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Autore: Starishadow    13/01/2015    3 recensioni
Se siete curiosi di vedere come sarebbero i figli (e le figlie) dei nostri sette idols, e vi fa piacere seguirli lungo la loro strada, leggete pure questa storia!
Come se la caveranno gli Starish in versione papà, alle prese con un gruppo di adolescenti curiosi di esplorare il mondo a modo loro?
(Raccolta di OS, molte sono song-fic, spero che vi piaccia!)
Genere: Generale, Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Raccolta, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Nota dell’autrice: intanto vi comunico la presenza di leggeriiiissimo shonen-ai in questo capitolo, spero non vi dispiaccia! ^^”
Poi… grazie a tutti per il supporto!! Davvero!
A presto, spero che vi piaccia il nuovo capitolo!
Baci,
Starishadow


Personaggi, età e ruolo nella band
Shinomiya Satsuki 15 (basso) - Reiko 14 (batteria)
Ichinose Hayato 17 (voce)  Rui 16 (voce)
Aijima Harumi 14 (tastiera)
Jinguji Maiyumi 16 (voce/piano)
Ittoki Hikaru 15 (chitarra/ chitarra elettrica) - Aya 5
Kurusu Aoi e Nei 17 (violini/violini elettrici) -  Yuu  10 -  Kimi  5
Hijirikawa Kaito 17 (voce/sax)

Nuovo personaggio
Mikaze Mikaeru 18 (ballerino di hip-hop a Londra)


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«Aoi, giù dal letto, dai» la voce di Syo era gentile, ma incalzante, mentre scrollava leggermente il maggiore dei gemelli per svegliarlo, un mugolio indignato fu la risposta «Aoi-chan… guarda che chiamo zio Natsuki, e tu sai come ti sveglia lui, poi»
Una risatina giunse dal posto vicino ad Aoi, che aprendo un occhio vide Nei ancora mezzo addormentato.
«Sveglia prima Nei» borbottò, nascondendosi sotto le coperte.
Syo alzò gli occhi al cielo: ma dovevano prendere proprio tutto da lui?! Finse di pensare a qualcosa:
«O forse dovrei chiamare zio… Ai?» chiese, con un ghigno furbetto in viso.
Un fulmine scattò via dal letto e si precipitò in bagno al grido di “no, zio Ai no!!”, scatenando le risate del quarto maschio di casa, Yuu, appena uscito dalla sua cameretta:
«Buongiorno, onii-chan!» esclamò allegramente entrando in camera «Dai alzati, Nei-nii l’ha fatto!» con quello, Yuu balzò sul letto e cominciò a fare il solletico ad Aoi, che si divincolò inutilmente.
«E va bene, va bene!!» sbraitò alla fine emergendo, con i capelli scarmigliati e gli occhi arrossati dal sonno, sia Yuu che Syo gli fecero un cenno di saluto con la mano e due ghigni vagamente sadici identici.
«Vi odio» bofonchiò il ragazzo, alzandosi e andando a bussare alla porta del bagno, intimando al gemello di uscire, ma l’unica risposta fu un - non molto gentile - invito ad usare l’altro.
«Dici che si ricordano che hanno un concerto stasera?» chiese Yuu, guardando il padre con aria scettica, Syo scoppiò a ridere:
«Glielo ricorderanno gli altri, non temere» replicò, alzandosi dal letto e aiutandolo a saltare giù.
«Posso tingermi anche io i capelli come ha fatto Nei-nii?»
Syo sbuffò e si rifiutò di rispondere a quella domanda, erano circa due mesi che il bambino cercava di assalirlo a tradimento con quella richiesta.
 
Dentro il bagno, Aoi si aggrappò al lavandino, iniziando ad ansimare.
“Merda… non adesso, non oggi” pensò, tossendo nel vano tentativo di riprendere fiato, come se ormai non sapesse che non serviva a nulla.
Cercando di non fare rumore, iniziò a cercare febbrilmente fra gli scaffali le pillole che avrebbero potuto risolvere la situazione, prima di realizzare di averle lasciate nel bagno occupato da Nei.
Imprecò e uscì, quasi schiantandosi su suo padre.
«Aoi, stai bene?»
Un altro colpo di tosse e una stretta al petto.
Aveva bisogno di quelle pillole, e ne aveva bisogno subito.
«S-sì… Nei è uscito dal bagno?» cercò di aggirarlo, ma sebbene Syo non avesse certo una presenza imponente, Aoi non riuscì nel suo intento. «Perché stai ansimando?»
«N-non è vero!» ogni tentativo di camuffare il proprio tono di voce fu vano, e ben presto Aoi si trovò le dita del padre avvolte attorno al polso. Alzò gli occhi al cielo e smise di opporre resistenza.
«Nei esci dal bagno» ordinò Syo con voce ferma e stranamente matura per i suoi standard, era la voce che mandava nel panico i gemelli, che voleva dire “problema! Allarme!”.
La porta si spalancò e Nei si precipitò fuori, fissando stralunato il gemello, Syo però lo trascinò dentro e tirò fuori una scatola dall’armadietto dei medicinali.
«Ok, Aoi, da uno a dieci quanto è forte il dolore?»
Il ragazzo ci pensò un attimo, mentre Nei lo abbracciava delicatamente, sfiorandogli il petto nel tentativo di rilassare la muscolatura.
«Un sei?» azzardò, tossendo di nuovo. Effettivamente era più fastidioso e allarmante che effettivamente doloroso.
Con una smorfia, Syo gli passò delle pillole, che il ragazzo di affrettò a deglutire il più velocemente possibile, tentando di far passare il dolore.
«E tu hai intenzione di fare un concerto stasera?» chiese Nei, accigliandosi, il gemello lo fissò sbarrando gli occhi:
«Per stasera starò meglio!»
Ed effettivamente, nel corso della giornata, quel dolore sparì fino ad essere dimenticato: non era la prima volta che Aoi si svegliava stando male, ma poi passava tutto appena prendeva un paio di pillole, e il ragazzo sperava vivamente che si trattasse di uno di quei casi.

Nel mezzo delle prove, Aoi cominciò a sentire una sensazione di disagio all’altezza del petto, poco sopra dell’addome; deglutì e continuò a suonare, cercando di ignorarlo il più possibile.
«Ok! Ottimo lavoro!» esclamò Hayato, che come suo solito passava una parte delle prove seduto dove in teoria si sarebbe trovato il pubblico e controllava le posizioni del gruppo e l’effetto complessivo.
Era tanto pignolo, certe volte, che Kaito finiva con l’interrompere le prove, balzare giù dal palco e cominciare ad inseguirlo urlando come un dannato fino a quando uno degli adulti non interveniva.
«Grazie» rispose Hikaru, sarcastico, mentre si spostava i capelli ramati dal viso e si stiracchiava.
«Comoda la vita, vero?» gli rispose invece Kaito, asciugandosi la fronte con il polsino nero che gli copriva il polso destro.
«Ora arrivo!» rise l’altro ragazzo, saltando giù dalla balaustra su cui era appollaiato e salendo sul palco.
Aoi intanto, mentre cambiava violino, continuava a concentrarsi su quella sensazione, cercando di capire quanto effettivamente la situazione fosse grave: sembrava essere uno di quei dolori fastidiosi e continui, ma non acuti.
Forse per quella sera sarebbe passato.
«Hey, tutto bene, onii-chan?» chiese Nei, posandogli una mano sulla spalla, lui sussultò, ricevendo un’altra stretta al petto, e si scrollò di dosso la mano del fratello con fare brusco:
«Sì» rispose freddamente, Nei spalancò gli occhi, un’espressione ferita tinta in viso, e il fratello si sentì vagamente in colpa per averlo trattato in quel modo.
«Hey voi due! Avete finito di fare i piccioncini?» li richiamò Satsuki, facendogli notare che gli altri stavano riprendendo le loro posizioni.
Aoi gli fece un sorrisino irriverente e tornò di corsa verso il gruppo, Nei rimase un attimo indietro, preoccupato. La sua mano corse al cellulare, prima di ripensarci: non era il caso di allarmare suo padre, per il momento almeno.

Aoi era seduto sulla sedia del suo camerino a rigirarsi il suo portafortuna fra le lunghe dita affusolate dalle unghie smaltate di nero: era un bracciale di suo padre, che lui gli aveva sfilato una volta, quando aveva circa due anni e per la prima volta era stato accolto nel backstage.
Sebbene fosse uno dei suoi preferiti, Syo aveva lasciato che il bambino lo tenesse, e stranamente, quel piccolo oggetto aveva resistito per sedici anni, e ora compariva sempre al polso di Aoi ad ogni esibizione.
«Aoi.»
Si girò verso suo padre, fermo sulla soglia, con le spalle poggiate allo stipite della porta e le braccia incrociate sul petto.
«Papà?»
«Ti sta facendo ancora male?»
Il ragazzino non rispose, ma la sua presa attorno al bracciale si strinse, a disagio.
«No… non proprio».
Syo sospirò e gli lanciò un’occhiata strana, che il ragazzo non riuscì del tutto a decifrare:
«Non sono certo io che posso farti la predica, perché ho combinato i miei casini, ma… non fare le mie stesse idiozie, ok?» con quello se ne andò, mentre Aoi rimase fermo a mordersi le labbra.
Sapeva di cosa parlava suo padre: alludeva al concerto in cui, ignorando fitte e dolori per circa una settimana, era crollato davanti a tutti, rischiando seriamente di non uscirne vivo.
“A me non fa così tanto male, non c’è da preoccuparsi” si disse.
Syo, fuori dalla porta, bloccò Hikaru che passava di lì, sovrappensiero più del solito.
«Sì, zio?» chiese il ragazzino, guardandolo confuso con un sorriso disponibile identico a quello di suo padre a cui Syo era tanto abituato.
«Ti dispiacerebbe tenere d’occhio Aoi? Tu e gli altri, non mi piace l’aspetto che ha.»
Gli occhi cremisi di Hikaru si spalancarono subito, e la preoccupazione calò sul suo viso:
«Aoi-nii sta male? Dobbiamo annullare il concerto? Devo chiamare un med…»
Syo tappò la bocca al ragazzo, ridacchiando leggermente, e scosse la testa:
«Sei troppo uguale a tuo padre, sai? No, non annullare nulla e non chiamare nessuno, limitatevi a tenerlo d’occhio e - se lo vedete strano cercate di capire se inizia a star male sul serio. Ok?»
Hikaru annuì seriamente e corse via, verso il camerino di Kaito, a riferire gli ordini.

«Ok, mancano cinque minuti. Hika, passato il mal di pancia?» chiese Kaito, che come sempre, prima di un concerto, si assicurava che tutti i compagni stessero bene e a loro agio.
«S-Sì» mormorò il ragazzino, sebbene qualcosa nel modo in cui si stringeva un braccio attorno all’addome e teneva gli occhi bassi non convincesse del tutto i più grandi.
Sembrava anche essere di un umore insolito negli ultimi tempi.
«Haru-chan, tu? Tutto bene?» sorrise Hayato, la ragazza scattò sull’attenti, facendo ridere tutti gli altri.
Reiko lanciò in aria le bacchette della batteria, ma mentre una riuscì a riacciuffarla, l’altra cadde in testa a Rui, che la prese e fulminò con un’occhiataccia la più piccola.
«Scusa, Rui-chan!» esclamò quella, arrossendo, Rui la colpì con la bacchetta e gliela ridiede, fra le risate di Maiyumi che intanto, alle sue spalle, alzava entrambi i pollici verso Reiko con un ghigno divertito.
«Minna! Io mi sono scordato il bracciale in camerino, torno subito!» esclamò d’un tratto Aoi, prima di correre via.
Che il ragazzo si rifiutasse di salire sul palco senza il suo portafortuna era una cosa risaputa, così nessuno ci fece caso tranne Nei che aveva visto il fratello farsi scivolare il bracciale in tasca prima di uscire dal camerino.
“Ecco, lo sapevo!” si disse, allarmato.
«Torno subito!» esclamò a sua volta, prima di correre dietro al gemello.

Aoi entrò nella stanza e si chiuse la porta alle spalle, piegandosi in due con le mani sulle ginocchia e gli occhi serrati, il cuore che gli pulsava dolorosamente nel petto e il fiato corto mentre si afferrava la maglietta e la tirava, come se questo potesse allentare la morsa che sentiva attorno al petto.
Tremando, iniziò a frugare nel suo borsone, cercando le pillole.
Invece trovò una delle siringhe da usare “solo per le emergenze”, che lui non aveva certamente messo lì.
Era un’emergenza quella?
La osservò per qualche secondo, prima di scuotere la testa e ricominciare con le ricerche.
Quando finalmente trovò quello che gli serviva, fu scioccato nel vedere che ce n’erano rimaste la metà di quelle che gli servivano, ma sicuramente meglio di niente.
Aveva appena finito di ingoiarle tutte quando si accorse di Nei in piedi dietro di lui.
Lo spavento non aiutò molto la sua tachicardia, e ben presto si ritrovò a tremare come una foglia contro il petto del fratello, che più che stringerlo lo sorreggeva.
«E tu vorresti andare in scena così?» chiese tristemente Nei.
«D-Dammi un minuto» sussurrò lui, chiudendo gli occhi e raggomitolandosi meglio nell’abbraccio. Lentamente smise di tremare, e anche il suo cuore tornò ad un ritmo normale.
«Dobbiamo dirlo agli altri, non puoi esibirti in questo stato.»
Aoi si allontanò bruscamente e spinse via il fratello:
«Non provarci!» esclamò, confondendo l’altro ragazzo, «Non ti azzardare a dire niente a nessuno! Nei, se dici mezza parola ad Hayato, o agli altri, di quello che hai visto ora…»
Nei alzò gli occhi al cielo:
«Aoi! Non puoi continuare a giocare col fuoco! Capisco che a diciassette anni non si pensi proprio alla morte ma… ma accidenti! Tu ci giochi di continuo! La sfidi, la sfotti… Non ti rendi conto di quanto siamo terrorizzati io, papà, Yuu, Kimie… Hayato?!» gli occhi di Nei parvero inumidirsi, ma tornarono presto asciutti e carichi di rabbia «Ogni volta che stai male tu… fa male anche a me, sai? Pensi che non preferirei essere io al tuo posto?»
Aoi abbassò lo sguardo, a corto di risposte. Sapeva che suo fratello soffriva quanto lui per quella situazione, ma non aveva mai pensato di fargli così tanto male quando si impuntava in qualcosa.
Gli sorrise e allungò una mano verso la sua guancia, in un raro gesto di affetto che si concedeva con poche persone.
«Nei» lo chiamò, un mezzo sorrisetto strafottente in viso «non sono morto finora, non ho intenzione di farlo adesso» e con quello uscì dalla stanza, sentendo il verso esasperato del fratello che lo seguì borbottando insulti a mezza voce.
Raggiunsero di nuovo gli altri, ma mentre Nei, Kaito, Hikaru, Reiko e Rui dovettero passare dall’altro lato del palco, Aoi si fermò insieme ad Hayato e gli altri alla loro entrata.
Mentre Satsuki, Maiyumi e Harumi si preparavano ad entrare, Hayato afferrò il polso di Aoi e lo tirò leggermente verso di sé, la sua vicinanza non fu proprio benefica per il cuore del biondino, ma ormai era abituato a quel genere di tachicardia.
«Tutto bene?» sussurrò il ragazzo.
Aoi dovette fare appello a tutta la sua pazienza, che era ben poca:
«Sì, Hay-kun, tutto bene, perché non dovrei stare bene?!»
«Sei pallido…» Hayato non era mai stato bravo a dimostrare agli altri quanto si preoccupasse per loro, e Aoi era il primo a saperlo, e ad apprezzare i suoi sforzi, quella sera però non avrebbe tollerato altre osservazioni sul suo aspetto fisico:
«Sono solo nervoso. Pensa per te, che tendi al verde. Fingi di non essere ansioso, e poi te la fai sotto più di noi»
Hayato sussultò impercettibilmente, prima di scuotere la testa e avvicinare il viso al suo, riducendo la distanza fra le loro labbra a pochi millimetri:
«Voglio solo che tu non ti faccia male» mormorò, e con quello si allontanò e raggiunse Satsuki.
“Complimenti Aoi, hai fatto irritare il tuo gemello e il tuo… qualsiasi cosa sia per te Hayato, in un colpo solo. Un record” si disse acidamente il ragazzo, prima di avvicinarsi a sua volta.
Di quel concerto ebbe coscienza di tutto dall’ingresso fino alla quinta canzone, poi tutto diventò nero.

«AOI!» urlò Hayato, troncando bruscamente la canzone e correndo verso il ragazzo raggomitolato a terra, con una mano stretta al petto e gli occhi serrati.
Nei era già in ginocchio vicino al fratello, e presto le fan iniziarono ad urlare, preoccupate, Maiyumi rivelò una presenza di spirito nel cominciare subito a rassicurarle ed intrattenerle, subito seguita da Satsuki e Kaito.
Hayato in quel momento se ne infischiava altamente delle fan.
«Aoi, Aoi apri gli occhi… mi senti?» stava chiedendo Nei, scrollando il fratello, dalle cui labbra uscivano solo gemiti soffocati e grida di dolore trattenute.
«FAMMI PASSARE RAZZA DI RITARDATO MENTALE!»
Hayato si voltò verso le quinte, dove un bodyguard stava trattenendo Syo e Natsuki, stava per intervenire quando anche Ai comparve alle spalle dei due e, con un solo gesto, convinse l’uomo a farsi da parte.
Possibile che ancora non avesse capito che quelli erano i loro genitori?
Syo si scaraventò accanto ai due figli, e iniziò subito a prendere il polso ad Aoi, oltre che tastargli l’addome e controllare altre cose che Hayato non capiva minimamente, Ai intanto si era avvicinato a Nei e aveva lasciato che quello lo abbracciasse e piangesse contro di lui, nascosto da occhi indiscreti.
«S-Starà bene?» sussurrò Hayato.
«Non lo so, è Kaoru il medico! C’è un’ambulanza nei dintor… AOI!!» Syo impallidì tremendamente e strinse la presa sul polso del figlio, prima che nei suoi occhi apparisse il panico.
Hayato poteva immaginare cosa avesse sentito, lo vedeva dal modo in cui Aoi aveva smesso di lamentarsi e tremare.
Si alzò di scatto e urlò con tutta la voce che aveva, sovrastando il mormorio della folla, chiamando aiuto, attirando l’attenzione dei paramedici.
Vide Natsuki cominciare a fare il massaggio cardiaco ad Aoi, e si trovò a pregare che funzionasse. L’altra cosa di cui si rese conto fu la presenza di suo padre accanto a lui, e non era mai stato così felice di averlo lì.

«Grazie tante, eh» sbottò Nei appena gli occhi di Aoi si focalizzarono su di lui, senza dar tempo di dire nulla al gemello « “non sono morto finora…” allora, l’infarto volevi farlo venire a me?! Eh?? Ammettilo!»
Aoi battè le palpebre, confuso, e fu in quel momento che una mano calò sulla bocca di Nei e interruppe le sue proteste.
«Aoi-kun?» lo chiamò Syo, dolcemente, mentre lo sguardo di Nei prendeva una sfumatura di vago senso di colpa. «Come ti senti?»
Il ragazzo ci pensò un attimo: gli faceva male il petto, e la sua testa era annebbiata, probabilmente per il gran numero di antidolorifici, e le lenzuola erano fredde e ruvide contro la sua pelle nuda dalla vita in su.
«Una merda» dichiarò, con voce roca e impastata di sonno.
«Oh well, that’s what you get for being an idiot» commentò una voce calma e distaccata, il ragazzo spostò lo sguardo, ma vide solo Ai seduto in disparte con il cellulare in mano.
«No, onii-chan, non hai le visioni… zio, gira quel telefono» ridacchiò Nei, notando la sua confusione, Ai si avvicinò e voltò il telefono, rivelando una videochat con il più grande dei suoi due figli, che da circa due anni viveva in Inghilterra con la sua ragazza.
«Hey, Aoi-chan, you don’t look so well» notò il ragazzo, senza scomporsi più di tanto.
Se Ai era sempre stato definito come cinico e freddo, suo figlio Mikaeru lo batteva: aveva ereditato i suoi stessi occhi color ciano, glaciali quando guardavano chiunque non fosse parte della sua cerchia ristretta di amici e parenti, ma i suoi capelli erano neri come quelli di sua madre, e lui si ostinava a portarli lunghi fino alle spalle, nonostante i continui richiami del padre a tagliarli almeno fino al collo.
«Eru-chan, Aoi non sa nemmeno il giapponese in questo momento» rise Nei, intervenendo «traduci»
Mikaeru sospirò, come sempre quando gli chiedevano di non parlare in inglese:
«Hai una pessima cera, Aoi. E sei un grandissimo idiota».
Aoi arrossì:
«Mi dispiace?»
Nei sbuffò:
«Lo dici sempre, e poi rischi di nuovo la vita alla prima occasione! Ti costerebbe troppo avere un pizzico di istinto di sopravvivenza?» chiese, e nonostante avesse cercato di usare un tono a metà fra il neutro e lo scocciato, Aoi riuscì ad individuare la preoccupazione in esso.
Si limitò a chiudere gli occhi.
«Maybe we should let…» Mikaeru notò lo sguardo assassino di Nei, che con l’inglese proprio non riusciva ad andare d’accordo, al contrario del suo gemello e degli altri Starkids, «forse dovremmo lasciarlo riposare»
Aoi avrebbe voluto dir loro di restare, ma gli antidolorifici e il resto delle medicine stavano avendo la meglio su di lui, e presto finì con l’addormentarsi di nuovo.
Si svegliò tempo dopo, quando fuori era buio; era solo nella stanza, o almeno così credeva: in realtà c’era qualcuno seduto nella poltroncina vicino al letto, con la testa posata vicino al suo fianco.
Dapprima aveva pensato a Nei, poi aveva riconosciuto suo padre.
«Ti prego» stava sussurrando, la voce flebile «ti prego, non a lui»
Aoi aggrottò le sopracciglia e allungò una mano verso di lui, Syo sussultò e lo guardò:
«Aoi… scusa, ti ho svegliato?»
Aoi scosse la testa, poi si guardò intorno, arricciando il naso:
«Quando posso tornare a casa?» chiese, aspettandosi la solita risposta “al massimo un paio di giorni”
«Tesoro, stavolta è stato più serio del solito» rispose Syo con voce seria, e gli occhi di Aoi si sgranarono, non stava cercando davvero di dirgli che… «almeno altre due settimane»
«No!» Aoi iniziò a divincolarsi contro tutti i cavi che gli si infilavano nelle vene e nel petto, Syo lo bloccò, con i denti serrati:
«Aoi. Aoi ascoltami!» sbottò a mezzavoce «Tu ti rendi conto che hai avuto un arresto cardiaco l’altra sera?»
Il ragazzo si bloccò a quelle parole.
Arresto cardiaco.
L’aveva sentito dire mille alte volte, in televisione, nei film, parlando di persone anziane; non aveva mai pensato di sentirselo dire. Certo, sapeva che era quello il rischio che correva quasi ogni giorno, ma fino a quel momento era stato qualcosa che era successo ad altri.
Il suo cuore si era fermato, per chissà quanto tempo, lui era… morto.
«Papà» sussurrò, spaventato, Syo gli sfiorò i capelli, togliendoglieli dalla fronte:
«Si è indebolito ancora» confermò l’uomo, mordendosi le labbra «ti hanno cambiato un paio di medicine e, se non esagererai di nuovo, dovresti star bene» il suo tono diceva ad Aoi che le parole più adatte erano “non morire”.
La porta si spalancò.
«Lo sapevo! Lo sapevo che non dovevo lasciarteli!» sbraitò una voce, Syo chiuse gli occhi ed inspirò profondamente, prima di voltarsi verso una donna dai capelli scuri e gli occhi verdastri che aveva fatto irruzione nella stanza.
«L’orario delle visite è finito da un pezzo» mormorò l’uomo, incrociando le braccia.
«Una mamma ha orari di visite?» chiese sprezzante la donna, sistemandosi la borsetta sulla spalla «Ho finito ora di lavorare, sono venuta il prima possibile»
Aoi emise un piccolissimo gemito e si tirò le coperte fin sopra il viso: trovarsi nella stessa stanza di quei due era un incubo, specie se non c’era Nei con lui.
Che poi, ora che ci pensava, se entrambi i suoi genitori erano con lui, chi stava con Nei, Yuu e Kimie?
«E ti definiresti “mamma”, tu?» mormorò Syo, a denti stretti, mentre si sforzava di mantenere un atteggiamento civile.
La donna lo ignorò e si affrettò al fianco di Aoi:
«Tesoro, come ti senti?» chiese, con tono preoccupato.
Sarebbe stata quasi credibile, se il figlio non fosse stato al corrente del suo grandissimo talento come attrice, che l’aveva resa molto popolare in quasi tutto il Giappone.
«Starei meglio se te ne andassi» bofonchiò, la donna ridacchiò dolcemente, sfiorandogli la testa, poi si alzò e Aoi, sbirciando dalle coperte, la vide puntare un dito contro Syo:
«Come sempre me li metti contro, vero idiota?»
Il biondo alzò gli occhi al cielo e si astenne dal rispondere.
“Per favore, non anche qui” implorò fra sé e sé Aoi.
«Guarda che il mio avvocato farà in modo che siano affidati a me, sai? Sei un irresponsabile, Kurusu! Non solo è colpa tua se tuo figlio ha questa invalidità, ma gli permetti anche di fare il cretino con il suo cuore? Oh, vedrai se non te li porto via, vedrai!»
Aoi si nascose anche di più, mentre il suo cuore accelerava: se non fosse stato per i sedativi, probabilmente avrebbe avuto un altro attacco. E quella donna voleva che vivessero con lei?
La voce di Syo non era mai stata così fredda, distaccata e determinata come quando pronunciò le parole successive:
«Prova pure a fare quello che ti pare, ma Aoi e Nei possono decidere per loro, con chi stare e dove andare. E Yuu e Kimi non ricordano nemmeno la tua faccia. Stai facendo star male tuo figlio, ti sei accorta?»
Aoi chiuse gli occhi e si tappò le orecchie, se avesse potuto, sarebbe sparito.
Alla fine sentì la porta chiudersi e suo padre sospirare come se avesse trattenuto il fiato fino a quel momento.
«Non voglio andare con lei»
«Però ha ragione»
Tutta la determinazione era sparita dalla voce di Syo, e ad Aoi parve di essere tornato ai tempi dei primi litigi, quando ancora lei gli rinfacciava di tutto, e lui cercava di non perderla.
«Papà?» mormorò.
Gli occhi di Syo, illuminati dalla scarsa luce dei lampioni da fuori, erano lucidi, e la sua espressione disperata:
«Ho sbagliato, ti ho lasciato fare quello che volevi, perché era così che avevo voluto fare anche io, e tu ci sei quasi morto. E poi… è solo colpa mia se tu stai male!»
Aoi era in preda al panico, suo padre stava per scoppiare a piangere? E cosa avrebbe dovuto fare in quel momento?
«Non è vero! Non è colpa tua, nessuna delle due cose. La prima è colpa mia, la seconda è successa e basta, papà ti prego, guardami» Aoi tese le braccia verso il padre, maledicendo gli aghi e i tubi, l’uomo si avvicinò e lo strinse delicatamente.
«Mi dispiace» ripetè.
«Non è colpa tua, mettitelo in testa. Non hai scelto di passarmela!» sussurrò il ragazzo, chiudendo gli occhi.
Nonostante ciò, Syo continuava a pensare che avrebbe rinunciato volentieri al suo cuore per salvare suo figlio, sebbene sapesse che lui non sarebbe stato poi granché utile.
Era un senso di impotenza, quello che provava, una sensazione di non poter aiutare una delle persone che più amava al mondo, ed era qualcosa che lo distruggeva.
«Hayato smettila! Sta bene, starà bene» le parole di Tokiya andavano perse nel vuoto mentre, sdraiato sul bordo del letto del figlio, cercava invano di calmarlo.
«No, non starà bene! Aoi non starà mai bene finchè non riusciranno a trovare un cazzo di cuore per lui!» sbottò Hayato, nascondendo il viso fra le braccia del padre, soffocando lacrime e singhiozzi.
«Hayato»
Il ragazzo tentò di calmarsi, inutilmente.
Non voleva ammettere di essere terrorizzato per Aoi, eppure non riusciva nemmeno a nasconderlo, e tutto quello che voleva, in quel momento, erano sia le parole confortanti di suo padre, sia la presenza di Aoi.
«Gli darei il mio» mormorò dopo un po’, così piano che Tokiya stentò a sentirlo.
«Cosa?»
«Gli darei il mio, di cuore, se servisse a salvarlo» ripetè Hayato, chiudendo gli occhi e lasciando che la stanchezza avesse la meglio su di lui.
Tokiya lo strinse più forte, chiudendo gli occhi. Era successo, alla fine quello che più temeva era successo.
Sperava solo che - almeno per suo figlio - le cose andassero diversamente da come erano andate per lui.

Per due settimane gli Starkids rinunciarono ad ogni forma di comparsa in talkshow o concerti o altro, ma le passarono “invadendo” a turno, o tutti insieme, la stanza di Aoi.
Anche gli Starish e i Quartet Night, oltre ad Aine, Shining, Ringo e Hyuuga erano andati a controllare che stesse bene, ma gli Starkids sembravano essersi accampati lì, in maniera particolare Hayato e Nei.
Kaito, la prima volta, era entrato più infuriato che mai, preoccupando Aoi, e gli aveva urlato contro:
«Tu! Come ti è saltato in  mente di non dirci nulla? Se stai male devi parlarcene… devi parlarne con me almeno! Non avrei annullato il concerto, ma, che so, ti avrei fatto stare da parte, o altro. Ti rendi conto dello spavento che hai fatto venire a tutti? Hai fatto urlare le fan e … hai fatto piangere Hayato!!»
A quelle parole, il ragazzo in questione si era ribellato veementemente, ma era stato ignorato.
Aoi si era scusato, ma il malumore della “mammina” del gruppo non era passato per molto tempo.
Hikaru gli aveva chiesto scusa mille volte per non aver fatto quello che gli aveva detto Syo, Reiko l’aveva abbracciato e baciato piagnucolando, Harumi gli aveva chiesto come stava almeno un milione di volte.
Nei, approfittando di un momento in cui tutti gli altri erano impegnati a battibeccare, aveva sussurrato all’orecchio del gemello:
«Continuo a pensare che sia colpa mia. Avrei dovuto ereditarlo io, vorrei esserci io al posto tuo, e tu qui, al sicuro»
Aoi l’aveva fissato scioccato, poi aveva scosso la testa:
«Ne-ne. Io non vorrei niente di diverso: se uno di noi doveva star male, preferisco mille volte che sia io. Non sopporterei di vedere te, o Yuu, o Kimi stare così, preferisco essere io a rischiare l’infarto ogni volta, preferisco essere io a passare tutto questo, non dirlo mai più, per favore».
Il broncio di Nei non se ne era andato, ma era chiaro che le parole del gemello l’avevano colpito.
Il tempo passava, e solo uno dei ragazzi si comportava in maniera diversa dal solito: Hayato non aveva aperto bocca.
Solo quando tutti furono usciti, il ragazzo si avvicinò al lettino, Aoi faticava a tenere gli occhi aperti per i farmaci e la stanchezza.
«Sarò breve» disse il più grande, sfiorandogli una guancia con dita esitanti, che Aoi sentì a malapena «non voglio più rischiare di…» gli occhi del ragazzo si chiusero, ma si riaprirono subito dopo, Hayato capì che doveva sbrigarsi se non voleva perdere la sua occasione «non andartene di nuovo, ok?» mormorò infine, sorridendogli in una maniera incerta a cui non era abituato.
L’aria stanca di Aoi fu sostituita da una sorpresa, poi un piccolo sorrisino si fece strada sulle sue labbra:
«Solo se resti con me» replicò, chiudendo gli occhi.
Ma la sua mano aveva stretto quella dell’altro ragazzo, che non ebbe altra scelta che quella di sedersi accanto al letto e osservare il petto dell’amico alzarsi e abbassarsi lentamente, realizzando per la prima volta che quel semplice movimento, quel lento su e giù, era una delle cose a cui più teneva al mondo.
Non avrebbe mai più dato per scontato nulla, dopo quello che aveva rischiato a perdere nel giro di pochi minuti.
   
 
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