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Autore: _White_    16/01/2015    2 recensioni
E' la notte di Capodanno e Gin si ritrova ad una festa privata, in un appartamento sconosciuto e con gente sconosciuta. In questo clima di straniamento, ci sarà spazio per tirare le somme dell'anno che sta terminando.
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Non volevo venirci, a questa festa. È stata Giorgia, la mia migliore amica fin dal liceo, a costringermi a partecipare.
Se fosse stato per me, avrei passato il Capodanno a casa, in famiglia. Mi sarebbe piaciuto preparare una semplice cena per mia madre e i miei due fratelli, magari sarebbe venuta anche la nonna e avremmo ingannato l’attesa per la mezzanotte giocando a tombola, con in sottofondo il classico concerto dell’ultimo dell’anno condotto da Carlo Conti. Invece non è stato possibile.
La mamma ha deciso di uscire con le colleghe dell’ufficio, Riccardo è in montagna con gli amici e Luca è in ritiro con la squadra di calcio. Persino la nonna mi ha abbandonata, preferendo la festa del centro anziani.
Ecco perché sono qui, in questo enorme appartamento, che per le dimensioni mi ricorda uno di quegli attici che si vedono nei telefilm americani, in compagnia di persone che neanche conosco. Gli invitati sono per la maggior parte compagni del corso di Economia di Giorgia, che, a quanto pare, non sono interessati a conoscere una studentessa della facoltà di Lettere.
Mi guardano tutti come se fossi una pazza quando racconto cosa studio, invece per me sono loro i pazzi: non concepisco come ci si possa appassionare alla finanza. Per me i numeri sono asettici, non raccontano nulla, tuttavia la letteratura mi fa sognare. È un mondo nuovo, dove puoi impersonare innumerevoli vite. Utile nel caso tu sia insoddisfatto della realtà, come me.
Ma tornando agli ospiti, mi evitano come la peste già da quando io e Giorgia siamo arrivate e lei mi ha presentato ai suoi amici dell’università. Nessuno si è realmente sforzato di intavolare una conversazione con me. Mi guardano male, perché sono un’imbucata alla loro festa privata e un’intrusa nel loro mondo.
Ma non importa. Preferisco di gran lunga stare seduta sul comodo divanetto in pelle che si affaccia sul balcone e osservare le luci della città. Stasera Bologna sembra più viva del solito. Beh, diciamocelo, sprizza più vitalità di me in questo momento.
Rigiro il bicchiere di plastica tra le mani, cercando di predire il futuro anno nelle bollicine della gazzosa. Non me ne intendo di chiaroveggenza, astrologia o qualsiasi altra scemenza che pretende di prevedere l’avvenire: la trovo una cosa inutile. È meglio se smetto di pensare a queste idiozie e cercare qualcosa di meglio da fare o qualcuno con cui parlare.
Mi guardo un po’ attorno, studio la stanza in cui mi trovo. Si tratta di un ampio salotto, illuminato da raffinati lampadari a stelo sparsi ovunque. Al centro della sala è stato posizionato un lungo tavolo, il quale sorregge un centinaio di vassoi traboccanti di stuzzichini, pizzette e tramezzini, una ciotola di pasta fredda e una cinquantina di caraffe semipiene di bibite gassate e alcolici. Come direbbe mio fratello di quindici anni Riccardo: “C’è un quintale di roba!”, considerando il fatto che siamo circa una ventina di bocche da sfamare e che nessuno sembra avere molta fame, visto quanto poco sono state trafugate le cibarie.
Gli invitati sono sparsi per tutto l’appartamento. Riesco a vederne solo alcuni, raggruppati in un paio di allegri gruppetti chiacchieranti di quattro o cinque persone. Anche a me farebbe piacere chiacchierare con qualcuno, anche solo con Giorgia, ma non la vedo. È inutile che la vada a cercare: si sarà sicuramente appartata con il bellone col quale ha flirtato durante tutta l’apericena. Non ho capito se i due si conoscessero già o se si siano incontrati per la prima volta poche ore fa.
A me, comunque, sembra sia trascorso un giorno da quando ho varcato la soglia della casa. Non so davvero come farò a stare qui, ad annoiarmi, fino a notte fonda. È certo che un anno brutto come questo non può che finire male! Mi dispiace solo che anche il prossimo non inizierà nel migliore dei modi. Spero solo che qualcosa si aggiusti…
- Un centesimo per i tuoi pensieri. – una solida voce irrompe tra i miei pensieri e li spezza, catturando la mia attenzione. A giudicare da quanto è chiara, il ragazzo a cui appartiene deve essere molto vicino al divano. Sono sicura che non si sia rivolto a me, quindi continuo a fissare il bicchiere che stringo con entrambe le mani e aspetto che l’altra persona gli risponda.
Passano alcuni secondi, ma la risposta non arriva. Un dubbio mi si insinua nel cervello: che stia parlando con me? Alzo gli occhi e lo vedo. Siede sulla poltrona accanto, con un gomito sprofondato nel bracciolo e la mano che gli regge il viso. È lì, girato verso di me, che mi osserva. Sorride, paziente.
- Perdona la mia domanda, ma è da un po’ che ti osservo. Sei immersa nei tuoi pensieri da ore, così tante che mi sono incuriosito. – aggiunge, quando si accorge che non ho ancora aperto bocca. Vorrei dirgli qualcosa, ma al momento ne sono incapace. È come se fosse saltata la corrente nella mia testa, lasciandola senza energia. Sono in un black-out mentale totale.
Lui aspetta, sempre sorridente. Non sembra per nulla spazientito dalla mia scena muta.
- Io, ecco… - balbetto poche sillabe per temporeggiare. Non riesco a smettere di guardarlo. È indubbiamente un bel ragazzo: porta i capelli castani abbastanza lunghi, quel tanto che serve a dare una forma ben definita ai ricci che gli incorniciano il volto, non molto allungato e nel quale sono incastonati due stupendi occhi verdi, così chiari da poter essere scambiati per azzurri.
- Accidenti, che maleducato che sono: non mi sono ancora presentato! Sono Marco, piacere di conoscerti. – si sporge dalla poltrona e allunga il braccio, affinché glielo stringa. Ancora una volta, è venuto in mio soccorso dopo un altro imbarazzante silenzio.
- Gin. – rispondo finalmente e ricambio il saluto.
- Solo “Gin”, come il liquore? – scherza lui. In realtà Gin è il mio soprannome. Preferisco essere chiamata così, piuttosto che col mio vero nome. Non mi piace: lo trovo pesante da portare.
- Per esteso è Ginevra, ma puoi chiamarmi Gin.
- Ginevra è un bel nome. Mi ricorda la dama di Re Artù. – arrossisco per il complimento. Lui è il primo che apprezza il mio nome di battesimo, a parte mio padre. È stato lui a sceglierlo, proprio perché è un appassionato delle leggende bretoni. È proprio per questo motivo che odio il mio nome, ma questo non lo dico a Marco.
- Grazie. Anche “Marco” è molto bello. – ricambio la gentilezza per sviare l’attenzione da me.
- È un nome come un altro. – borbotta lui, scrollando le spalle. Mi auguro che non si alzi e che non se ne vada, perché giudicatami troppo noiosa. – Quindi a cosa stavi pensando prima? Guarda che ti regalo davvero un centesimo se me lo dici. – e ritorna alla domanda iniziale. Con la battuta finale riesce a strapparmi una risatina, che lui apprezza, infatti il suo sorriso si allunga ancora di più.
- Stavo facendo il bilancio dell’anno che sta per finire. – invento infine.
- È un bilancio positivo o negativo? – chiede, mostrandosi interessato. Ripenso in fretta a ciò che è accaduto.
I primi ricordi che mi saltano in mente sono i momenti più brutti: innanzitutto le difficoltà economiche che non riusciamo a superare con lo stipendio da impiegata della mamma e con il mio da cameriera part-time. All’inizio dell’anno accademico ho rischiato di interrompere i miei studi perché non c’erano abbastanza soldi, ma fortunatamente sono riuscita ad ottenere una borsa di studio qualche mese dopo.
Inoltre, Riccardo è stato investito ad aprile da un pirata della strada che non si è fermato allo STOP di fronte a casa e che è scappato senza prestargli soccorso. Il mio fratellino ha dovuto subire un intervento d’urgenza per risistemare le gambe massacrate dalle ruote ed è rimasto sulla sedia a rotelle per cinque mesi, prima di camminare con le stampelle. È stato un brutto colpo per tutta la famiglia: mamma ha iniziato a fare gli straordinari per pagare le spese mediche, mentre io e Luca restavamo a casa per occuparci di Riccardo. Anche il malato ha avuto i suoi problemi: oltre a non potersi muovere autonomamente, a malincuore ha abbandonato la squadra di calcio, il suo sport preferito, e di conseguenza anche il suo sogno di diventare un calciatore famoso. Luca continua a giocarci solo perché Riccardo ha insistito: vuole vivere l’ebbrezza della corsa e l’emozione dei goal che segna il fratello grazie alla magica connessione tra gemelli.
Adoro i miei fratelli: hanno entrambi un carattere forte e combattivo. Niente può abbatterli e la disavventura di Riccardo ne è la prova. Si prendono cura l’uno dell’altro e, a modo loro, anche di me e della mamma. Basta che ci vedano giù di tono o in difficoltà, che fanno di tutto per aiutarci. Ricordo quella volta che dovevo preparare l’esame di Letteratura Contemporanea: tra i testi letterari c’era un’opera di Gadda, per nulla facile da leggere, così i gemelli mi hanno strappato il libro di mano e me lo hanno letto ad alta voce, un capitolo a testa, facendo le voci di ogni personaggio e commentando i possibili significati delle parole a loro sconosciute, che io correggevo e spiegavo nella visione poetica dell’autore. Inutile dire che superai degnamente l’esame grazie alle lezioni-studio impartite a loro due.
Ma il loro gesto più eclatante avvenne sul finire dell’estate, quando nostro padre si ripresentò alla porta di casa dopo undici anni da quando se n’era andato. Non voglio rievocare troppo nel dettaglio quel giorno. È stato estremamente doloroso, sia per me sia per la mamma, rivedere quell’uomo che ci aveva abbandonati. I gemelli erano troppo piccoli per potersi ricordare di lui e non lo hanno mai considerato come una figura paterna, ecco perché non si sono fatti tanti scrupoli nel cacciarlo da casa nostra. Ci hanno protette. Già, non so davvero cosa farei senza i miei fratelli.
- Direi che è stato un anno come tutti gli altri, pieno di alti e bassi. – gli rispondo dopo un’attenta riflessione.
- Già, perché la vita è fatta così: è piena di periodi belli e altri brutti. Che cos’è un anno, se non la versione in miniatura dell’esistenza, che si ripete in continuazione? Ma qui la vera vittoria non sta nello sconfiggere la morte: è sopravvivere quasi del tutto indenni all’anno che sta terminando ed essere pronti ad affrontare quello nuovo, carichi delle esperienze appena vissute. – annuisco vivacemente a questa lezione. Infondo, Marco ha ragione: dopo tutto quello che ho passato quest’anno, sono pronta a sopportare il prossimo con il cuore più leggero, perché so che, nonostante tutto ciò che accadrà, avrò sempre al mio fianco la famiglia.
Dietro di noi, la compagnia si è riunita e sta scandendo i secondi che mancano alla mezzanotte.
Undici, come gli anni senza mio padre.
Dieci, come gli esami che ho superato quest’anno.
Nove, come il numero di maglia di Luca.
Otto, come i mesi passati dall’incidente di Riccardo.
Sette, come la media dei voti dei gemelli.
Sei, come il piano a cui si trova l’appartamento della festa.
Cinque, come i minuti che sono bastati ad uno sconosciuto per capirmi.
Quattro, come gli scalini che scricchiolano per andare in soffitta.
Tre, come la mia famiglia, me esclusa.
Due, come i miei fratelli.
Uno…
- Buon anno. 
   
 
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