I suoi gemiti che lo
incitavano a smettere di succhiarlo e ad entrare in lui il più presto
possibile. Il calore al suo interno. Il modo in cui i suoi fianchi si
spingevano contro i suoi per cercare il piacere. Come si inarcava quando veniva
ed il modo in cui sorrideva quando si sentiva riempito dal suo seme. Ringraziò
chiunque li stesse guardando dall’alto perché Trent l’aveva perdonato di nuovo,
nonostante lui gli stesse impedendo di essere felice.
Quella
notte mentre Trent dormiva e le lenzuola erano ancora calde del loro amore,
Hunter chiamò Sebastian.
-Quindi
non gli darai un figlio?-
-No-
-Non
ti senti uno schifo?-
-Si-
-Bene.
Almeno una coscienza ce l’hai ancora-
-Lo
amo, Sebastian-
-Lo
so. Non so come lui faccia ad amare te, però. Dev’essere
devoto al sacrificio-
-Non
lo so. Non so perché lo fa. Non faccio altro che renderlo infelice. Perché lo
fa?-
Sebastian
si prese il suo tempo per pensare e per un po’ al telefono non si sentì altro
che il suono dei loro respiri.
-Non
lo so, Hunter. Non so cosa passi per la loro testa quando scelgono che vogliono
restare-
Attaccarono
pochi minuti dopo una volta che si furono salutati. Hunter si stese di fianco
al compagna prendendolo tra le braccia, Trent gli si accoccolò subito addosso.
Perché, Trent?
Perché diavolo lo fai?
Spesso
la risposta alle domande ci sfugge, soprattutto quando è dettata dall’amore.
Questo, in sostanza, fu tutto quello che pensò il giorno dopo Trent Nixon,
decidendo che sinché quelle braccia avessero stretto almeno lui sarebbe andato
tutto bene.
Dess’ Corner
Finalmente
torno a pubblicare. È la mia prima fan fiction da quando sono qui a Oxford.
“Noi Siamo Infinito” è iniziata come un daddies ma
sta continuando come molto altro. È diventata la casa dei miei protagonisti,
dei miei bambini, dove possono crescere e vivere le loro vite. È diventato il
mio posto segreto dove posso far rivivere ai personaggi tutte le mie
esperienze, posso migliorarli e renderli felici. Voglio ringraziare Whity per l’intenso lavoro di betaggio
e per il finale da lei suggeritomi. Grazie mille perché non smetti mai di
credere in me. A Melipedia che non fa altro che farmi
banner e sopportarmi nei miei scleri, a valevigi1995
con cui ho parlato via facetime di Supernatural e di questa fan fiction per ore e Baude che l’ha letta subito dopo il betaggio
definendomi “scrittrice con le palle”. Grazie mille a tutti voi che non l’avete
abbandonata nonostante i miei periodi di assenza. Vi aspetto al prossimo
capitolo.