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Autore: Lady_Sticklethwait    13/01/2015    5 recensioni
«Sig.ina Barbrook» una voce ben nota piombò dal sentiero opposto, accompagnata dalla splendida visione del duca di Bekwell, vestito come sempre in modo impeccabile nel suo abito color beije intonato al colore dei capelli scombinati .
Aveva un sorriso divertito e, sebbene non potesse ben vederlo, riusciva ad immaginare quelle scintille d'ironia che trasparivano spesso negli occhi color acquamarina.
«Sig.or Bekwell…» disse guardandolo come se si fossero appena incontrati in una circostanza assolutamente normale. « Come mai da queste parti? »
Colin rise. La sua non era una risata comune ma bensì qualcosa che scaldava l'animo, che rimbombava nella testa e poi scivolava via, lasciando delle adorabili fossette sul volto giovane e dai tratti raffinati dell'uomo.
«Devo dire che riesce sempre a sorprendermi , signorina Babrook»
«Come prego?»
«Avrei molte domande da farle, come qualsiasi persona normale penso voglia porle, ma, per il momento, penso di potermi trattenere e godermi lo spettacolo».
Scese dal cavallo, incrociò le braccia e la guardò con ludibrio.
«Ebbene?» proseguì sostenendo il suo sguardo a mò di sfida.
« Ebbene, sig.ina Barbrook, non capita tutti i giorni di vedere alle 8 del mattino una selvaggia molto affascinante su di un albero»
Genere: Comico, Romantico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Storico
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                                                                                                                                    Capitolo 57.

 


Elisabeth non aveva idea di dove si trovasse in quel preciso istante.
Né, in realtà, di come vi fosse arrivata.
il perché avesse le mani legate dietro la schiena, un bavaglio sulla bocca ed i piedi legati.
Era appoggiata ad un fianco del letto e dinanzi a lei vi era un muro bianco.
Forse.
No, era decisamente grigio, anche se presentava delle chiazze più scure e… Bhè, forse non era esattamente il momento giusto per fantasticare sull’ipotetico colore di quel dannato muro.
Pensò che chiunque l’avesse ridotta in quello stato non aveva ritenuto opportuno bendarle gli occhi, anche perché la stanza era a tratti immersa nel buio.
Batté furiosamente gli occhi per adattarsi all’oscurità, tuttavia non riuscì a scorgere nient’altro se non quel freddo muro dal dubbio colore.
Aveva un’idea di chi fossero i rapitori, anzi, in un certo qual modo aveva quasi previsto una mossa del genere.
Ma cos’era successo?
“Pensa, Elisabeth, pensa!”
Era uscita quel pomeriggio per schiarirsi un po’ le idee e poi…poi…
Tutto era confuso, non riusciva a ricordare il momento esatto in cui l’avessero rapita.
Perché, se una cosa era certa, quello era sicuramente un rapimento.
Cominciò a divincolarsi, pur sapendo che era inutile. Si scostò dal letto, utilizzò i piedi come perno mentre si spostava in avanti con il resto del corpo, quando sentì dei passi provenire dall’esterno.
Improvvisamente una mano sulla maniglia della porta la face raggelare e ritornò in un instante nella stessa posizione di prima.
Chiuse gli occhi.
Tentò di trattenere il respiro profondo, veloce, affannoso, e mutarlo in uno più confacente ad una dolce fanciulla che dormiva.
Si raggelò quando dei passi fecero capolino ed andarono dritti verso di lei.
“Ancora non è sveglia”
Riconobbe quella voce, ed un brivido di consapevolezza prese a scorrerle lungo tutta la schiena.
Erano quei loschi tipi che avevano osato appiccare l’incendio nelle proprietà di Colin.
Colin…
Chissà se avevano preso anche lui.
Tentò di indirizzare tutti i pensieri su vecchi ricordi per tranquillizzarsi; e, difatti, sembrò funzionare.
“Si può soffocare dalla paura?”
Si accorse di star trattenendo ancora il respiro solo dopo che la porta fu chiusa da due manate e riaprì di scatto gli occhi.
“Si può morire di sollievo?”
Era impossibile uscire di lì.
Da sola.
Bhè, si disse a sé stessa: qualcuno doveva pur essersi accorto della sua sparizione.
O almeno così sperava.

 

 


“DOV’E’?”
Colin riuscì a dire solamente questo prima di scagliarsi contro la domestica che stava nelle stanze di Elisabeth.
“Chiedo scusa?”
“Ho detto” fece una pausa e tentò di calmarsi, ma il risultato finale fu un urlo d’ira “DOV’E’”
“Io non…” l’intera servitù era entrata nella stanza ed un valletto coraggioso si fece spazio tra Colin e la domestica, separandoli da un’eventuale aggressione.
“Non capisco, mio signore, io…”
Colin sentì dei passi frenetici provenienti dal piano di sotto e, senza neanche fermarsi a riflettere, sorpassò la servitù e si diresse sulle scale del piano terra premendosi la mano sul petto dolorante, dove trovò una domestica nell’intento di fuggire.
Nel vedere la donna allontanarsi sempre di più prese un candelabro che si trovava nelle vicinanze e lo lanciò sulla porta aperta, rendendole impossibile la fuga.
La paura che lo attanagliava lo rese persino più forte, ed oramai non riusciva neanche più a sentire il dolore che gli provocava la ferita.
Anzi, era proprio il dolore a renderlo forte.
Si avventò come un aquila su un coniglio e prese la donna per un braccio.
Questa, sgomenta, tentò di lottare.
“DOV’E’.”
“Non lo so… Io non lo so. Avevano detto che…”
Colin la prese per le spalle e la scosse violentemente fino a farle cadere il cappellino bianco “CHI? CHE COSA?”
“Mi fate male, signore…”
“Male?” chiese con sgomento, ed una ciocca di capelli ricci gli cadde sugli occhi ridotti oramai a due fessure cupe “dovrei farti impiccare per quello che hai fatto. DOV’E’ ELISABETH, DANNAZIONE”
La donna aprì la bocca ma non riuscì a spiaccicare una sola sillaba.
Colin tenne gli occhi fissi sulla donna, i capelli ricci completamente spettinati, la bocca ridotta ad una fessura, gli occhi azzurri che mandavano lampi e saette ed il cuore… Dio, il cuore gli batteva così veloce che non si sarebbe stupito se da un momento all’altro fosse scoppiato.
“Signor Bekwell” fece lo stalliere togliendosi il cappello e ritorcendolo tra le mani “c’è qualcosa per voi.”
Colin rimase con le mani sulle spalle della giovane e girò il capo quel poco che gli serviva per tenere sottocontrollo entrambi.
Lo stalliere gli pose un biglietto che egli prese senza alcuna esitazione.

Uomo avvisato, mezzo salvato. Se collaborate, la signora vivrà. Costerà parecchio, molto più del prezzo richiestvi prima.
Non parlate con nessuno.

 

 

Un paio di minuti dopo la sgradevole interruzione di quel losco tipo, Elisabeth si impose di rilassarsi per poter ragionare con lucidità. La rabbia era l’emozione che sovrastava di gran lunga la paura: come osavano rapire una duchessa?
Come osavano rapire Elisabeth Kerwin?
Cosa pensavano, che sarebbe stata zitta e muta in quel posticino come avrebbero fatto la maggior parte delle donne?
Animata da un grande coraggio si sforzò di mettersi seduta e cominciò ad esaminare la stanza, ma era davvero difficile vedere qualcosa con quella luce fioca.
Con minuscole spinte si spostò più vicino alla parete e vi poggiò sopra la guancia: era liscio e pulito, senza asperità o vernice scrostata.
Quei pochi elementi che riuscì a percepire rendevano impossibile l’identificazione del luogo in cui l’avevano condotta.
Sospirò sommessamente e voltò la testa verso la parete sul fondo. C’era una finestra, ma era oscurata da una pesante tenda di velluto. Rosso scuro, forse? Blu? Impossibile da dirlo.
Si chiese se sarebbe riuscita a scendere dal letto per guardare fuori. Sarebbe stato difficile: le avevano legato le caviglie così strette che c’erano poche speranze di muovere persino qualche piccolissimo passo. Con infinita cautela ruotò le gambe e si mosse gattonando vicino alla finestra; poi, appoggiandosi a vari mobili sconosciuti, si alzò e cercò di scostare la tenda con il viso. La condensa del suo fiato rendeva ancora più arduo riconoscere il luogo in cui l’avevano condotta, ma Elisabeth non si perse d’animo e vide…
Udì dei passi ed il cuore prese a battere all’impazzata. Trascinando i piedi e saltellando un poco, cercò di raggiungere il letto e riuscì a buttarvisi sopra proprio nel momento in cui la chiave girava due volte nella serratura.
“Il vostro respiro, signora, tradisce la vostra ansia” la redarguì il sequestratore.
Lei si fermò a fissarlo, incapace di giustificare l’affanno.
Quella voce non era nuova, ed Elisabeth rabbrividì quando sentì l’uomo sedersi accanto a lei sul letto.
“Sapete, contrariamente a ciò che si può pensare, provo profonda stima per voi, Elisabeth” continuò l’uomo sconosciuto.
La duchessa strinse gli occhi nel tentativo di identificare il volto dell’uomo ma non ci riuscì.
Prese a dimenarsi nell’ampio letto ed il sequestratore reagì con un sogghigno.
“Per essere così piccola fate davvero un gran bel casino”
Elisabeth cessò immediatamente di muoversi e soppesò tutte le parole dell’uomo: che l’avesse scoperta?
L’uomo si sporse verso di lei con le braccia protese e poi le ritrasse “Tuttavia, sono un uomo magnanimo mia duchessa. Volete che vi porti un po’ di te?”
Elisabeth gli lanciò un’occhiata carica di odio e sarcasmo che, evidentemente, la losca figura recepì perché rise sommamente “Oh, che stupido” fece lui “ non potete dire niente”
Lei si accostò e le slacciò il bavaglio.
Elisabeth tossì e impiegò parecchi secondi prima di riuscire a inumidire la bocca quel tanto da poter parlare “Chi siete?”
Egli sogghignò “speravo me lo chiedessi, amor mio”
La consapevolezza di conoscerlo le mozzò il fiato ed il  nome gli uscì carico di odio dalle sue labbra “Ruark.”
“Shh, sciocchina ” fece lui, mettendogli una mano sulla bocca “qui non sanno il mio nome.” Si girò cautamente in direzione della porta, quasi come se avesse paura che qualcuno potesse coglierlo da un momento all’altro “da oggi in poi chiamami Rich.”
“Tu… io… non… oh. Oh. OH, TU” carica di rammarico e rabbia si trattenne per non urlare “cosa ci faccio qui e cosa diavolo hai intenzione di...”
“Se non te ne fossi accorta “ la interruppe “sto cercando di aiutarti.”
Elisabeth fu tutt’orecchie e si raddrizzò sullo schienale del letto.
Ruark sospirò “ora non posso spiegarti, mio cuore, ma ho tutte le intenzioni di farti andare via da qui.”
“Ma… ma…C-c-ome? Perché? Quando?”
“Tempo al tempo, amor mio, tempo al tempo.”
In un batter di ciglia sentì Ruark alzarsi dal letto ed un secondo dopo serrare la porta.
Elisabeth fu così scombussolata dalle emozioni contrastanti che si accorse di star tremando: non sapeva se di paura, rabbia, sollievo, stanchezza. Cadde nell’oblio con stampata in mente l’immagine di due grandi occhi azzurri sorridenti.
Colin l’avrebbe salvata, n’era certa.







 

Aggiornamento finalmente portato al termine. Questa settimana finirò di pubblicare anche i capitoli delle altre mie storie e, a questo proposito, mi piacerebbe se voi deste un’occhiatina alla mia nuova fan fiction ‘Cuori d’inverno’ che è la storia sostituta di ‘Bocca di rosa’.
Un abbraccio!


Lady Sticklethwait.

   
 
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