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Autore: Oneipo_    15/01/2015    0 recensioni
Lo sapevi che in Giappone, quando si riparano le ceramiche rotte, non si nasconde il danno ma lo si sottolinea, riempiendo d'oro le linee di frattura? Perché credono che quando una cosa ha subìto un danno e ha una storia, diventi più bella.
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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(7)




 

An open heart is an open wound to you.


 


Il cielo è di uno strano azzurro chiaro quel lunedì pomeriggio, un colore così limpido e puro che difficilmente gli abitanti di Londra sono abituati a scorgere, tra le nuvole fitte e scure. Tutto ciò che si può ascoltare tra i prati di Regent's Park sono gli uccelli cantare e gli alberi muoversi con il vento, il vociare lontano proveniente dai ragazzi che giocano a calcio e lo scorrere delle acque che attraversano il parco. Qualche pescatore se ne sta addormentato sulla propria barca, un cappello a coprire la testa e le braccia incrociate al petto. Un paio di passanti chiacchierano a bassa voce su quanto sia bella la città, con il sole a illuminarla, e una coppia anziana è seduta su una panchina, un cagnolino a giocare tra i loro piedi e le mani strette a ricordarsi il loro amore. 
Liam e Shannon sono sdraiati accanto a un albero, una coperta sotto i loro corpi e i giubbotti pesanti adagiati da un lato. Lei ha una larga felpa di suo fratello - verde proprio come i suoi occhi - dei chiari jeans a fasciarle le gambe e le solite Vans. Sta giocando con il telefono sdraiata a pancia in sotto, appoggiata sui gomiti, e sbuffa dopo aver perso un'altra partita a Candy Crush. 
Liam, invece, è proprio accanto a lei e ha la schiena appoggiata all'albero, in una mano dei documenti che studia attentamente e nell'altra una matita colorata, che si porta alla bocca per mordere pensieroso. Ha un paio di pantaloni beige, una camicia bianca sotto a un maglione nero e gli occhiali da vista - quelli che indossa solo per studiare - un po' bassi sul naso. 
Shannon lo osserva di tanto in tanto, quando lui non se ne accorge, e si sofferma sulle rughe sulla sua fronte corrucciata o sul suo mordersi il labbro inferiore, poi sorride e torna a giocare senza fare il minimo rumore. A guardarli così, in quel loro modo di atteggiarsi, chiunque li definirebbe troppo diversi per stare insieme - lei così bambina, lui così serio - eppure tra di loro le cose vanno più che bene. 
«Dannazione, non supererò mai questo esame» si lamenta Liam e Shannon non alza neanche la testa dal suo telefono. «Sei un secchione, certo che lo supererai» dice. 
Liam fa un sorriso e posa i suoi fogli nella borsa, si alza e si sdraia accanto a lei, il volto rivolto a studiare il cielo. «E tu sei una pessima studentessa, perché non ti vedo studiare mai» risponde. 
Shannon fa un respiro e ancora una volta prova quella sensazione allo stomaco che il continuare a mentirgli le provoca. Ma funziona così, no? Che quando dici una bugia quella poi si ingigantisce e non puoi più tornare indietro, perché farlo significherebbe perdere ciò per cui hai lottato. E Shannon non vuole perdere Liam, per questo non risponde. 
Lui la guarda di sottecchi e lascia cadere il discorso, poi «quella nuvola ti somiglia» la prende in giro e lei si volta per guardarla. 
«Quale?» 
«Quella brutta lì.»
«Stai dicendo che sono brutta?» 
Shannon finge di offendersi e Liam ride, si allunga per afferrarla e tirarsela contro. 
«Tu sei bellissima» dice e Shannon arrossisce e si lascia baciare. 
Restano un po' così, lui che le accarezza una guancia e lei che gli ruba i baci più inaspettati, poi Liam torna a sdraiarsi e le stringe una mano. 
«La prossima settimana devo andare da mio padre» annuncia tranquillo. 
«Per quanto starai via?»
«Una settimana»
Shannon sbuffa, perché una settimana senza Liam non vuole starci, e torna a giocare con il cellulare. 
«Sai che è solo, gli faccio un po' di compagnia» aggiunge lui e si passa una mano sugli occhi stanchi, togliendosi gli occhiali da vista. 
La rossa annuisce, «ti manca tanto? - chiede e improvvisamente l'atmosfera tra di loro si è fatta più seria - tua madre  
Non sa perché glielo sta chiedendo, ma è come se avesse bisogno di sapere, di conoscere le emozioni di Liam in quel momento. 
Il ragazzo fa spallucce, «avevo cinque anni quando se ne è andata. Non ricordo neanche il suo viso» dice e sta mentendo, perché il volto di sua madre, invece, lo ricorda ancora perfettamente. 
«Pensi di mancare, a lei?» 
«È importante? - chiede Liam un po' nervoso - ha lasciato me, mio padre e mia sorella da soli per fuggire con un altro e non si è più fatta viva. Non credo, quindi, di mancarle.» 
Shannon poggia la testa nell'incavo del collo di Liam, gli bacia una spalla e poi la mandibola e sente il cuore scoppiargli perché visto da lì è più bello di qualsiasi cosa esistente al mondo, ed è suo. 
«A me mancherai - gli dice sussurrando al suo orecchio, e dei brividi attraversano la schiena di Liam - a me mancheresti sempre.» 
 
 

 «Oui, maman. Je le sais, maman. D'accord, maman.»
Aline ripete quelle parole nell'esatto ordine e con la stessa enfasi, come un disco rotto. È al telefono con sua madre da più di mezz'ora e lei non ha fatto altro che ripeterle "stai mangiando?""sai che la prossima settimana è il compleanno di tua sorella?""chiamami più spesso" e le solite cose che una mamma lontana e preoccupata direbbe a sua figlia, soprattutto se non vede quest'ultima da mesi. 
Niall è seduto sulla poltroncina della camera e sta giocando con un lucchetto di un vecchio diario di Aline, che ha trovato per caso appoggiato al comodino. Lo apre e lo richiude, lo apre e lo richiude, e quando il lucchetto si blocca per uno strano motivo tra le sue mani, lo riposa dove l'ha trovato, cercando di fare l'indifferente e lanciando un'occhiata alla ragazza, per capire se è stato o no colto sul fatto. Non smette di ascoltare la voce di lei neanche un secondo, perché quando parla francese diventa ancora più acuta e melodica. 
Sono andati a trovare Harry, e Niall ha insistito particolarmente per accompagnarla, poi Aline gli ha  gentilmente chiesto se voleva salire per un caffè e due chiacchiere. 
«Scusa - dice lei appena riaggancia, posando il telefono e sedendosi sul letto - mia madre quando ci si mette è una vera tortura.» 
Niall sorride, «non fa niente, non ho comunque capito nulla di quello che vi siete dette.» 
Aline ride e con un gesto automatico si porta una ciocca di capelli dietro all'orecchio, abbassando lo sguardo. Lo fa spesso e Niall sente il cuore perdere un battito ogni volta che succede. Si sta lasciando coinvolgere da lei come un ragazzino alla prima cotta. 
«Sei stato gentile ad accompagnarmi, oggi» lo ringrazia Aline e Niall fa spallucce. 
«Figurati - risponde - mi fa piacere venire in ospedale con te.»  
Aline corruccia le sopracciglia e Niall si gratta la testa. 
«Non che mi piacciano gli ospedali - prova a riprendersi - in realtà odio entrarci perché c'è sempre quella puzza...» Niall tossicchia e sta arrossendo.  
«Però se ci sei tu - riprova dopo poco - puzzano un po' meno» borbotta a bassa voce e come sempre si dà dello stupido. 
Aline sta trattenendo una risata ed è davvero divertita dai tentativi impacciati di Niall di essere carino. Nessuno le ha mai detto che gli ospedali puzzano un po' di meno se c'è lei, certo, ma forse di lui le piace anche questo. 
«Dovremmo uscire di nuovo» propone il ragazzo qualche secondo dopo, per sviare anche l'imbarazzo che si sta posando tra di loro. 
Aline ci pensa su e «perché no!» risponde entusiasta. 
«Dove ti piacerebbe andare?» 
La ragazza si porta una mano sotto il mento e riflette sulla domanda, «mi piacerebbe andare a vedere il balletto - dice - so che danno Lo Schiaccianoci al Sadler's Wells Theatre.»
Niall rimane in silenzio, fa un ghigno poco felice e non dice nulla. 
«Che c'è, non ti piace?» il tono di voce triste di Aline lo riscuote, quindi si siede un po' più comodamente sulla poltrona e «no, scherzi, mi piace un sacco» mente spudoratamente e la sua voce è aumentata di un tono. Niall e il balletto sono, come è chiaro, due cose totalmente opposte. 
«Pensavo solo che poi dovremmo trovare un posto dove cenare» continua insicuro, cercando di sembrare il più convinto possibile. 
La francese sembra invece avergli creduto, quindi saltella sul letto e «mi porterai davvero a vederlo?» domanda. 
Il biondo annuisce e si pente nello stesso momento in cui lo fa. Solo che Aline sembra così felice che lui non può fare altro che accontentarla, chiamare il botteghino del teatro e prenotare due biglietti per Lo Schiaccianoci - che gli vengono anche a costare un occhio della testa e, ne è sicuro, gli concilieranno il sonno più del dovuto. 

 

 

 Il convento delle suore di Canterbury è situato nella zona rurale del paese ed è circondato da grandi prati verdi e casali disabitati durante il periodo invernale. Ospita all'incirca venti donne, tra le più giovani alle più anziane, che si occupano dell'orto e dell'allevamento e vivono di ciò che riescono a racimolare durante i raccolti. 
Ella sta percorrendo il viale che porta al chiostro, calciando i sassolini che incontra sulla strada. I suoi jeans sono stretti e il maglione largo le lascia scoperta una spalla, ma il sole picchia alto nel cielo ed è piacevole sul viso. Non ha detto a nessuno dove stesse andando, neanche a Delilah, ma ha preso il treno quella mattina presto ed ha comperato dei biscotti freschi e del pane sotto casa, diretta in quel luogo d'infanzia. 
«Buongiorno» saluta educatamente un paio di suore che non conosce - e che devono essere arrivate dopo l'ultima volta che si è recata lì - e si guarda intorno per godere del panorama che quel posto le offre. 
«Ella!» si volta sorridente nel sentirsi chiamare e Suor Margaret alza una mano in segno di saluto e le corre incontro felice, «che bello rivederti!» esclama poi. 
La suora ha all'incirca sessant'anni, è un po' in carne e ha le guance piene e rotonde. I capelli coperti dal velo sono un misto tra il nero del suo colore e il grigio della vecchiaia, e i vispi occhi verdi sono circondati da delle rughe evidenti. 
«È un piacere anche per me - risponde Ella abbracciando la donna affettuosamente - mi manca sempre molto la mia casa.»
Suor Margaret annuisce e poi le prende una mano, «vieni, Elizabeth e le altre saranno entusiaste di averti qui con noi.» 
Ella segue la suora in silenzio, lasciandosi condurre all'interno del convento che conosce a memoria. Ricorda ancora perfettamente di quando da piccola giocava a nascondersi nelle stanze e delle sculacciate che Suor Mary Elizabeth, la Madre Superiora, le dava quando rovinava i pomodori dell'orto saltandoci sopra con i piedi. 
La sala grande, che accoglie le suore durante gli orari dei pasti, è spaziosa e illuminata da due grandi finestre. C'è un tavolo rotondo al centro della stanza, delle credenze ricche di farina e grano, un caminetto acceso e una sedia a dondolo in legno. Alcune giovani ragazze sono raccolte intorno alla tavola e preparano con cura la pasta fresca per la cena, cantano una canzone religiosa e sorridono spensierate. Suor Mary Elizabeth è seduta a cucire su una sedia e i suoi occhi si illuminano nel vedere Ella. I capelli ormai completamente bianchi sono raccolti sotto il velo scuro e la pelle raggrinzita è segno dei suoi ottanta anni, ma Elizabeth possiede ancora la vivacità di una ragazzina e per questo si alza dalla sedia con facilità e apre le braccia per accogliere la ragazza, che si lascia coccolare. 
«La mia bambina - dice l'anziana, portando le mani sul viso di Ella e accarezzandole le gote dolcemente - sei sempre così bella.» 
Ella sorride e in un attimo anche le altre suore la riconoscono e corrono a salutarla. Ella si ritrova improvvisamente al centro di un abbraccio di gruppo, ed è bello perché c'è amore nell'aria e questo la fa sentire bene. 
«Vieni - riprende poi la Madre Superiora - hai un sacco di cose da raccontarmi.» 
Camminano per il prato, lei e Suor Elizabeth, ed Ella le sta dicendo che ora fa la babysitter a tempo pieno, che lavora in un catering solo quando viene chiamata, che fa anche da dogsitter due volte a settimana. La suora la ascolta in silenzio e la guarda con l'orgoglio di una mamma che ha visto crescere la propria figlia e diventare una donna. Si sente fortunata delle volte, Suor Elizabeth, perché nella vita ha scelto di amare Dio e il Signore l'ha ricambiata donandole una bambina, che una sera d'inverno piangeva da sola dentro un cesto del pane fuori dal convento e che la donna ha amato - e ancora ama - come se fosse sua. In qualche modo, rivede se stessa in Ella. Sempre così silenziosa e diretta, introversa e difficile da capire. 
La donna stringe la mano alla ragazza, e per Ella è come essere tornata piccola. 
«E l'amore, tesoro? Sono vecchia ormai, vorrei conoscere i miei nipotini prima di morire.»
Ella fa una smorfia, «ho solo ventidue anni» dice. 
«Ma almeno, sei innamorata?»
La giovane scuote la testa e non sa perché il suo pensiero si sofferma su Zayn. Non lo ama, è ancora troppo presto e sono usciti insieme solo una volta, ma c'è qualcosa in lui che la incuriosisce e la spinge a voler sapere di più. Una sensazione che Ella non ha mai provato con nessuno. 
«Dimmi come si chiama» insiste Suor Mary Elizabeth, fermandosi a raccogliere una margherita in terra e sistemandola dietro l'orecchio di Ella. 
«Zayn - dice lei - ma non sono innamorata, lo conosco a malapena.» 
«E ti piace?» 
Ella ci pensa su, poi dà la prima risposta che le viene in mente «parecchio» ammette e quasi se ne vergogna. 
Elizabeth si apre in un bel sorriso, «allora non lasciarlo fuggire» esclama e Ella annuisce divertita. 
Quando tornerà a casa, chiamerà Zayn solo per sentire la sua voce. 

 

 

Peggio del cibo lesso e insapore dell'ospedale, per Harry c'è solo la zuppa di asparagi che cucina sua madre e che - il più delle volte - ha un sapore aspro e troppo forte per il suo palato. 
Sta fissando la ciotola piena da circa cinque minuti buoni e non si azzarda neanche ad avvicinare il naso alla minestra per poter annusare l'odore. 
È passata una settimana dall'accaduto e lui si sente decisamente meglio. L'ospedale lo ha lasciato andare, dopo essersi assicurati che il trauma cranico non avesse comportato gravi conseguenze, ed Harry è lieto di soffrire solo di forti emicranie e deboli difficoltà di concentrazione - come quando il suo patrigno sta parlando di lavoro e lui si ritrova improvvisamente a pensare che i calzini a quadri gli piacciono davvero tanto, e non lo fa neanche di proposito! 
Sua madre Anne e suo marito sono atterrati a Londra solo dopo quattro giorni e nessuno di loro si è ancora preoccupato davvero di chiedere ad Harry cosa sia successo, anche se continuano a sistemargli la fascia che tiene ferme le tre costole incrinate e a disinfettargli la ferita sulla testa come due genitori premurosi. Sua cugina Emma lo ha invece raggiunto il prima possibile, portandosi dietro l'amore della sua vita - così lo chiama lei - ovvero un tipo con la cresta e i gilet di pelle che, probabilmente, fa il rapinatore o peggio. Harry ha passato un solo momento insieme a lei, perché poi se ne è andata in giro per Londra con la scusa di Patrick vuole visitare la città! e si è fatta vedere solo per pranzo e per cena. 
«Quella la mangi?» curiosa Louis, seduto su una sedia accanto al letto singolo della stanza di Harry, con i piedi appoggiati al materasso. 
Harry non gli ha esattamente chiesto di fargli compagnia, perché non è riuscito a dimenticare ancora le sue parole prima dell'aggressione, ma Louis non ha intenzione di lasciarlo solo neanche per un secondo, e se ci fosse un posto disponibile resterebbe lì anche per la notte. Neanche lui gli ha più chiesto cosa fosse successo e probabilmente sta aspettando che Harry si senta abbastanza pronto per raccontarlo. 
«Allora, la mangi? - ripete Louis con uno sguardo un po' preoccupato, perché le perdite di attenzione di Harry sono lunghe e frequenti - la minestra, intendo.» 
Harry scuote la testa e Louis la leva dalle sue mani per appoggiarla sul comodino. 
«Devi mangiare qualcosa» gli dice e tira un sorriso. 
«La zuppa della mamma mi fa schifo.» 
«Mi sembra ti faccia schifo qualsiasi cosa tua madre cucini.» 
Harry sposta lo sguardo fuori dalla finestra e non risponde, Louis si alza per sedersi sul letto e prendergli una mano, «dimmi cosa c'è» dice. 
«A volte penso che sarebbero dovuti rimanere a Los Angeles, sai, mia madre e Tom.»
Louis scuote la testa, «non essere sciocco - risponde - sono qui perché ti vogliono bene, a modo loro, ma te ne vogliono. Sei fortunato ad averli accanto.»
«E tu perché sei qui? Devo ritenermi fortunato anche ad avere te?» 
Louis deglutisce e abbassa lo sguardo. Sa a cosa si riferisce Harry e improvvisamente tutti quei discorsi mentali che si è fatto per chiedergli scusa sembrano non essere abbastanza. 
«Lo pensavi davvero, Louis, quello che mi hai detto quella mattina?» Harry lo guarda bisognoso di sapere, muove gli occhi alla ricerca di quelli del più grande e si morde il labbro ancora ferito. 
Louis prende un respiro, «ero arrabbiato, mi hai dato del codardo, tu - si blocca, ha la bocca secca - tu sai quanto mi faccia male, tu-» sta iniziando a balbettare e non ha più nulla di sensato da dire, se non un «mi dispiace» sussurrato a bassa voce. 
Harry vorrebbe alzarsi per abbracciarlo, ma non riesce a muoversi, quindi si limita a sfiorargli un braccio. 
«D'accordo - inizia - immagino che se voglia stare con te dovrò finalmente accettare questa situazione» non ne è felice, per niente, ma affrontare il discorso lo rende sempre improvvisamente stanco dell'intera situazione. 
A Louis vengono in mente tre cose da dire: per te mi impegnerò a cambiare, in fondo a me il mondo fa paura, comunque credo che mi sto innamorando, ma «mangia qualcosa, Harry, sei dimagrito un sacco» lo ammonisce e si alza per andare in cucina a racimolare una merendina e un po' di latte. 
Harry soffia e sente il cuore andare a mille, si passa una mano a sfiorare l'occhio ancora livido, ma molto più sgonfio, e si accarezza la testa imprecando per l'emicrania che lo sta per colpire e che inizia già a fargli male dietro il collo. Chiude gli occhi e spera di addormentarsi, perché di mangiare non ne ha proprio voglia e non ha voglia di perdersi ancora negli occhi azzurri di Louis, che lo guardano con quella compassione di cui Harry, al momento, non ha proprio bisogno. 

 

 



Ciaociaociao
Non potete capire che casini infiniti sono per me queste settimane, quindi ho aggiornato per miracolo e ho un sacco di recensioni da lasciare ma ok.
Voi come state?
Allora, eccomi con un nuovo capitolo che passo subito a commentare.

Liam/Shannon, inizio con il dire che all'inizio avevo inserito una parte dedicata interamente a Shannon, perché avevo deciso che in questo capitolo - come avrete potuto intuire - avrei fatto capire un po' qual era la vita e la situazione famigliare di qualcuno dei miei personaggi, e quindi avevo raccontato di lei. Nonostante questo, visto che vi piace Liam, ho poi cambiato idea e inserito invece una piccola scenetta tra lui e Shan, che vi facesse capire comunque qualcosa in più. Non è che Liam ha una situazione famigliare disastrata, sua madre se ne è andata, ok, ma lui vive comunque tranquillamente questa situazione perché ormai di tempo ne è passato. Ha solo suo padre lontano e, visto che è un ragazzo per bene, lo passa a trovare ogni quanto può. Ecco, visto che lui è molto serio e posato, mi sembrava giusto sapevate anche perché e sì, l'assenza della madre lo ha comunque reso tale.

Niall/Aline: parlare di Niall mi diverte sempre, perché dice cose senza senso ed è sempre troppo impacciato. Niente, loro hanno in programma un altro appuntamento - anche se l'idea non entusiasma molto Niall - e sono una coppietta carina, no? Aline, ormai lo sapete bene, è francese e sua madre è tornata a vivere in Francia, ecco perché sono lontane. La cosa comunque verrà spiegata più in là in un momento molto carino.

Su Ella non ho molto da dire. Mi piaceva l'idea che lei si comportasse in un certo modo proprio per l'educazione ricevuta sin da bambina e non so, ditemelo voi se vi piace o no questa cosa, perché per me ci sta perfetta per il personaggio ma potrei anche essere fuori strada.

Harry/Louis, bene, spero siate felici che Harry si senta meglio - ve lo avevo detto che non ero così crudele - e la sua situazione famigliare ormai la conoscevate bene. Ho da dire solo una cosa, perché so che vi stranirete nel leggere di un Harry così accondiscendente con Louis. Lui non ha dimenticato le parole di Louis e non le dimenticherà facilmente, ecco, è solo che immaginatevi un attimo tutta la stanchezza post-ospedale, penso che a nessuno di voi verrebbe voglia di discutere con qualcuno che, invece di tirare fuori le parole (maledetto Louis), balbetta frasi senza senso o se ne sta zitto. Harry si è sentito esattamente esausto.

Finisco qui e corro a fare il mio dovere,
fatemi sapere ok?

A presto!
Oneipo.

 
  
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