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Autore: PuccaChan_Traduce    13/01/2015    4 recensioni
(Nota dell’autrice) Questa avrebbe dovuto essere una piccola e tenera oneshot, ma quando ho raggiunto le 11,000 parole mi sono detta, “Ok, forse è meglio che la divida in più capitoli.” E’ dedicata alla carissima IRREL (la trovate su Tumblr! --> http://irrel.tumblr.com/), che mi ha gentilmente fornito il prompt da cui partire: "Cosa sarebbe successo se Smaug non fosse mai esistito e Kili fosse cresciuto come Principe di Erebor mentre Tauriel fosse rimasta Capitano delle Guardie Reali, e i due si fossero scoperti attratti l'una dall'altro?"
DISCLAIMER: questa fanfiction è una TRADUZIONE che viene effettuata con il permesso del legittimo autore; tutti i personaggi citati appartengono ai rispettivi autori.
Genere: Fantasy, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Fili, Kili, Tauriel
Note: Traduzione, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Autrice: ChasingPerfectionTomorrow (Tumblr / FanFictions AO3)
Fandom: Lo Hobbit (film)
Coppia: Kìli/Tauriel

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Nelle due settimane successive s’incontrarono tutte le mattine al campo di tiro con l’arco, come per un tacito accordo che Kìli non aveva la minima intenzione di infrangere. Mentre si esercitavano (sempre meno seriamente man mano che i giorni passavano) egli parlava a Tauriel della sua infanzia e della sua vita tra le vie della cavernosa città, senza tralasciare nemmeno i dettagli più imbarazzanti pur di vederla sorridere e di udire il suono dolce della sua risata; e lei gli parlava a sua volta della sua terra, delle belle abitazioni tra gli alberi e della musica che sempre risuonava tra le antiche sale. Gli confessò anche di essersi sempre sentita un pò sola e come fuori posto per ragioni che non capiva del tutto, e il suo desiderio di vedere il resto del mondo, anche se pareva allontanarsi da lei sempre più.
Kìli imparò che ella aveva un sano senso dell’umorismo e che la sua personalità si adattava perfettamente alla sua. Si prendeva in giro in tutti i modi possibili cercando di mettersi in mostra, ma lei si limitava a scuotere la testa e a sorridere dei suoi scherzi, gli occhi scintillanti e accesi di vitalità. Gli chiese il significato delle trecce nei suoi capelli e lui gliele spiegò nel dettaglio una per una, cercando di non pensare alle promesse segrete che gli sarebbe piaciuto intrecciare nei capelli di lei. Tauriel gli insegnò alcune frasi in Sindarin, spiegandogli le sottili differenze tra quella lingua e quella degli Elfi Silvani, e lui la mise a parte di molte cose riguardanti il suo popolo, cose che avrebbero fatto diventare blu d’ira suo zio se le avesse udite; e man mano che i giorni passavano sentiva che le barriere culturali e razziali tra loro svanivano fino a che fu come se non fossero mai esistite.
In pochi giorni ella arrivò a conoscerlo meglio di chiunque altro, tranne forse suo fratello. Lui le confessò la difficoltà di trovare a sua volta un proprio posto nel mondo e della sua sensazione di sentirsi ‘diverso’ tra la sua stessa gente; lei gli narrò storie di eroi coraggiosi e di tempi lontani in cui egli non era ancora nemmeno un pensiero nella mente di sua madre, quando l’orizzonte era più luminoso e c’era meno ombra sulla Terra.
“I confini del nostro Regno si restringono un pò di più ad ogni decennio,” gli disse piano lei un giorno, verso il tramonto, mentre sedevano su una panchina di pietra con gli archi al loro fianco. “L’oscurità avanza nella nostra foresta giorno dopo giorno, ma invece di combatterla preferiamo ignorarla e nasconderci.” La sua voce aveva assunto una sfumatura amara, gli occhi le lampeggiavano.
Kìli aggrottò la fronte appoggiando la testa all’indietro. “Il mio bisnonno e mio nonno morirono pochi anni prima che io nascessi, nel tentativo di riconquistare Khazad-Dûm, e poi anche la Regina, quando ero ancora un bambino. Credo sia a causa di tutto ciò che mio zio in questi giorni non vede altro che la Montagna Solitaria, malgrado le voci di un grande nemico su al Nord. Ce ne stiamo tra i nostri tesori e le nostre caverne senza mai mettere il naso all’esterno.”
“Forse i nostri popoli hanno molte più cose in comune di quanto credano,” disse lei; Kìli ridacchiò e annuì amaramente. “Siamo entrambi piuttosto bravi a dimenticarci che anche noi siamo parte di questo mondo.”
I loro occhi si incontrarono e qualcosa di profondo e pregno di significato passò tra essi. Kìli sapeva che lei doveva avere molti più anni di lui – decenni, forse addirittura secoli – ma in quel momento il tempo non esisteva, o forse non aveva semplicemente significato; c’era solo luce, preziosa e pura come le stelle che le erano tanto care.
“Cosa mai potrà venire di buono se lasciamo che il male cresca senza sosta, incontrastato, incontrollato?” domandò ancora lei prima di distogliere lo sguardo, gli occhi offuscati da un antico dolore. “Cosa mai resta di buono nel mondo se non facciamo niente per cambiare le cose, per migliorarle?”
“Tauriel...” cominciò lui, ma ella scosse la testa e gli rivolse un tenero sorriso che gli sciolse il cuore. C’era una strana tristezza in lei, come di qualcuno che ha perso molto, ed egli ardeva dal desiderio di prenderle le mani tra le sue e stringerle forte; avrebbe potuto farlo se lei non si fosse alzata in piedi in quel momento, traendo dei respiri profondi per ricomporsi.
“Ti va una rivincita?” lo sfidò, gli occhi che lo imploravano di lasciar perdere l’argomento.
“Ci sto,” rispose lui, anche se avrebbe preferito di gran lunga restare lì a parlare con lei fino a che non fosse stata notte inoltrata, ascoltando il suono morbido della sua voce e memorizzando tutte le espressioni del suo viso.

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“Stavo pensando, zio,” disse Kìli con noncuranza il giorno seguente, dopo colazione, “che sarebbe una buona idea portare gli Elfi a visitare la zona del Mercato.” Erano solo loro due nella sala da pranzo privata della famiglia reale. Si era accertato che sua madre e suo fratello se ne andassero prima di parlare, gingillandosi con il proprio piatto fino a che tutte le sedie non furono vuote; Thorin alzò gli occhi dalle carte che stava leggendo, chiaramente sorpreso di trovarlo ancora lì.
“Che vuoi dire?” domandò, già sulla difensiva.
Kìli si schiarì la gola e aggiunse, con tutta la casualità possibile, “Beh, stavo solo pensando che sarebbe, come dire... istruttivo per loro se gli facessimo vedere come vive il nostro popolo.”
Thorin sollevò un sopracciglio con aria scettica. “E tu credi davvero che Re Thranduil sarebbe incline a visitare i livelli inferiori della città? Non sono del tutto sicuro che apprezzerebbe la vista del fango e dei maiali per le strade, Kìli.”
“Va bene, forse il Re no, ma qualcun altro sì e secondo me sarebbe bene, sai... condividere la nostra cultura per rinsaldare i rapporti tra noi,” concluse Kìli, agitando una mano imbarazzato.
Ci fu un lungo silenzio mentre Thorin corrugava anche l’altro sopracciglio. “Correggimi se sbaglio, nipote, ma ti stai offrendo volontario per scortare una delegazione di Elfi in una gita culturale?”
Kìli sentì un brivido risalirgli lungo la schiena e si strinse nelle spalle. “Ehm, ecco, in un certo senso...? Voglio dire, sì, sì, assolutamente.”
Thorin mise da parte i suoi documenti e si sporse sul tavolo, piantandogli gli occhi addosso; occorse a Kìli uno sforzo supremo per non tremare sotto quello sguardo penetrante.
“E’ una buona idea,” disse alla fine Thorin con riluttanza, non credendo quasi alle sue stesse parole. “Dirò a Balin di accompagnarvi.”
Kìli gli sorrise con gratitudine. “Grazie, zio...”
“Mi aspetto che ti occupi tu di tutto, Kìli, e vedi di non presentarti all’ultimo minuto.”
Kìli scosse la testa e balzò in piedi, sperando di riuscire a contenere l’eccitazione. “Certo che no, non me lo sognerei mai.”
Thorin sembrava ancora scettico mentre lui chinava il capo e si girava per andarsene, ansioso di raccontare il suo piano a Tauriel e sperando ch’ella si unisse a lui.
“E, Kìli?” lo richiamò suo zio mentre era sulla porta. “Mi fa piacere vedere che cominci a prendere sul serio certe questioni. So che a volte possono essere noiose, ma quando tuo fratello sarà Re, un giorno, avrà bisogno del tuo aiuto.”
Kìli si morse un labbro, cercando di tenere a bada il senso di colpa. “Grazie ancora, zio, farò del mio meglio.”

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“E’ sempre così rumoroso qui?” si lamentò il Principe Legolas con aria corrucciata, mentre qualcuno che suonava un corno da qualche parte si lanciava in una nota particolarmente acuta; egli sembrava tanto scontento di essere lì quanto Kìli lo era di averlo nel loro piccolo gruppo.
“In realtà credo si stiano mettendo in mostra per te, altezza,” gli rispose in tono allegro.
Si trovavano nel Distretto Zaffiro, uno dei posti che amava di più frequentare con suo fratello ogni volta che riuscivano a sgattaiolare via dagli obblighi di corte. Lì c’erano le migliori osterie, cibo, musica... e donne, ovviamente, anche se in quel momento lui era interessato a una sola donna in particolare e a mostrarle quanto di meglio la sua cultura aveva da offrire.
“Forse dovremmo proseguire,” suggerì goffamente Balin – il poveretto sembrava invecchiato di almeno 30 anni durante le ultime tre settimane – richiamandoli lontano dalla via più vivace in un ampio cortile.
Kìli lanciò un’occhiata a Tauriel, vestita della sua armatura e con una mano sull’elsa della sua spada, e fu contento di vedere che si guardava intorno con un sorriso colmo di interesse. Il cortile era pieno di Nani, tutti eccitati all’ avere lì il loro Principe con quei notevoli stranieri al seguito. La sua gente aveva accolto la possibilità di dare sfoggio della loro cultura con un entusiasmo che Kìli non aveva previsto. Ovunque guardasse c’erano banchi carichi di tutte le merci possibili e immaginabili, armi, stoffe, giocattoli, gioielli; giocolieri, musicanti, mangiatori di fuoco e cantastorie indugiavano a ogni angolo, attirando folte schiere di spettatori. A quanto pareva il comune odio per gli Elfi era temperato solo dal desiderio di impressionarli.
Mentre Balin cercava di spiegare a Legolas la tipologia della loro architettura, Kìli ne approfittò per avvicinarsi a Tauriel. “Allora, che ne pensi?” le chiese, con un sorriso accattivante.
Lei gli restituì il sorriso, con occhi scintillanti. “E’ davvero un posto vivace. Ma cosa cantavano prima?”
Lui si strinse nelle spalle. “Solo una vecchia canzone di minatori sul roteare asce e far piovere gemme dal cielo. E per caso c’erano anche un pò di barbe e di teste di orchi fatte ruzzolare via e danze sfrenate sui loro cadaveri...”
“Molto nanesca.”
“Cioè, profondamente simbolica e filosofica?”
“Naturalmente,” concordò lei impassibile; ed entrambi scoppiarono a ridere.
Balin richiamò il principe elfico presso un banco su cui erano esposte spade e pugnali di fattura nanica, e per la prima volta in tutto il pomeriggio egli apparve vagamente interessato. Fiducioso nella distrazione del principe, Kìli condusse Tauriel presso un altro banco vicino.
“Sono bellissimi,” mormorò l’Elfa facendo scorrere le dita su alcuni diademi in fine argento e diamanti.
“Non ne troverete l’uguale in tutta Erebor, mia signora,” disse orgogliosamente il venditore, gonfiando il torace e accarezzandosi la barba argentea.
“E’ così ben fatto,” disse ancora Tauriel, toccando un altro diamante da cui era stata ricavata la forma di un drago: ciascuna scaglia della sua pelle era perfettamente cesellata e i due rubini che aveva per occhi catturavano la luce in modo tale che sembravano mandare scintille di fuoco. “Sembra vivo.”
Kìli, sentendosi un pò sciocco, sollevò tra le dita una collana fatta di sottili fili di mithril intrecciato con piccoli smeraldi dell’esatto colore dei suoi occhi: non aveva mai dato molto peso ai gioielli prima d’allora, ma quell’oggetto sembrava fatto apposta per lei. Adesso credeva di capire perchè Fìli s’incantasse tanto a guardare stoffe e pietre preziose quando pensava che nessuno lo vedesse.
“Le maglie sono così sottili... sembrano tele di ragno,” disse piano Tauriel sbirciando da sopra la sua spalla, con un tono vagamente bramoso.
“Un dono,” disse il venditore, “per questa amabile signora.”
Ma Tauriel si tirò indietro scuotendo la testa con veemenza. “Oh, non posso proprio...”
L’uomo aprì la bocca per insistere, ma in quel momento Balin li richiamò ed ella assunse un’espressione confusa e sollevata al tempo stesso, prima di raggiungere Legolas.
Kìli fissò il gioiello nella sua mano e tirò fuori una gran manciata di monete, sapendo che probabilmente era troppo e non curandosene affatto. “Incartamelo, ti spiace?”
“Certamente, altezza,” rispose subito il venditore; il suo tono di voce era neutrale, ma i suoi occhi ammiccavano consapevoli.

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La taverna straripava di persone e il Principe Legolas sembrava del tutto intenzionato a rifiutare di entrarvi, ma poi si girò verso il volto entusiasta del suo Capitano e Kìli lo vide capitolare, rassegnato. Ebbe subito la netta impressione che tra loro ci fosse più che una mera cortesia professionale, specie da parte del Principe, e si sentì travolgere da una rabbia improvvisa e irrazionale; con un certo sforzo, si costrinse a sorridere.
“Il primo giro sta a me!” esclamò ammiccando mentre Balin roteava gli occhi impotente. Thorin aveva messo in chiaro che quella gita sarebbe stata responsabilità sua; e che razza di anfitrione sarebbe stato se non avesse mostrato ai suoi ospiti tutte le meraviglie del suo popolo, inclusa la loro birra?
Stringendo quattro tazze piene fino all’orlo, ne porse ciascuna ad ogni membro del gruppo e sollevò in alto la sua. “Al consolidamento di nuove amicizie e nuove alleanze,” disse vivacemente. Tenne gli occhi incollati in quelli di Tauriel mentre lei sollevava la sua tazza e ne beveva un piccolo sorso, le guance accese di un lieve rossore. Non gli sfuggì nemmeno il fatto che il Principe faceva guizzare lo sguardo ora su di lui ora su di lei, con occhi indagatori; ma non riuscì ad evitare che le sue labbra si stendessero in un sorriso compiaciuto, che cercò di mascherare bevendo una lunga sorsata di birra fresca.
“Principe Kìli!” chiamò una voce familiare ed Ori sbucò tra la folla, il viso acceso di entusiasmo fino a che non scorse i due Elfi che torreggiavano su tutti gli altri. Come avesse fatto a non notarli fino a quel momento era un vero mistero, ma del resto Ori era noto per essere uno che non faceva mai caso a ciò che aveva intorno; colpa del troppo tempo che trascorreva col naso ficcato tra vecchi tomi polverosi.
“Oh, ah...” balbettò, inchinandosi imbarazzato. “Altezza, mia, ehm... signora.”
Kìli lo strinse in un rude abbraccio e disse, “Cugino Ori, ti presento il Principe Legolas del Reame Boscoso e Lady Tauriel, Capitano delle Guardie Reali.”
“E’ – é un piacere,” rispose Ori, arrossendo.
Il Principe si limitò a un lieve cenno del capo, annusando acidamente la sua birra, ma Tauriel gli sorrise con gentilezza. “Piacere mio, Lord Ori” gli disse, facendolo arrossire ancora di più; era chiaro che anche Ori era rimasto alquanto colpito da lei.
“Allora, come va il tuo lavoro in biblioteca?” chiese Kili all’altro Nano con simpatia.
“O – oh, molto bene, molto bene davvero. Ma Nori ed io speravamo che tu suonassi per noi; a quanto pare il violinista della taverna si è dileguato.”
Stavolta toccò a Kìli arrossire. “Ah, uhm, non saprei Ori, stavo facendo fare al Principe Legolas il giro della città e...”
“Per favore,” intervenne il Principe fissandolo con una certa malizia, “sarei onorato di sentirti suonare, altezza.”
Kìli trattenne un’occhiataccia, leggendo la silenziosa sfida negli occhi del Principe, e con determinazione si dispose al compito. “Va bene, Ori,” disse con fermezza. “Suppongo tu abbia un violino a portata di mano?” Spinse la sua birra in direzione di Balin, che sembrava sempre più confuso, e seguì l’entusiasta cugino.
Un momento dopo, con un violino ben stretto in mano, balzava su uno dei tavoli in un boato di applausi: fece un profondo inchino a tutta la sala, indirizzò un occhiolino impertinente a Tauriel – senza curarsi minimamente dello sguardo iroso del Principe – ed esclamò: “Cantate con me se conoscete questa canzone, signore e signori!”
Cominciò a battere un piede per darsi il ritmo, che subito la gente fece suo mettendosi a battere le mani, e mise mano allo strumento intonando una complicata e vivace melodia; dopo solo pochi secondi l’intero locale fu scosso da voci di Nani che cantavano tutti insieme nella lingua corrente. Per tutto il tempo Kìli tenne gli occhi fissi in quelli di Tauriel, beandosi del calore del suo sorriso mentre lei batteva entusiasticamente le mani insieme agli altri e a quel punto avrebbero anche potuto essere rimasti i soli in tutta la taverna, perchè lui suonava solo per lei e lei aveva occhi soltanto per lui.

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La incontrò il pomeriggio seguente lungo i corridoi del palazzo, mentre si recava ad incontrare lo zio e il fratello; le sembrò in grave difficoltà.
“Tauriel!” esclamò, preoccupato. “Cosa c’è, non ti senti bene?”
Lei trasalì, evidentemente sorpresa di vederlo, e gli rivolse un’espressione di accurata freddezza che lui non le aveva mai visto in viso fin dalla prima volta che avevano parlato sui bastioni.
“Va tutto bene, maestà,” gli rispose seccamente distogliendo lo sguardo; Kìli aggrottò la fronte, sentendo che c’era qualcosa di terribilmente sbagliato in tutto ciò.
“Sicura che non ci sia niente che possa fare per –?”
“Tauriel,” disse in quel momento una voce severa; Kili si girò e vide il Principe Legolas che li fissava con un’espressione di muto rimprovero.
“Chiedo scusa, mio signore,” disse lei e un momento dopo era sparita, oltrepassando il suo Principe senza più voltarsi indietro.
Il Principe fissò Kìli per un lungo momento e un silenzioso ma fermo avvertimento si leggeva nei suoi occhi. Kìli sostenne il suo sguardo, anche se il cuore gli batteva forte di trepidazione. Un istante dopo il Principe lo lasciò senza dire un’altra parola; Kìli deglutì a vuoto, sperando inutilmente di sciogliere il groppo che gli serrava la gola.

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Da quel momento in poi Tauriel lo evitò: non venne più ad esercitarsi nel campo di tiro con l’arco e non lo guardava mai in viso se le circostanze la obbligavano a stare nella stessa stanza con lui. Il Principe Legolas pareva altamente soddisfatto e Kìli dovette combattere il desiderio di cancellargli quel ghigno dal bel viso a suon di pugni; era tutta opera sua, non aveva il minimo dubbio.
Più i giorni passavano e più l’indifferenza di lei lo rendeva scontroso e agitato con gli altri.
“Si può sapere che ti prende?” gli chiese Fìli una mattina a colazione, dopo che Kìli aveva aspramente ripreso una delle cameriere che aveva lasciato cadere una forchetta.
“Nulla,” rispose truce il fratello distogliendo lo sguardo.
“Sono tre giorni che sei nervoso come un maiale in trappola; che ti succede? Dwalin ti sta di nuovo col fiato sul –?”
“Lascia perdere, Fì,” sibilò Kìli alzandosi da tavola; improvvisamente non aveva più fame.
Ma Fìli lo bloccò prendendolo per un braccio e costringendolo a guardarlo in faccia. “Se è per l’Elfa, allora sei tu che dovresti lasciar perdere, Kì. So che non te ne sei accorto ma i negoziati con loro sono molto tesi, e l’ultima cosa di cui abbiamo bisogno è –”
Kìli si liberò con uno strattone furibondo. “Ti ho detto di lasciar perdere, Fì. Non sono affari tuoi, accidenti!”
Fìli assunse un’espressione profondamente ferita, ma Kìli si voltò e lasciò la stanza a grandi passi; aveva bisogno di schiarirsi le idee.
Il fato volle che trovasse Tauriel di nuovo sui bastioni: teneva gli occhi chiusi e offriva il viso al tardivo vento d’autunno, che le faceva sventolare i capelli come una bandiera. Kìli sentì che il cuore gli batteva forte e che lo stomaco si metteva a fare le capriole, come sempre gli accadeva in sua presenza, ma si fece coraggio e si avvicinò a lei, raddrizzando le spalle e intenzionato ad avere risposte.
“Mi stai evitando,” esordì; lei si girò sorpresa, per poi voltarsi di nuovo dall’altra parte quando vide che era lui.
“Certo che no, sono solo molto occupata...”
“Per Mahal, non mi guardi nemmeno in faccia!” sbottò lui, i pugni stretti lungo i fianchi. Sapeva che non si stava comportando in modo razionale, ma l’indifferenza di lei e lo scherno del Principe avevano smosso qualcosa di stranamente simile alla gelosia in lui.
Ella gli lanciò un’occhiata fulminante. “E perchè mai dovrei guardarti? Cosa sono io se non un umile Elfo al servizio del suo Re? Non sono niente per te...”
Niente?” la interruppe Kìli, incredulo. “Come puoi pensare questo di te stessa?”
Il cipiglio di lei si approfondì e si mosse per allontanarsi. “Non prenderti gioco di me,” sibilò con voce tremante di sdegno.
Kìli le andò dietro – la sua incoscienza innata ebbe il sopravvento – e le sbarrò la strada; rimase sconvolto nel vedere che aveva gli occhi pieni di lacrime.
“Perdonami, Tauriel, non intendevo offenderti,” sussurrò; la sua rabbia era già scemata e le prese le mani senza pensarci, stringendo le dita intorno alle sue. Era come se qualcuno avesse instillato una fiammella tra loro che, adesso che erano di nuovo insieme, ruggiva a vita nuova più forte di prima; ella rabbrividì, mentre le pupille le si dilatavano significativamente.
“Come puoi credere di non essere niente per me, o per chiunque altro?” le chiese ancora lui seriamente, avvicinandosi di un passo a lei.
Ella trasse un respiro tremante. “Tutto questo è folle, Kìli. Quel che c’è tra noi...”
“Beh, sai cosa si dice dei Nani," sorrise Kìli. "Sono dei veri testoni e non hanno neppure un briciolo di buon senso.”
“E’ davvero questo che si dice?” chiese lei, sollevando un sopracciglio.
Lui si strinse nelle spalle, accarezzandole i palmi con i pollici. “Uhm... magari lo dicono di un solo Nano in particolare.”
Tauriel gli sorrise, un piccolo sorriso che stavolta le raggiunse anche gli occhi e sciolse un pò della tensione in lei. “Mi domando chi possa essere.”
Kìli fece un altro passo verso di lei, guidandola in una rientranza ombreggiata dalla montagna sovrastante. “Ah, non ne ho la più pallida idea.”
“Kìli,” sussurrò lei; paura, incertezza e desiderio si leggevano nel suo sguardo mentre lui stendeva una mano e le sistemava una ciocca di capelli dietro un orecchio, poggiandogliela poi sulla guancia; lei chiuse gli occhi e, con un sospiro tremante, premette il viso sul suo palmo.
“Mia madre dice che sono spericolato,” mormorò lui, avvicinandosi ulteriormente e avvertendo il profumo di lei, un sentore dolce come di brezza ed erba che gli mandò un fiotto di calore all’inguine.
Lei tenne gli occhi chiusi. “E lo sei?”
Lui immerse le dita tra i suoi capelli, saggiandone la morbidezza e inclinando il viso di lei verso il suo. “Nah,” sussurrò, un attimo prima di alzarsi in punta di piedi e catturare le sue labbra con le proprie, soffocando il suo lieve gemito di sorpresa.
Aveva già baciato diverse damigelle in vita sua, ma quelle erano conquiste del tutto insignificanti a paragone di quel bacio. Il sangue gli cantava nelle orecchie e il mondo tutt’intorno non esisteva più. Era come se non fosse mai vissuto fino a quel momento, un pensiero che sarebbe stato terrificante se quell’istante non fosse stato così tremendamente meraviglioso; era come rinascere.
Lei era esitante, dolce, insicura mentre lui continuava a baciarla; ma le sue dita lo raggiunsero e trovarono il suo viso e i suoi capelli fermandosi poi sulla barba, come affascinate da quella rude consistenza. Kìli premette gentilmente la lingua sulle sue labbra, che tremarono un pò prima di schiudersi e accoglierla al loro interno; subito egli reclamò la lingua di lei, le sue mani salirono ad accarezzarle le orecchie strappandole un gemito di piacere dalla gola che lo fece quasi ringhiare di desiderio.
Fu lei la prima a scostarsi e appoggiò la fronte alla sua; entrambi respiravano affannosamente. “Non dovremmo,” sussurrò con voce poco convincente.
“Sì, dovremmo” le rispose lui, baciandola ancora.

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“Non posso restare a lungo,” bisbigliò lei sedendoglisi accanto mentre il sole tramontava nel cielo, ammorbidendo i suoi lineamenti e facendole brillare gli occhi. Lui stese una mano e tracciò con le dita la strada che una ciocca di capelli si faceva lungo il suo collo e la clavicola, godendo del modo in cui il suo tocco la fece rabbrividire. Solo dopo il pasto serale era riuscito a venire via inosservato.
“Lo so,” mormorò, tracciando poi con le labbra il percorso fatto dalle dita. Lei gemette dolcemente in risposta e gli infilò le dita tra i capelli, tirandolo piano verso di lei. Certo che fosse opportunamente distratta, Kìli le fece scivolare la collana intorno al collo chiudendola poi con un rapido movimento prima che lei potesse reagire. Aveva trascorso nottate intere ad esercitarsi a farlo nella sua stanza; non che l’avrebbe mai ammesso con nessuno.
Si fece indietro soddisfatto di sè, mentre lei toccava le sottili maglie fissandolo con occhi sbarrati. “Kìli, non posso –”
“E’ un dono,” la interruppe, sorridendo e arrossendo come un ragazzino alla sua prima cotta.
Tauriel scosse la testa e fece per togliersela. “Ma è troppo bella...”
Lui le fermò le mani con gentilezza e le baciò le nocche. “Non c'è dono che lo sia abbastanza.”
La bocca di lei si sollevò rassegnata agli angoli. “Non c’è nulla che possa dire per farti cambiare idea, vero?”
Lui le rivolse un largo sorriso e poi fece scorrere le dita lungo le finissime maglie del gioiello, pericolosamente vicine al rigonfiamento dei suoi seni sopra lo scollo della tunica. “Non una singola parola.”
“Nano testone,” lo accusò lei, anche se già inclinava la testa verso il basso e le sue dita strisciavano con bramosia lungo la sua mandibola.
“Elfa ostinata,” rispose lui catturando delicatamente il suo labbro inferiore tra i denti, beandosi del gemito di piacere che ottenne in risposta.

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“Morirono quando ero ancora molto giovane,” sussurrò lei dopo un lungo silenzio mentre le fiamme delle torce si abbassavano, gettando lunghe ombre sul corridoio deserto; grazie ad anni di pratica nell’elusione delle proprie responsabilità, Kìli conosceva più di un posto in cui potevano restare soli.
Le prese una mano e la strinse forte; il suo cuore era colmo di pena per lei. “Come?” la incoraggiò, sentendo che, malgrado l’apparente riluttanza, era un argomento che ella desiderava condividere con lui.
Tauriel fece un respiro profondo e chinò la testa, lasciando che i capelli le nascondessero un pò il viso. “Un’imboscata di orchi, mentre tornavano da una battuta di caccia.”
Kìli deglutì e le strinse la mano ancora di più.
“Io... beh, oramai li ricordo a malapena, ma ho... perso qualcosa quel giorno,” continuò lei, alzando infine la testa e rivelando le lacrime che le brillavano negli occhi. “Era come se stessi svanendo. È stato il Re a riportarmi indietro, mi ha presa con sè, mi ha dato una sorta di nuova vita.” La sua voce aveva acquisito una sfumatura amara ed ella scosse il capo. “Mi ha trasformata in un’arma da puntare in qualsiasi direzione egli veda un pericolo. E per lungo, lungo tempo ho dimenticato cosa voglia dire... provare un’emozione qualunque. Mi convincevo che non ne avevo bisogno, che la compassione e la gentilezza fossero debolezze da sopprimere ad ogni costo.”
Si girò verso di lui e il suo sorriso triste si tramutò in uno pieno di profonda gratitudine. “Tu mi ricordi ciò che ho perso quel giorno di tanto tempo fa. Mi ricordi cosa vuol dire provare passione e gioia e... e qualunque cosa ci sia tra noi, Kìli, io te ne sarò per sempre grata.”
“Tauriel,” sussurrò lui, asciugandole una lacrima dalla guancia. “Sei tu che mi dai uno scopo, una via da seguire. Non avevo mai provato nulla di simile prima d’ora in tutta la mia vita. Io... T – tu...”
“Shh,” lo interruppe lei mettendogli un dito sulle labbra, il suo sguardo di nuovo triste e impenetrabile. “Va bene così. Potrebbe essere tutto ciò che avremo mai.”
Lui si tirò la sua testa sul petto con un cupo ringhio e la baciò a lungo sulla fronte. “Giuro che non lo sarà,” bisbigliò con veemenza, stringendola forte. “Lo giuro.”

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“Gli altri non la vedranno?” chiese Tauriel; la sua voce era dolce, ma il tono era difficile da decifrare. Kìli non poteva vederla in viso poichè gli dava le spalle, ma sospettava fosse accigliata. Le passò una mano sul braccio in una rilassante carezza e le baciò la parte esposta del collo, strappandole un lieve sospiro.
“Hai così tanti capelli,” mormorò, un pò in risposta e un pò in un’adorante constatazione. “Te la farò molto piccola, così potrai nasconderla facilmente nel mezzo” ragionò, il cuore che gli batteva all’impazzata in petto. Fin dal primo momento in cui l’aveva incontrata il mondo sembrava essere divenuto tutto una sfocatura e gli eventi gli scorrevano intorno senza che lui quasi se ne accorgesse.
Che Mahal lo aiutasse, la desiderava così tanto che era diventata una sofferenza fisica. Voleva rimuovere lentamente tutti gli strati del suo vestiario così come quelli del suo cuore fino a che non fossero stati entrambi nudi e vulnerabili l’uno di fronte all’altra, con nient’altro che luce e musica tra essi; voleva catturare il suono della sua risata e tenerlo con sè per sempre; voleva continuare a vedere il suo sorriso per tutti i giorni della sua vita e vederla arrossire alle sue battute audaci fino al momento della sua morte; voleva tenerla per mano e non lasciarla andare mai più.
“Se ne sei certo...” mormorò lei, la paura che le faceva tremare la voce.
“Lo sono,” rispose subito lui con fermezza, cercando di non pensare al significato di ciò che le sue parole comportavano e alla promessa impossibile che si stavano scambiando.
Con mani leggermente tremanti intrecciò con attenzione una treccia sottile alla base del collo di lei; era più piccola di come avrebbe voluto la tradizione, ma era lo stile che contava – un’altra delle cose su cui aveva fatto pratica a lungo nella solitudine della sua stanza. Nel silenzio più totale la fermò con un semplice filo d’argento, profondamente rammaricato dal non potervi apporre un gioiello ben più vistoso. Un giorno, un giorno, si disse.
“Ecco,” esalò mentre un emozione potente e improvvisa gli serrava la gola, e fece scivolare la treccia tra le dita lasciandola fondersi con il resto della massa fiammeggiante. “Fatto.”
“Questa è follia,” sussurrò lei, voltandosi a guardarlo con occhi in cui si leggevano tutta la sua paura e le sue speranze.
“Sì,” concordò lui, poggiando la fronte alla sua. La baciò lentamente e a lungo; poi le mostrò come intrecciare la loro segreta promessa nei propri capelli, continuando a ripetersi che sarebbe andato tutto bene.
Doveva andare tutto bene. Perchè ormai non era più certo di poter vivere senza di lei.
 
  
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