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Autore: Dust Fingers    14/01/2015    1 recensioni
Ora che riguardava quel palazzo, così diverso le salirono lacrime amare che però non versò. Non era che le dispiacesse aver perso quella vita, le dispiaceva aver perso l’unico punto di riferimento tra la sua vecchia vita e quella nuova.
Genere: Fantasy, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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007. Gilding a Lily
 
In tutta la città erano in fermento i preparativi per la festa di mezza estate: una gran bella festa, con coinvolgenti danze, cibo a volontà, e tutti tiravano fuori i loro abiti più belli, preziosi e coloratissimi. Era una città ricca dopotutto. Era fiorita grazie alla sua posizione centrale sul territorio, lì passavano e arrivavano tutti i mercanti del regno, un vero tripudio della cianfrusaglia più strana e un concentrato delle razze più disparate, anche se per la maggior parte nordiche, con i loro tratti spigolosi e la carnagione scura.
  Camminando per le viuzze, alla ricerca di un banchetto che vendesse frutta o carne, siccome finalmente il maestro le aveva dato denaro a sufficienza – Onnjel era rapita dai mille odori e profumi, decisamente diversi dai soliti che le riempivano il naso. Era stata un’intensa giornata di lavoro, e tutto quell’ectoplasma che avevano impiegato una decamana per raccogliere gli era fruttato una benché misera ricompensa per quanto sempre meglio delle solite tasche vuote.
  Tra le botti colme di mosto, ancora si avvertiva la fragranza della pioggia della notte precedente che esaltava tutti gli altri profumi che la stordivano con la loro intensità.
Trovò finalmente un banchetto mobile dietro il quale una morbida signora di mezz’età si sporgeva per offrire ai clienti le prelibatezze appena colte dal suo orto, sorridente. Onnjel si fece avanti e comprò dei frutti mai visti, però molto invitanti, turgidi come se dovessero esplodere da tanto succo avevano dentro; quando vi affondò i denti dovette ammettere che l’aspetto prometteva quel che mostrava.
Vagò per tutta la mattina per le vie affollate, gioiose e colorate del mercato – tende e veli pendevano tese tra le case vicine che si chinavano sulle via per fare ombra ai passanti e ripararli dagli aggressivi e ustionanti raggi del primo sole. Si liberò del cappuccio che le calava basso sugli occhi, impedendole di godere della calda luce di quella splendida mattinata.
Percorse ancora qualche passo finché con un piede non sprofondò fino alla caviglia in una pozzanghera. Onnjel fece una smorfia, disturbata da quel fatto – avrebbe dovuto mettere ad asciugare lo stivale quando fosse tornata alla taverna – e lo sguardo le cadde sul riflesso tremolante che viaggiava sul pelo dell’acqua. Si trovava di fronte ad un immenso palazzo, doveva trattarsi di una delle dimore estive del re e della sua famiglia, una di quelle più lussuose, evidentemente, pensò, spostando lo sguardo dai fronzoli ai davanzali traboccanti di vasi in fiore che si affacciavano in strada riversi con le foglie protese al sole. Decori di metalli preziosi e dipinti arricchivano le colonne e i davanzali delle finestre con disegni floreali quasi esagerati, riproducendo una pianta rampicante su tutta la facciata; in alcune nicchie nella prete, seminascoste da foglie di metallo lavorato, sottile come la seta di sevvant, si potevano scorgere delle grosse gemme riflettenti la luce che quindi proiettavano briciole di luce colorata tutto intorno. Dal tetto pendevano gli arazzi reali, con il serpente dei ghiacci azzurro su campo nero, dalla cui punta pendeva per ciascuno una pietra in cristallo brillante.
  Il suo sguardo s’incupì: un tempo, un tempo buio e triste della sua vita a dire il vero, com’era stata prima d’incontrare il maestro, quel palazzo era un vero splendore e tesoro naturale della città di Sasshkante. Non si presentava come lo vedeva adesso, con tutti quegli inutili ed esagerati fronzoli, con quelle foglie di metallo dipinte d’oro e le pietre preziose incastonate tra di esse o a costituire i corpi di piccoli insetti su di esse posati; un tempo quelle foglie ora dipinte erano vere e ricoprivano l’intero palazzo fino sul tetto con il loro manto blu, non vi erano stendardi, né colonne di metalli preziosi, ma i tronchi della pianta stessa.
Dal soffitto del porticato che percorreva tutti i sette lati della struttura pendevano vasi di piante e tra di esse erano insetti veri a volare, e non mere imitazioni in freddo cristallo.
 
  Le si riaffaccio alla memoria un ricordo di lei che tentava di infiltrarsi nel palazzo: aveva sentito provenire odori invitanti e per il suo stomaco costantemente vuoto qualsiasi odore era meglio di quelli che le riempivano il naso nei bassifondi dove stava, nascosta alle guardie che, se l’avessero presa, l’avrebbero di certo portata in uno di quei posti dove i bambini entravano per non uscirne mai più, o così le era stato detto da altri piccoli vagabondi molto peggio di lei. Alcuni di loro, alla sua età, avevano già ucciso per due soldi o per un misero pasto. Uno di loro una volta le aveva messo un coltello dalla lama piuttosto rovinata e storta in mano dicendole che avrebbe dovuto uccidere un riccone per potersi unire al suo gruppo e continuare a vivere e ottenere anche un posto dove nascondersi che le guardie non trovassero mai.
Aveva rifiutato. Il bambino si era ripreso il coltello e le aveva dato una spinta mandandola a sbattere contro un passante, troppo ben vestito perché non ci badasse, che aveva strillato istericamente, così le guardie erano accorse subito e l’aveva inseguita finché, trovatasi davanti a quel palazzo enorme non si si era arrampicata su per i rami e infilata in una finestra per sfuggir loro.
All’interno di quel palazzo ricordava ancora la meraviglia che le aveva riempito gli occhi: soffitti altissimi e tutti dipinti con costellazioni e grifoni appollaiati sulle nuvole fino a scendere al pavimento con complicati intrichi di animali, piante e uomini dall’aspetto bizzarro e le fattezze evanescenti. Tende leggere come l’aria pendevano davanti alle immense finestre, e lei si era sentita piccola ed insignificante, nonché del tutto fuori luogo con i suoi abiti laceri e la faccia sporca.
Riuscendo a non farsi mai scoprire però aveva trascorso l’intero pomeriggio all’interno del palazzo, caldo ed accogliente; aveva pensato che nessuno le avrebbe creduto quando l’avesse raccontato così si era decisa a trovare qualcosa da portar con sé che dimostrasse la veridicità del suo racconto.
Su di uno dei grandi tappeti che ricoprivano i pavimenti aveva scorto, al centro di un disegno che raffigurava un grande bruco avvolto nel suo bozzolo brillante, un orecchino, ma forse non si trattava di una prova sufficiente: chiunque, al mercato, avrebbe potuto perdere un orecchino e chiunque avrebbe potuto ritrovarlo nel fango. Si guardò attorno ma non trovava niente che le facesse comodo portare, vi erano candelabri, e quadri e vasi riccamente decorati, profumiere appese ovunque che riempivano l’aria di fragranze delicate e tende e lenzuola su poltrone e divani, tovaglie e stoviglie in stanze completamente invase di tavole imbandite ed illuminate a festa: ne aveva approfittato, nascondendosi sotto un tavolo, per rubare un paio di pezzi di carne e goderseli in santa pace…le venne in mente che avrebbe potuto portare via una di quelle posate, luccicanti e intarsiate di cristallo blu e pietre preziose, lo sapeva anche se non le conosceva, che quella roba valeva quanto dieci delle sua vite, per cui la prese e se la infilò sotto la maglia.
  Adesso mancava solo una via d’uscita…
  Non ricordava bene come aveva fatto poi a svignarsela da quel posto che pareva disabitato, ricordava vagamente di essersi calata da una finestra sulla robusta pianta che ricopriva le facciate del palazzo e solo che quando aveva raccontato la sua avventura agli amici e aveva mostrato la posata gliel’avevano portata via con la forza ed erano scappati.
  Sì, ci aveva rimesso molto quel giorno, ma era stato poi poco dopo che aveva incontrato il maestro: l’aveva notata in mezzo alla folla grazie all’orecchino che aveva tenuto con sé e che si era infilata all’orecchio forandoselo a forza, senza emettere un suono, come aveva visto che portavano gli orecchini le signore ricche. Lui l’aveva notata e l’aveva portata con sé. Era stato un giorno di immensa felicità e di timore per lei.
Ora che riguardava quel palazzo, così diverso le salirono lacrime amare che però non versò. Non era che le dispiacesse aver perso quella vita, le dispiaceva aver perso l’unico punto di riferimento tra la sua vecchia vita e quella nuova.
  
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