Crossover
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Autore: Registe    13/01/2015    3 recensioni
Terza storia della serie "Il Ramingo e lo Stregone".
"L’esercito del Grande Satana colpì in modo violento l’Impero Galattico. Non vi furono preavvisi, minacce o dialoghi alla ricerca di una condizione di pace. I demoni riversarono i loro poteri in maniera indiscriminata, non facendo differenza tra soldati e civili, guidati solo da un ancestrale istinto di distruzione. Soltanto la previdente politica bellica dell’Imperatore Palpatine riuscì ad impedire un massacro in larga scala.
-“Cronistoria dell’Impero Galattico, dalla fondazione ai nostri giorni” di Tahiro Gantu, sesta edizione.-"
[dal primo capitolo].
E mentre nella Galassia divampa la guerra, qualcun altro dovra' fare i conti con il passato e affrontare i propri demoni interiori...
Genere: Avventura, Fantasy, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Anime/Manga, Film, Libri, Telefilm, Videogiochi
Note: Cross-over, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Il Ramingo e lo Stregone'
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Capitolo 20 - Enigma





Un licantropo




Ricordo ancora bene il giorno in cui incontrai il numero IV per la prima volta.
Mi colpì subito quel giovane medico dai modi bruschi che aveva trascorso due giorni interi senza mangiare né dormire per prendersi cura dei feriti del villaggio di Idoriel, colpito da un’incursione di briganti appena poco prima che io, Xigbar e Xaldin vi giungessimo. A quel tempo viaggiavamo per il nostro mondo alla ricerca di nuovi membri per la nostra Organizzazione, e quando vidi Even pensai che era di uomini come lui che avevamo bisogno.
Gli parlai quella sera stessa, davanti a un boccale di idromele speziato. Accettò subito la mia proposta, gli occhi accesi di una luce febbrile.
Una luce che io ingenuamente scambiai per entusiasmo, ma che probabilmente era solo avidità e insana sete di sapere.
Dai diari di Xemnas, Superiore dell’Organizzazione.




Narratore: “Sigh. Le mie preghiere sono rimaste inascoltate. Lettori cinici e crudeli! Sappiate che me ricorderò! E un giorno… UN GIORNO… !!”
Registe: “Narratore, la smetteresti cortesemente di minacciare il nostro già scarso pubblico e passeresti ad annunciare la prossima scena?”
Narratore: “Già, la prossima scena… che c’è da dire sulla prossima scena se non che è un altro di quegli odiosi, insopportabili, melensi e ridicoli flashback?”


Il rumore delle onde era rilassante, uno scroscio lento e ritmico che conciliava il sonno. I miei occhi persero ben presto il filo sulla pagina che stavo leggendo, mentre le lettere e i caratteri si trasformavano a poco a poco in confuse linee nere prive di significato. Sentii la testa farsi pesante e mi appoggiai al tronco della palma che mi stava gentilmente offrendo la sua ombra. Mi accorsi vagamente che il libro mi scivolava dalle mani e cadeva sulla sabbia con un tonfo attutito. I confini tra realtà e sogno sfumarono, il cielo si accese dei colori eterei di un’aurora boreale e la palma divenne l’albero di un veliero che solcava il mare spumeggiante.
“Zio?”
Qualcosa mi scuoteva delicatamente il braccio.
“Zio?”
Le mie palpebre sembravano incollate alle pupille con il piombo fuso, e ci misi un po’ per mettere a fuoco Zexion che mi fissava con le sopracciglia aggrottate e un’espressione sofferente negli occhi.
“Che succede?” chiesi, di nuovo presente a me stesso, allarmato da quello sguardo pieno di paura che non vedevo ormai da tantissimo tempo.
Zexion aveva più o meno cinque anni adesso, ed era molto diverso dal ragazzino terrorizzato dalla sua stessa ombra che il Superiore aveva trovato abbandonato nella neve. Restava sempre timido e introverso, restio a stabilire contatti con altri membri dell’Organizzazione che non fossimo io e in misura minore Xemnas, ma gli incubi notturni erano spariti, non piangeva più senza motivo e aveva imparato a fidarsi di me e a comunicarmi problemi e difficoltà. Con mio grande orgoglio sapeva anche leggere e scrivere alla perfezione, alla faccia dei manuali pedagogici della biblioteca del Castello che consigliavano di non iniziare prima dei cinque o sei anni.
“Zio, possiamo tornare a casa?”
“Qualcosa non va?” Mi guardai intorno. La spiaggia era deserta come sempre, una sottile striscia di sabbia bianca racchiusa tra due scogliere impervie a picco sul mare. L’avevo scelta appositamente perché era del tutto inaccessibile, a meno di non arrivare dall’acqua o usare il teletrasporto del Castello dell’Oblio. Normalmente convincere Zexion a venire via era un’impresa eroica: trascorreva ore intere a giocare con la sabbia, raccogliere conchiglie e inseguire le creste delle onde tra urletti e risatine di gioia, senza mai stancarsi. “Un altro po’, per favore!”, era l’invariabile risposta quando tentavo di convincerlo che si era fatto tardi e che probabilmente al Castello ci avevano già dati per dispersi. E io ogni volta cedevo, perché vederlo sorridere mi rendeva felice, e perché era semplicemente impossibile rifiutargli qualcosa quando ti guardava supplicante con i suoi occhioni azzurri come il cielo.
Eppure quel giorno non sembrava esserci nulla di diverso dal solito.
La risposta di Zexion non fece che aumentare la mia confusione: “Il mare ha un odore brutto.”
Vidi che si tappava il naso con due dita, e annusai l’aria. Respirai salsedine, il profumo dolciastro dei frutti delle palme, la lieve traccia del solvente chimico che mi era rimasta appiccicata tra le dita da quella mattina in laboratorio. Niente di anormale.
Scossi la testa: “È lo stesso odore di sempre, Zexion.”
“Sì. Ma anche Saïx ha lo stesso odore. È brutto. Possiamo andare via adesso?”
“Come… come sarebbe lo stesso odore?”
Faticavo a dare un senso alle parole di Zexion, che sembrava sempre più a disagio ogni secondo che passava. Non riuscivo a capire cosa c’entrasse Saïx, il nuovo numero VII dell’Organizzazione, con il mare e quella storia dell’odore…
“Saïx ti ha trattato male, per caso? Se è così gli darò una bella lezione!”
In effetti l’ultimo acquisto di Xemnas aveva ispirato ben poca fiducia anche a me. L’inquietante cicatrice a forma di X che spiccava in mezzo alla sua faccia aveva i contorni troppo netti e precisi per essere frutto degli artigli di un animale o di un colpo inferto a caso, e parlava a gran voce di un passato tenebroso e poco rassicurante. Se il Superiore sapeva qualcosa della sua vita prima di entrare nell’Organizzazione non lo aveva rivelato a nessuno di noi, e Saïx a sua volta si era tenuto sulle sue da quando era arrivato al Castello, appena qualche settimana prima. Era più taciturno persino di Lexaeus e non dava confidenza a nessuno, anche se sembrava provare una sorta di adorazione per il nostro numero I e pendeva dalle sue labbra ogni volta che questi parlava. Forse Xemnas lo aveva accolto nell’Organizzazione proprio per compiacere il suo ego, chi lo sa. In ogni caso credo che lui e Zexion non si fossero scambiati più dei quattro saluti di rito al momento delle presentazioni.
“No.” rispose il bambino allungando la mano verso una delle due ciocche di capelli che mi ricadevano ai lati dei viso. L’abitudine di sfregarsele contro la faccia per tranquillizzarsi era un retaggio delle lunghe notti in cui gli incubi la facevano ancora da padrone. “Però io non gli piaccio.”
“Come fai a dirlo?” Ancora seduto sulla sabbia lo presi tra le braccia, e lui subito affondò la testa nella mia tunica, come se volesse soffocare ogni traccia dell’odore del mare che lo aveva tanto turbato.
L’odore del mare. L’odore di Saïx. La ciocca di capelli sfregata contro il viso. Cercava il mio odore per rassicurarsi…
Per un attimo mi sembrò che i tasselli di un puzzle fossero sul punto di congiungersi nella mia mente, ma l’illuminazione mi mancò.
Mi ero affezionato a quel bambino, avevo imparato a volergli bene; ma c’erano ancora tante cose che non sapevo di lui, a partire dal suo misterioso passato ancora avvolto nell’oscurità. Per certi versi Zexion era sempre stato e rimaneva un enigma.
“Lo sento.”
“Lo senti… da cosa? Da...” stentavo a credere persino io a ciò che stavo per dire: “… dall’odore?”
Zexion fece segno di sì con la testa.
Trattenni il fiato per una buona manciata di secondi mentre il peso della rivelazione si faceva strada dentro di me, accompagnato dallo scroscio delle onde. Non mentiva, lo sapevo. Zexion non mentiva mai.
Lo scostai lievemente da me per poterlo guardare negli occhi.
“Ascolta, Zexion… mi puoi raccontare esattamente che cosa senti quando sei vicino a Saïx?”
Zexion aggrottò le sopracciglia come se non capisse il senso della domanda, ma poi rispose: “L’odore di Saïx è un po’ come quello del mare. E quando mi guarda è come il mare quando c’è brutto tempo. Non mi piace… credo… credo che non è contento perché io sono piccolo ma lui viene dopo di me nell’Organizzazione. Però non è colpa mia!”
Era incredibile. Riusciva davvero a… leggere nel pensiero? La magia scorreva nel sangue di tutti noi dell’Organizzazione, ma nemmeno i maghi dal potenziale più elevato potevano sognarsi un potere simile. No, la spiegazione doveva essere un’altra.
“Certo che non è colpa tua” lo rassicurai, e intanto il mio cervello continuava a lavorare freneticamente su quei dati sconcertanti. Dovevo sapere di più.
“Vieni, torniamo al Castello.” Aprii il portale direttamente nel laboratorio, e fui sollevato di vedere Zexion rilassarsi non appena il varco dimensionale si richiuse alle nostre spalle in uno sbuffo di oscurità.
“Per quanto riguarda Saïx non ti preoccupare” gli dissi “Se solo prova a dirti o a farti qualcosa di male lo faccio a pezzi. Se ti spaventa in qualsiasi modo corri subito da me. Perché non me lo hai detto prima?”
Zexion continuava a scrutarmi con aria insicura, confusa. Probabilmente non ero l’unico alle prese con un enigma insolubile, quel giorno.
“Tu non lo senti.” disse infine con un filo di voce, e non era una domanda.
Si lasciò cadere su una sedia, la testa bassa, e io lo raggiunsi appoggiando le mani sullo schienale.
“No, non lo sento” dissi con dolcezza, come a volermi scusare. “Nessuno lo sente oltre a te. Non te ne eri mai accorto?”
Scosse la testa senza guardarmi.
“Puoi aiutarmi a capire? Risponderesti a qualche domanda per me?”
“Sì, se vuoi…” riprese a giocherellare con i miei capelli e io lo lasciai fare, dandogli il tempo di digerire la scoperta che aveva appena fatto anche se ogni fibra dentro di me bruciava per l’impazienza di fare luce sul mistero.
“Dimmi, anche da qui riesci a capire cosa pensa Saïx?”
Zexion chiuse gli occhi per un attimo. “Ora non pensa niente. Sta dormendo.”
Pazzesco, funzionava anche a distanza. Sbalorditivo.
“E gli altri… cosa fanno gli altri?”
“Lexaeus e Xaldin non li sento. Forse sono andati in un altro mondo. Il Superiore è nella galleria dei ritratti, parla con i suoi antenati. Sembra contento. Ha un odore di erba strana, ma buona” aggiunse. “E Xigbar… “ stavolta dovette concentrarsi più a lungo. Teneva la testa sollevata proprio come un segugio che cerca di captare una traccia nell’aria. Lo osservavo con trepidazione, studiando ogni minima espressione del suo viso. Possibile che in due anni non ne avessi mai avuto alcun sentore…?
“Xigbar è nel villaggio qui vicino.” Fece una smorfia. “In quel posto brutto dove tutti bevono tanto… ci va spesso, e quando torna puzza sempre.”
Non mi stupii affatto quando, all’uscita del portale oscuro che avevo aperto per la taverna del villaggio, mi ritrovai di fronte uno Xigbar ubriaco fradicio che brandiva una sedia con tutta l’aria di voler scatenare una rissa.
“Porca puttana Vexen, mi hai fatto prendere un infarto!”
Non lo degnai di uno sguardo e riaprii il portale per tornare indietro prima che iniziassero a volare tavoli. La voce di Xigbar impastata dall’alcol mi inseguì fin dentro il varco oscuro: “Non lo dire al Superiore! Non provare a dirlo al Superiore o me la paghi!”
“Avevi ragione Zexion…” dissi tornato nel laboratorio “Era proprio nel villaggio… è incredibile… davvero incredibile…”.
Iniziai a camminare su e giù, seguito dallo sguardo attento di Zexion che non mi lasciava neanche per un secondo.
“È pazzesco… non è magia Zexion, è il tuo olfatto! Il tuo olfatto deve essere milioni di volte più sviluppato di quello di un normale essere umano. Riesci a sentire odori che gli altri non percepiscono… persino quelli delle emozioni! Avevo letto di teorie secondo cui anche le emozioni e i sentimenti avessero un odore proprio, ma francamente credevo… “
Lo sguardo spaventato di Zexion mise un freno al mio entusiasmo, e mi interruppi di colpo. In un attimo fui di nuovo accanto a lui.
“Io pensavo che era normale… “ la sua voce era incrinata dal pianto. “Per questo non te l’ho mai detto. Ma adesso… che diranno gli altri? Saïx mi odierà… “
“No! Nessuno ti odierà per questo. Anzi. Tu sei speciale Zexion, hai un dono… “ la mia voce si affievolì. I doni non vengono mai da soli. La legge alchemica dello scambio equivalente vale anche per molti ambiti della natura e della vita. Se Zexion sentiva tutti gli odori amplificati…
“Che succede quando c’è un odore molto cattivo?”. Temevo di conoscere già la risposta.
“Mi fa male.”
“Dove ti fa male?”
“La pancia, la testa… ma se mi abituo un po’ passa… “
Senza parole gli accarezzai la testa. Un potere meraviglioso, che molti avrebbero pagato oro per padroneggiare, ma allo stesso tempo un fardello, che lo condannava a provare dolore per cose che per il resto degli esseri umani sono insignificanti, che gli imponeva di sentirsi rimbombare nella testa ogni angoscia, timore o follia altrui. E io potevo fare ben poco per alleviargli quella sofferenza.
Ma c’era di peggio. Zexion non sbagliava quando diceva che gli altri lo avrebbero odiato. Non il Superiore, non l’Organizzazione, ma il mondo fuori dal Castello? A nessuno piace vedere i propri pensieri e sentimenti più segreti esposti alla luce del sole. L’idea faceva paura anche a me.
“Perché sono così, zio? Perché soltanto io?”
Avrei tanto voluto sapergli dare una risposta.
Le cause potevano essere genetiche, una mutazione rara, forse unica. Oppure i suoi antenati si erano mescolati con razze non umane, e avevano acquisito nuove capacità. Forse aveva a che fare con il motivo per cui lo avevano abbandonato.
Forse gli avevano fatto qualcosa per farlo diventare così.
In ogni caso dubitavo di riuscire a scoprirlo. Non avevo abbastanza dati a disposizione, e non esistevano precedenti con cui confrontarsi. Potevo tentare una ricerca nella Biblioteca, ma non mi illudevo di riuscire a strappare grossi successi dal labirinto capriccioso. Non credo che esistesse un modo per ottenere risposte valide a parte…
Me ne accorsi troppo tardi. Cercai di trattenere il pensiero appena formulato, ma ormai non apparteneva più soltanto a me. Con orrore lo vidi riflesso negli occhi sbarrati di Zexion, e indietreggiai nello stesso istante in cui lui si allontanava da me con un salto.
“No! Zexion… aspetta! Io non… “
In un attimo era arrivato alla porta del laboratorio. Era ancora troppo piccolo per imparare a teletrasportarsi da solo. Abbassai gli occhi, incapace di sopportare il modo in cui mi guardava, la paura e le lacrime che ora gli rigavano le guance.
“Non lo farei mai. Lo sai che non ti farei mai del male! Non ho nessuna intenzione di… studiarti o… o… “
“… di aprirmi?
Portai una mano alla bocca, reprimendo un conato.
“Non puoi pensare davvero che… “
“Tu sei curioso… vuoi saperlo… “
Quelle parole sputate fuori insieme a un fiume di lacrime mi annientarono. La mia mano, davanti al viso, tremava.
Non feci nulla per fermarlo quando spinse la maniglia della porta e corse via piangendo. Rimasi ad ascoltare i suoi passi che si perdevano nella distanza e poi bestemmiai, imprecai contro gli dèi in cui non credevo e contro me stesso, mandando all’aria le provette allineate su un tavolo con un colpo furioso della mano. Da uno scaffale afferrai i primi libri che mi capitarono e li scagliai via con violenza, lacerando le pagine e le copertine di cuoio.
Poi scivolai in ginocchio tra i frammenti di vetro e poggiai le mani sul pavimento freddo, ascoltando il suono spezzato del mio respiro.

Narratore: “E anche questa agonia è giunta al termine! A me le redini del potere, a me!”


Canastra IV. Un bellissimo posto, se non si fosse trattato di un pianeta umano. Killvearn li aveva accompagnati ed era sparito con il suo solito sbuffo di fumo senza lasciare nemmeno un’orma sulla sabbia.
Le loro impronte erano invece ben visibili, e nemmeno le onde riuscivano a cancellare del tutto il segno del passaggio del Cavaliere del Drago.
L’oceano era di un blu intenso, quasi violento, diverso da quello del loro mondo. Hadler sospirò, rendendosi conto che in centinaia di anni non aveva visto che una minuscola parte del mondo; era sicuro di conoscere ogni angolo di Cephiro, ma Cephiro non era ormai altro che un granello di sabbia davanti alla moltitudine di mondi che si erano spalancati ai suoi occhi dall’inizio della guerra. Prese una manciata di sabbia bianca e la portò davanti agli occhi, quasi come ad inquadrare ogni granello, ogni minuscola frazione di quell’universo tra le dita.
“Siamo riflessivi stasera?”
Baran gli si avvicinò, gettando una lunga ombra sulla spiaggia; indossava un lungo mantello nero che lo rendeva ancora più cupo del solito.
“Con questa missione potremmo porre fine a tutto. Alla guerra, alla questione di Mistobaan …” sospirò, ascoltando il verso di una gigantesca tartaruga a due teste che era appena emersa dall’acqua e si era appoggiata ad uno scoglio. C’era qualcosa di magico in quel suono, come due strumenti perfettamente in sintonia. “… potremmo tornare alla normalità e alla pace, scrivere una pagina dei libri di storia! Ti confesso che sono piuttosto teso”.
“Voi demoni a volte siete proprio strani. Quando siete in pace sognate di guerra, vendetta, fuoco e sangue. E non appena iniziate a combattere non desiderate altro che rinchiudervi nei vostri territori e restarvene lì indisturbati. Ci sono dei momenti in cui non capisco cosa voglia davvero il Grande Satana”.
Hadler aprì la mano di colpo, liberando i granelli. Questi si dispersero nell’aria davanti al suo viso, ma ricaddero a terra per l’assenza di vento e tornarono nel grande mosaico della spiaggia con una lenta spirale. Domande. Baran ne aveva sempre tante. C’era quel lato tipicamente umano della sua triplice natura che riaffiorava in continuazione sin dal primo giorno che si erano conosciuti, quando si era presentato al cospetto del Grande Satana con gli abiti sporchi di sangue; gli anni non erano bastati a cancellare la sua indole sospettosa, anche se il demone minore preferiva sempre evitare che emergesse in momenti cruciali come quelli. E per quanto considerasse Baran un amico c’erano degli istanti in cui tra loro si innalzava una barriera invisibile che non aveva nulla a che vedere con la differenza dei loro poteri. “E tu cosa vuoi davvero, Baran?”
“Giustizia”.
Il tono di voce si fece più profondo e duro. Il segnale che il Drago non aveva alcuna intenzione di approfondire la conversazione. “Andiamo. Il cargo non aspetta”.
Hadler sospirò tra sé ed osservò per un’ultima volta l’orizzonte blu, poi si strinse nella tunica e si mosse dietro il passo imperioso del compagno d’armi ormai avvolto nella sua furiosa barriera di silenzio; non era mai riuscito ad immaginare cosa avesse spinto Baran ad unirsi alle loro fila, cosa avesse convinto il Cavaliere del Drago ad abbandonare la sua assoluta neutralità ed a schierarsi al fianco dei demoni nella guerra contro gli umani. Quindici anni non erano riusciti a schiudere le labbra del signore dei draghi, e probabilmente neanche quindici secoli ci sarebbero riusciti. Di certo non sarebbe stato in quel momento che Baran gli avrebbe concesso il più piccolo spiraglio. Strinse i pugni e si concentrò soltanto sulla missione.
Durante la progettazione degli attacchi non avevano mai preso in considerazione Canastra IV: un pianeta di medie dimensioni posto esternamente rispetto ai mondi del nucleo centrale, un luogo ricoperto quasi per la sua totalità da un oceano profondo. Un luogo che, a detta del loro prigioniero, veniva utilizzato soprattutto per gli studi degli animali marini e qualcosa di legato alla formazione dei piccoli umani che il demone minore non aveva ben capito –e non aveva intenzione di approfondire. Il luogo ideale per preservare una delle pochissime via d’accesso alla stazione spaziale della Morte Nera.
Gli impianti di depurazione occupavano un’intera isola. Il paesaggio mozzafiato al di là della costa veniva mutilato dalle torri metalliche che si innalzavano dieci volte più alte delle vette degli alberi e da cui usciva un fumo biancastro che gli irritò le narici; le enormi dita che sembravano voler ghermire il cielo non avevano l’imponenza di quelle che aveva visto a Geonosis né eserciti di droidi pronti a rigurgitare dai loro ventri, ma per una volta l’aspetto nascondeva un segreto.
Da quell’impianto veniva raccolta tutta l’acqua necessaria alla sopravvivenza della gente a bordo della Morte Nera. La bocca dell’Impero Galattico passava per Canastra IV, e Hadler non vedeva l’ora di afferrarne la gola e distruggerla con tutta la magia che gli ribolliva in corpo.
Il viceammiraglio Kratas aveva ribadito più volte che soltanto pochissime persone dentro l’impianto erano al corrente dell’approvvigionamento della stazione spaziale, e tutto passava attraverso soldati di fiducia che venivano attentamente selezionati; la maggior parte di coloro che lavoravano lì dentro erano convinti di depurare dell’acqua destinata alle colture su altri mondi, e questo permetteva un enorme livello di sicurezza. Per Hadler tutto questo non aveva molto senso –se un demone avesse saputo di lavorare per il bene del Grande Satana avrebbe lavorato con uno zelo mille volte maggiore- ma ormai aveva smesso di cercare la logica nei comportamenti umani. Il cargo K4, la nave bersaglio, planò sulla costa in perfetto orario; la superficie metallica rifletteva la stessa sfumatura rosata che colorava le pareti della fabbrica. Quando atterrò fu costretta a deviare su una pista artificiale che collegava l’isola al resto della costa. Il demone minore rimase in attesa mentre quello che sembrava il capitano della nave scese sulla piattaforma d’atterraggio insieme ad una decina di droidi che iniziarono subito a caricare alcuni serbatoi che i lavoratori dell’impianto avevano sistemato già da qualche ora. Poteva essere una nave qualsiasi, nessun demone avrebbe fatto caso a quella forma tozza ma piccola quando su Canastra IV erano ormeggiati Star Destroyer di ben maggiore taglia.
Le informazioni del prigioniero si erano sempre dimostrate esatte.
Dunque non avevano più di cinque minuti di tempo.
Levitò seguito dal suo compagno, e quando mormorò le parole dell’incantesimo i loro corpi riflessero la luce del cielo. Il potere di Baran rispose immediatamente al suo tocco, e Hadler sentì il Cavaliere del Drago rilassarsi per permettere alla sua magia di svolgere il compito prefisso; quando la barriera di invisibilità circondò il corpo di entrambi scivolarono al di sopra delle ombre trattenendo il fiato. Gli umani erano dotati di strane macchine in grado di rivelare degli esseri viventi anche se invisibili, ma il viceammiraglio Kratas aveva garantito che simili dispositivi non sarebbero stati presenti sul cargo K4. Baran rallentò per stare al suo ritmo e volarono proprio sopra le figure dei droidi. Le macchine non fecero caso alla loro presenza, né qualche strana spia si illuminò al loro passaggio.
Rimasero sospesi in aria anche quando entrarono nella stiva del cargo, perché anche il più piccolo movimento avrebbe potuto far scattare l’allarme. Hadler si concentrò, e la magia riprese a pizzicargli i muscoli: lui e Baran erano propensi a tutto, ma le missioni di infiltrazione erano qualcosa per cui nessuno dei due era pronto davvero. Se li avessero scoperti avrebbero certamente sospeso il volo, e allora qualsiasi possibilità di raggiungere la Morte Nera sarebbe sfumata …
Non potevano permettersi una situazione simile.
L’interno della stiva del K4 era avvolto nella penombra. Solo qualche flebile luce elettrica si accendeva a scatti ed illuminava una serie di dodici cisterne grandi quattro volte loro; c’era un ronzio di sottofondo piuttosto snervante, segno che qualche motore era in azione anche in quel momento per pompare l’acqua che veniva immessa nelle cisterne dai droidi. Questi si muovevano da una cisterna all’altra e le collegavano con tubi e strani marchingegni che il demone non aveva mai visto, poi ritornavano all’esterno e continuavano a riempire i contenitori. Accanto a lui, Baran incrociò le braccia, si appoggiò ad una parete ed attese.
Le informazioni del prigioniero erano perfette. Dopo esattamente cinque minuti –Hadler aveva calcolato il tempo con l’incessante battito dei suoi cuori- le macchine iniziarono a sganciare i dispositivi che garantivano il riempimento delle cisterne e li fecero scomparire in dei comparti lungo le pareti della stiva di cui il demone non aveva notato nemmeno l’esistenza. Un suono gracchiante venne dai piani superiori dell’astronave, e finalmente il velivolo iniziò a ronzare sotto i loro piedi, pronto al decollo. I droidi si avvicinarono alle pareti, e quando delle alcove si aprirono essi vi si appoggiarono e si spensero mentre il portellone del cargo iniziava ad abbassarsi.
“Si inizia” sussurrò.
Le luci di Canastra IV svanirono quando il portellone si chiuse definitivamente con un rumore sordo. La nave vibrò con maggiore energia e lentamente il mondo intorno a loro iniziò a sollevarsi. Lo stomaco mandò un suono strano, come se qualcosa lo stesse stringendo in profondità, ed il demone iniziò a respirare profondamente mentre abbassava la barriera di invisibilità. Il Cavaliere del Drago aveva un’espressione quasi assente, e Hadler invidiò la sua calma mentre l’astronave continuava a salire, rollare ed ancora a salire. Se questo è ciò che gli umani chiamano “volare” …
Si appoggiò al muro e riprese fiato. Secondo le rivelazioni del viceammiraglio, il cargo avrebbe dovuto entrare in una cosa chiamata “iperspazio” –che nemmeno il Grande Satana aveva capito a fondo di cosa si trattasse a parte che la nave avrebbe iniziato a viaggiare con una velocità incredibile- e sarebbe uscito, dopo vari salti, nei pressi della Morte Nera e tutto questo avrebbe richiesto oltre quattro ore di viaggio. Una volta lì avrebbero dovuto attendere oltre trenta minuti per far iniziare le procedure di autorizzazione dell’atterraggio e solo alla fine il cargo sarebbe sbarcato in uno dei settori più esterni della stazione spaziale, quello che il prigioniero aveva chiamato “compartimento Gamma-tris”. Una volta lì … il viceammiraglio aveva tracciato una piccola mappa ed una serie di indicazioni per raggiungere il prima possibile la sala del trono, ma sapeva che a quel punto lui e Baran si sarebbero permessi un po’ di … improvvisazione.
Una luce attirò la sua attenzione, e prima ancora di pensare un globo di ghiaccio si formò nel palmo della sua mano, pronto a scattare. Uno dei droidi, non più alto di un paio di braccia e dalla testa a cupola, si avvicinò nella loro direzione, improvvisamente acceso. La sua forma cilindrica ruotò su se stessa e mandò una serie di suoni e, prima che Baran lo incenerisse, sulla calotta superiore si aprì un minuscolo sportello. Un raggio azzurro si espanse nell’aria e la fece vibrare: una figura si formò davanti ai loro occhi, un ologramma come quelli che gli esseri umani usavano per comunicare. Persino Baran trattenne il fiato quando riconobbe la persona che li osservava come se fosse davvero lì presente.
“Scappate” intimò la donna. “È una trappola. L’astronave esploderà tra venti minuti”.
Prima che Hadler potesse riprendersi dallo stupore il droide mandò uno strano sibilo ed esplose, lasciando che l’immagine di Zam Wesell svanisse in uno sbuffo di fumo.
  
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