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Autore: Thingsthinker    15/01/2015    3 recensioni
Rinuccio e Nina crescono fra la polvere e il dialetto cattivo di un quartiere poverissimo alla periferia della città.
Le ragazze si sposano a sedici anni e se qualcuno le tocca prima è dovere dei familiari ammazzarlo di botte.
Nina è la più brillante della sua classe; lo sanno tutti che scapperà da quel posto appena possibile e cambierà il suo destino.
Rino nel suo destino ci sta già dentro fino al collo, lo vive tutti i giorni quando si alza e va al cantiere; dodici anni, la pelle bruciata dal sole, le braccia forti - perchè devi essere forte, per fare il muratore.
Non potrà mai averla e lei non potrà mai avere lui.
Forse.
Genere: Drammatico, Generale, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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L'AMORE INFAME è un racconto ideato e scritto da Lee, cioè me. Se vi servirà come fonte di ispirazione mi farebbe piacere che me ne parlaste.
Se me lo copiate vi spezzo le gambine. ^_^



4.
IPOCRISIA

 
Nina è contenta, pervasa da quella felicità maliziosa che si impadronisce dei suoi pensieri e non la lascia essere razionale.
Ma Nina ha quindici anni, e preferisce essere felice e maliziosa, che razionale.
Accanto a lei, vicino quel che basta per sfiorarla con il braccio ad ogni passo, sta Eliseo. 
Eliseo va alla sua scuola, è stato il primo che si è accorto di lei davvero, che non ha fatto battute sulle sue origini. Dice che la gente ricca non è affatto migliore della gente povera, e quando lo dice a Nina si scalda il cuore.
Le sembra carino, Eliseo, anche se ha le lentiggini e i denti un po' sporgenti: le piacciono i suoi vestiti raffinati, costosi ma non pacchiani. Quel suo modo di camminare spensierato, come se gli oggetti e le persone dovessero spostarsi per farlo passare; non come i ragazzi del rione, che calcano il terreno pesantemente, quasi a lasciare un'impronta sul mondo per fare in modo che non si dimentichi di loro. 
Le piacciono quelle sue mani sottili e non piene di vesciche, tagli, bruciature, calli e graffi di ogni genere: le piacciono quelle mani che non hanno mai lavorato, la cui più grande fatica è stata tenere in mano una penna. 
E le piace come la guarda. La guarda con desiderio, inutile negarlo. Le guarda il seno e la bocca e il sedere, ma Nina è contenta. E' a suo agio con la malizia, con l'essere desiderabile: al rione questo la spaventa, una volta su due - se è senza un uomo - qualcuno le grida oscenità, prova a toccarla. Persino con i suoi amici si comporta poco femminilmente, loro ci andrebbero pesanti, come sono abituati a fare. E Nina credeva che fosse normale. In città ha imparato a tenere lei il coltello dalla parte del manico. Ha imparato a dosare la sensualità, a decidere quanto farsi desiderare e da chi. E inconsciamente, lo sente come il primo passo verso l'autonomia. 
Decide di farsi lasciare al confine del rione, non vuole mostrargli la sua casa. Come apparirebbero ai suoi occhi le palazzine con i muri scrostati, i bambini zozzi che gridano parolacce, gli uomini violenti, le donne volgari, le ragazze con la lingua rapida, i cani randagi, l'alto tasso di criminalità? 
Apparirebbero per quello che sono, e Nina non vuole.
"Grazie mille per avermi accompagnata." sorride, è in estasi. 
"Sicura che non vuoi che ti accompagni fino sotto casa?"
"No, tranquillo, è qui dietro l'angolo." mente.
E allora, Eliseo fa una cosa che Nina non si sarebbe mai aspettata. La prende per mano e la porta nell'incavo di un muro che un tempo doveva essere stata una porta. E la bacia.
Nina sente il contatto delle sue labbra, sono sottili e fresche, e dapprima piacevoli.
Poi si fanno più insistenti, e Nina prova a respingere il ragazzo. Un bacetto basta e avanza. Ma lui ancora le sue mani ai fianchi di lei e continua a baciarla, sempre più insistentemente, quasi con entusiasmo. Nina capisce che è anche il suo primo bacio: non sa baciare, le labbra si muovono quasi a scatti, c'è troppa saliva.
"Lasciami" mormora. "Lasciami." ripete più forte. 
Lui non la ascolta. Lei gli dà uno spintone che gli fa perdere l'equilibrio.
"E dai, Ninetta, non lo sai? E' così che si fa."
Lo vede tornare verso di lei e viene presa dal panico. Ha il suo sapore in bocca e d'un tratto la disgusta, lo trova repellente; lo vede avanzare e capisce che non ce la farà a respingerlo di nuovo perchè è comunque più forte, dovrà subirsi i suoi baci inesperti e schifosi.
Ma mentre pensa a questo, d'un tratto non vede più Eliseo.
Perchè di fronte a lei c'è qualcun altro. Le da le spalle, spalle larghe. Ricci bruni.
Il nome le esce con un soffio di sollievo e di ansia insieme.
Rino.
 
Ma non fa in tempo a sentirsi sollevata che viene presa dall'ansia.
Rino li ha visti? Ha visto Eliseo fare quello che stava facendo? 
E la risposta le è chiara quando Rino sferra il pugno. E' forte, preciso, non indugia neanche un secondo. Nina è sempre alle sue spalle quando vede Eliseo cadere all'indietro, la casacca grigia sporca di sangue vermiglio.
Il suo sguardo è atterrito, confuso, terrorizzato: il naso storto innaturalmente gli provoca una smorfia di dolore. Non è abituato a queste cose, probabilmente non è mai stato colpito in vita sua: al rione un bambino di sette anni prende più botte di quante ne prenderà lui nella sua intera vita.
E Nina d'un tratto ne ha pena. Con uno scatto che sorprende lei stessa si porta davanti a Rino, le spalle ad Eliseo.
Sente quella frazione di secondo come una grottesca metafora della sua vita: da una parte il rione - violento, irrazionale, ignorante, ma che combatte per lei -, dall'altra la città bene, il suo futuro.
Ma capisce che è nei guai, quando guarda Rino negli occhi.
Non è lui. Ha gli occhi grigi annebbiati da una furia cieca, il volto deformato dall'ira. La camicia bianca troppo larga lascia intravedere i muscoli tesi alimentati dall'adrenalina violenta che gli scorre nelle vene.
Si para davanti a lui, ma mentre lo fa capisce che per Rino non è ancora finita.
"Smettila." dice "Basta."
Rino sembra non sentirla. La guarda negli occhi per una frazione di secondo, poi la scansa. Afferra Eliseo per il collo della giacca, lo tira in piedi sgocciolante di sangue.
"Se la tocchi di nuovo" ringhia "Quanto è vero Dio, io ti ammazzo."
Rimangono qualche secondo così, la tensione palpabile, gli sguardi che uccidono. Poi Rino allenta la presa, e Eliseo fugge incespicando per la strada. 
 
E' silenzio. 
Nina lo fissa con rabbia: umiliata, disperata. Piange silenziosamente.
Ma lo sguardo di Rino la fa piangere ancora di più. E' uno sguardo duro, però quasi remissivo, accondiscendente: è il mare dopo la tempesta, che sembra quasi più bello di prima.
"Come ti sei permesso?" grida lei, in italiano. "Come hai potuto fare questo" indica il sangue a terra "Ad un mio amico? All'unica persona a cui importa - importava - di me, dell'intera scuola?"
E lo sguardo di lui diventa ancora più duro, sarcastico.
"Oh, lui era sicuramente tuo amico, ma non mi sembrava che tu fossi così d'accordo."
"Sono cazzi miei."
 
Lui ride ed è una risata cattiva. Di una cattiveria ostentata ma allo stesso tempo giusta: è la cattiveria della sincerità, che è crudele perché non può essere messa in dubbio.
"Hanno ragione gli altri, sei proprio una stronza."
E quello si, la impietrisce. La lascia immobile ma fragile, quasi che un soffio di vento potesse fare di lei milioni di pezzi. Nina pensa che sarebbe più facile: diventare niente più che un mucchietto di frammenti di vetro lì nella strada deserta.
E' da quell'insulto freddo che capisce che ne hanno parlato di lei, gli altri, e anche tanto. Il tono di Rino le fa intendere che lui si era sempre opposto, l'aveva sempre difesa, ma ora no: ora tutti, persino lui, sono d'accordo su un fatto inconfutabile.
Ninetta è una stronza.
"Io, stronza?"
Mentre lei rimane immobile senza muovere un passo, lo sguardo fisso su di lui, Rino si appoggia ad un muro e si accende una sigaretta. Quella tranquillità serena la fa star male, la colpisce come un destro nello stomaco.
Lui non è affatto turbato da quello che le sta dicendo, non prova nessun sentimento. Tira una boccata e poi farlo, la voce estraniata dal fumo: 
"Stronza, e pure ipocrita."
Ipocrita. Quella parola elaborata suona così strana, inserita nel dialetto volgare che sta usando.
"Perchè preferisci un pezzo di merda come quello, uno che ti bacia di forza e ti molesta, pure se è brutto, perchè è un signore. Io, io che non t'ho mai torto un capello, che t'ho sempre ascoltata mentre parlavi dei tuoi grandi progetti per il tuo merdoso futuro, io che t'ho sempre creduta la più brava, la più bella, la più intelligente, io che mi so' ammazzato di lavoro e di studio perchè ti credevo - 'studiare è il futuro, avremo una vita migliore' - , io no, io ti faccio schifo."
 
Nina se ne sta là, impietrita dal dolore e dalla colpa, i muscoli del viso immobilizzati: ha smesso persino di piangere. Non piange perchè questo dolore è troppo forte. 
Ma Rino ormai continua, freddo e implacabile, alimentato da una forza nascosta, e quello che dice ha il sapore di qualcosa che si è tenuto dentro per troppo tempo, qualcosa che a forza di essere soffocato poi è esploso. E ogni parola è una lama di spada, ogni suono fumoso emesso con tranquillità è una bruciatura.
"E allora vaffanculo, Ninè, quale futuro e futuro. Contano i signori, quelli coi soldi; mo' hai finito con i sogni da bambina e te ne stai accorgendo pure te. Sai la cosa peggiore? Per un periodo pure io mi sono sentito migliore, ho detto: c'ha ragione Ninetta mia, è vero, sarò un uomo migliore di mio nonno e di mio padre e di tutti i miei fratelli, perchè io studio. E allora non fare l'ipocrita, Ninè. Dillo: 'Rino, mi fai schifo perchè sei un poveraccio, un ignorante, un muratore volgare senza una lira, e non sei niente e non sarai niente per tutta la vita.’ Dillo. Voglio sentirtelo dire."
 
La guarda ma Nina ormai non è più Nina. Nina vola lontano, la sua testa vuole staccarsi dal corpo perchè ha paura che tutte quelle cose la faranno crollare. Però quell’ultima cosa la risveglia: la risveglia, perchè è l'unica cosa sbagliata che Rino abbia detto.
Lo guarda e si accorge che lui vuole davvero che lei lo dica, per averne una certezza. Perchè vuole essere così arrabbiato da potersi non accorgere di quanto le sta facendo male. 
"No." e il suo è un sussurro quasi muto. "Non lo dirò mai."
Rino tira un'altra boccata della sigaretta ma non le stacca gli occhi di dosso. "Vigliacca."
Si costringe a guardarla, a guardarla soffrire, spiazzata, ferita: si costringe a farlo, perché così può soffrire quanto lei.
E una parte di lui vorrebbe prendersi a pugni in faccia, correre ai suoi piedi e chiedere perdono, stringerla fra le braccia. Vorrebbe asciugarle con i baci quelle lacrime che le ha fatto scendere, abbracciarla forte per non farla rompere in mille pezzi.
Ma non può. Quello che dice è vero, se l'è tenuto dentro per troppo tempo.
"Tutto quello che hai detto è vero." dice lei, la voce innaturalmente controllata. "Sono una stronza, e un'ipocrita, e ho tanti sogni merdosi. Ma non penso di te quello che hai detto, e non lo penserò mai. E vuoi sapere una cosa, Gennaro? Almeno io ci provo. Io sogno. Io studio."
"Mentre tu sogni" ribatte lui grondante sarcasmo, abbassando gli occhi "Io mi spezzo la schiena a spostare mattoni, mi uccido lavorando anche dieci ore. E tu? Tu sogni."
Si alza in piedi, butta a terra la sigaretta, si dà una pulita ai pantaloni.
"Ciao, Ninè." e si allontana.
Ma lo sforzo che fa per non voltarsi indietro lo uccide, il senso di colpa comincia già ad agire, e lui ha dalla sua parte solo la sincerità: ma non è abbastanza, se come avversario ha un amore infame, logorante, che dura nel tempo e non si spegne mai, si ravviva con l'assenza di Nina quanto con la sua presenza.
E quest'amore combatte, combatte per farlo voltare e quando sente i singhiozzi quasi ci riesce. Si ferma per un attimo, poi l'ha di nuovo vinta e continua a camminare.
Più veloce, però.
Si vergogna di quello che ha detto così tanto che si prenderebbe a pugni.
 
E' quel "Ciao, Ninè." che la fa crollare.
E Nina crolla, fisicamente. Deve sedersi a terra, e piangere. Piange, piange tanto, lascia che i singhiozzi escano forti e frequenti, che le lacrime le bagnino persino dei ciuffi di capelli e glieli appiccichino alle guance. 
Si stringe le ginocchia al petto e per non strillare, per non colpirsi, si morde il labbro e si conficca le unghie nei palmi.
Perchè Rino ha ragione. Ha ragione. E Nina lo odia, lo odia perchè se persino lui, lui che era sempre dalla sua padre, lui che l'adorava, dice che è una stronza, allora deve essere vero.
Nina piange forse per mezz'ora, in una stradina secondaria.
Poi si alza, si dà una sistemata al vestito, riprende la cartella. Si allontana a passo sostenuto e sente di aver lasciato in quel vicolo una parte di se, la stessa che pensava alla casa a tre piani con i bei bambini, eccetera eccetera.
Ha lasciato nel vicolo la Nina che nel presente pensava al futuro.
Ne è uscita quella che costruirà il suo futuro vivendo il presente.

 
 
*si inchina e arrivano i pomodori*
Avete visto come sono stata brava e veloce?
Okay, a parte gli scherzi, questo capitolo è stato tosto.
Volevo trasmettere tutto a 360°, Nina ferita, Rino combattuto, Eliseo che sembra venire da un altro mondo.
Spero di esserci riuscita, questo capitolo è molto importante.
Ringrazio Anan, Graeca, mary028, raffaellaallaguerra (a lei un grazie speciale per le sue recensioni meravigliose, tivubì <3 ), Viandante_ e Anna che hanno messo la storia fra le preferite.
Un grazie enorme anche a tutti i lettori silenziosi, spero di non perdervi!
Un bacio,
Lee
  
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