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Autore: ValeryJackson    13/01/2015    9 recensioni
[Seguito de Il Morbo di Atlantide]
Non si trasforma la propria vita senza trasformare se stessi.
Questo, Skyler, l'ha imparato a sue spese.
Per lei è ancora difficile far coesistere la sua natura mortale con quella divina, e superare quella sottile barriera che le separa, dal suo punto di vista, è una missione impossibile.
L'unico modo per scoprire come fare è forse quello di passare l'intera estate al Campo Mezzosangue, insieme ai suoi amici, insieme alla sua famiglia. Ma se fosse proprio lì il problema?
Se lei non fosse mai venuta a conoscenza della sua vera natura, ora sarebbe tutto più facile, no?
E' cambiata, e di questo ne è consapevole. Ma in meglio o in peggio? E di chi è la colpa? Sua, o di tutto ciò che la circonda? E' possibile tornare ad essere quella di un tempo senza però rinunciare a ciò che ha adesso?
Attraverso amori, amicizie, liti, incomprensioni, gelosie, nuovi arrivi e promesse da mantenere, Skyler dovrà decidere quale lato della sua anima sia quello dominante. Ma soprattutto, di chi fidarsi nel momento in cui tutto sembra sul punto di sfaldarsi.
Ma sei proprio sicuro che siano tutti ciò che dicono di essere?
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Connor Stoll, Leo Valdez, Nuovo personaggio, Percy Jackson, Quasi tutti, Sorpresa, Travis & Connor Stoll
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The Girl On Fire'
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Quando Skyler si era offerta volontaria per compiere quell’impresa, mai si sarebbe immaginata che sarebbe stato così difficile trovare l’isola.
Come promesso, la mattina in cui erano partiti Percy aveva consegnato ai semidei tre dei pegasi più affidabili del Campo. Tra loro, c’era anche Blackjack.
Il figlio di Poseidone aveva assicurato che nessuno come il nero stallone sarebbe stato in grado di portarli alla meta, affermando poi che lui stesso non avrebbe affidato la sua vita nelle mani –o meglio, zoccoli- di qualcun altro.
I ragazzi erano grati di tutto l’appoggio e la fiducia che come lui molti altri gli stavano dando.
Si erano preparati davvero meticolosamente per quella missione.
Oltre alle loro armi, avevano portato con sé anche tre zaini, che avevano riempito con tutto ciò che sarebbe stato necessario.
Con l’aiuto di Chirone, John aveva trasformato il suo in una sorta di kit di pronto soccorso: flaconi di alcool, cerotti, lacci emostatici, garze, abrosia e antidolorifici erano solo alcuni degli oggetti che li avrebbero aiutati a guarire da qualunque ferita avrebbe potuto infiggergli quel posto sconosciuto.
Al contrario, Skyler ed Emma avevano farcito i loro con quante più provviste riuscivano ad ottenere. Fidarsi del luogo in cui stavano andando sarebbe stato un lusso che non avevano intenzione di prendersi, e nonostante fossero molto determinati, non avevano idea di quanto tempo avrebbero impiegato per trovare la pietra che li avrebbe aiutati a salvare Michael.
Meglio essere prudenti, in ogni caso.
In attesa della partenza, la figlia di Efesto non aveva chiuso occhio neanche per un secondo. Continuava a girarsi e rigirarsi tra le coperte, stringendo nei pugni le lenzuola mentre non riusciva a non domandarsi a che cosa esattamente stesse andando incontro.
L’ignoto non era mai stato uno dei suoi compagni preferiti, e con le parole della profezia che graffianti continuavano a vorticarle nella scatola cranica non era certo facile augurarsi il meglio.
E lì il fuoco, con coraggio, il suo destino dovrà affrontare.
Era questo il verso che la spaventava di più. Sapeva benissimo che si riferiva a lei e al fatto che avrebbe dovuto fronteggiare il proprietario di quell’orrida voce. Ciò che non capiva, però, è quale fosse il suo vero destino.
Concedersi a quell’essere, chiunque esso fosse?
Voleva che lei diventasse sua, giusto? Ma Skyler avrebbe dovuto davvero arrendersi senza lottare?
Se avessee provato a contrastarlo, avrebbe messo in pericolo la vita di Michael?
Che ne sarebbe stato di lei?
Che ne sarebbe stato dei suoi amici?
Non poteva fare a meno di ricordare che l’Oracolo aveva previsto ben due morti, su quell’isola. Percy diceva sempre che le profezie hanno spesso una doppia faccia, ma la ragazza non riusciva a capire come le frasi morte nel baratro e la vita perderà potessero essere interpretate diversamente.
Se c’era davvero un modo per eludere quelle parole, allora qual era?
Come poteva pretendere di salvare John ed Emma, se non era neanche in grado di proteggere sé stessa?
Fu quel pensiero a costringerla ad alzarsi dal letto, scansando via le coperte con un grido di frustrazione.
Forse Percy aveva ragione, forse loro tre non erano pronti per una missione del genere. Eppure le bastava pensare a tutte le torture che quella voce stava infliggendo a Michael per sentire una nuova scarica di adrenalina percorrerle come un lampo tutto il corpo.
Lei non si sarebbe arresa così facilmente. Avrebbe trovato quella pietra, e avrebbe salvato il figlio di Poseidone.
Era questo ciò che si ripeteva mentre con tono deciso tirava fuori i suoi anfibi dall’armadio.
Per anni, quel paio di scarpe l’avevano sempre aiutata a sentirsi sé stessa. Aveva bisogno di tutta la forza alla quale poteva attingere per superare quell’ennesima prova, e niente come il suo passato avrebbe potuto ricordarle chi fosse la vera Skyler.
«Dimostra al mondo cosa sei in grado di fare» le aveva intimato Leo. E mai come in quel momento la ragazza era pronta a farsi valere.
Tutta la sua sicurezza, però, l’aveva abbandonata quando con i pegasi avevano raggiunto l’Oceano Pacifico.
In sella a Blackjack, Skyler si sforzava di scorgere qualcosa oltre l’orizzonte, riuscendo ad osservare nient’altro che acqua.
Qualunque forma di vita, lì, sembrava impensabile; e dopo aver cavalcato per quasi quarantotto ore, i ragazzi sembravano esausti.
«È ridicolo» aveva sbottato Emma ad un certo punto, attirando l’attenzione dei due.
«Cosa, esattamente?» aveva chiesto John.
«Tutto questo!» La figlia di Ermes aveva scosso il capo, spazientita. «Vi rendete conto che stiamo inseguendo una leggenda, vero?» Gli amici non avevano risposto, al ché lei aveva sbuffato. «E se avesse ragione Chirone?» aveva domandato poi, corrucciando le sopracciglia. «E se quest’isola non esistesse? Allora staremmo solo perdendo tempo.»
«Siamo molto vicini» aveva quindi ribattuto Skyler, lo sguardo fisso in un punto indefinito dell’orizzonte.
«E tu come fai a saperlo?»
«Riesco a sentirla.»
Ed era vero. La figlia di Efesto percepiva una sorta di elettricità statica vibrare intorno a sé. Quel posto era pregno di un segreto che irradiava energia, e nonostante non fosse in grado di vederlo, la mora sapeva che c’era qualcosa di fronte a loro.
Doveva solo essere abbastanza paziente da sperare che lei si mostrasse. Chirone aveva detto che sarebbe stata l’isola a trovare loro, e anche se Skyler non aveva idea di che cosa questo volesse significare, era convinta che, in un modo o nell’altro, ciò sarebbe successo.
Forse l’isola avrebbe avvertito la sua voglia di salvare Michael, o magari semplicemente si sarebbe trattata di fortuna, e i ragazzi vi si sarebbero imbattuti nel momento esatto in cui avrebbero smesso di cercarla.
A distoglierla bruscamente dai suoi pensieri fu il nitrito sommesso di Blackjack, che sembrava inquieto mentre rallentava la propria cavalcata.
«Ehi» gli sussurrò lei, osservando il pegaso scrollare il muso quasi volesse allontanare un fastidioso insetto. «Che succede?»
In risposta, il cavallo nitrì ancora, stavolta dando sfogo a tutta la potenza delle proprie corde vocali.
Un lampo squarciò il celo, illuminando il tutto per un breve istante. Skyler non ricordava l'arrivo delle nuvole nere che in quel momento annunciavano l’imminente arrivo di un temporale. Era come se fossero apparse dal nulla, ma la ragazza smise di chiedersi se fosse tutta opera di Zeus nell’istante stesso in cui il suo pegaso si impennò, rischiando di disarcionarla.
«Blackjack! Ma che fai?» protestò lei, tentando disperatamente di restare aggrappata alla sua folta criniera. Ma l’animale sembrò non ascoltarla più. Prese ad agitarsi, e mentre le sue grida imbizzarrite fendevano l’aria, per la figlia di Efesto diventava sempre più difficile tenere salda la presa.
Prima che potesse rendersene conto, una fredda pioggia cominciò a scrosciare dal cielo, abbattendosi sui tre semidei con così tanta forza che ogni goccia aveva la stessa efficacia di uno spillo premuto contro la loro pelle.
«Ma che succede?» urlò Emma, ma le sue parole si persero nel vento, che vorticando irruento intorno a loro richiamava a sé ogni trambusto di quell’improvviso uragano.
Sembrava tutto così irreale che Skyler non riusciva a capacitarsi della velocità con il quale il tempo era cambiato. Con gli occhi stretti a due fessure, cercò di vedere al di là della coltre di oscurità che inglobava ogni cosa avesse la sfortuna di trovarsi sul suo cammino.
«Blackjack, calmati!» intimò al proprio destriero, poco prima che lui si impennasse di nuovo, scalciando contro un nemico inesistente. «È solo un temporale!»
Ma nel momento stesso in cui lo disse, non ci credette neanche lei. C’era qualcosa di insolito, in quella pioggia; qualcosa che non si limitava ad infradiciarle i vestiti e a tagliare di netto lo spazio sopra la sua testa con luminose saette.
Tutti e tre i pegasi sembravano essere usciti di senno, quasi non fossero più gli artefici delle loro azioni, o peggio, come se fossero sottoposti ad una tale tortura che annebbiava loro la ragione.
Quando un ennesimo lampo fendette le tenebre, i tre cavalli si inalberarono con uno scatto così brusco che colse di sorpresa i semidei, gettandoli giù d’arcione.
Con un grido, Skyler si ritrovò a precipitare finché il buio non la inghiottì. L’impatto con l’acqua fu talmente cruento che la schiena della ragazza si inarcò in modo innaturale. La pressione sembrò schiacciarla con la sua mole incombente. Non era possibile scorgere nulla, attraverso quella pece che era diventato il mare, e mentre il suo corpo diventava sempre più pesante e raggiungeva il fondo, Skyler si chiese se sarebbe davvero finita così.
Fu solamente la sua fame d’ossigeno a darle la forza di reagire, e con i polmoni che imploravano aria fino a bruciare, la figlia di Efesto nuotò verso la superficie.
Non appena riemerse dal pelo dell’acqua, ispirò voracemente, boccheggiando con fare disperato. Prima che potesse regolarizzare il respiro, una nuova onda la investì, costringendola ad una forzata apnea finché lei non riuscì a tornare a galla.
«Skyler!» gridò qualcuno, e solo quando ebbe smesso di ansimare la ragazza riconobbe la figura sfocata di John nuotare verso di lei. Gli andò incontro, ingurgitando involontariamente quell’acqua salmastra.
Quando fu abbastanza vicino, il ragazzo le prese una mano, attirandola a sé con un gesto repentino. «Dov’è Emma?» le chiese poi, con il fiato grosso, ma Skyler era così impegnata a tossire da non riuscire a trovare la forza per rispondere. Il figlio di Apollo si guardò intorno, disperato.
A circa un metro da loro, una testa bionda affiorò dalle onde. Emma prese fiato così bruscamente che i suoi polmoni lo rigettarono indietro, sconquassandole il petto con una graffiante tosse.
I due amici si precipitarono verso la bionda, e poco prima che lei rischiasse di essere travolta da un impetuoso cavallone, John le strinse i fianchi con un braccio, aiutandola a restare a galla.
«Sono qui» la rassicurò, mentre lei ansava nel disperato tentativo di inghiottire aria. «Sono qui.» La figlia di Ermes si aggrappò alla sua spalla, soffocando un conato di vomito.
«Fate attenzione!» gridò Skyler, e subito dopo un’ulteriore onda li investì, schiaffeggiandoli con la sua aggressività.
«Dobbiamo uscire da questo temporale!» urlò John, faticando a sovrastare il frastuono dei tuoni con la propria voce.
«Guardate lì» intimò allora Emma, indicando con mano tremante qualcosa poco distante. Seguendo con lo sguardo la direzione da lei indicata, in un primo momento i due ragazzi faticarono a scorgere qualcosa oltre la pioggia. «Sono i resti di una barca» gracchiò la figlia di Ermes.
Cosa ci facessero le carcasse di una scialuppa nel bel mezzo dell’Oceano Pacifico, Skyler non riuscì a chiederselo. L’unico pensiero che il suo cervello era in grado di formulare era la necessità di abbandonare le viscere di quella tempesta, mentre continuava ad ingerire sempre più acqua salata che andava a rimpinguarle la trachea.
Si mossero con fatica verso le marce assi di legno che trasportate dal vento vorticavano accanto a loro senza una logica ben precisa, disegnando macabri archi nel cielo d’inchiostro.
La figlia di Efesto, che nuotava a stento dietro i suoi amici, gravava a tenere il passo quando ogni volta che avanzava di un metro il mare la spingeva con violenza indietro di altri due.
E fece appena in tempo ad intravedere un’Emma distrutta arrampicarsi su una tavola di rovere, che qualcosa le agguantò le gambe, trascinandola repentinamente verso il fondo.
Il breve respiro che la ragazza era riuscita a contenere poco prima di riscoprirsi di nuovo sott’acqua non sarebbe mai stato sufficiente a sfamare i suoi polmoni per un periodo di lunga durata.
Sgranando gli occhi con un muto terrore a serrarle la gola, Skyler agitò gli arti, nel disperato tentativo di tornare indietro.
Qualcosa di viscido e squamoso si strinse attorno alle sue braccia, avvinghiandovisi così saldamente da renderle meno fluida la circolazione del sangue. La stessa sorte ebbero il suo busto, i suoi fianchi ed infine le sue gambe, finché la ragazza non si ritrovò l’intero corpo imprigionato da mucillaginosi tentacoli.
Non agitarti troppo, semidea, sussurrò melliflua una voce sopra di lei, anche sé, Skyler avrebbe potuto giurarlo, questa sembrava raschiare direttamente le pareti della sua scatola cranica.
O la tua morte sarà meno indolore.
Un lampo evanescente guizzò attraverso l’oscurità, per poi prendere a lampeggiare, rossastro e luminescente.
La figlia di Efesto chiuse le palpebre a due fessure, avendo difficoltà ad identificare qualsiasi cosa attraverso il panno che l’acqua salmastra bruciava sulla sua retina.
Le sinuose linee di una figura femminile divennero più nitide solo nel momento in cui quello scintillio purpureo brillò senza interruzioni, e per poco la ragazza non rischiò di rigettare tutta l’aria che con fatica tratteneva a causa di un grido.
A stagliarsi sopra di lei, con i suoi lineamenti delicati e la pelle olivastra, vi era la creatura più regale e al contempo terrificante che la figlia di Efesto avesse mai osservato.
Aveva l’aspetto di una donna, con due occhi neri come la pece e i capelli che fluttuando attorno al suo volto risplendevano di luce propria. Ma era guardando in basso che ti rendevi conto di non trovarti affatto di fronte ad un essere umano. All’altezza delle costole, aveva una serie di branchie che si aprivano e chiudevano in sincrono con il suo famelico respiro. Aveva le mani palmate, seppur entrambe con cinque dita. Ma soprattutto, al posto delle gambe, quasi fossero un prolungamento del suo stesso busto, vi erano ben otto crostosi tentacoli, simili in tutto e per tutto a quelli di una piovra.
Identificarla non sarebbe stato facile, se non appena quel mostro le avesse sussurrato un complimento, Skyler non avesse avvertito l’impulso di espirare tutto il fiato che aveva nei polmoni.
Ricordava un vecchio mito che le avevano raccontato al Campo, e che riguardava proprio le Sirene. Certo, a sentirne parlare la figlia di Efesto non si sarebbe mai aspettata un simile aspetto da parte loro.
Con i loro canti e le loro lodi erano da millenni in grado di ammaliare chiunque navigasse al di sopra delle loro acque, eppure la ragazza si chiese come fosse possibile farsi ammaliare da una creatura così… mostruosa.
Resta con noi, piccola semidea, le intimò la sirena, pur non muovendo le labbra stese in un sinistro sorriso. Ti daremo tutto ciò che vuoi.
La mora si domandò perché quel mostro tentacolare parlasse al plurale, finché non percepì ulteriori ventose attaccarsi ai pori della sua pelle quasi fossero intenzionate a non lasciarla andare più. Skyler capì di essere stata raggiunta da altri due esemplari di quella subacquea specie solo quando avvertì i loro piccoli nasi scivolare languidi giù per il suo collo, inspirando a fondo il suo profumo.
Noi ti daremo la pace eterna, continuò la stessa creatura, accarezzandole il viso con un dito rugoso. Non è forse questo che vuoi?
La ragazza strizzò con forza di occhi, scuotendo con veemenza il capo come se bastasse quel gesto a scacciar via il torpore che lentamente stava prevalendo sulla sua lucidità.
Non opporti a noi, mia cara.
La sirena dai capelli rossi fece strisciare uno dei suoi tentacoli lungo il suo corpo, fino ad avvolgerlo con voluta calma attorno alla sua gola.
Non sei in grado di resistere alle nostre parole.
Skyler tentò di divincolarsi, ottenendo come unico risultato una stretta più incisiva da parte dei tre mostri.
Quello sopra di lei ghignò divertita, scoprendo una serie di aguzzi denti giallastri. Le passò l’indice sulle labbra, tentando di aprirgliele nonostante le sue proteste.
Perché opponi tanta resistenza, semidea? Ormai non c’è più niente da fare.
E per quanto la figlia di Efesto potesse stringere la bocca in una linea sottile, non riusciva più a controllare l’inaspettata voglia di ingerire nuovamente aria.
Resta con noi, mia cara, la invitò la sirena, e il suo tono fu così persuasivo che i lineamenti tesi di Skyler all’improvviso di rilassarono, e a sostituire la sua forzata rigidità vi fu soltanto un impellente bisogno di riposare.
Resta per sempre.
Le labbra della ragazza si schiusero piano, la mente ormai troppo offuscata dal potere del mostro, per permettersi di ragionare. Stava per abbandonarsi alla cullante presa di quei numerosi tentacoli, decisa a dare ascolto ai suggerimenti di quella creatura.
Ma nel momento stesso in cui il suo petto ebbe un fremito, vide una scintilla incendiarsi pochi metri sopra di lei.
Un cuspide appuntito si infilò nel petto della rutile sirena, e un grido di dolore riecheggiò tra le pareti della scatola cranica della figlia di Efesto. Il suo corpo si dissolse in una perlacea nebbia schiumosa, e solo quando questa fu evaporata del tutto, Skyler riuscì a distinguere la figura atletica di John correre in suo soccorso.
Bastò una semplice occhiata alle sue iridi chiare per far sì che il desiderio di arrendersi l’abbandonasse.
Il figlio di Apollo incastrò la freccia che stringeva nel pugno nel volto del mostro alla destra della ragazza.
Questa si vaporizzò, e la mora approfittò del momento di distrazione dell’ultima rimasta per poter sguainare la propria spada ed trapassarla da parte a parte.
John le passò rapidamente un braccio sotto i seni, aiutandola a nuotare verso l’alto con tutta la velocità che era loro concessa.
I due ragazzi emersero frenetici dal pelo dell’acqua, e i polmoni di Skyler non inghiottivano aria da così tanto tempo che la voracità con cui lo fecero le costò un notevole bruciore all'altezza dello sterno.
«John!» sentì chiamare poco lontano, non appena i suoi timpani furono di nuovo in grado di riconoscere i suoni. «Prendi la mia mano!»
Il ragazzo la trascinò di peso verso quella che solo dopo la mora capì essere Emma, e la issò su una malconcia asse di legno poco prima che la ragazza ingerisse altro mare nel tentativo di vomitare.
«Skyler, riesci a sentirmi?» le domandò apprensivo, mentre lei, stesa supina, faticava sempre di più a tenere gli occhi aperti.
Le afferrò il volto con una mano, costringendola a guardarlo, e lei, troppo stanca per rispondere, annuì.
«Sono riuscita a recuperare questo dal mio zaino» annunciò quindi la figlia di Ermes, mostrando un intricato marchingegno grande poco più del suo palmo.
Skyler glielo strappò di mano, squadrandola con la fronte aggrottata.
«Che cos’è?» si informò John, che nel frattempo ansimava, alternando grandi respiri al fine di recuperare il fiato perduto.
«Non ne ho idea!» ribatté Emma, con voce incrinata. «L’ho rubato ai tuoi fratelli» aggiunse poi, rivolta all’amica.
Il figlio di Apollo guardò la mora, inarcando le sopracciglia speranzoso. «Pensi che possa aiutarci?»
E, nonostante le circostanze, la figlia di Efesto abbozzò un sorriso sghembo, in un verso di scherno. «Per la prima volta da quando ho memoria, sento di amare le tue manie cleptomani» disse ad Emma, mentre percepiva gli ingranaggi di quel meccanico affare attivarsi al solo contatto con i suoi polpastrelli.
«Tenetevi forte» intimò poi, al ché i due amici si aggrapparono all’asse di legno con quanta più forza riuscirono a racimolare.
Skyler fece alcuni scattanti movimenti con le dita, finché non fu sicura che l’arnese che stringeva tra le mani fosse pronto ad attivarsi.
Poi lo immerse in acqua, un po’ titubante, e la loro scialuppa di fortuna svettò come un lampo sul pelo del mare.
 
Ω Ω Ω
 
Non appena riaprì gli occhi, a Skyler ci volle circa un minuto per capire che la cocente sabbia dorata sulla quale era distesa prona non apparteneva alle viscere degli Inferi.
Con le palpebre semichiuse, tentò di concentrarsi sul ritmo irregolare dei suoi affaticati respiri, ignorando lo sterno che bruciava come sei polmoni fossero appena stati sfregati con la cartavetro.
Sospirò, maledicendosi per la propria stupidità non appena quel semplice gesto le provocò una sconquassante tosse, che raschiava contro le sue corde vocali ormai secche, siccome prive di acqua potabile da fin troppo tempo.
Sfregò la guancia contro la ruvida rena, emettendo uno strozzato grugnito che sarebbe suonato come un lamento, se avesse avuto la forza necessaria per emettere un qualche tipo di suono.
Dopo di ché voltò il capo, chiedendosi che fine avessero fatto i suoi amici.
John era disteso a neanche un metro di distanza da lei, in posizione supina. Aveva gli occhi chiusi, il viso e le braccia con qualche graffio e i capelli biondi incrostati di sabbia.
La figlia di Efesto allungò una mano tremante ad afferrare la sua, quasi desiderasse sapere se respirasse ancora ma non avesse il coraggio di domandarglielo, troppo timorosa della risposta.
Quando, però, le sue dita si intrecciarono a quelle del ragazzo, quest’ultimo ricambiò la sua stretta, esalando un tremulo respiro. Mentre Skyler si lasciava sfuggire un sospiro di sollievo, il figlio di Apollo schiuse le palpebre, per poi richiuderle subito dopo, accecato dalla luce pungente del sole.
«Emma» gracchiò, ma la sua voce fuoriuscì a poco più di un sussurro.
Quasi in replica alla sua richiesta, qualcuno brontolò qualcosa di incomprensibile ai loro piedi, e bastò quel semplice gemito ad identificare un’Emma piuttosto provata.
A dispetto della situazione nella quale si trovavano, sia Skyler che John si concessero una risata rincuorata, e lui si portò la mano della mora accanto al volto, posandole le labbra sul dorso.
«Siamo vivi» mormorò tra sé e sé, e c’era una sorta di incredulità, nel suo tono. «Siamo vivi.»
La figlia di Efesto espirò a fondo, rendendosi conto solo in quel momento di aver trattenuto il fiato. Fece perno sugli avambracci, e racimolando tutta quella poca energia che le era rimasta si sforzò di tirarsi in piedi, mentre ogni tentativo di deglutire per inumidirsi l’arida gola sembrava vano.
Non appena sollevò il capo, fu costretta a stringere gli occhi, al fine di frenare le violente vertigini che le davano la nausea. Ma poco dopo le fu più facile mettere a fuoco tutto ciò che la circondava, che non consisteva in altro che una sorta di oasi tropicale, con una spiaggia dorata, un clima troppo caldo ed una folta vegetazione.
Eppure, percepiva qualcosa di diverso. La sensazione che ogni cosa, in quella baia, stesse lottando contro la sua forza di volontà, irradiandole contro flussi di energia per far sì che la ragazza tornasse indietro.
Magia, pensò affascinata, e solo allora capì quello che poteva significare.
«Ragazzi» disse con un filo di voce, mentre i due amici faticavano ad issarsi in piedi. «Mi sa tanto che siamo arrivati.»
 
Ω Ω Ω
 
Ritrovarsi su un’isola incantata senza avere neanche idea di come vi si è arrivati non è esattamente il modo migliore per iniziare un’impresa.
Da quanto ne sapevano, era passata tutta la notte dall’irruenta tempesta che li aveva travolti e poi scaraventati lì. Quel posto non sembrava avere nulla di magico, se non si considerava il fatto che, chissà per quale assurdo scherzo degli dei, mentre costeggiavano la spiaggia con i vestiti bagnati incollati al corpo e i volti distrutti, i ragazzi si erano imbattuti negli zaini che avevano perso durante l’uragano. Adagiati accanto alla riva del mare, avevano ancora all’interno tutti i loro averi.
La figlia di Ermes pareva essere la più contenta di averli ritrovati, dato che non ricordava neanche come e quando l’aveva smarrito, il suo. Esaltata, aveva anche tirato fuori la sua Mappa dei Sette Mari, affinché desse loro indicazioni su dove si trovassero. Questa, però, non si era rivelata di alcuna utilità, dato che non aveva funzionato neanche una delle venti volte in cui aveva provato ad attivarla.
«Fantastico» aveva borbottato la bionda a denti stretti, per poi sbuffare frustrata ed infilarsela nella tasca posteriore dei jeans.
«Almeno abbiamo ancora le provviste» le aveva fatto notare John, sforzandosi di essere fiducioso. «E anche le medicine.»
Ma questo non era bastato a risollevare il morale nel momento in cui i ragazzi avevano continuato la loro camminata, avanzando finché non avevano avuto la sensazione di aver già fatto il giro dell’isola per ben due volte.
«Quella conchiglia l’ho già vista» diceva ogni tanto Emma, che tra i tre era la più scettica. Non era sicura di poter sperare di aver davvero raggiunto la meta così, per pura fortuna. Continuava a ripetere che quello fosse il luogo sbagliato, e che avrebbero dovuto andarsene al più presto, se non volevano continuare a perdere tempo.
«È stato troppo facile, no?» si esasperava. «Troppo.»
Ma Skyler non le dava ascolto, e imperterrita continuava ad avanzare con l’illusoria certezza che prima o poi si sarebbero imbattuti in un indizio più che utile.
Questo, però, stentava ad arrivare, almeno finché la figlia di Efesto non condusse gli amici lontano dalla riva, verso il cuore della spiaggia.
«Cosa speri di trovare, esattamente?» le chiese la figlia di Ermes ad un certo punto, al ché la mora si strinse nelle spalle.
«Qualcosa» si limitò a mormorare, facendo guizzare le proprie iridi scure da un dettaglio all’altro del paesaggio che li circondava. «Qualsiasi cosa.»
«Sì, ma qualcosa come?» la rimbottò la bionda.
«Qualcosa come quello.» Entrambe le ragazze si sorpresero della risposta che diede John, e non capirono a cosa si stesse riferendo finché non seguirono con lo sguardo la direzione da lui indicata.
Si trattava di un possente masso di granito dello stesso bianco sporco della sabbia ai loro piedi, che non avrebbe avuto niente di particolare, se non fosse stato finemente intagliato.
Perfetti ghirigori si intrecciavano a rappresentare donne con prosperosi cesti di frutta in grembo e uomini con gli strumenti musicali più impensabili, tutti riuniti a circondare la testa in rilievo del drago che troneggiava al centro.
«Ragazzi!» trillò Emma, non appena il suo shock fu sostituito da un’insolita scarica di adrenalina. «Sapete questo che cosa significa?»
«Che quel drago ha un qualche significato particolare?» ipotizzò John, inclinando il capo di lato.
«No!» lo contraddisse la ragazza, facendo spazio ad un sorriso soddisfatto. «Significa che qualcuno ha costruito questa scultura! Ergo, c’è qualcun altro su quest’isola. Ergo, non siamo soli!»
«Ergo, qualunque cosa ti sia appena venuta in mente, vedi di scordartela» le fece il verso il figlio di Apollo, redarguendola con lo sguardo. «Non sappiamo cosa questa statua ci faccia qui.»
«Oh, andiamo!» esclamò quindi Emma, facendo roteare gli occhi. «Che vuoi che sia? Una sorta di templio, o qualcosa del genere.»
«E se siamo davvero sull’isola della leggenda?» ribatté John. «Tutto ciò nel quale ci imbattiamo potrebbe essere pericoloso.»
«Ti prego» si lamentò la figlia di Ermes, ormai stanca di credere in qualcosa che sembrava ben lontano dalla realtà.
Skyler si avvicinò con circospezione alla scultura, posando una mano esitante sul freddo masso. «Non riesco a sentire niente» affermò, corrucciando leggermente le sopracciglia. «Non è meccanica.»
«Ehm… forse perché è un sasso di pietra?» le ricordò la bionda, con evidente sarcasmo nella voce.
«La testa però viene via» notò John, che nel frattempo aveva raggiunto la figlia di Efesto per poter esaminare attentamente i ghirigori. Strinse saldamente la testa del drago tra le braccia, e dopo averla fatta ruotare un po’ la tirò a sé, ritrovandosela in grembo.
«Piuttosto inquietante» commentò Emma, fissando con sospetto gli occhi vacui della statua.
«Controlla se c’è qualcosa, all’interno» le intimò il ragazzo, con un cenno del capo. «Una scritta, un messaggio, qualche altro disegno.»
«Non vedo perché dovrebbe» replicò lei, che però si chinò per osservare il novello foro. «È soltanto una scultura di pietra.»
«Beh, se l’ha davvero costruita qualcuno, come dici tu» si indignò a quel punto il biondo. «Allora forse hanno inserito qualche codice cifrato che ci aiuterà a capire come raggiungere il loro villaggio.»
«Dubito che siano così idioti» lo schernì la figlia di Ermes, con un sorriso sghembo. «Ma il fatto che tu abbia avuto quest’idea mi dà modo di riflettere.»
«Reggi questa, per favore» sussurrò il figlio di Apollo a Skyler, mettendole in mano la testa del drago e piegandosi accanto ad Emma, scrutando il masso con lei. «Si dia il caso che non siamo nella posizione di poterci permettere il lusso di scartare ogni possibilità» la rimbrottò poi, al ché la ragazza alzò le iridi grigie al cielo, sbruffando.
Nel frattempo, Skyler avvertì uno strano flusso colpirle i pori delle braccia, per poi irradiarsi lungo le sue vene.
All’improvviso, il muso del dragone sembrò scottare sul suo grembo, e nel momento stesso in cui avvertì l’impellente impulso di lasciarlo andare, capì che c’era qualcosa che non andava.
Lei non poteva ustionarsi, era una figlia di Efesto. Eppure, il calore che la scultura emanava era così virulento da sovrastare anche le abilità ignifughe di lei.
Per quella che parve una frazione di secondo, la ragazza poté giurare di aver visto le orbite concave della statua illuminarsi. Poi, questa oppose resistenza alla sua presa, e prima che la mora potesse contestare, puntò dritta verso un punto imprecisato alle spalle di lei, come se fosse attratta da una calamita.
Skyler fu costretta a voltarsi, ma non appena aprì la bocca per domandarsi cosa stesse succedendo, notò un movimento tra le palme davanti a sé. Queste presero a vibrare, ondulando quasi fossero colpite da un vento inesistente. Dopo di ché, si allontanarono l’una dall’altra, aprendosi in un varco e mostrando un passaggio in mezzo al verde.
«Ehm, r-ragazzi?» ciangottò la figlia di Efesto, incapace di credere a ciò che le proprie iridi le mostravano. Ma i due semidei non sembravano essersi accorti di nulla.
«Potrebbe essere davvero il posto giusto» stava obiettando John, ma Emma era irremovibile dalla sua presa di posizione.
«Abbiamo fatto un buco nell’acqua, Raggio di Sole. Mi dispiace ammetterlo, ma è così.»
«Ragazzi» reiterò Skyler, essendo però ignorata anche questa volta.
«Chi ti dice che tu non stia sbagliando?» si alterò il figlio di Apollo, esasperato.
«Non ricordi cosa aveva detto Chirone? ‘L’isola è inespugnabile per chiunque voglia entrarci’
«Sì, ma ha detto anche che ‘sarebbe stata lei a trovarci’, e non so te, ma a me non sembra di essere arrivato qui di mia spontanea volontà.»
«Ragazzi!»
Stavolta Skyler lo urlò con talmente tanta fermezza che i due amici furono costretti a voltarsi.
«Che c’è?» sbottarono all’unisono, adirati, prima di poter sgranare gli occhi alla vista del passaggio che la figlia di Efesto stava loro mostrando.
«Non è possibile» mormorò Emma, più a sé stessa che agli altri.
John, invece, abbozzò un sorriso storto, per poi darle di gomito senza distogliere gli occhi da quel portale. «Credi ancora che sia l’isola sbagliata?» la stuzzicò, soddisfatto.
La figlia di Ermes non rispose. E se lo fece, Skyler non fu in grado di udire le sue parole.
C’era un unico pensiero che, molesto, aveva preso a vorticarle nella scatola cranica, punzecchiando il suo cervello quasi volesse attivare un campanello d’allarme.
Il Drago di pietra guiderà solo colui dal cuore infuocato.
Quando l’aveva preso tra le braccia il ragazzo, non era successo niente. La scultura aveva mostrato loro la strada da prendere solo nel momento in cui la ragazza se l’era coricato in grembo.
La figlia di Efesto non sapeva esattamente cosa questo significasse, ma comprese all’istante che ormai sarebbe stata la diretta interessata di qualunque avvertimento riguardante il fuoco l’Oracolo avesse predetto.
E soprattutto, che avrebbe dovuto tenere gli occhi bene aperti, d’ora in avanti.
Perché la profezia aveva già iniziato ad avverarsi.
E questo non era affatto un buon segno. 

Angolo Scrittrice. 
*E cinque. E sei. E cinque, sei, sette, otto...*

All that glitter and all that gold
Won't buy you happy
When you've been bought and sold
Riding white horses, you can't control
With all your glitter
And all of your gold
Take care of your soul
Take care of your soul.

-Stoop!-

Okay, okay, la smetto di cantare. 
Salve a tutti, ragazzuoli. Come potete notare, oggi è martedì, ed io sono ancora qui per propinarvi un altro dei miei capitoli sploff. 
Allora, che ne pensate? Vi è piaciuto? Vi ha fatto schifo? 
Devo ammettere che scriverlo non è stato affatto semplice. Innanzi tutto, perchè ho passato circa metà settimana a letto, malata, a tal punto che non credevo di riuscire a pubblicare, oggi. 
E poi, perchè sono molto demotivata. Un po' per fatti miei, certo. Un po' perchè ho notato il notevole calo di recensioni che ha colpito lo scorso capitolo. Non vi è piaciuto molto, nonostante fosse il più importante di tutta la serie, e non vorrei che questo stesse a significare che la storia ha iniziato ad annoiarvi proprio ora che ha preso una nuova piega. 
Magari non vi è piaciuta l'idea del mito della pietra dei sogni, o semplicemente il capitolo era scritto troppo male, e voi avete preferito non farmelo notare. 
Qualunque sia la ragione, mi auguro vivamente che non abbiate deciso di abbandonare la Ragazza in Fiamme. E mi scuso in anticipo se la causa di questa decisione sia il modo in cui si stanno svolgendo e stanno prendendo forma i fatti, oppure proprio il mio stile nel narrarli. 
Sì, fino all'ultimo era indecisa se pubblicare davvero questo capitolo (visto e considerato il tutto), ma soprattutto mi è dispiaciuta l'idea di essermi impegnata molto nel scrivere qualcosa che non vi è piaciuto. 
Perciò, vi prego di accettare le mie scuse. 
Ma parliamo di questo capitolo, che è meglio. 
L'impresa comincia, e certo non nel migliore dei modi. Innanzi tutto, i pegasi imbizzarriti e il temporale, che come spero si sia capito erano stati entrambi colpa dell'isola. 
Poi,
Skyler viene quasi uccisa dalle Sirene. Non male, eh? :') 
Ho deciso di dare una mia personale interpretazione del loro aspetto (che non me ne vogliate non è esattamente quello della tanto amata Ariel). Al posto della coda di pesce, io le ho immaginate con dei tentacoli. E mi sono anche dilettata a disegnarle, per cui se volete la prossima volta potrei postarvi la mia "opera d'arte" -che opera d'arte non sarà mai-.
Per fortuna che c'era
John. Preparatevi ad un figlio di Apollo molto più protettivo del solito, perchè essendo l'unico maschio sente di avere tutta la responsabilità dell'incolumità delle sue amiche. 
Quando imparerà che sono perfettamente in grado di difendersi da sole? 
Btw, la profezia si sta già avverando, e questo, come potete immaginare, non è un bene. Ho in mente u bel po' di sorprese per voi, ma mi piacerebbe prima sapere che cosa ne pensate. 
Se la storia sta cominciando a stancarmi, ditelo pure. Se non volete che io la continui, fatemelo presente ed io seguirò i vostri consigli. 
Nin voglio lasciare andare i miei piccoli, ma se voi non avete più voglia di seguire le loro avventure, fatemelo sapere, vi prego. 
Spero davvero che questo capitolo vi sia piaciuto, e se così non fosse, mi dispiace. 
E' un po' più corto, però. Per compensare ;)
But now -let me take a selfie- fatemi ringraziare i fantastici Valery's Angels che nonostante tutto hanno commentato lo scorso capitolo, regalandomi delle bellissime recensioni. E vi prego in ginocchio di scusarmi per non aver risposto, ma purtroppo la scuola è riniziata, e ha già deciso di prosciugare ogni sprazzo di tempo libero che mi rimane. :c
So, grazie infinite a:
carrots_98, _angiu_, Percabeth7897, Kamala_Jackson, _Krios_, martinajsd e stydiaisreal.
Grazie davvero, siete degli angeli!  
Bien, ora credo sia meglio andare. 
Al prossimo martedì, se ancora volete che io continui questa storia. 

Biscotti blu to everyone!
Sempre e comunque vostra, 

ValeryJackson

 
  
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